Fotografia: ICONE ITALIANE
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Lotto 1 Olivo Barbieri (1954) - Roma, 1987
cm 57 x 30 (cm 53,5 x 26,5 immagine)
Stampa cromogenica vintage
Firmata a matita al margine bianco inferiore recto
BIBLIOGRAFIA
Notte - Olivo Barbieri, Arti Grafiche Friulane, Pordenone, 1991
Olivo Barbieri (Carpi, Modena 1954) si avvicina alla fotografia nei primi anni ’70 a Bologna dove frequenta quella straordinaria fucina di talenti che era il DAMS. Affascinato dalle luci artificiali che illuminano la notte dei centri urbani, le usa per i primi lavori con cui si segnala a Luigi Ghirri che nel 1984 lo inserisce, il più giovane fra i partecipanti, al grande progetto “Viaggio in Italia”. Negli anni Novanta viaggia in Oriente e segnatamente in Cina sviluppando un diverso stile: i paesaggi e le architetture sono realizzati con riprese aeree e una messa a fuoco selettiva che ne evidenzia solo alcuni piani. Si afferma a livello internazionale con mostre – dalla Biennale di Venezia alla Triennale di New York – cataloghi e video.
Le immagini qui proposte sono esempi particolarmente significativi dei due modi, succedutosi cronologicamente, con cui il fotografo emiliano ha affrontato il tema del paesaggio urbano. Nella prima indaga il fascino di Roma ma lo fa evitando le più prevedibili visioni: si apposta nella notte alla ricerca di una seducente teatralità perché il primo piano che occupa la parte inferiore e destra dell’immagine fa da quinta per dare profondità alla visione e far meglio esaltare lo svettare della Piramide sullo sfondo di un cielo scuro su cui occhieggia la luna. Nella seconda tutto è cambiato proprio come è successo alla Cina dove alle biciclette degli anni ’60 si sono sostituite le automobili, mentre le strade ormai sfidano la modernità creando percorsi che si innalzano e precipitano come nelle montagne russe. La ripresa dall’elicottero e l’idea di sfumare la definizione verso il lontano orizzonte creano un effetto di miniaturizzazione del paesaggio messa però in discussione dalle generose dimensioni della stampa.
Questo lotto è soggetto a diritto di seguito -
Lotto 2 Olivo Barbieri (1954) - Shangai, 1997
cm 120 x 180
C-print vintage
Edizione 2 di 6
Etichetta titolata, datata, numerata e firmata a pennarello nero al verso
Opera in cornice
ESPOSIZIONI
Altro esemplare (Edizione 6/6) in Unicredit art collection
Opera accompagnata da Certificato d'autenticità rilasciata dal fotografo
Olivo Barbieri (Carpi, Modena 1954) si avvicina alla fotografia nei primi anni ’70 a Bologna dove frequenta quella straordinaria fucina di talenti che era il DAMS. Affascinato dalle luci artificiali che illuminano la notte dei centri urbani, le usa per i primi lavori con cui si segnala a Luigi Ghirri che nel 1984 lo inserisce, il più giovane fra i partecipanti, al grande progetto “Viaggio in Italia”. Negli anni Novanta viaggia in Oriente e segnatamente in Cina sviluppando un diverso stile: i paesaggi e le architetture sono realizzati con riprese aeree e una messa a fuoco selettiva che ne evidenzia solo alcuni piani. Si afferma a livello internazionale con mostre – dalla Biennale di Venezia alla Triennale di New York – cataloghi e video.
Le immagini qui proposte sono esempi particolarmente significativi dei due modi, succedutosi cronologicamente, con cui il fotografo emiliano ha affrontato il tema del paesaggio urbano. Nella prima indaga il fascino di Roma ma lo fa evitando le più prevedibili visioni: si apposta nella notte alla ricerca di una seducente teatralità perché il primo piano che occupa la parte inferiore e destra dell’immagine fa da quinta per dare profondità alla visione e far meglio esaltare lo svettare della Piramide sullo sfondo di un cielo scuro su cui occhieggia la luna. Nella seconda tutto è cambiato proprio come è successo alla Cina dove alle biciclette degli anni ’60 si sono sostituite le automobili, mentre le strade ormai sfidano la modernità creando percorsi che si innalzano e precipitano come nelle montagne russe. La ripresa dall’elicottero e l’idea di sfumare la definizione verso il lontano orizzonte creano un effetto di miniaturizzazione del paesaggio messa però in discussione dalle generose dimensioni della stampa.
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Lotto 3 Gabriele Basilico (1944 - 2013) - Via Giuseppe Ripamonti. Milano ritratti di fabbriche, 1983
cm 30,5 x 40,3 (cm 17,1 x 31,2 immagine)
Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
Firmata a matita con timbro rosso del fotografo e timbro con data al verso
ESPOSIZIONI
Altro esemplare in Collezione permanete, Fondo Gabriele Basilico, Museo di Fotografia Contemporanea (MUFOCO), Milano
BIBLIOGRAFIA
Milano ritratti di fabbriche - Gabriele Basilico, prima edizione, SugarCo, 1981, copertina
Gabriele Basilico (Milano 1944 - 2013) dopo la laurea in architettura, si dedica totalmente alla fotografia mettendo subito in luce uno stile analitico e asciutto sul modello di Walker Evans grazie al quale ottiene nel 1984, unico italiano, la partecipazione alla Mission Photographique de la DATAR. Da allora innumerevoli sono gli incarichi svolti nelle metropoli di tutto il mondo da Beirut a Bilbao, da San Francisco a Shanghai, da Mosca a Parigi senza dimenticare Roma e Milano, esposti in musei e istituzioni e pubblicati in libri fotografici sempre attentamente curati. Fra i riconoscimenti il Prix Mois de la Photo, l’Osella d’oro della Biennale di Venezia.
Con Ritratti di fabbriche, questa l’immagine per la copertina della prima edizione del 1981 del libro, Gabriele Basilico – che pure con lavori di gusto reportagistico come “Dancing in Emilia” si era fatto notare – ottiene una grande attenzione da parte della critica per la sua importante riflessione sull’epoca della deindustrializzazione. Realizzato a Milano con una Nikon dotata di un obiettivo decentrabile e la disciplina derivante dalla sua formazione di architetto, questo lavoro si richiama all’estetica cara a Hilla e Bernd Becher, maestri dell’Accademia di Düsseldorf. Quando nel 1991 riceve l’incarico di documentare i danni di quindici anni di guerra inferti a Beirut prima della sua ricostruzione, Basilico lavora già in banco ottico soffermandosi sulle rovine ma facendo intuire, nelle prospettive che si intravedono, le possibilità di una rinascita. Emerge qui quella visione rigorosa e quella capacità di interpretare il paesaggio in termini più ampiamente umanistici che restano le caratteristiche fondamentali del suo stile.
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Lotto 4 Gabriele Basilico (1944 - 2013) - Beirut (Rue Dakar), 1991
cm 120 x 150
Stampa alla gelatina ai sali d'argento montata su dibond, stampata 2007
Edizione 14 di 15
Etichetta didascalica del fotografo firmata a penna nera al verso
Opera in cornice
PROVENIENZA
VM artecontemporanea, Roma
ESPOSIZIONI
Esemplare in altra edizione in collezione permanente al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino
BIBLIOGRAFIA
Basilico. Beyrouth, Art&, Udine, 1994
Basilico. Beyrouth, La Chambre Claire, Parigi, 1994
Gabriele Basilico, Beirut 1991 (2003), Baldini Castoldi Dalai Editore, Milano, 2003
Opera accompagnata da Certificato d'autenticità rilasciato da VM21 artecontemporanea, Roma firmato dal fotografo
Gabriele Basilico (Milano 1944 - 2013) dopo la laurea in architettura, si dedica totalmente alla fotografia mettendo subito in luce uno stile analitico e asciutto sul modello di Walker Evans grazie al quale ottiene nel 1984, unico italiano, la partecipazione alla Mission Photographique de la DATAR. Da allora innumerevoli sono gli incarichi svolti nelle metropoli di tutto il mondo da Beirut a Bilbao, da San Francisco a Shanghai, da Mosca a Parigi senza dimenticare Roma e Milano, esposti in musei e istituzioni e pubblicati in libri fotografici sempre attentamente curati. Fra i riconoscimenti il Prix Mois de la Photo, l’Osella d’oro della Biennale di Venezia.
Con Ritratti di fabbriche, questa l’immagine per la copertina della prima edizione del 1981 del libro, Gabriele Basilico – che pure con lavori di gusto reportagistico come “Dancing in Emilia” si era fatto notare – ottiene una grande attenzione da parte della critica per la sua importante riflessione sull’epoca della deindustrializzazione. Realizzato a Milano con una Nikon dotata di un obiettivo decentrabile e la disciplina derivante dalla sua formazione di architetto, questo lavoro si richiama all’estetica cara a Hilla e Bernd Becher, maestri dell’Accademia di Düsseldorf. Quando nel 1991 riceve l’incarico di documentare i danni di quindici anni di guerra inferti a Beirut prima della sua ricostruzione, Basilico lavora già in banco ottico soffermandosi sulle rovine ma facendo intuire, nelle prospettive che si intravedono, le possibilità di una rinascita. Emerge qui quella visione rigorosa e quella capacità di interpretare il paesaggio in termini più ampiamente umanistici che restano le caratteristiche fondamentali del suo stile.
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Lotto 5 Gianni Berengo Gardin (1930) - Vaporetto, 1960
cm 30,3 x 40,4 (cm 23 x 29,5 immagine)
Stampa alla gelatina ai sali d'argento, stampata anni 1970/1980
Timbro del fotografo al verso
BIBLIOGRAFIA
Gianni Berengo Gardin, Venise des saisons, Editions Clairefontaine, Losanna, 1965
Gianni Berengo Gardin: Fotografo 1953-1988, Art&, Udine, 1988
Italo Zannier (a cura di), Segni di luce, 3 voll., Ed. Longo, Ravenna, 1993
Gianni Berengo Gardin, Gli anni di Venezia, Federico Motta Editore, Milano, 1994
Roberta Valtorta (a cura di), Pagine di fotografia italiana 1900-1998, Charta, Milano, 1998
Gianni Berengo Gardin (a cura di), Gianni Berengo Gardin, Peliti Associati, Roma, 2001
Gli anni del Neorealismo, Fiaf, Torino, s.d. [ma 2001]
Giovanna Calvenzi (a cura di), Italia, Contrasto, Roma, 2003
Uliano Lucas (a cura di), Storia d'Italia. Annali 20. L'immagine fotografica, Einaudi, Torino, 2004
Gianni Berengo Gardin, Contrasto, Roma, 2005
Paolo Morello (a cura di), Gianni Berengo Gardin: Venezia, Istituto Superiore per la Storia della Fotografia, Palermo, 2006, pl. 51
G. Calvenzi (a cura di), Italia Inside Out, Contrasto, Milano, 2015, pp. 82-83
Gianni Berengo Gardin (Santa Margherita Ligure, Genova 1930) aderisce a Venezia al circolo la Gondola, vive due anni a Parigi a contatto con Ronis e Doisneau e collabora con il Mondo. Sostenuto da Romeo Martinez, nel 1964 diventa professionista spostandosi a Milano dove inizia la collaborazione con il T.C.I.. L’anno seguente con Venise san Saisons pubblica il primo dei suoi trecento libri. Innumerevoli le mostre in tutto il mondo e i riconoscimenti come l’Oskar Barnack, il Lucie Award e la laurea honoris causa dell’Università Statale di Milano. Lavora da sempre in analogico in bianco e nero con la Leica.
Se nella sterminata produzione di un fotoreporter come Gianni Berengo Gardin volessimo individuare le opere che lo hanno reso più famoso, le due qui presentate rientrano fra le prescelte. A ribadire lo stile del grande fotografo, entrambe sono state realizzate cogliendo con lucida rapidità l’attimo fuggente. Un giorno del 1977 in Gran Bretagna vede un’automobile, una classica e anzianotta Morris, posteggiata con il muso rivolto a una spiaggia. All’interno scorge le teste di una coppia e subito capisce che l’immagine suscita curiosità: perché i due se ne stanno lì fermi, che cosa si dicono, che cosa faranno? Si apposta alle loro spalle, mette al centro l’automobile che si staglia su un paesaggio quasi metafisico. Ancor più curiosa la storia della fotografia ripresa a Venezia: abitando al Lido e lavorando nel negozio di famiglia in città, prendeva ogni giorno il vaporetto senza abbandonate la fidata Leica. Improvvisamente un colpo di fortuna con un’immagine gli si forma davanti agli occhi: coglie così la schiena di un uomo che fa da schermo su ci si proietta la finestra posteriore del mezzo moltiplicando la presenza di persone che affollano la scena.
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Lotto 6 Gianni Berengo Gardin (1930) - Gran Bretagna, 1977
cm 18,1 x 24
Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
Timbro del fotografo al verso
Opera in cornice
BIBLIOGRAFIA
Gianni Berengo Gardin - Viaggio in Gran Bretagna, Editphoto, Milano, 1978, copertina
Gianni Berengo Gardin, Ed. Contrasto, Milano, 2005, p. 87
G. Meroni (a cura di), Gianni Berengo Gardin, Galleria Elleni, Bergamo, 2009
Gianni Berengo Gardin (Santa Margherita Ligure, Genova 1930) aderisce a Venezia al circolo la Gondola, vive due anni a Parigi a contatto con Ronis e Doisneau e collabora con il Mondo. Sostenuto da Romeo Martinez, nel 1964 diventa professionista spostandosi a Milano dove inizia la collaborazione con il T.C.I.. L’anno seguente con Venise san Saisons pubblica il primo dei suoi trecento libri. Innumerevoli le mostre in tutto il mondo e i riconoscimenti come l’Oskar Barnack, il Lucie Award e la laurea honoris causa dell’Università Statale di Milano. Lavora da sempre in analogico in bianco e nero con la Leica.
Se nella sterminata produzione di un fotoreporter come Gianni Berengo Gardin volessimo individuare le opere che lo hanno reso più famoso, le due qui presentate rientrano fra le prescelte. A ribadire lo stile del grande fotografo, entrambe sono state realizzate cogliendo con lucida rapidità l’attimo fuggente. Un giorno del 1977 in Gran Bretagna vede un’automobile, una classica e anzianotta Morris, posteggiata con il muso rivolto a una spiaggia. All’interno scorge le teste di una coppia e subito capisce che l’immagine suscita curiosità: perché i due se ne stanno lì fermi, che cosa si dicono, che cosa faranno? Si apposta alle loro spalle, mette al centro l’automobile che si staglia su un paesaggio quasi metafisico. Ancor più curiosa la storia della fotografia ripresa a Venezia: abitando al Lido e lavorando nel negozio di famiglia in città, prendeva ogni giorno il vaporetto senza abbandonate la fidata Leica. Improvvisamente un colpo di fortuna con un’immagine gli si forma davanti agli occhi: coglie così la schiena di un uomo che fa da schermo su ci si proietta la finestra posteriore del mezzo moltiplicando la presenza di persone che affollano la scena.
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Lotto 7 Antonio Biasucci (1961) - Senza titolo (Napoli), 1986
cm 24 x 30,3 (cm 19 x 27,5 immagine)
Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
Firmata e datata a matita con timbro del fotografo al verso
Opera in cornice
Antonio Biasucci (Dragoni, Caserta 1961) attua fin da subito una personale ricerca sui temi della cultura del Sud, sui suoi riti e ambienti. La collaborazione iniziata nel 1984 con l’Osservatorio vesuviano e quella dal 1987 con il teatro di Antonio Neiwiller ne arricchisce la visione che si allarga fino ad approdare, in anni più recenti, a un viaggio dentro gli elementi primari dell’esistenza. Dopo il Premio Kodak ad Arles nel 1992 che lo ha fatto conoscere al grande pubblico, ha avuto riconoscimenti, pubblicato libri, realizzato mostre fotografiche e partecipato a iniziative culturale di carattere sociale.
Una delle caratteristiche più evidenti dello stile di Antonio Biasiucci è la ricerca continua di inquadrature originali, ogni volta scelte per adeguarsi al progetto che sta realizzando. Così, in Magma si avvicinava alla materia oscura per esaltarne la plasticità archetipa mentre in Vapori come in Impasto sublima i gesti di antiche ritualità. Quando, come nelle due immagini di Napoli, scattate agli inizi della sua carriera deve muoversi all’interno dei confini del reportage, sceglie di scavalcarli ricorrendo a tagli decisi che possiedono un respiro teatrale: qui emerge la capacità di far dialogare la figura umana con il paesaggio giocando con determinazione sui diversi piani. I ragazzi sembrano invitare l’osservatore ad entrare in scena, si mettono da parte per lasciare che lo sguardo si allontani da loro per incantarsi di fronte alle linee lontane dove il mare, la montagna, il cielo, le nuvole riempiano quel grande vuoto.
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Lotto 8 Antonio Biasucci (1961) - Senza titolo (Napoli), 1986
cm 19,3 x 30 (cm 18,7 x 29,4 immagine)
Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
Firmata e datata a matita al verso
Opera in cornice
Antonio Biasucci (Dragoni, Caserta 1961) attua fin da subito una personale ricerca sui temi della cultura del Sud, sui suoi riti e ambienti. La collaborazione iniziata nel 1984 con l’Osservatorio vesuviano e quella dal 1987 con il teatro di Antonio Neiwiller ne arricchisce la visione che si allarga fino ad approdare, in anni più recenti, a un viaggio dentro gli elementi primari dell’esistenza. Dopo il Premio Kodak ad Arles nel 1992 che lo ha fatto conoscere al grande pubblico, ha avuto riconoscimenti, pubblicato libri, realizzato mostre fotografiche e partecipato a iniziative culturale di carattere sociale.
Una delle caratteristiche più evidenti dello stile di Antonio Biasiucci è la ricerca continua di inquadrature originali, ogni volta scelte per adeguarsi al progetto che sta realizzando. Così, in Magma si avvicinava alla materia oscura per esaltarne la plasticità archetipa mentre in Vapori come in Impasto sublima i gesti di antiche ritualità. Quando, come nelle due immagini di Napoli, scattate agli inizi della sua carriera deve muoversi all’interno dei confini del reportage, sceglie di scavalcarli ricorrendo a tagli decisi che possiedono un respiro teatrale: qui emerge la capacità di far dialogare la figura umana con il paesaggio giocando con determinazione sui diversi piani. I ragazzi sembrano invitare l’osservatore ad entrare in scena, si mettono da parte per lasciare che lo sguardo si allontani da loro per incantarsi di fronte alle linee lontane dove il mare, la montagna, il cielo, le nuvole riempiano quel grande vuoto.
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Lotto 9 Piergiorgio Branzi (1928 - 2022) - Adriatico, 1956
cm 29,4 x 39,5
Stampa successiva alla gelatina ai sali d'argento
Firmata, titolata e datata a penna nera con timbro del fotografo al verso
Piergiorgio Branzi (Signa, Firenze 1928 - Campagnano di Roma, Roma 2022) dichiaratamente influenzato dalla severità dell’arte toscana, inizia a fotografare nei primi anni ’50, viaggiando in motocicletta nelle zone più depresse del Meridione e del Veneto come di Grecia e Spagna, realizza reportage pubblicate su Il Mondo di Mario Pannunzio. Passato al giornalismo scritto e poi assunto in Rai, nel 1962 è il primo corrispondente occidentale a Mosca prima di passare a Parigi e viaggiare poi nel mondo come inviato speciale. In quegli anni fotografa per sé e solo negli anni ’90 ricompare con mostre e libri che ne certificano la grandezza.
Lo sguardo del reportagista che era stato si ritrova anche nelle fotografie singole come quelle qui proposte. Colpisce, infatti, la capacità di cogliere molti elementi per farli confluire in una sola immagine che ben li rappresenti, una lezione questa acquisita facendo propria la lezione di Cartier-Bresson. Anche dal punto di vista stilistico Branzi è un vero indipendente: anche se è evidente la predilezione per le stampe in higth key di cui era maestro Giuseppe Cavalli, non ne condivide l’estetica crociana ma è molto più vicino al colto documentarismo di Luigi Crocenzi. Sono sintomatiche al proposito queste due fotografie dove si coglie da un lato l’attenzione compositiva (la bicicletta, l’uomo e la barca creano un armonico senso di profondità ribadito dallo spazio lasciato vuoto alla sinistra dell’immagine) e dall’altro l’atmosfera ironica che spesso Branzi insegue e che qui evidenzia due modi diversi di difendersi dal sole.
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Lotto 10 Piergiorgio Branzi (1928 - 2022) - India, 1960s
cm 34 x 59,8 (cm 31 x 46,8 immagine)
Stampa successiva a getto d'inchiostro
Firmata a penna nera con timbro del fotografo al verso
Opera in cornice
Questo lotto è soggetto a diritto di seguito
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Lotto 11 Alfredo Camisa (1927 - 2007) - U Pisci Spada, 1950s
cm 27,7 x 14
Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
Timbri del fotografo al verso
Alfredo Camisa (Bologna 1927 – Pescia, Pistoia 2007) fiorentino di adozione, negli anni ’50 si segnala come pregevole autore e come acuto critico nel dibattito che accompagna il dopoguerra su importanti riviste e all’interno di gruppi come il Misa di Cavalli e il CCF di Crocenzi. Pubblica su Il Mondo e ottiene vari riconoscimenti ma negli anni ’60 abbandona la fotografia per dedicarsi alla sua professione di chimico. Riscoperto in epoca recente sia nel suo mondo (la FIAF nel 2002 gli dedica una monografia) che in quello delle mostre e del collezionismo, viene talvolta impropriamente definito come neorealista. Spirito libero, ha semmai come riferimenti Walker Evans e l’antropologia sociale di “The Family of Men”.
Le due fotografie qui proposte appartengono alla prima fase della ricerca di Camisa, quella in cui si dedica con rigore non disgiunto da originalità al ritratto. I diversi viaggi compiuti nel Meridione e nell’Africa del Nord lo mettono in contatto con realtà diverse che interpreta con uno stile asciutto volutamente lontano dalla retorica che negli anni ’50 aveva libera circolazione perché, si sa, i poveri sono più fotogenici e le greggi al pascolo fanno tanto folclore a buon mercato. La ripresa del primo piano del pesce spada che si allunga sul pavimento ci porta direttamente a osservare la donna e il bambino scalzi e seduti sulla bilancia su cui la preda verrà pesata: entrambi imbarazzati, molto raccontano del loro mondo silenzioso e antico. Più diretti, orgogliosi nei loro costumi sono, invece, i membri di una Confraternita: uno si accorge del fotografo cui regala uno sguardo curioso, mentre l’altro viene colto nell’attimo in cui, pensoso, si accende una sigaretta.
Questo lotto è soggetto a diritto di seguito -
Lotto 12 Alfredo Camisa (1927 - 2007) - Uomini della confraternita, 1956
cm 22,5 x 17
Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
Timbro del fotografo al verso
BIBLIOGRAFIA
Photography Year Book 1961, Photography Magazine, pl. 00
Alfredo Camisa (Bologna 1927 – Pescia, Pistoia 2007) fiorentino di adozione, negli anni ’50 si segnala come pregevole autore e come acuto critico nel dibattito che accompagna il dopoguerra su importanti riviste e all’interno di gruppi come il Misa di Cavalli e il CCF di Crocenzi. Pubblica su Il Mondo e ottiene vari riconoscimenti ma negli anni ’60 abbandona la fotografia per dedicarsi alla sua professione di chimico. Riscoperto in epoca recente sia nel suo mondo (la FIAF nel 2002 gli dedica una monografia) che in quello delle mostre e del collezionismo, viene talvolta impropriamente definito come neorealista. Spirito libero, ha semmai come riferimenti Walker Evans e l’antropologia sociale di “The Family of Men”.
Le due fotografie qui proposte appartengono alla prima fase della ricerca di Camisa, quella in cui si dedica con rigore non disgiunto da originalità al ritratto. I diversi viaggi compiuti nel Meridione e nell’Africa del Nord lo mettono in contatto con realtà diverse che interpreta con uno stile asciutto volutamente lontano dalla retorica che negli anni ’50 aveva libera circolazione perché, si sa, i poveri sono più fotogenici e le greggi al pascolo fanno tanto folclore a buon mercato. La ripresa del primo piano del pesce spada che si allunga sul pavimento ci porta direttamente a osservare la donna e il bambino scalzi e seduti sulla bilancia su cui la preda verrà pesata: entrambi imbarazzati, molto raccontano del loro mondo silenzioso e antico. Più diretti, orgogliosi nei loro costumi sono, invece, i membri di una Confraternita: uno si accorge del fotografo cui regala uno sguardo curioso, mentre l’altro viene colto nell’attimo in cui, pensoso, si accende una sigaretta.
Questo lotto è soggetto a diritto di seguito -
Lotto 13 Silvia Camporesi (1973) - Ofelia, 2004
cm 49,5 x 69,5
C-print vintage montata su alluminio
Edizione 2 di 2 (da un'edizione di 5, di cui 3 in altro formato)
Titolata, datata, numerata e firmata a pennarello nero al verso
ESPOSIZIONI
BIBLIOGRAFIA
C. de Gregorio (a cura di), Chi sono io? Autoritratti, identità, reputazione, Contrasto 2017
M. Paderni (a cura di), Laboratorio Italia, La fotografia nell’arte contemporanea, Johan and Levi 2009
M. L. Frisa (a cura di), Lo sguardo italiano Fotografie italiane di moda dal 1951 a oggi, catalogo della mostra (Milano, Rotonda della Besana, 25 febbraio - 20 marzo 2005), Charta 2005
M. Coccia (a cura di), Robinson: Geografie naturali e dell’umano, catalogo della mostra (Trevi, Trevi Flash Art Museum, 4 novembre 2004 - 15 gennaio 2005), Futura ed., Perugia 2004
F. Boggiano (a cura di), Suoni e Visioni. Un viaggio attraverso la musica e la fotografia negli ultimi cinquant’anni, catalogo della mostra (Genova, Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce, 26 luglio - 10 settembre 2006), Edizioni Joyce & Co. Genova 2006
R. Paiano e L. Prati (a cura di), Premio Carmen Silvestroni 2004, Società Editrice Il Ponte Vecchio, 2004
R. Paiano (a cura di), Confini Lo spazio del corpo il corpo dello spazio, catalogo della mostra (Forlì, oratorio di San Sebastiano, 24 Marzo - 18 Aprile 2007), La Greca Arti Grafiche 2007
C. Casali (a cura di), Silvia Camporesi, catalogo della mostra (Ravenna, MAR Museo d'arte della città di Ravenna, dal 4 novembre al 2 dicembre 2007) 2007
Opera accompagnata da Certificato d'autenticità rilasciato dal fotografo
Questo lotto è soggetto a diritto di seguito -
Lotto 14 Silvia Camporesi (1973) - Souvenir #1 (La cartolina di San Marco), 2011
cm 50 x 67
Stampa a getto d'inchiostro montata su dibond
Edizione 1 di 3 (da un'edizione di 3 + 2 p.d.a.)
Titolata, datata, numerata e firmata a pennarello nero con etichetta didascalica e timbro del fotografo al verso
Opera in cornice
BIBLIOGRAFIA
S. Camporesi, B. Corà (a cura di), La Terza Venezia, Trolley Books, 2011
Opera accompagnata da Certificato d'autenticità rilasciato dal fotografo
Silvia Camporesi (Forlì 1973) dopo la laurea in filosofia si avvicina nel 2000 alla fotografia realizzando i suoi primi lavori nell’ambito della cosiddetta staged photography, quella cioè dove si creano situazioni di gusto cinematografico. Si è poi dedicata a diversi progetti, alcuni più intimi realizzati durante il lock down e altri di più ampio respiro legati alla reinterpretazione del paesaggio italiano in un dichiarato gioco di dissimulazione fra mondo reale e realtà artefatta. Vincitrice di numerosi premi, ha anche esordito come curatrice di una personale di Tina Modotti.
Chi è nel nostro immaginario il personaggio di Ofelia non è così scontato perché la grande letteratura trasferisce in chi la conosce messaggi difficilmente decifrabili. Così la giovane a cui Shakespeare regala un crudele destino diviene nella mis en scene di Silvia Camporesi un’eroina romantica immersa in un’atmosfera preraffaellita che sarebbe piaciuta a Julia Margaret Cameron: occupa in orizzontale tutta la scena e scioglie il suo abito nella corrente in cui galleggia. I colori delicati al limite della slavatura, la ripresa leggermente dal basso, la sottolineatura di particolari come i muri scorticati dalla salsedine: siamo sicuri di essere a Venezia come certifica la riproduzione fotografica della facciata della cattedrale di San Marco o quello che osserviamo è un modellino dotata di un pregevole realismo? Si può anche riflettere sul fatto che ogni fotografia non è il soggetto ripreso ma la sua interpretazione, quindi ...
Questo lotto è soggetto a diritto di seguito -
Lotto 15 Lisetta Carmi (1924 - 2022) - I travestiti, 1960s/1970s
cm 22,5 x 29
Stampa alla gelatina ai sali d'argento, stampata anni 1980
Timbro del fotografo al verso
BIBLIOGRAFIA
L. Carmi, I Travestiti, Essedi Editrice, Genova, 1972, p. 80
Lisetta Carmi (Genova 1924 – Cisternino, Brindisi 2022) costretta dalle leggi razziali a lasciare il liceo si dedica allo studio del pianoforte con maestri di grande livello e, dopo il diploma al Conservatorio di Milano, inizia nel dopoguerra una brillante carriera concertistica che interrompe nel 1960 per dedicarsi alla sua “seconda vita” prima da fotografa di scena e poi da reporter a Genova (famosi i suoi lavori sui camalli e sui travestiti), a Parigi, in Irlanda, Israele, India. Qui conosce il maestro di yoga Babaij e nel 1979 inizia la “terza vita” fondando a Cisternino in Puglia l’ashram Bhole Baba.
Per sei anni a partire dal 1965 Lisetta Carmi segue da vicino la comunità di travestiti che vive nell’ex ghetto ebraico di Genova attorno a via del Campo. Stabilisce rapporti amicali con quelle persone prima ancora di fotografarle per un libro, I travestiti, che sarebbe uscito nel 1972 per le edizioni Essedi e che sarebbe stato osteggiato non solo dagli ambienti conservatori ma anche guardato con sospetto dal “fuoco amico” di certa sinistra bigotta. Questi due ritratti – che compaiono alle pagine 80 e 121 del volume – sono una importante testimonianza del rapporto che ha legato la fotografa ai suoi soggetti: se in un caso compare un gioioso esibirsi davanti all’obiettivo, in quello che vede protagonista Lo Spagnolo c’è una intimità sottolineata dal garbo con cui mette in mostra le fotografie che intende condividere. L’ombra che avvolge il soggetto è una scelta stilistica che serve a enfatizzare la situazione facendo emergere la figura dal buio: la precedente esperienza di Lisetta Carmi da fotografa di teatro qui si fa sentire.
Questo lotto è soggetto a diritto di seguito -
Lotto 16 Lisetta Carmi (1924 - 2022) - I travestiti - Lo Spagnolo, 1960s
cm 24 x 18
Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
Titolata a penna nera con timbro del fotografo al verso
Opera in cornice
BIBLIOGRAFIA
L. Carmi, I Travestiti, Essedi Editrice, Genova, 1972, p. 122
Lisetta Carmi (Genova 1924 – Cisternino, Brindisi 2022) costretta dalle leggi razziali a lasciare il liceo si dedica allo studio del pianoforte con maestri di grande livello e, dopo il diploma al Conservatorio di Milano, inizia nel dopoguerra una brillante carriera concertistica che interrompe nel 1960 per dedicarsi alla sua “seconda vita” prima da fotografa di scena e poi da reporter a Genova (famosi i suoi lavori sui camalli e sui travestiti), a Parigi, in Irlanda, Israele, India. Qui conosce il maestro di yoga Babaij e nel 1979 inizia la “terza vita” fondando a Cisternino in Puglia l’ashram Bhole Baba.
Per sei anni a partire dal 1965 Lisetta Carmi segue da vicino la comunità di travestiti che vive nell’ex ghetto ebraico di Genova attorno a via del Campo. Stabilisce rapporti amicali con quelle persone prima ancora di fotografarle per un libro, I travestiti, che sarebbe uscito nel 1972 per le edizioni Essedi e che sarebbe stato osteggiato non solo dagli ambienti conservatori ma anche guardato con sospetto dal “fuoco amico” di certa sinistra bigotta. Questi due ritratti – che compaiono alle pagine 80 e 121 del volume – sono una importante testimonianza del rapporto che ha legato la fotografa ai suoi soggetti: se in un caso compare un gioioso esibirsi davanti all’obiettivo, in quello che vede protagonista Lo Spagnolo c’è una intimità sottolineata dal garbo con cui mette in mostra le fotografie che intende condividere. L’ombra che avvolge il soggetto è una scelta stilistica che serve a enfatizzare la situazione facendo emergere la figura dal buio: la precedente esperienza di Lisetta Carmi da fotografa di teatro qui si fa sentire.
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Lotto 17 Virgilio Carnisio (1938) - Milano, Piazza del Duomo, 1985
cm 60 x 90
Stampa successiva a getto d'inchiostro
Edizione 19 di 20
Titolata, firmata e datata a penna nera con timbro AFI al verso
BIBLIOGRAFIA
Sotto la neve di Milano. Fotografie di Virgilio Carnisio, Edizioni Photo Project, Perugia, 1985, copertina
Opera accompagnata da Certificato d'autenticità rilasciato da AFI e firmato dal fotografo
Virgilio Carnisio (Milano 1938) inizia a fotografare nei primi anni ’60 e, temendo che una falsa interpretazione della modernità potesse cancellare le classiche architetture della sua città, vagabondando fra centro e periferia documenta in bianco e nero cortili, case di ringhiera, osterie, quartieri come l’Isola e il Garibaldi, vecchie botteghe, laboratori artigiani col taglio antropologico e sociale caro al classico reportage. Crea così, in mostre e libri particolarmente accurati, un’indagine articolata di Milano cui accosta indagini sulla Valsesia e su realtà di Europa, Asia e America, mete dei suoi viaggi.
Se oggi il Naviglio è il teatro della movida, negli anni ’60 manteneva il ricordo di una antica Milano attraversata da vie d’acqua. Sempre lontano dalle trappole della nostalgia (perché i bei tempi andati non erano poi tanto belli), Virgilio Carnisio si sofferma sulla semplice armonia della facciata di una casa che si riflette sulla superficie del canale ma sa sorprendere con la figura della donna che lava i panni appoggiata a una lastra di pietra, in milanese “brellin”. Lo sguardo si concentra su di lei, su quei gesti antichi che ancora sopravvivono e profumano di realtà. Il 13 gennaio 1985 era domenica, a San Siro il Milan giocava con il Como e gli spettatori finirono per distrarsi (non gli ospiti che vinsero 2 a 0) perché la neve imbiancava il campo e avrebbe continuato a scendere per quattro giorni coprendo l’intera città. Per un fotografo come Carnisio si spalancarono mille possibilità di cogliere immagini spettacolari come questa che riprende da lontano il passaggio dei pedoni che attraversavano Piazza del Duomo sul sentiero tracciato nella neve. La fotografia, che allude sia al nuovo paesaggio sia all’operosità di una città mai ferma, divenne la copertina del volume Sotto la neve di Milano che Carnisio pubblicò nei mesi successivi.
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Lotto 18 Virgilio Carnisio (1938) - Milano, 1960s/1970s
cm 50 x 39,7 (cm 34,3 x 34,3 immagine)
Stampa a getto d'inchiostro successiva
Firmata a penna nera al margine bianco inferiore recto
Virgilio Carnisio (Milano 1938) inizia a fotografare nei primi anni ’60 e, temendo che una falsa interpretazione della modernità potesse cancellare le classiche architetture della sua città, vagabondando fra centro e periferia documenta in bianco e nero cortili, case di ringhiera, osterie, quartieri come l’Isola e il Garibaldi, vecchie botteghe, laboratori artigiani col taglio antropologico e sociale caro al classico reportage. Crea così, in mostre e libri particolarmente accurati, un’indagine articolata di Milano cui accosta indagini sulla Valsesia e su realtà di Europa, Asia e America, mete dei suoi viaggi.
Se oggi il Naviglio è il teatro della movida, negli anni ’60 manteneva il ricordo di una antica Milano attraversata da vie d’acqua. Sempre lontano dalle trappole della nostalgia (perché i bei tempi andati non erano poi tanto belli), Virgilio Carnisio si sofferma sulla semplice armonia della facciata di una casa che si riflette sulla superficie del canale ma sa sorprendere con la figura della donna che lava i panni appoggiata a una lastra di pietra, in milanese “brellin”. Lo sguardo si concentra su di lei, su quei gesti antichi che ancora sopravvivono e profumano di realtà. Il 13 gennaio 1985 era domenica, a San Siro il Milan giocava con il Como e gli spettatori finirono per distrarsi (non gli ospiti che vinsero 2 a 0) perché la neve imbiancava il campo e avrebbe continuato a scendere per quattro giorni coprendo l’intera città. Per un fotografo come Carnisio si spalancarono mille possibilità di cogliere immagini spettacolari come questa che riprende da lontano il passaggio dei pedoni che attraversavano Piazza del Duomo sul sentiero tracciato nella neve. La fotografia, che allude sia al nuovo paesaggio sia all’operosità di una città mai ferma, divenne la copertina del volume Sotto la neve di Milano che Carnisio pubblicò nei mesi successivi.
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Lotto 19 Vincenzo Castella (1952) - Napoli, 1985
cm 29,8 x 41,5 (cm 26,7 x 33,8 immagine)
Stampa cromogenica vintage
Siglata VC e datata a matita con timbro a secco del fotografo al margine bianco inferiore recto
BIBLIOGRAFIA
I. Bignardi (a cura di), Zone: Vincenzo Castella, Art&, 1991, p. 91
A. C. Quintavalle (a cura di), Muri di carta, Electa, Milano, 1993, p. 287
D. M. Pagano (a cura di), Blow up - la fotografia a Napoli 1980-1990, artem, 2014
Vincenzo Castella (Napoli 1952) è un autore dai mille interessi come dimostra la sua laurea in Antropologia Culturale. Chitarrista di livello professionale, regista nel 1976 del film “Hammie Nixon’s People” girato negli Usa sulla cultura blues, è in campo fotografico che si afferma con riferimenti colti che variano da Paul Strand a James Joyce che lo guidano in una ricerca sulle città come la natia Napoli e Milano dove vive. In questa veste partecipa nel 1984 con alcune immagini di interni e una di esterni al progetto “Viaggio in Italia” sviluppando da allora un interesse per lo spazio urbano che caratterizza i lavori più recenti esposti in mostre internazionali pubblicati su libri e riviste.
Queste due vedute di Napoli ben spiegano l’approccio espressivo che caratterizza la visione di Vincenzo Castella. La ripresa in esterno è tutta giocata sui piani prospettici: il primo, quello della terrazza circondata da un muro, ci avvicina alla statua che svetta quasi nel vuoto e ci rimanda allo scoglio che emerge dal mare accarezzato dalla spuma delle onde che gli si frangono contro. È lo stesso Castella a ricordare che panoramiche di questo genere non corrispondono ai movimenti dell’occhio perché visioni come la sua devono essere lucidamente asettiche. Anche la seconda fotografia qui presentata è sintomatica, sia pure di altro aspetto caro al fotografo: quello dell’illuminazione. Questa impreziosisce il soggetto – in questo caso una semplice parete da cui pendono esposto in malo modo tre immagini incorniciate – non perché illuminato, ma perché osservato da una inedita angolazione.
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Lotto 20 Vincenzo Castella (1952) - Monte S. Giacomo, Salerno, 1975
cm 35,4 x 27,6 (cm 34 x 22,5 immagine)
Stampa vintage cromogenica
Firmata, datata e titolata a penna nera al margine bianco inferiore recto e dedicata e firmata a matita blu al verso della cornice
Opera in cornice
Vincenzo Castella (Napoli 1952) è un autore dai mille interessi come dimostra la sua laurea in Antropologia Culturale. Chitarrista di livello professionale, regista nel 1976 del film “Hammie Nixon’s People” girato negli Usa sulla cultura blues, è in campo fotografico che si afferma con riferimenti colti che variano da Paul Strand a James Joyce che lo guidano in una ricerca sulle città come la natia Napoli e Milano dove vive. In questa veste partecipa nel 1984 con alcune immagini di interni e una di esterni al progetto “Viaggio in Italia” sviluppando da allora un interesse per lo spazio urbano che caratterizza i lavori più recenti esposti in mostre internazionali pubblicati su libri e riviste.
Queste due vedute di Napoli ben spiegano l’approccio espressivo che caratterizza la visione di Vincenzo Castella. La ripresa in esterno è tutta giocata sui piani prospettici: il primo, quello della terrazza circondata da un muro, ci avvicina alla statua che svetta quasi nel vuoto e ci rimanda allo scoglio che emerge dal mare accarezzato dalla spuma delle onde che gli si frangono contro. È lo stesso Castella a ricordare che panoramiche di questo genere non corrispondono ai movimenti dell’occhio perché visioni come la sua devono essere lucidamente asettiche. Anche la seconda fotografia qui presentata è sintomatica, sia pure di altro aspetto caro al fotografo: quello dell’illuminazione. Questa impreziosisce il soggetto – in questo caso una semplice parete da cui pendono esposto in malo modo tre immagini incorniciate – non perché illuminato, ma perché osservato da una inedita angolazione.
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Lotto 21 Giuseppe Cavalli (1904 - 1961) - Senza titolo (Natura morta), 1940s/1950s
cm 12,2 x 17
Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
Timbro del fotografo al verso
Giuseppe Cavalli (Lucera, Foggia 1904 - Senigallia, Ancona 1961) nasce in una famiglia di proprietari terrieri e, pur laureandosi in giurisprudenza, preferisce dedicarsi al mondo dell’arte sulle orme del fratello gemello Emanuele affermato pittore. Uomo molto colto, elabora nella pratica come nella teoria un tipo di fotografia lontana dal pittorialismo come dalla odiata enfasi fascista. Nel 1947 fonda a Milano il gruppo fotografico La Bussola di cui redige il manifesto che si richiama all’estetica crociana e nel 1954 a Senigallia, dove si era trasferito, il Gruppo Misa.
“L’assioma importante è che in arte il soggetto non ha nessuna importanza, quello che conta è che l’opera abbia raggiungo il cielo dell’arte: sia bella o no” scriveva Cavalli nel Manifesto della Bussola e queste parole possono guidare alla lettura di queste due immagini sintomatiche delle sue scelte. Nella natura morta prevale la lievità della piuma accostata alla fisicità del vaso di vetro, elementi accomunati dal fatto di disegnare sullo sfondo due delicatissime ombre appena accennate. Nel paesaggio, invece, a occupare lo spazio sono le linee orizzontali capaci di disegnare una voluta armonia. In entrambi i casi si conferma l’idea della predominanza della forma sul soggetto, del significante sul significato. Siamo anche di fronte a due superbi esempi di come si realizzano stampe in high key, cioè, facendo prevalere i toni chiari che si inseguono in tutte le loro sfumature.
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Lotto 22 Giuseppe Cavalli (1904 - 1961) - Senigallia (Ancona), 1950
cm 35,8 x 28,4
Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
Firmata e titolata a penna nera al verso
Opera in cornice
Giuseppe Cavalli (Lucera, Foggia 1904 - Senigallia, Ancona 1961) nasce in una famiglia di proprietari terrieri e, pur laureandosi in giurisprudenza, preferisce dedicarsi al mondo dell’arte sulle orme del fratello gemello Emanuele affermato pittore. Uomo molto colto, elabora nella pratica come nella teoria un tipo di fotografia lontana dal pittorialismo come dalla odiata enfasi fascista. Nel 1947 fonda a Milano il gruppo fotografico La Bussola di cui redige il manifesto che si richiama all’estetica crociana e nel 1954 a Senigallia, dove si era trasferito, il Gruppo Misa.
“L’assioma importante è che in arte il soggetto non ha nessuna importanza, quello che conta è che l’opera abbia raggiungo il cielo dell’arte: sia bella o no” scriveva Cavalli nel Manifesto della Bussola e queste parole possono guidare alla lettura di queste due immagini sintomatiche delle sue scelte. Nella natura morta prevale la lievità della piuma accostata alla fisicità del vaso di vetro, elementi accomunati dal fatto di disegnare sullo sfondo due delicatissime ombre appena accennate. Nel paesaggio, invece, a occupare lo spazio sono le linee orizzontali capaci di disegnare una voluta armonia. In entrambi i casi si conferma l’idea della predominanza della forma sul soggetto, del significante sul significato. Siamo anche di fronte a due superbi esempi di come si realizzano stampe in high key, cioè, facendo prevalere i toni chiari che si inseguono in tutte le loro sfumature.
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Lotto 23 Carla Cerati (1926) - Morire di classe, Manicomio di Parma, 1969
cm 24 x 30,5
Stampa vintage alla gelatina ai sali d'argento
Timbro del fotografo al verso
BIBLIOGRAFIA
F. Basaglia (a cura di), Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, Einaudi, Milano, 1969
Carla Cerati (Bergamo 1926 - Milano 2016) trasforma il giovanile estro artistico in passione per la fotografia che la porta a realizzare le prime professionali immagini di teatro e poi, negli anni ’60, a indagare nel mondo giovanile collaborando con testate come L’Illustrazione Italiana e L’Espresso. Documenta poi le avanguardie teatrali (Kantor, Carmelo Bene, il Living Theater) e i protagonisti del mondo culturale per sposare l’impegno sociale che la porta a realizzare importanti reportage e a firmare con Gianni Berengo Gardin il fondamentale volume “Morire di classe”. Si dedica infine a un’attenta riflessione fotografica sul corpo femminile. Altrettanto importante è stata la sua attività di scrittrice.
Fra queste due immagini si colloca idealmente la complessa vicenda professionale di Carla Cerati. Quando, alla fine degli anni ’60 Franco Basaglia inizia la sua battaglia per la chiusura dei manicomi, vere istituzioni carcerarie che negavano dignità a quanti non venivano curati ma reclusi, un contributo importante alla vittoria della legge che porta il suo nome fu costituito da quel piccolo ma intenso libro pubblicato da Einaudi nel 1969 caratterizzato dal bellissimo titolo Morire di classe che Carla Cerati firma con Gianni Berengo Gardin. Lo scatto ravvicinato sui visi di persone cui nessuno dedicava attenzione indica il desiderio di stabilire un contatto per restituire loro quella dignità ogni giorno calpestata. L’inquadratura che incrocia i soggetti conferisce all’immagine un dinamismo che sembra l’indice di una speranza. Quando, invece, Carla Cerati comincia a interrogarsi sul corpo femminile (il volume Corpo di donna sarà edito da Mazzotta nel 1978) ciò che le interessa è indagare sulle forme, inseguire le linee, cercare di sublimare il tradizionale concetto di femminilità in una ricerca che si fa quasi astratta. Proseguendo nella ricerca arriva, come in questo caso a usare con perizia i contrasti del bianco e nero per giungere a una seducente armonia.
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Lotto 24 Carla Cerati (1926) - Forma di Donna, 1972
cm 4,4 x 8,4 (cm 11,8 x 17,5 cartoncino)
Stampa alla gelatina ai sali d'argento, stampata 2007 e applicata a cartoncino originale
Firmata e datata a penna nera al cartoncino recto
BIBLIOGRAFIA
Carla Cerati, Forma di Donna, Mazzotta, Milano, 1978, p. 27
Carla Cerati (Bergamo 1926 - Milano 2016) trasforma il giovanile estro artistico in passione per la fotografia che la porta a realizzare le prime professionali immagini di teatro e poi, negli anni ’60, a indagare nel mondo giovanile collaborando con testate come L’Illustrazione Italiana e L’Espresso. Documenta poi le avanguardie teatrali (Kantor, Carmelo Bene, il Living Theater) e i protagonisti del mondo culturale per sposare l’impegno sociale che la porta a realizzare importanti reportage e a firmare con Gianni Berengo Gardin il fondamentale volume “Morire di classe”. Si dedica infine a un’attenta riflessione fotografica sul corpo femminile. Altrettanto importante è stata la sua attività di scrittrice.
Fra queste due immagini si colloca idealmente la complessa vicenda professionale di Carla Cerati. Quando, alla fine degli anni ’60 Franco Basaglia inizia la sua battaglia per la chiusura dei manicomi, vere istituzioni carcerarie che negavano dignità a quanti non venivano curati ma reclusi, un contributo importante alla vittoria della legge che porta il suo nome fu costituito da quel piccolo ma intenso libro pubblicato da Einaudi nel 1969 caratterizzato dal bellissimo titolo Morire di classe che Carla Cerati firma con Gianni Berengo Gardin. Lo scatto ravvicinato sui visi di persone cui nessuno dedicava attenzione indica il desiderio di stabilire un contatto per restituire loro quella dignità ogni giorno calpestata. L’inquadratura che incrocia i soggetti conferisce all’immagine un dinamismo che sembra l’indice di una speranza. Quando, invece, Carla Cerati comincia a interrogarsi sul corpo femminile (il volume Corpo di donna sarà edito da Mazzotta nel 1978) ciò che le interessa è indagare sulle forme, inseguire le linee, cercare di sublimare il tradizionale concetto di femminilità in una ricerca che si fa quasi astratta. Proseguendo nella ricerca arriva, come in questo caso a usare con perizia i contrasti del bianco e nero per giungere a una seducente armonia.
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