Lot 12 | Viviano Codazzi (Bergamo 1603/04 o 1606 - Roma 1670)

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ARGENTI, DIPINTI, ICONE ED OGGETTI D'ARTE ARGENTI, DIPINTI, ICONE ED OGGETTI D'ARTE
Monday 19 April 2021 hours 15:00 (UTC +01:00)

Viviano Codazzi (Bergamo 1603/04 o 1606 - Roma 1670)

Viviano Codazzi (Bergamo 1603/04 o 1606 - Roma 1670)
"Veduta di porto con rovine e personaggi"
Olio su tela
"View of port with ruins and characters"
Oil on canvas
49 x 67 cm

Viviano Codazzi (Codacci, Codazzo, Codozo, Codagora, Codaora, Codahorra) è ritenuto uno dei padri del rovinismo italiano. Bergamasco di nascita, la sua carriera artistica si è svolta tra Napoli e Roma. Risulta operare all’Urbe dal 1620 al 1634, momento in cui la sua attività si concentra nel fondere il vedutismo di S. Scorza e A. Tassi, con il realismo caravaggesco e dei bamboccianti, collaborando principalmente col Cerquozzi, con François Perrier e con Jan Miel. Nel 1634 si stabilisce a Napoli, ove stringe amicizia con Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro, suo fedele collaboratore. Le opere del periodo napoletano sono molto varie e nascono da molteplici influenze culturali. Da un lato Viviano segue la tradizione della prospettiva e del quadraturismo rinascimentali, dall'altro il pittore ama la "veduta ideata", magica e fiabesca, dal gusto preromantico e sviluppata a Roma dai pittori fiamminghi, tedeschi e francesi, che vede B. Breenbergh e C. van Poelenburg i maggiori rappresentanti. Ultimi, ma i più marcati, sono gli influssi del vedutismo realistico dei bamboccianti e soprattutto quello eroico-tragico di Salvator Rosa. Torna a Roma intorno al 1648, dove risiede stabilmente, salvo brevi assenze, fino alla morte, che lo coglie il 5 novembre del 1670. La sua influenza, oltre che sul figlio Niccolò Codazzi, si palesa in A. Tassi, F. Gagliardi, A. Salucci, G. Ghisolfi, L. Coccorante, A. M. Costa, G. Greco, Lemarie e Soria. Tale è stata la sua centralità nel tema della veduta rovinistica che anche i maestri come Pannini, Canaletto e Bellotto, denunciano di aver attinto nozioni dalla sua arte. La tela qui presentata va ricondotta al maestro bergamasco per la sua canonica composizione, che vede una fuga prospettica data dai resti a destra che si propagano sino al faro in lontananza. A bloccare, anche se solo in parte, la fuga verso l’orizzonte, di fronte a noi si ergono i resti di un colonnato di antico fasto. Tra le rovine tre enigmatiche figure: un filosofo intento allo studio e altre due che dibattono. L’aria è dorata, il sole illumina il mare e indora le rovine creando un effetto misto di antica grandiosità e mesta decadenza. Essa trova adeguati confronti con altre opere pubblicate da Giancarlo Sestieri “Il Capriccio architettonico in Italia nel XVII e XVIII secolo”, Foligno 2015; e D.R. Marshall “Viviano and Niccolò Codazzi and the Baroque Architectural Fantasy”, Roma 1993