LA GRAZIA E LA FORZA. PARTE I Sessione unica
Tuesday 2 December 2025 hours 17:00 (UTC +01:00)
Andrea Locatelli (1695 - 1741), attribuito a Polifemo con Aci e Galatea
Andrea Locatelli (1695 - 1741), attribuito a
Polifemo con Aci e Galatea
Olio su rame
59,8 x 74,3 cm
Elementi distintivi: al verso del rame, a gesso, numero “1075”; al verso della cornice un numero, forse di inventario, a pennarello
Provenienza: Collezione privata (fino al 2011); Veneto Banca SpA in LCA
Bibliografia: Catalogo Finarte - Semenzato, Venezia, 27 marzo 2011 (lotto 462)
Stato di conservazione. Supporto: 80% (danni minori da sfregamento e urto, per esempio al volto di Polifemo)
Stato di conservazione. Superficie: 70% (graffi, cadute di colore e integrazioni)
L'opera venne attribuita a Francesco Cozza (1605-1682) da Maurizio Marini, con datazione al 1664-1665, in paragone, in particolare al "Paesaggio con il figliuol prodigo" nella collezione di Burghley House, datato 1667, al "Paesaggio con Agar e l'Angelo", datato 1665 conservato presso lo Statens Museum fur Kunst di Copenaghen, ed al dipinto di analogo soggetto, datato 1664, oggi presso il Rijksmuseum Amsterdam, con richiamo, per la figura di Polifemo, ai ciclopi affrescati da Cozza tra il 1658 e il 1661 nella stanza del fuoco del Palazzo Pamphili a Valmontone. L'identificazione dell'autore con Cozza è stata accolta nella scheda d'asta predisposta da Semenzato nel 2011(Venezia, 27 marzo 2011, lotto 462).
L'attribuzione è contestata da Ludovica Trezzani, curatrice del catalogo ragionato dell'artista (comunicazione dell'8 giugno 2021), e da Erich Schleier (comunicazione del 4 giugno 2021), i principali studiosi dell'autore. Schleier segnala «le forme un po' tornite e frastagliate delle figure» solo apparentemente prossime a Cozza, disegnate su «un paesaggio fantastico non tipico del Cozza, che fu allievo del Domenichino», nella cui produzione non si registrano paesaggi panoramici, a volo d'uccello. In accordo con Mary Newcome, lo studioso sottolinea come «Specialmente le montagne azzurre nella lontananza [siano] impossibili per Cozza», segnalando «l’impressione che il quadro non sia italiano, ma francese o fiammingo-francese intorno al 1700».
Rossella Vodret vi legge la mano «di Carlo Saraceni o di qualcuno a lui molto vicino» (comunicazione del 5 giugno 2021), con evidente richiamo alle opere su rame a tema mitologico del maestro veneziano, in genere di dimensioni di poco superiori a 40x50 cm, per esempio la serie di tre opere dedicata al "Volo di Icaro", il "Ratto di Ganimede", "Salmace ed Emafrodito" e "Arianna abbandonata a Nasso", provenienti dalla collezione Farnese e databili al 1605-1608, oggi al Museo di Capodimonte, Napoli (inv. Q151-Q156). Anche il paesaggio, in particolare nella resa della vegetazione, offre raffronti con l'opera di Saraceni, per esempio con la "Apparizione di un angelo alla moglie di Manue", conservato presso la Öffentliche Kunstsammlung di Basilea, e databile al 1610. Altri dettagli, come il regolare incresparsi delle onde, l'esuberanza fantastica dello sfondo paesistico e lo slancio dei panneggi più difficilmente si confrontano con il catalogo di Saraceni.
Anna Ottani Cavina, per contro, esclude «ogni riferimento a Saraceni e al primo Seicento», considerando pertinente «l'area cronologica indicata da Maurizio Marini, in età barocca, nel secondo Seicento», in «ambiente probabilmente romano» (comunicazione del 22 febbraio 2022). Anche Massimo Francucci, esclusa la attribuzione a Cozza, non avverte legami sufficientemente forti con la serie di Capodimonte di Saraceni né ritiene che «il dipinto sia così precoce»: sottolineando la «qualità ragguardevole», ne rileva alcuni elementi «non troppo italiani» suggerendo come possibile soluzione «l'ambito di Schonfeld» (comunicazioni del 5 e 7 giugno 2021). Francesco Petrucci intravede «un minore, forse nordico» (comunicazioni del 5 giugno 2021). L'eco nordica appare forte anche a Angela Negro, che considera l'opera meglio avvicinabile al gusto di Filippo Lauri, così confermando una datazione avanzata nel secolo ed una maniera lontana da Cozza «sanguigno, monumentale, post caravaggesco nel gioco delle luci e delle ombre» allorché il dipinto di Veneto Banca appare «nella resa del paesaggio e delle figure ... pre-arcadico, come appunto fu Lauri che introduce alla pittura settecentesca di Trevisani» (comunicazioni del 7 e 8 giugno 2021). Riccardo Lattuada avvicina il rame al mondo di Pieter Mulier, il Tempesta, e, secondariamente, di Carlo Antonio Tavella, «anche nelle citazioni dei modi e delle invenzioni da Salvator Rosa» (comunicazione del 7 giugno 2021).
Claudio Strinati, che all'opera ha dedicato la scheda critica pubblicata in calce, conferma di contro il legame con Venezia, patria di Saraceni, precisando però l'autore in Joseph Heintz il giovane (1600 ca. - 1678), con datazione verso il quinto decennio del Seicento (comunicazione del 2 luglio 2021). Daniele D'Anza conferma l'elevato interesse e complessità del dipinto, ma su base fotografica non ritiene di potersi esprimere sulla attribuzione (comunicazione del 6 luglio 2021). Daniela Gallavotti Cavallero e Marco Cannone non concordano con la attribuzione ad Heintz, considerando anomala la ambientazione naturalistica e distante la tecnica pittorica («Heintz costruisce le forme per piccoli tocchi cromatici rialzati di bianco»), mentre segnalano il valore della attribuzione a Francesco Cozza, in quanto, «pur non calzante, indirizza, a nostro parere correttamente, verso l'ambito della cultura figurativa classicista, probabilmente non veneziana» (comunicazione del 21 luglio 2021).
Le letture degli esperti nel loro insieme sembrano riportare ad un autore non nominato, il cui stile richiama però da vicino il trattamento del cielo, delle fisionomie, delle fronde e molte altre soluzioni formali del dipinto in esame: Andrea Locatelli (1695–1741). Si paragoni, per esempio, la tela in esame al "Paesaggio con Venere e Adone" già a Sotheby's, New York (28 gennaio 2016, l. 329).
Ringraziamo, per il prezioso supporto dato alla schedatura, Marco Cannone, Daniele D'Anza, Daniela Gallavotti Cavallero, Massimo Francucci, Riccardo Lattuada, Angela Negro, Mary Newcome, Anna Ottani Cavina, Francesco Petrucci, Erich Schleier, Ludovica Trezzani, Rossella Vodret, Claudio Strinati.
Una nuova proposta per Joseph Heintz il giovane
Scheda critica di Claudia Strinati
La rappresentazione del mito di Polifemo, Aci e Galatea è condotta in questo quadro su rame con notevole arguzia e ironia rispetto ai modelli iconografici del tempo.
La Ninfa non è ancora salita sul carro navigante che la porterà lontano accompagnata dai tritoni e dalle nereidi; Polifemo ha afferrato il gigantesco masso con cui intende colpire Aci reo di sottrarle la fanciulla desiderata; mentre Aci a sua volta ha l'aspetto inconsueto di un giovane baldanzoso e tutt'altro che intimorito e schiverà facilmente l'immane proiettile di pietra scagliatogli contro da Polifemo. Questi ha un'aria erculea mentre la Ninfa è dipinta con elegante finezza accentuata dal drappo che si gonfia a vela sulla sua testa. Ha l'aria spaventata ma anche qui fino a un certo punto quasi beffandosi dell'inconsistente pericolo con aria maliziosa e ingenua nel contempo.
Il paesaggio è coerente con l'impostazione generale del pregevole dipinto. La superficie pittorica, esaltata dal magnifico supporto del rame, è tersa, limpida e insieme articolata tra il fitto bosco da cui spunta Polifemo infuriato e l'orizzonte lontano disseminato di montagne. Il mare, che sarebbe il fattore predominante dal punto di vista visivo della vicenda, quasi non si vede e proprio qui rifulge il punto cruciale della questione interpretativa di quest'opera.
Il quadro, infatti, incorpora in sé una sorta di narrazione del mito distorta in chiave ironica e stravagante.
Si tratta di una mentalità figurativa tipica di quella fase della storia della pittura europea che corrisponde all'incirca al periodo che va dal terzo al quinto decennio del Seicento e culmina a Venezia e alla cultura veneta, ove ritengo debba essere incardinata quest'opera così bella, fresca e sensibile.
A Venezia, infatti, sull'onda del trionfo su scala europea della grande tradizione tizianesca e postizianesca, affluisce una vera e propria colonia di artisti provenienti dai Paesi Bassi e dall'area germanica, molti dei quali restano nell'ambito di attività marginali di paesaggisti, di pittori di genere o ritrattisti, mentre altri creano una vera e propria scuola potentemente originale e innovativa che si pone in bilico tra gli esiti estremi del cosiddetto manierismo internazionale e i primi impulsi in chiave barocca.
Il nostro quadro, qui in esame, deve essere stato eseguito, a parer mio, in quella temperie storica, probabilmente proprio a Venezia e da uno dei massimi esponenti di questa linea di tendenza innovativa: Joseph Heintz il giovane, il pittore nato a Augusta intorno all'anno 1600 (la data esatta si ignora) che, formatosi in patria, risulta già presente e attivo a Venezia dalla metà del terzo decennio per restarvi poi per il resto di una operosissima vita durata fino al 1678, anno della sua scomparsa dopo una carriera gloriosa che fece di lui uno dei massimi protagonisti di quella dimensione estetica dai contemporanei definita come "capriccio", termine che mutò poi significato nel Settecento ma che all'epoca significava la predilezione per rappresentazioni, tratte dai preziosi scrigni dell'iconografia imperiale asburgica, tali da trasformare il millenario patrimonio iconografico della mitologia greca e della religione cattolica in materia di supremo divertimento e di suprema bellezza e freschezza dell'immaginazione.
Se si confronta il nostro quadro con la celeberrima "Allegoria della Sapienza" dipinta da Heintz il giovane verso al fine della sua carriera nel 1674 e conservata oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna, sembra plausibile scorgere, sia pure a molti anni di distanza, la stessa mano e persino la stessa tipologia di figure rispetto al nostro quadro, ma, nell'opera di Vienna, molto più avanzata e tumultuante a cospetto del nostro "Polifemo, Aci e Galatea". E' probabile, infatti, che il nostro dipinto qui in esame, per motivi strettamente stilistici, debba esser datato piuttosto nel corso del quinto decennio del Seicento, quando Heintz il giovane fu tra l'altro in rapporti interessanti con numerosi colleghi attivi a Venezia tra cui il grande Nicolas Regnier, all'epoca molto influente sulla cultura artistica locale.
Doveva avere, Heintz il giovane, una posizione di enorme successo se si pensa come documenti certi attestino che nei primi anni del quinto decennio Heintz risulti a Venezia l'artista più tartassato dalle tasse insieme con il Padovanino, celebre allievo di Tiziano, e appunto Nicolas Regnier, il che la dice lunga sulla sua eminente figura.
La figura di Polifemo nel nostro quadro risulta pressoché identica a quella dell'Ercole che, accanto alla figura del Tempo, fiancheggia nel quadro di Vienna l'immagine centrale della Sapienza che si volge elegantemente estatica verso l'empireo che la sovrasta brulicante di presenze. La stessa figura di Galatea nel nostro dipinto, del resto, è paragonabile direttamente alla Sapienza di Vienna, una immagine di sintesi universale del mondo immaginario di Heintz, così come ricostruito magistralmente in sede filologica dagli studi di Daniele D'Anza, in particolare nel suo articolo determinante, "Uno stregozzo di Joseph Heintz il giovane", in Arte in Friuli, Arte a Trieste, 24, 2006; studi ripresi e sviluppati ultimamente da Marco Cannone e Daniela Gallavotti, "Dipinti inediti e nuove attribuzioni per Joseph Heintz il giovane", in "Storia dell'Arte" 139, 48-83, 2014.
Nel nostro quadro il mostro marino che dovrebbe presumibilmente trascinare il carro marino di Galatea già adombra quelle figure di curiosi esseri metafisici che Heintz il giovane poté mediare, inserendole a piene mani in tante sue opere, dalla conoscenza della cultura figurativa di Bosch e Brueghel, che riprodusse e rielaborò poi nelle forme più stravaganti e sottili nei suoi innumerevoli capolavori profani.
Artista filosofo, disincantato contestatore del mito ma nel contempo sottile esoterista, Heintz il giovane mi appare come l'autore del nostro quadro, in una fase ancora relativamente giovanile ma comunque già dominatore del suo stile ipercolto e insieme dottamente ammiccante allo spirito divertito e disincantato del popolo e del patriziato veneziano, cui seppe dare forme interessanti, fantasiose, edonisticamente orientate ma anche gravide di un senso di realismo e di pregnanza della forma che lo hanno portato ad assumere un ruolo eminente nell'arte del tempo.









