Fotografia: ICONE ITALIANE

Fotografia: ICONE ITALIANE

Wednesday 18 June 2025 hours 16:00 (UTC +01:00)
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  • Dino Pedriali (1950 - 2021)  - Pier Paolo Pasolini, 1975
    Lot 73

    Dino Pedriali (1950 - 2021) - Pier Paolo Pasolini, 1975

    cm 23,2 x 30,2 (cm 19,7 x 29 immagine)
    Stampa successiva alla gelatina ai sali d'argento
    Timbro del fotografo e impronta digitale rossa del fotografo al verso


    Dino Pedriali (Roma 1950 - 2021) inizia giovanissimo la sua carriera e, lavorando alla galleria Il Fauno di Torino, frequenta il mondo dell’arte. Diventa così assistente di Man Ray di cui documenta la casa-studio parigina, collabora con Andy Warhol e ritrae con grande intensità personaggi come De Chirico, Moravia, Fellini come giovani anonimi con uno stile così intenso da essere definito caravaggesco dal critico Peter Weiermair. Nonostante i molti lavori e le mostre internazionali, Pedriali è passato alla storia della fotografia per il sodalizio con Pier Paolo Pasolini a cui scattò le ultime fotografie il giorno precedente la tragica morte. 

    Queste due fotografie sono emblematiche del rapporto che Pedriali ha stabilito con Pasolini. Quella in cui il regista, osservato e ripreso da lontano come da sua espressa volontà, appare nudo nella sua camera da letto è stata scattata all’interno del buen ritiro della Torre di Chia nel viterbese (vero nome Castello di Corte Casale) composta da una casa con tetto di vetro che illuminava lo studio e una torre non abitabile. Qui Pasolini lavorava al suo romanzo “Petrolio” prevedendo di corredarlo con le fotografie di Pedriali che, nel suo quotidiano scrutarlo, ne aveva colto – spiegava il fotografo – la profonda solitudine. Diversa la storia del primo piano che Pedriali stesso ricorda: lo scrittore si era messo in quella bella posa con il primo piano del pugno e lo sguardo penetrante ma vi era rimasto per pochissimi secondi. Con prontezza, mentre modificava la posizione della macchina da verticale a orizzontale, il fotografo ebbe la prontezza di realizzare lo scatto che sarebbe diventato iconico anche per una strana ragione. Lo stampatore per errore graffiò con la pinzetta il negativo, così ogni stampa reca i segni del ritocco come una cicatrice sulla fronte di Pasolini.  
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Fulvio Roiter (1926 - 2016)  - Umbria, 1955
    Lot 74

    Fulvio Roiter (1926 - 2016) - Umbria, 1955

    cm 30 x 24
    Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
    Titolata e datata a penna nera con timbro del fotografo al verso

    BIBLIOGRAFIA
    F. Roiter, P. Jacquet (a cura di), Ombrie Terre de Saint Francois, Editions Clairefontaine (La Guilde Du Livre), Losanna, 1955, copertina
    Forme di Luce. Il Gruppo “La Bussola” e aspetti della Fotografia italiana del Dopoguerra, Alinari, Firenze, 1997
    D. Curti (a cura di), Fulvio Roiter Fotografie - Phorographs 1948-2007, Marsilio, Venezia, 2018, p. 53



    Fulvio Roiter (Meolo, Venezia 1926 - Venezia 2016) perito chimico di formazione ha da subito preferito la fotografia che la militanza nel circolo La Gondola e l’amicizia con Paolo Monti hanno raffinato. Il successo delle fotografie scattate in Sicilia e dei libri “Venise à fleud d’eau” e “Ombrie. Terre de Saint François” (Premio Nadar 1956) lo spingono a non puntare quasi mai a giornali e riviste cui ha preferito i libri. Costruiva progetti pensati con professionale precisione: la applicò nel 1977 anche in “Essere Venezia”, non il suo libro più bello ma quello che detiene ancora un primato con le 700.000 copie vendute. Ogni viaggio in Europa, Brasile, Messico, Stati Uniti è stata occasione per realizzare volumi in cui emerge un grande rispetto, più antropologico che sociale, per l’uomo. 

    Guidato da una grande passione Fulvio Roiter era anche un uomo estroverso, pervicace, determinato, che amava raccontare il suo lavoro grazie a una memoria prodigiosa. La fotografia scattata in Umbria fa parte del progetto che aveva proposto ad Albert Mermoud, editore della casa editrice Guilde du Livre, pensando di cogliere le tracce francescane in quella terra. Avvisato solo all’ultimo della nevicata che aveva considerato indispensabile per il suo lavoro, si precipita in tutta fretta nella regione e, avendo scorto dal finestrino del pullman su cui viaggiava la scena dell’uomo che conduceva i due animali, convince il guidatore a farlo scendere, inquadra la scena e scatta nel momento esatto in cui le figure si stagliano scure sul bagliore della neve. Anche questa giocata sulle tonalità del bianco, la ripresa in Algarve ferma, invece, uno spazio architettonico ripreso con grande rigore ma reso davvero particolare dalla presenza di una figura umana che la trasforma nello sfondo ideale su cui proiettar la propria ombra.   
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Fulvio Roiter (1926 - 2016)  - Algarve (Portugal), 1964
    Lot 75

    Fulvio Roiter (1926 - 2016) - Algarve (Portugal), 1964

    cm 37 x 25,8
    Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
    Titolata a penna nera e datata a penna rossa con timbro del fotografo al verso


    Fulvio Roiter (Meolo, Venezia 1926 - Venezia 2016) perito chimico di formazione ha da subito preferito la fotografia che la militanza nel circolo La Gondola e l’amicizia con Paolo Monti hanno raffinato. Il successo delle fotografie scattate in Sicilia e dei libri “Venise à fleud d’eau” e “Ombrie. Terre de Saint François” (Premio Nadar 1956) lo spingono a non puntare quasi mai a giornali e riviste cui ha preferito i libri. Costruiva progetti pensati con professionale precisione: la applicò nel 1977 anche in “Essere Venezia”, non il suo libro più bello ma quello che detiene ancora un primato con le 700.000 copie vendute. Ogni viaggio in Europa, Brasile, Messico, Stati Uniti è stata occasione per realizzare volumi in cui emerge un grande rispetto, più antropologico che sociale, per l’uomo. 

    Guidato da una grande passione Fulvio Roiter era anche un uomo estroverso, pervicace, determinato, che amava raccontare il suo lavoro grazie a una memoria prodigiosa. La fotografia scattata in Umbria fa parte del progetto che aveva proposto ad Albert Mermoud, editore della casa editrice Guilde du Livre, pensando di cogliere le tracce francescane in quella terra. Avvisato solo all’ultimo della nevicata che aveva considerato indispensabile per il suo lavoro, si precipita in tutta fretta nella regione e, avendo scorto dal finestrino del pullman su cui viaggiava la scena dell’uomo che conduceva i due animali, convince il guidatore a farlo scendere, inquadra la scena e scatta nel momento esatto in cui le figure si stagliano scure sul bagliore della neve. Anche questa giocata sulle tonalità del bianco, la ripresa in Algarve ferma, invece, uno spazio architettonico ripreso con grande rigore ma reso davvero particolare dalla presenza di una figura umana che la trasforma nello sfondo ideale su cui proiettar la propria ombra.   
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Ferdinando Scianna (1943)  - Marpessa, Modica, 1987
    Lot 76

    Ferdinando Scianna (1943) - Marpessa, Modica, 1987

    cm 54,3 x 74,3 (cm 39,6 x 59 immagine)
    Stampa a getto d'inchiostro, successiva
    Titolata, datata e firmata a matita al margine bianco inferiore recto
    Opera in cornice

    ESPOSIZIONI
    Altro esemplare in collezione alla Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea, Torino - Proprietà della Fondazione per l'Arte Moderna e Contemporanea CRT


    BIBLIOGRAFIA
    Scianna. MARPESSA. un racconto, Ed. Leonardo, Milano, 1993



    Ferdinando Scianna (Bagheria, Palermo 1943) si è sempre fatto guidare un po’ dal caso, come quando nel 1963 Leonardo Sciascia ha visitato e apprezzato la sua prima mostra, e molto dalla determinazione, che lo ha spinto a presentarsi allo scrittore che sarebbe diventato suo grande amico e di lì a poco estensore del testo per “Feste religiose in Sicilia”, primo dei molti e amati libri che avrebbe pubblicato. Diventato professionista, per L’Europeo è corrispondente a Parigi dove conosce Cartier-Bresson che lo introduce alla Magnum, di cui nel 1989 diviene membro. Operando sempre in bianco e nero accosta a magnifici reportage e apprezzati ritratti di grandi intellettuali la collaborazione con Dolce e Gabbana: si afferma così anche nel mondo della moda pubblicando su Vogue e Grazia. 

    Quando Domenico Dolce e Stefano Gabbana fondarono nel 1985 la Maison che portava i loro nomi potevano contare un budget modesto ma su idee profondamente innovative. Due anni dopo, per la campagna pubblicitaria del loro primo catalogo coinvolsero la modella Marpessa Hennink, che accettò di lavorare gratis e di truccarsi da sola, e Ferdinando Scianna per evocare le radici mediterranee cui la collezione si ispirava. Fu la sua Sicilia l’ideale set in cui girarono per scattare fotografie che mescolassero il fascino del reportage caro al fotografo e il sottile mistero che emanava dalla modella. Il suo volto incorniciato dai capelli che cadono disordinati occupa la parte superiore dell’immagine e la ripresa dal basso viene enfatizzata dallo sguardo rivolto verso l’alto: in tal modo Scianna trasforma la ragazza olandese in un’icona della sicilianità. Tutto ciò è ancora più evidente nella famosissima immagine dove vengono accostate, sullo sfondo di un muro bianco, in un voluto e sottolineato contrasto, quattro popolane vestite semplicemente e la modella che svetta muovendo i piedi in una postura vezzosa. 
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Ferdinando Scianna (1943)  - Marpessa, late 1980s
    Lot 77

    Ferdinando Scianna (1943) - Marpessa, late 1980s

    cm 30 x 23,8 (cm 29 x 20 immagine)
    Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
    Firmata a pennarello nero al margine bianco recto


    Ferdinando Scianna (Bagheria, Palermo 1943) si è sempre fatto guidare un po’ dal caso, come quando nel 1963 Leonardo Sciascia ha visitato e apprezzato la sua prima mostra, e molto dalla determinazione, che lo ha spinto a presentarsi allo scrittore che sarebbe diventato suo grande amico e di lì a poco estensore del testo per “Feste religiose in Sicilia”, primo dei molti e amati libri che avrebbe pubblicato. Diventato professionista, per L’Europeo è corrispondente a Parigi dove conosce Cartier-Bresson che lo introduce alla Magnum, di cui nel 1989 diviene membro. Operando sempre in bianco e nero accosta a magnifici reportage e apprezzati ritratti di grandi intellettuali la collaborazione con Dolce e Gabbana: si afferma così anche nel mondo della moda pubblicando su Vogue e Grazia. 

    Quando Domenico Dolce e Stefano Gabbana fondarono nel 1985 la Maison che portava i loro nomi potevano contare un budget modesto ma su idee profondamente innovative. Due anni dopo, per la campagna pubblicitaria del loro primo catalogo coinvolsero la modella Marpessa Hennink, che accettò di lavorare gratis e di truccarsi da sola, e Ferdinando Scianna per evocare le radici mediterranee cui la collezione si ispirava. Fu la sua Sicilia l’ideale set in cui girarono per scattare fotografie che mescolassero il fascino del reportage caro al fotografo e il sottile mistero che emanava dalla modella. Il suo volto incorniciato dai capelli che cadono disordinati occupa la parte superiore dell’immagine e la ripresa dal basso viene enfatizzata dallo sguardo rivolto verso l’alto: in tal modo Scianna trasforma la ragazza olandese in un’icona della sicilianità. Tutto ciò è ancora più evidente nella famosissima immagine dove vengono accostate, sullo sfondo di un muro bianco, in un voluto e sottolineato contrasto, quattro popolane vestite semplicemente e la modella che svetta muovendo i piedi in una postura vezzosa. 
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Tazio Secchiaroli (1925 - 1998)  - Federico Fellini in "8½", 1962
    Lot 78

    Tazio Secchiaroli (1925 - 1998) - Federico Fellini in "8½", 1962

    cm 39,4 x 29,6
    Stampa moderna alla gelatina ai sali d'argento
    Timbro Tazio Secchiaroli/David Secchiaroli al verso

    BIBLIOGRAFIA
    Tazio Secchiaroli, The Original paparazzo, Photology, Milano, 1996
    D. Mormorio (a cura di), Tazio Secchiaroli, dalla dolce vita ai miti del set, Federico Motta Editore, Milano, 1998

    Tazio Secchiaroli, Fellini 8 ½, Federico Motta Editore, Milano, 1999
    G. Bertelli (a cura di), Tazio Secchiaroli, Federico Fellini, Rizzoli, Milano, 2003

    T. Secchiaroli, Storie di cinema, Contrasto, Milano, 2004
    G. Bertelli, (a cura di), Giornate particolari, Roma e il cinema nelle immagini mito di Tazio Secchiaroli, Ciak Mondadori, Milano, 2006


    Opera accompagnata da Certificato d'autenticità rilasciato da David Secchiaroli



    Tazio Secchiaroli (Roma 1925-1998) inizia la carriera appena ventenne come fotografo di strada, ma l’amico Sergio Strizzi lo introduce alle agenzie: da Adolfo Porry Pastorel impara così bene i segreti del mestiere da pubblicare su “Epoca”, “L’Espresso”, “Le Ore”. Prosegue alla Roma Press Photo, l’agenzia da lui fondata nel 1955, il suo lavoro di reporter capace di grandi scoop ed è documentando la vita notturna romana resa vivace dai protagonisti del mondo del cinema che incontra Federico Fellini. La sintonia che si crea – fu lui a suggerire al regista il nome di Paparazzo per uno dei protagonisti de “La Dolce Vita” – porta Secchiaroli a lavorare come fotografo di scena di grande successo e a diventare fotografo ufficiale di Sophia Loren. 

    Doveva essere uno spettacolo nello spettacolo quel set di “8 e ½”, dove si provava la scena in cui Marcello Matroianni doveva impugnare e usare una frusta. Per spiegare ai suoi attori e perfino alle sue attrici come dovevano muoversi, Federico Fellini aveva spesso l’abitudine di indossane i panni e mimarne i gesti: sotto l’occhio vigile e l’obiettivo rapace di Tazio Secchiaroli, il regista si esibisce in un audace balzo creando una situazione sottilmente ironica dovuta al fatto che indossava una impeccabile camicia bianca con tanto di cravatta. Siamo nel 1966 e, per lanciare il film “Arabesque” che vedeva protagonisti Gregory Peck e Sophia Loren, la produzione chiese a Richard Avedon di fotografare l’attrice. Il set diventa un luogo di conflitto fra star: Avedon non vuole intrusi, Sophia non intende rinunciare alla presenza di Secchiaroli, suo fotografo ufficiale che l’aveva accompagnata, Tazio rimarrà fra l’incuriosito e l’indispettito. Se i ritratti del grande fotografo americano furono belli quanto prevedibili, quello italiano riuscì a realizzare un vero e proprio capolavoro di malizia catturando, attraverso la lente degli occhiali di Avedon, la composizione che stava cercando. Chapeau.
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Tazio Secchiaroli (1925 - 1998)  - Sophia Loren e Richard Avedon, Roma, 1966
    Lot 79

    Tazio Secchiaroli (1925 - 1998) - Sophia Loren e Richard Avedon, Roma, 1966

    cm 40,8 x 30,1 (cm 39,7 x 29,2 immagine)
    Stampa moderna alla gelatina ai sali d'argento
    Timbro Tazio Secchiaroli/David Secchiaroli al verso

    BIBLIOGRAFIA
    Tazio Secchiaroli, The Original paparazzo, Photology, Milano, 1996
    D. Mormorio (a cura di), Tazio Secchiaroli, dalla dolce vita ai miti del set, Federico Motta Editore, Milano, 1998
    G. Bertelli (a cura di), Tazio Secchiaroli, Sophia Loren, Rizzoli, Milano, 2003

    T. Secchiaroli, Storie di cinema, Contrasto, Milano, 2004
    G. Bertelli (a cura di), Giornate particolari, Roma e il cinema nelle immagini mito di Tazio Secchiaroli, Ciak Mondadori, Milano, 2006 (copertina)
    U. Lucas (a cura di), Vicino alle stelle, Sophia e Marcello, Mazzotta Editore, Milano. 2006




    Opera accompagnata da Certificato d'autenticità rilasciato da David Secchiaroli



    Tazio Secchiaroli (Roma 1925-1998) inizia la carriera appena ventenne come fotografo di strada, ma l’amico Sergio Strizzi lo introduce alle agenzie: da Adolfo Porry Pastorel impara così bene i segreti del mestiere da pubblicare su “Epoca”, “L’Espresso”, “Le Ore”. Prosegue alla Roma Press Photo, l’agenzia da lui fondata nel 1955, il suo lavoro di reporter capace di grandi scoop ed è documentando la vita notturna romana resa vivace dai protagonisti del mondo del cinema che incontra Federico Fellini. La sintonia che si crea – fu lui a suggerire al regista il nome di Paparazzo per uno dei protagonisti de “La Dolce Vita” – porta Secchiaroli a lavorare come fotografo di scena di grande successo e a diventare fotografo ufficiale di Sophia Loren. 

    Doveva essere uno spettacolo nello spettacolo quel set di “8 e ½”, dove si provava la scena in cui Marcello Matroianni doveva impugnare e usare una frusta. Per spiegare ai suoi attori e perfino alle sue attrici come dovevano muoversi, Federico Fellini aveva spesso l’abitudine di indossane i panni e mimarne i gesti: sotto l’occhio vigile e l’obiettivo rapace di Tazio Secchiaroli, il regista si esibisce in un audace balzo creando una situazione sottilmente ironica dovuta al fatto che indossava una impeccabile camicia bianca con tanto di cravatta. Siamo nel 1966 e, per lanciare il film “Arabesque” che vedeva protagonisti Gregory Peck e Sophia Loren, la produzione chiese a Richard Avedon di fotografare l’attrice. Il set diventa un luogo di conflitto fra star: Avedon non vuole intrusi, Sophia non intende rinunciare alla presenza di Secchiaroli, suo fotografo ufficiale che l’aveva accompagnata, Tazio rimarrà fra l’incuriosito e l’indispettito. Se i ritratti del grande fotografo americano furono belli quanto prevedibili, quello italiano riuscì a realizzare un vero e proprio capolavoro di malizia catturando, attraverso la lente degli occhiali di Avedon, la composizione che stava cercando. Chapeau.
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Vittorio Sella (1859 - 1943)  - K2 dal colle "V. Sella", 1909
    Lot 80

    Vittorio Sella (1859 - 1943) - K2 dal colle "V. Sella", 1909

    cm 39,5 x 29,8 (cm 32,5 x 28,8 immagine)
    Stampa alla gelatina ai sali d'argento a cura dell'Istituto di Fotografia Alpina "V. Sella", stampata anni 1940/1950
    Timbro Istituto di Fotografia Alpina V. Sella al verso
    Firmata a penna blu e nera al margine bianco inferiore recto dai componenti della spedizione: Erich Abram, Walter Bonatti, Achille Compagnoni, Mario Fantin, Cirillo Floreanini, Pino Gallotti, Lino Lacedelli, Guido Pagani, Ubaldo Rey, Gino Soldà, Sergio Viotto
    Opera in cornice


    Vittorio Sella (Biella 1859 - 1943) dal padre, imprenditore tessile ma anche autore del trattato “Il plico fotografico”, eredita la passione per la fotografia che coniuga con quella della montagna acquisita dallo zio Quirino fondatore del CAI. Provetto alpinista, con il suo banco ottico 30x36 documenta i viaggi che fra il 1889 e il 1909 lo vedono nel Caucaso, in Alaska, sul Ruwenzori, nel Karakorum e sulle Alpi riprese in entrambi i versanti. Utilizza negli anni varie tecniche, dalle lastre al collodio di diverse dimensioni a quelle al bromuro, ma è anche inventore di elaborati sistemi di trasporto come zaini imbottiti per trasportare in vetta macchine, lastre di vetro, prodotti chimici. Grande è il successo ottenuto anche in importanti mostre internazionali e si deve a lui se questo genere fotografico si chiama foto alpinismo anche quando è realizzato lontano dalle Alpi. Come imprenditore dirige il lanificio di famiglia e partecipa alla creazione dell’azienda vinicola Sella & Mosca. 

    È difficile oggi immaginare quali erano le difficoltà che doveva affrontare un fotografo che alla fine dell’800 doveva riprendere le montagne per sottolineare la loro maestosità. Si poteva certo farlo con le piccole portatili fotocamere (lo stesso Sella si portava appresso, ma solo per le istantanee, una Kodak 9x12) ma per ottenere risultati di straordinaria qualità, come quelli qui proposti, bisognava ricorrere agli ingombranti e macchinosi banchi ottici perché dai grandi negativi si ricavavano a contatto stampe ricche di dettagli stupefacenti. Per farlo bisognava anche possedere un certo estro nell’inventarsi sistemi di protezione dal vento che faceva muovere il treppiede della fotocamera e la capacità propria degli alpinisti, di conquistare i giusti punti di osservazione: questo spiega come Vittorio Sella sia riuscito a realizzare nel 1885 una accurata osservazione in undici scatti della vetta del Cervino che qui compare avvolto dalle nuvole. Altrettanto interessante è la ripresa del K2 realizzata nel giugno 1909 da una vicina grande altura che da allora venne intitolata al fotografo. Realizzata con una fotocamera inglese Dallmeyer 20x25, riprende la grande montagna dal basso sottolineandone lo slancio. La qualità delle stampe realizzate dallo stesso fotografo era anche data dal personalissimo viraggio a doppio tono da lui sperimentato. Una ulteriore preziosità di questa fotografia risiede nel fatto che riporta al piede tutte le firme degli alpinisti che parteciparono nel 1954 alla spedizione italiana che portò per la prima volta alla conquista di questa vetta.

  • Vittorio Sella (1859 - 1943)  - Cervino, dai pressi della vetta del Dent d'Hérens, 1885
    Lot 81

    Vittorio Sella (1859 - 1943) - Cervino, dai pressi della vetta del Dent d'Hérens, 1885


    cm 40 x 30 (cm 37,5 x 28 immagine)

    Stampa alla gelatina i sali d'argento, stampata anni 1900

    Timbro a secco del fotografo sull'immagine

    Opera in cornice

    Bibliografia: La montagna rilevata. Fotografie dell'Ottocento dalla collezione Fineschi, Skira, 2009, p. 50


    Vittorio Sella (Biella 1859 - 1943) dal padre, imprenditore tessile ma anche autore del trattato “Il plico fotografico”, eredita la passione per la fotografia che coniuga con quella della montagna acquisita dallo zio Quirino fondatore del CAI. Provetto alpinista, con il suo banco ottico 30x36 documenta i viaggi che fra il 1889 e il 1909 lo vedono nel Caucaso, in Alaska, sul Ruwenzori, nel Karakorum e sulle Alpi riprese in entrambi i versanti. Utilizza negli anni varie tecniche, dalle lastre al collodio di diverse dimensioni a quelle al bromuro, ma è anche inventore di elaborati sistemi di trasporto come zaini imbottiti per trasportare in vetta macchine, lastre di vetro, prodotti chimici. Grande è il successo ottenuto anche in importanti mostre internazionali e si deve a lui se questo genere fotografico si chiama foto alpinismo anche quando è realizzato lontano dalle Alpi. Come imprenditore dirige il lanificio di famiglia e partecipa alla creazione dell’azienda vinicola Sella & Mosca. 


    È difficile oggi immaginare quali erano le difficoltà che doveva affrontare un fotografo che alla fine dell’800 doveva riprendere le montagne per sottolineare la loro maestosità. Si poteva certo farlo con le piccole portatili fotocamere (lo stesso Sella si portava appresso, ma solo per le istantanee, una Kodak 9x12) ma per ottenere risultati di straordinaria qualità, come quelli qui proposti, bisognava ricorrere agli ingombranti e macchinosi banchi ottici perché dai grandi negativi si ricavavano a contatto stampe ricche di dettagli stupefacenti. Per farlo bisognava anche possedere un certo estro nell’inventarsi sistemi di protezione dal vento che faceva muovere il treppiede della fotocamera e la capacità propria degli alpinisti, di conquistare i giusti punti di osservazione: questo spiega come Vittorio Sella sia riuscito a realizzare nel 1885 una accurata osservazione in undici scatti della vetta del Cervino che qui compare avvolto dalle nuvole. Altrettanto interessante è la ripresa del K2 realizzata nel giugno 1909 da una vicina grande altura che da allora venne intitolata al fotografo. Realizzata con una fotocamera inglese Dallmeyer 20x25, riprende la grande montagna dal basso sottolineandone lo slancio. La qualità delle stampe realizzate dallo stesso fotografo era anche data dal personalissimo viraggio a doppio tono da lui sperimentato. Una ulteriore preziosità di questa fotografia risiede nel fatto che riporta al piede tutte le firme degli alpinisti che parteciparono nel 1954 alla spedizione italiana che portò per la prima volta alla conquista di questa vetta.

  • Enzo Sellerio (1924 - 2012)  - Linguaglossa, 1963
    Lot 82

    Enzo Sellerio (1924 - 2012) - Linguaglossa, 1963

    cm 60,6 x 41
    Stampa alla gelatina ai sali d'argento, stampata anni 1980
    Firmata a penna nera con timbro del fotografo al verso

    BIBLIOGRAFIA
    Enzo Sellerio: Fotografo in Sicilia, Arti Grafiche Friulane, Udine, 1996, copertina
    Enzo Sellerio, Fotografie 1950-1989, Federico Motta Editore, Palermo, 2000, p. 137
    Enzo Sellerio, Fermo immagine, Alinari, Firenze, 2007, p. 127
    I Fotografi, Silvia Editrice, Cologno Monzese (MI), 2012, p. 36



    Enzo Sellerio (Palermo 1924 – 2012), nato in una famiglia di intellettuali, si laurea in Giurisprudenza e abbandona la carriera universitaria per abbracciare nei primi anni ’50 quella di fotografo pubblicando sui periodici “Sicilia”, “Cinema Nuovo” e “Il Mondo” con immagini di gusto neorealista grazie alle quali realizza le prime mostre personali. I reportage sulla rivista svizzera “du” gli consentono, nella prima metà degli anni ’60, di lavorare da free lance fra Parigi e New York per Vogue ritraendo importanti personaggi della cultura. Un nuovo e diverso interesse per l’editoria lo induce a mettere da parte la fotografia e fondare, con la moglie Elvira, la Sellerio Edizioni che pubblica sia libri d’arte che di narrativa. 

    Chi non si intende di fotografia resta sempre un po’ stupito nello scoprire che Enzo Sellerio non è stato solo un grande editore, ma quando vede l’immagine di questa ragazza affacciata al balcone di una casa qualcosa gli scatta dentro perché questa fotografia, senza sapere chi l’aveva scattata, già l’aveva vista. È destino, non necessariamente negativo, di alcuni autori di essere ricordati soprattutto per una loro opera, ma d’altra parte il fatto che Linguaglossa compaia sulla copertina della monografia “Enzo Sellerio. Fotografo in Sicilia” che Art& pubblicò nel 1996 qualcosa deve pur dire. Quella ripresa dal basso, quel sorriso malizioso e soprattutto la forma sinuosa della ragazza che dialoga con quelle delle decorazioni del balcone e dei supporti dei fili elettrici che si susseguono sul muro indicano la predilezione dell’autore per l’armonia dei particolari. Nella fotografia scattata nel paese più piccolo della provincia palermitana cogliamo un altro aspetto che caratterizza la sua visione, il senso di una composizione che sembra dare un ordine laddove questo non c’è.  
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Enzo Sellerio (1924 - 2012)  - Sclafani Bagni, 1966
    Lot 83

    Enzo Sellerio (1924 - 2012) - Sclafani Bagni, 1966

    cm 46,7 x 60
    Stampa alla gelatina ai sali d'argento, stampata anni 1970
    Firmata a penna nera con timbro del fotografo al verso

    BIBLIOGRAFIA
    I Fotografi, Silvia Editrice, Cologno Monzese (MI), 2012, p. 37



    Enzo Sellerio (Palermo 1924 – 2012), nato in una famiglia di intellettuali, si laurea in Giurisprudenza e abbandona la carriera universitaria per abbracciare nei primi anni ’50 quella di fotografo pubblicando sui periodici “Sicilia”, “Cinema Nuovo” e “Il Mondo” con immagini di gusto neorealista grazie alle quali realizza le prime mostre personali. I reportage sulla rivista svizzera “du” gli consentono, nella prima metà degli anni ’60, di lavorare da free lance fra Parigi e New York per Vogue ritraendo importanti personaggi della cultura. Un nuovo e diverso interesse per l’editoria lo induce a mettere da parte la fotografia e fondare, con la moglie Elvira, la Sellerio Edizioni che pubblica sia libri d’arte che di narrativa. 

    Chi non si intende di fotografia resta sempre un po’ stupito nello scoprire che Enzo Sellerio non è stato solo un grande editore, ma quando vede l’immagine di questa ragazza affacciata al balcone di una casa qualcosa gli scatta dentro perché questa fotografia, senza sapere chi l’aveva scattata, già l’aveva vista. È destino, non necessariamente negativo, di alcuni autori di essere ricordati soprattutto per una loro opera, ma d’altra parte il fatto che Linguaglossa compaia sulla copertina della monografia “Enzo Sellerio. Fotografo in Sicilia” che Art& pubblicò nel 1996 qualcosa deve pur dire. Quella ripresa dal basso, quel sorriso malizioso e soprattutto la forma sinuosa della ragazza che dialoga con quelle delle decorazioni del balcone e dei supporti dei fili elettrici che si susseguono sul muro indicano la predilezione dell’autore per l’armonia dei particolari. Nella fotografia scattata nel paese più piccolo della provincia palermitana cogliamo un altro aspetto che caratterizza la sua visione, il senso di una composizione che sembra dare un ordine laddove questo non c’è.  
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Pino Settanni (1949 - 2010)  - Kabul (Vedova Mendicante 2), 2002
    Lot 84

    Pino Settanni (1949 - 2010) - Kabul (Vedova Mendicante 2), 2002

    cm 149,5 x 100
    C-print, stampata 2010, su dibond
    Firmata a pennarello nero al verso

    ESPOSIZIONI
    Pino Settanni, Il Vento, Il Velo, il Volto, Lattuada Studio, Milano, 2010



    Pino Settanni (Grottaglie, Taranto 1949 - Roma 2010) lascia il lavoro all’Italsider di Taranto per seguire la sua passione per la fotografia a Roma. Lì collabora con diverse testate e frequenta il mondo dell’avanguardia che gravita attorno ad alcune gallerie come quella di Monique Gregory, sua futura moglie. Amplia così la sua visione creando progetti seriali come i ritratti di personalità della cultura e dell’arte e le interpretazioni dei Tarocchi, dei segni zodiacali, dei sette vizi capitali. Riprende i suoi reportage nei Balcani e in Afghanistan commissionatigli dall’ Esercito italiano alla fine degli anni ’90 per creare immagini elaborate digitalmente. Il suo archivio è custodito dall’Istituto Luce. 

    Ben capace come nei suoi reportage di rappresentare il mondo per come appare, Pino Settanni era stato troppo influenzato dalla conoscenza delle opere d’avanguardia per non crearsi un personale spazio creativo all’interno del quale sublimare la realtà. Talvolta lavora in un modo che potremmo definire più tradizionale come nel riflesso dei particolari architettonici in una pozzanghera elaborati con interventi grafici anche se sono le trasformazioni consentitegli dal digitale ad aprirgli nuovi orizzonti. La “Vedova mendicante” che aveva fotografato a Kabul durante uno dei suoi reportage viene isolata dal suo contesto storico e trasformata in una vertigine di forme e colori dove la lunga veste di un originale burka diventa un serpente che snoda nello spazio i suoi cromatismi.  
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Pino Settanni (1949 - 2010)  - Volo e Barocco (Voligrammi), 1980
    Lot 85

    Pino Settanni (1949 - 2010) - Volo e Barocco (Voligrammi), 1980

    cm 24,5 x 27,4
    Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento con interventi a penna nera, applicata a cartoncino originale
    Opera unica
    Firmata, datata e titolata a penna blu al cartoncino verso


    Pino Settanni (Grottaglie, Taranto 1949 - Roma 2010) lascia il lavoro all’Italsider di Taranto per seguire la sua passione per la fotografia a Roma. Lì collabora con diverse testate e frequenta il mondo dell’avanguardia che gravita attorno ad alcune gallerie come quella di Monique Gregory, sua futura moglie. Amplia così la sua visione creando progetti seriali come i ritratti di personalità della cultura e dell’arte e le interpretazioni dei Tarocchi, dei segni zodiacali, dei sette vizi capitali. Riprende i suoi reportage nei Balcani e in Afghanistan commissionatigli dall’ Esercito italiano alla fine degli anni ’90 per creare immagini elaborate digitalmente. Il suo archivio è custodito dall’Istituto Luce. 

    Ben capace come nei suoi reportage di rappresentare il mondo per come appare, Pino Settanni era stato troppo influenzato dalla conoscenza delle opere d’avanguardia per non crearsi un personale spazio creativo all’interno del quale sublimare la realtà. Talvolta lavora in un modo che potremmo definire più tradizionale come nel riflesso dei particolari architettonici in una pozzanghera elaborati con interventi grafici anche se sono le trasformazioni consentitegli dal digitale ad aprirgli nuovi orizzonti. La “Vedova mendicante” che aveva fotografato a Kabul durante uno dei suoi reportage viene isolata dal suo contesto storico e trasformata in una vertigine di forme e colori dove la lunga veste di un originale burka diventa un serpente che snoda nello spazio i suoi cromatismi.   
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Bruno Stefani (1901 - 1976)  - Brinata in Lombardia, 1940s
    Lot 86

    Bruno Stefani (1901 - 1976) - Brinata in Lombardia, 1940s

    cm 39 x 29,1
    Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
    Titolata a matita con timbro del fotografo al verso


    Bruno Stefani (Forlì 1901 – Milano 1978) trasferitosi nel 1925 a Milano a causa dei frequenti scontri con i fascisti, lavora professionalmente per l’editore Rizzoli e negli studi Aragozzini e Camuzzi ma porta avanti anche una ricerca personale vicina al pittorialismo. Il passaggio, fra i primi in Italia, alla Leica gli suggerisce un nuovo stile vicino al Costruttivismo e alla lezione Bauhaus che porta sia nel mondo amatoriale (nel 1930 fonda con Giuseppe Cavalli, Secco D'Aragona, Ferruccio Leiss, Alfredo Ornano, Giò Ponti, Emilio Sommariva e Federico Vender il Circolo Fotografico Milanese) che in quello professionale lavorando per il TCI e, con l’innovativo Studio Boggeri, per Dalmine, Olivetti, Pirelli. Il suo archivio è depositato allo CSAC di Parma. 

    Se nel lavoro professionale Bruno Stefani si segnalava per il modo innovativo con cui, dapprima usando il bianco e nero e poi il colore, affrontava la fotografia industriale, la sua ricerca personale è spesso caratterizzata dall’attenzione con cui realizzava in camera oscura stampe ineccepibili. I due panorami qui presentati sono dei veri esercizi di stile perché in uno l’attenzione è tutta incentrata sulla spettacolarità delle nuvole che si stagliano su un cielo dove si inseguono le sfumature del grigio, mentre nell’altro è il bianco a dominare in una composizione cui i rami in primo piano conferiscono all’insieme una teatrale profondità. La cura della stampa non deve stupire: nell’ambito foto amatoriale era un tratto fondamentale e Stefani ci metteva di suo per dimostrare di potere ottenere risultati di pregio perché in quegli anni chi usava la pellicola 35 mm era guardato con sospetto da chi predicava l’indispensabilità del medio formato.   
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Bruno Stefani (1901 - 1976)  - Passo di Gavia - Lago Bianco, 1940s
    Lot 87

    Bruno Stefani (1901 - 1976) - Passo di Gavia - Lago Bianco, 1940s

    cm 39,3 x 29,3
    Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
    Titolata a matita con timbro del fotografo al verso


    Bruno Stefani (Forlì 1901 – Milano 1978) trasferitosi nel 1925 a Milano a causa dei frequenti scontri con i fascisti, lavora professionalmente per l’editore Rizzoli e negli studi Aragozzini e Camuzzi ma porta avanti anche una ricerca personale vicina al pittorialismo. Il passaggio, fra i primi in Italia, alla Leica gli suggerisce un nuovo stile vicino al Costruttivismo e alla lezione Bauhaus che porta sia nel mondo amatoriale (nel 1930 fonda con Giuseppe Cavalli, Secco D'Aragona, Ferruccio Leiss, Alfredo Ornano, Giò Ponti, Emilio Sommariva e Federico Vender il Circolo Fotografico Milanese) che in quello professionale lavorando per il TCI e, con l’innovativo Studio Boggeri, per Dalmine, Olivetti, Pirelli. Il suo archivio è depositato allo CSAC di Parma. 

    Se nel lavoro professionale Bruno Stefani si segnalava per il modo innovativo con cui, dapprima usando il bianco e nero e poi il colore, affrontava la fotografia industriale, la sua ricerca personale è spesso caratterizzata dall’attenzione con cui realizzava in camera oscura stampe ineccepibili. I due panorami qui presentati sono dei veri esercizi di stile perché in uno l’attenzione è tutta incentrata sulla spettacolarità delle nuvole che si stagliano su un cielo dove si inseguono le sfumature del grigio, mentre nell’altro è il bianco a dominare in una composizione cui i rami in primo piano conferiscono all’insieme una teatrale profondità. La cura della stampa non deve stupire: nell’ambito foto amatoriale era un tratto fondamentale e Stefani ci metteva di suo per dimostrare di potere ottenere risultati di pregio perché in quegli anni chi usava la pellicola 35 mm era guardato con sospetto da chi predicava l’indispensabilità del medio formato.
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Renzo Tortelli (1926 - 2019)  - La portatrice di legno, 1958
    Lot 88

    Renzo Tortelli (1926 - 2019) - La portatrice di legno, 1958

    cm 28,8 x 35,4
    Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
    Firmata e datata a penna nera sull'immagine e firmata e datata a penna nera con timbro del fotografo e timbri espositivi al verso

    BIBLIOGRAFIA
    Renzo Tortelli. Di terra e di gente, Fotoclub Potenza Picena, 2011, p. 36



    Renzo Tortelli (Potenza Picena, Macerata 1926 - Civitanova Marche, Macerata 2019) quando apre nel 1952 un negozio di ottica nelle Marche risente delle suggestioni provenienti dal Centro per la Cultura della Fotografia di Luigi Crocenzi a Fermo e dal Gruppo Misa di Giuseppe Cavalli a Senigallia. Il matrimonio con la fotografa Edela Pettinelli e la frequentazione con Paolo Monti, Ferruccio Ferroni e soprattutto Mario Giacomelli (con cui realizzerà i famosi reportage del 1957 e 1959 a Scanno) lo introduce nel mondo autoriale. Realizza mostre in Italia e nel mondo con lavori che passano dalla ricerca sull’infanzia a quella documentazione delle opere di artisti e scultori che lo spinge a far parte del gruppo Intrarealismo. 

    La formazione di perito ottico permette a Renzo Tortelli di realizzare immagini perfettamente composte ma ne L’abbeverata emerge anche la lezione di Crocenzi che teorizzava il “parlare per immagini” quando alludeva alla capacità narrativa della buona fotografia. Qui tutto ciò è evidente nel confronto fra il bere del cavallo e l’atteggiamento affettuoso del suo proprietario come anche nella scelta di un titolo raffinato dal ritmo quasi musicale. La portatrice di legno risente, al contrario, della forza espressiva cara all’amico Mario Giacomelli (le due famiglie trascorrevano anche le vacanze assieme) nel desiderio di allontanarsi sia dalla mera rappresentazione sia dalla tentazione del folclore di maniera che pure le donne di Scanno quando indossavano i costumi tradizionali potevano suggerire. Invece Tortelli, mettendo perfettamente a fuoco solo le mani che reggono saldamente la fascina, ci parla del lavoro e di una società contadina saldamente ancorata alla realtà quotidiana.  
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Renzo Tortelli (1926 - 2019)  - Firenze - L'abbeverata, 1955
    Lot 89

    Renzo Tortelli (1926 - 2019) - Firenze - L'abbeverata, 1955

    cm 37 x 27,3
    Stampa alla gelatina ai sali d'argento, stampata anni 1960/1970
    Titolata, firmata e datata a matita con timbro del fotografo al verso


    Renzo Tortelli (Potenza Picena, Macerata 1926 - Civitanova Marche, Macerata 2019) quando apre nel 1952 un negozio di ottica nelle Marche risente delle suggestioni provenienti dal Centro per la Cultura della Fotografia di Luigi Crocenzi a Fermo e dal Gruppo Misa di Giuseppe Cavalli a Senigallia. Il matrimonio con la fotografa Edela Pettinelli e la frequentazione con Paolo Monti, Ferruccio Ferroni e soprattutto Mario Giacomelli (con cui realizzerà i famosi reportage del 1957 e 1959 a Scanno) lo introduce nel mondo autoriale. Realizza mostre in Italia e nel mondo con lavori che passano dalla ricerca sull’infanzia a quella documentazione delle opere di artisti e scultori che lo spinge a far parte del gruppo Intrarealismo. 

    La formazione di perito ottico permette a Renzo Tortelli di realizzare immagini perfettamente composte ma ne L’abbeverata emerge anche la lezione di Crocenzi che teorizzava il “parlare per immagini” quando alludeva alla capacità narrativa della buona fotografia. Qui tutto ciò è evidente nel confronto fra il bere del cavallo e l’atteggiamento affettuoso del suo proprietario come anche nella scelta di un titolo raffinato dal ritmo quasi musicale. La portatrice di legno risente, al contrario, della forza espressiva cara all’amico Mario Giacomelli (le due famiglie trascorrevano anche le vacanze assieme) nel desiderio di allontanarsi sia dalla mera rappresentazione sia dalla tentazione del folclore di maniera che pure le donne di Scanno quando indossavano i costumi tradizionali potevano suggerire. Invece Tortelli, mettendo perfettamente a fuoco solo le mani che reggono saldamente la fascina, ci parla del lavoro e di una società contadina saldamente ancorata alla realtà quotidiana.   
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Oliviero Toscani (1942)  - Manette, campagna pubblicitaria United Colors of Benetton, 1989
    Lot 90

    Oliviero Toscani (1942) - Manette, campagna pubblicitaria United Colors of Benetton, 1989

    cm 50,3 x 61 (cm 59,5 x 46 immagine)
    C-print vintage
    Dedicata e firmata a penna nera al margine bianco inferiore recto
    Opera in cornice

    BIBLIOGRAFIA
    Benetton - Toscani, Storia di un'avventura, 1984-2000, Bolis, 2002, copertina



    Oliviero Toscani (Cecina 1942 – Livorno 2025) figlio del fotoreporter Fedele e fratello di Marirosa che con il marito Aldo Ballo avrebbe dato vita a uno dei più importanti studi di design, studia fotografia alla Kunstgewerbeschule di Zurigo e comincia la carriera di fotografo pubblicitario (Algida, Facis, Jesus jeabs) e di moda (“Elle”, “Vogue”, “Donna”) firmando campagne per importanti marchi come Chanel e Fiorucci prima di approdare, con una collaborazione durata dal 1982 al 2000 che ha fatto storia, a Benetton con cui oltre alle grandi campagne pubblicitarie lancia la rivista “Colors” e il centro “Fabrica”. Continua la sua attività con progetti talvolta provocatori ma sempre caratterizzati da un impegno sociale che riversa anche nel mondo politico lavorando per e con il Partito Radicale. 

    Solo gli ingenui possono pensare che la pubblicità nasca per informare i potenziali clienti, eppure ogni campagna firmata da Oliviero Toscani è stata sommersa di critiche proprio da parte di chi le imputava il reato di comunicazione. Un po’ come quando si diceva, a proposito della sponsorizzazione Benetton in Formula 1, che c’entrano i maglioncini con le automobili mentre altre vetture in gara erano vestite come pacchetti di sigarette. In questa polemica, bisogna dire, Toscani ci sguazzava perché, avendo studiato a Zurigo con uno dei grandi esperti dell’opera di Duchamp, sapeva comunicare più che il prodotto, la sua aurea. Nelle grandi affissioni buttava in faccia a tutti temi scottanti e scardinava convenzioni perché, certo, che sia ammanettato un uomo di colore non è una novità, ma se le manette le condivide con un caucasico che cosa si pensa? E mentre tutti discutevano del messaggio, in pochi osservavano la pulizia compositiva delle fotografie che Toscani scattava negli studi di Milano e Parigi. Usando lo stesso stile e facendo ricorso al medesimo impegno sociale, lancia poi il progetto “Razza umana”: sono ritratti di persone provenienti da contesti sociali, geografici, antropologici, estetici diversi che le sue fotografie rivelano essere variabili dello stesso genere umano. 
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Oliviero Toscani (1942)  - Razza umana, 2006
    Lot 91

    Oliviero Toscani (1942) - Razza umana, 2006

    cm 14,6 x 11,4
    C-print vintage
    Firmata a penna nera al verso
    Opera in cornice

    BIBLIOGRAFIA
    Oliviero Toscani. Lezioni di Fotografia, Il Tempo, Corriere dello Sport, Milano, 2018, p. 101



    Oliviero Toscani (Cecina 1942 – Livorno 2025) figlio del fotoreporter Fedele e fratello di Marirosa che con il marito Aldo Ballo avrebbe dato vita a uno dei più importanti studi di design, studia fotografia alla Kunstgewerbeschule di Zurigo e comincia la carriera di fotografo pubblicitario (Algida, Facis, Jesus jeabs) e di moda (“Elle”, “Vogue”, “Donna”) firmando campagne per importanti marchi come Chanel e Fiorucci prima di approdare, con una collaborazione durata dal 1982 al 2000 che ha fatto storia, a Benetton con cui oltre alle grandi campagne pubblicitarie lancia la rivista “Colors” e il centro “Fabrica”. Continua la sua attività con progetti talvolta provocatori ma sempre caratterizzati da un impegno sociale che riversa anche nel mondo politico lavorando per e con il Partito Radicale. 

    Solo gli ingenui possono pensare che la pubblicità nasca per informare i potenziali clienti, eppure ogni campagna firmata da Oliviero Toscani è stata sommersa di critiche proprio da parte di chi le imputava il reato di comunicazione. Un po’ come quando si diceva, a proposito della sponsorizzazione Benetton in Formula 1, che c’entrano i maglioncini con le automobili mentre altre vetture in gara erano vestite come pacchetti di sigarette. In questa polemica, bisogna dire, Toscani ci sguazzava perché, avendo studiato a Zurigo con uno dei grandi esperti dell’opera di Duchamp, sapeva comunicare più che il prodotto, la sua aurea. Nelle grandi affissioni buttava in faccia a tutti temi scottanti e scardinava convenzioni perché, certo, che sia ammanettato un uomo di colore non è una novità, ma se le manette le condivide con un caucasico che cosa si pensa? E mentre tutti discutevano del messaggio, in pochi osservavano la pulizia compositiva delle fotografie che Toscani scattava negli studi di Milano e Parigi. Usando lo stesso stile e facendo ricorso al medesimo impegno sociale, lancia poi il progetto “Razza umana”: sono ritratti di persone provenienti da contesti sociali, geografici, antropologici, estetici diversi che le sue fotografie rivelano essere variabili dello stesso genere umano. 
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Federico Vender (1901 - 1998)  - Il cappello nero, 1942
    Lot 92

    Federico Vender (1901 - 1998) - Il cappello nero, 1942

    cm 17,8 x 24 (cm 17 x 21,2 immagine)
    Stampa successiva alla gelatina ai sali d'argento su carta politenata
    Firmata, titolata e datata a penna nera con timbro Provincia Autonoma di Trento al verso

    BIBLIOGRAFIA
    Federico Vender fotografo, Dragoni edizioni, Brescia, 1991, copertina



    Federico Vender (Schio, Vicenza 1901 – Arco, Trento 1999) entra negli anni ’30 nel Circolo Fotografico Milanese di cui è direttore fino al dopoguerra ottenendo successi e riconoscimenti a Parigi e New York. Nei suoi viaggi con la Plaubel Makina 6x9 in Italia e all’estero elabora un proprio stile asciutto, solare, sempre di altissima qualità formale. Nel 1947 è fra i firmatari del Manifesto del Gruppo La Bussola pur essendo contemporaneamente influenzato dalle suggestioni del neorealismo. Si occupa di moda per Ferrania per essere poi assunto dagli editori Rizzoli e Delduca come fotografo di fotoromanzi. 

    I punti di riferimento culturali di Vender sono numerosi e vanno dalla fotografia tedesca degli anni ’20 al pittorialismo con un occhio rivolto, anche se in modo non dogmatico, a quell’idea ispirata all’estetica crociana dell’accurata stampa in high key dominata, cioè dai toni chiari. Ciò è evidente nel ritratto della donna con il cappello nero, un’immagine così importante da apparire nella copertina della monografia “Federico Vender fotografo” pubblicata nel 1991 dall’editor bresciano Dragoni. Nell’accurata collocazione del volto che occupa la parte centrale trovando nell’abito e nelle falde del cappello l’ideale cornice si trovano i tratti compositivi presenti nella ripresa dall’alto e in diagonale di Piazza San Marco. Le ordinate geometrie degli spazi permettono alle aree scure poste in alto a sinistra e in basso a destra di dialogare a quella centrale più chiara punteggiata dalle ombre dei passanti che si allungano e da quelle dei piccioni che sembrano elementi di una strana punteggiatura.   
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Federico Vender (1901 - 1998)  - Venezia, 1950s/1960s
    Lot 93

    Federico Vender (1901 - 1998) - Venezia, 1950s/1960s

    cm 23,9 x 18,1 (cm 23,4 x 15,8 immagine)
    Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
    Timbro del fotografo al verso
    Opera in cornice

    BIBLIOGRAFIA





    Federico Vender (Schio, Vicenza 1901 – Arco, Trento 1999) entra negli anni ’30 nel Circolo Fotografico Milanese di cui è direttore fino al dopoguerra ottenendo successi e riconoscimenti a Parigi e New York. Nei suoi viaggi con la Plaubel Makina 6x9 in Italia e all’estero elabora un proprio stile asciutto, solare, sempre di altissima qualità formale. Nel 1947 è fra i firmatari del Manifesto del Gruppo La Bussola pur essendo contemporaneamente influenzato dalle suggestioni del neorealismo. Si occupa di moda per Ferrania per essere poi assunto dagli editori Rizzoli e Delduca come fotografo di fotoromanzi. 

    I punti di riferimento culturali di Vender sono numerosi e vanno dalla fotografia tedesca degli anni ’20 al pittorialismo con un occhio rivolto, anche se in modo non dogmatico, a quell’idea ispirata all’estetica crociana dell’accurata stampa in high key dominata, cioè dai toni chiari. Ciò è evidente nel ritratto della donna con il cappello nero, un’immagine così importante da apparire nella copertina della monografia “Federico Vender fotografo” pubblicata nel 1991 dall’editor bresciano Dragoni. Nell’accurata collocazione del volto che occupa la parte centrale trovando nell’abito e nelle falde del cappello l’ideale cornice si trovano i tratti compositivi presenti nella ripresa dall’alto e in diagonale di Piazza San Marco. Le ordinate geometrie degli spazi permettono alle aree scure poste in alto a sinistra e in basso a destra di dialogare a quella centrale più chiara punteggiata dalle ombre dei passanti che si allungano e da quelle dei piccioni che sembrano elementi di una strana punteggiatura.   
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Paolo Ventura (1968)  - War Souvenir #9, 2007
    Lot 94

    Paolo Ventura (1968) - War Souvenir #9, 2007

    cm 88 x 70
    Stampa a getto d'inchiostro
    Edizione Prova d'artista 1 di 2 (da un'edizione di 10 + 2 pda)
    Numerata, datata e firmata a pennarello nero al verso
    Opera in cornice

    BIBLIOGRAFIA
    P. Ventura (a cura di), War Souvenir, Contrasto, Milano, 2006, copertina



    Paolo Ventura (Milano 1968) figlio di un noto illustratore di libri per bambini dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Brera lavora a lungo e con successo come fotografo di moda, ma quando si trasferisce a Brooklyn scopre una nuova e originale vocazione che valorizza la sua manualità. Costruisce, per poi fotografarli, dei diorami dove rievoca atmosfere creando costumi, scene, oggetti, particolari con meticolosa precisione filologica. Passa da situazioni storiche (gli anni Quaranta) a soggetti di fantasia dove compaiono personaggi circensi e burattini o ambienti immaginifici dove sono lui stesso e i suoi familiari a comparire. Alla pittura e al collage accosta quindi un uso magistrale del digitale. 

    Comparsa nella copertina del volume “In tempo di guerra” edito da Contrasto nel 2006, questa fotografia illustra molto bene il lavoro del fotografo che parte da uno studio accurato di ogni dettaglio: gli abiti pesanti indossati nell’inverno di guerra dai protagonisti, la bicicletta in primo piano, i manifesti un po’ strappati che tappezzano il muro, il gesto teatrale della coppia di innamorati. A rendere poi ancora più realistico il tutto è lo studio delle luci che qui avvolgono la scena livide come i tempi che qui sono raccontati. Un tempo i fotografi ambulanti giravano con le loro scene proponendo ai potenziali clienti di farsi riprendere in situazioni inconsuete come questa in cui un giovane finge di pilotare un improbabile aeroplano. Questo è dunque un omaggio a quelle ingenue messe in scena ma anche un richiamo alla potenziale falsità di cui la fotografia è capace. Infatti, Michele Smargiassi ha utilizzato questa immagine per la copertina del suo saggio “Un’autentica bugia. La fotografia, il vero, il falso”.
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Paolo Ventura (1968)  - Winter Stories, Photo De Reve, 2007
    Lot 95

    Paolo Ventura (1968) - Winter Stories, Photo De Reve, 2007

    cm 75 x 95,5
    Stampa a getto d'inchiostro montata su alluminio
    Edizione Prova d'artista 2 di 2
    Firmata a pennarello nero al verso
    Opera in cornice

    BIBLIOGRAFIA
    P. Ventura, Winter Stories, Contrasto, Milano, 2009, p. 31


    Opera accompagnata da Certificato d'autenticità rilasciato dal fotografo



    Paolo Ventura (Milano 1968) figlio di un noto illustratore di libri per bambini dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Brera lavora a lungo e con successo come fotografo di moda, ma quando si trasferisce a Brooklyn scopre una nuova e originale vocazione che valorizza la sua manualità. Costruisce, per poi fotografarli, dei diorami dove rievoca atmosfere creando costumi, scene, oggetti, particolari con meticolosa precisione filologica. Passa da situazioni storiche (gli anni Quaranta) a soggetti di fantasia dove compaiono personaggi circensi e burattini o ambienti immaginifici dove sono lui stesso e i suoi familiari a comparire. Alla pittura e al collage accosta quindi un uso magistrale del digitale. 

    Comparsa nella copertina del volume “In tempo di guerra” edito da Contrasto nel 2006, questa fotografia illustra molto bene il lavoro del fotografo che parte da uno studio accurato di ogni dettaglio: gli abiti pesanti indossati nell’inverno di guerra dai protagonisti, la bicicletta in primo piano, i manifesti un po’ strappati che tappezzano il muro, il gesto teatrale della coppia di innamorati. A rendere poi ancora più realistico il tutto è lo studio delle luci che qui avvolgono la scena livide come i tempi che qui sono raccontati. Un tempo i fotografi ambulanti giravano con le loro scene proponendo ai potenziali clienti di farsi riprendere in situazioni inconsuete come questa in cui un giovane finge di pilotare un improbabile aeroplano. Questo è dunque un omaggio a quelle ingenue messe in scena ma anche un richiamo alla potenziale falsità di cui la fotografia è capace. Infatti, Michele Smargiassi ha utilizzato questa immagine per la copertina del suo saggio “Un’autentica bugia. La fotografia, il vero, il falso”. 
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

  • Luigi Veronesi (1908 - 1998)  - La Ballerina, 1950
    Lot 96

    Luigi Veronesi (1908 - 1998) - La Ballerina, 1950

    cm 39,3 x 28,3
    Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
    Titolata e datata a penna nera con timbro del fotografo, etichetta del fotografo e etichette espositive GRUPPO FOTOGRAFICO "LA BUSSOLA", ASSOCIAZIONE FOTOGRAFICA ROMANA e CINE FOTO CLUB BRONI al verso
    Opera in cornice

    BIBLIOGRAFIA
    K. Wohlbert (a cura di), Luigi Veronesi. Rationalistische Abstraktion 1927-1996. Exhibition Mathildenhöhe, Darmstadt 1997, p. 168



    Luigi Veronesi (Milano 1908 – 1998) ha indagato nei più diversi campi con uno stile ispirato alla lezione Bauhaus. In pittura è un importante esponente dell’Astrattismo (ne firma il primo Manifesto italiano e aderisce al gruppo parigino Abstraction-Création) e, dal 1949, della MAC Art. Fin dagli anni ’20 lavora come disegnatore tessile (spesso a Parigi frequentata da fiero antifascista) e come grafico per riviste come Poligono, Campo Grafico, Casabella, Ferrania. La ricerca lo vede protagonista anche in campo fotografico: elabora, come Man Ray e Moholy-Nagy, la tecnica del fotogramma; nel 1947 firma a Milano il “Manifesto della Bussola” e nel 1950 aderisce all’Unione Fotografica. Pregevoli gli interventi in campo teatrale e le ricerche, svolte con Malipiero sulla musica visiva. 

    Nella fotografia di Luigi Veronesi si mescolano in modo dichiarato gli elementi della sua professione di grafico audace e visionario. Ne La ballerina tutto questo è molto evidente: è stata realizzata nel 1950 quando da tre anni è iniziata la grande avventura di Ferrania, la rivista di cui è grafico e che è concettualmente vicina al gruppo fotografico La Bussola di cui è membro. L’abilità con cui propone il collage della figura in silhouette in diverse sfumature, dimensioni e orientamenti conferisce a questa immagine una leggerezza e un garbo sottolineato dalle linee che attraversano lo sfondo ottenute con un intervento di pseudosolarizzazione di cui Veronesi è maestro. Il Fotogramma del 1972 è un bell’esempio dell’uso del colore ma anche della ricerca di elementi geometrici che gli permettono di ottenere risultati di stampo astratto usando strumenti relativamente semplici (utilizzava una semplice, economica reflex russa Zenit con obiettivo Helios e operava nel suo studio di pittore) ma con una creatività straordinaria.  
    Questo lotto è soggetto a diritto di seguito

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Fotografia: ICONE ITALIANE

Un catalogo di 100 lotti dei più importanti fotografi nel panorama nazionale, dal XIX secolo ai giorni nostri: due le iconiche immagini proposte per ogni autore scelto, quelle per le quali sono conosciuti nel nostro paese e talvolta in tutto il mondo. Un'asta che non solo ha l’ambizione di essere accattivante da un punto di vista di mercato, ma che si pone come un vero e proprio progetto curatoriale.


INDIRIZZO

Milano / Via dei Bossi, 2


Per maggiori informazioni: 

fotografia@finarte.it 

02 3363801

Sessions

  • 18 June 2025 hours 16:00 Sessione unica (1 - 100)

Exhibition

16-17 giugno

dalle ore 10:00 alle 19:00


18 giugno

dalle ore 10:00 alle 15:00


Milano / Via dei Bossi, 2


Per maggiori informazioni e appuntamenti:

fotografia@finarte.it 

02 3363801

More information

NOTE IMPORTANTI

Le opere non si intendono accompagnate da cornice dove non espressamente indicato in catalogo.

Il presente catalogo contiene immagini con contenuto esplicito

Bidding increments

  • from0to200increment of10
  • from200to300increment of20
  • from300to330increment of30
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