IL CULTO DELL'ARREDO. III FASE. BASI D'ASTA RIBASSATE SESSIONE UNICA
Wednesday 11 June 2025 hours 17:00 (UTC +01:00)
Arturo Martini (1889 - 1947) Tobiolo, 1934
Arturo Martini (1889 - 1947)
Tobiolo, 1934
Gesso con armatura in ferro
123,6 x 154,6 x 87,7 cm (la scultura)
23,2 x 164,8 x 92,1 cm (il basamento)
Firma: “A. Martini" inciso sulla base
Provenienza: Arturo Martini; Galleria Milano, Milano; Ottolenghi Wedekind; Arturo Martini; Eredi Martini Bertagnin, Vado Ligure; Veneto Banca spa in LCA
Bibliografia: Con riguardo all’esemplare in bronzo o in gesso, Bernardi 1934 (ill.); Bertocchi 1934 (ill.); Brandi 1934 (ill.); Carrà 1934 (ill.); Ojetti 1934; Savinio 1934 (1); Savinio 1934 (2, ill.); Sinisgalli 1934; Sironi 1934 (ill.); Varagnolo 1934 (ill.); Della Porta 1935; Fiumi 1935; Gatti 1935 (ill.); Mostre 1935 (ill.); Ojetti 1935; Bernardi 1937; Bontempelli 1939 (tav. XX); Del Massa 1939 (ill.); Barbaroux-Giani 1940 (tav. 82); Costantini 1940 (p. 349); Oppo 1941 (ill); Joppolo 1946 (tav. CLXIX); Argan 1947 (tav. 2); Apollonio 1948; Franchi 1949, 1951 e 1954 (fig. 29); Sapori 1949 (p. 51 e fig. 331); Argan 1956 (fig. 15); Argan 1958 (fig. 15); Perocco 1962 (fig. 44, p. 80); Perocco 1966 (n. 326), fig. 242; Martini, “Colloqui”, 1968 e 1997, passim; Bargellini 1970 (fig. 119); Bellonzi 1974 (tav. VI); De Micheli 1981 (p. 75); Ghianda 1985 (p. 86); Fergonzi 1986 (p. 929); Vianello 1989 (p. 60); Vianello-Baldacci 1991 (p. 41, n. 27); Fergonzi 1995, (p. 110); G. Vianello, N. Stringa, C. Gian Ferrari, “Arturo Martini. Catalogo ragionato della scultura, Vicenza, 1998 (n. 385, p. 259; con soluzioni della bibliografia precedente); Marco Goldin, a cura di, "Da Ca' Pesaro a Morandi. Arte in Italia 1919-1945 dalle collezioni private", Cornuda, 2002, pp. 110 - 111 (ill.)
Esposizioni: con riguardo all’esemplare in bronzo o in gesso, Milano 1934 (n. e fig. 3); Venezia 1934 (sala 27, n. 36); Parigi 1935 (sala 16); Venezia 1948 (n. 12, p. 25); Torino 1952 (p. 85 e tav. 275); Firenze 1967 (n. e fig. 1183); Treviso 1967 (n. 115, fig. 114); Roma 1972 (p. 306); Pietrasanta 1981 (p. 151); Milano 1985 (n. e fig. 46); Milano 1986 (n. e fig. 10); Londra 1989 (n. e fig. 111); Matera 1989 (n. e fig. 43); Milano 1989 (n. 17); Parigi-Londra-Firenze 1991 (n. e fig. 31, pp. 110-111); Bolzano 1994 (pp. 66-67); Venezia 1995 (n. e fig. 104, p. 252); Parigi 1997 (n. VI e 37, p. 532); Marco Goldin, a cura di, "Da Ca' Pesaro a Morandi. Arte in Italia 1919-1945 dalle collezioni private", Conegliano, Palazzo Sarcinelli, 21 aprile - 30 giugno 2002
Stato di conservazione. Supporto: 50% (segmentazioni conseguenti all’uso per fusione; fessurazioni soprattutto sulla base, dovute a distribuzione non uniforme del peso in fase di trasporto; tassellature di fissaggio alla base; integrazioni e restauri con gessi di diversa pasta, soprattutto alla base; danni da urto e da frizione minori, soprattutto alla base)
Stato di conservazione. Superficie: 85% (depositi; differenze cromatiche dovute alle diverse paste di gesso)
Arturo Martini termina il gesso "Tobiolo" - capolavoro della sua fase matura - verso la fine del 1933, mentre il bronzo, da collocare nella piscina del parco di Villa Ottolenghi Wedekind ad Acqui Terme, viene fuso all'inizio del 1934. Sul piano formale, come racconta nei "Colloqui sulla scultura" (1944-1945), l'artista si ispira alla Fontana di Bartolomeo Ammannati in piazza della Signoria a Firenze, avendo però come modello - se ne ha conferma nella corrispondenza con i committenti - una piccola scultura, raffigurante un pescatore che stringe tra le mani un pesce: di Herta Ottolenghi-Wedekind, essa stessa artista. Tant'è che Martini fu inizialmente soltanto incaricato di portare in dimensione naturale il bozzetto, Arturo Ottolenghi intendeva collocare al centro della piscina la scultura della moglie. Ma Martini prese una propria via, di innovazione anche rispetto alle proprie esperienze precedenti e che gli valse per la prima volta l'apprezzamento unanime della critica, fino alla consacrazione alla Mostra d'Arte Italiana a Parigi: il "Corriere della Sera" riprodusse la scultura in prima pagina, il 17 maggio 1935, con le autorità italiane e francesi in ammirazione.
Il soggetto è preso dalla Bibbia, in particolare dal capitolo VI del Libro di Tobia, dove si racconta come Tobia ha trovato in un pesce il medicamento per la cecità del padre Tobi: «Il giovane partì insieme con l'angelo e anche il cane li seguì e s'avviò con loro. Camminarono insieme finché li sorprese la prima sera; allora si fermarono a passare la notte sul fiume Tigri. Il giovane scese nel fiume per lavarsi i piedi, quand'ecco un grosso pesce balzò dall'acqua e tentò di divorare il piede del ragazzo, che si mise a gridare. Ma l'angelo gli disse: «Afferra il pesce e non lasciarlo fuggire». Il ragazzo riuscì ad afferrare il pesce e a tirarlo a riva. Gli disse allora l'angelo: «Aprilo e togline il fiele, il cuore e il fegato; mettili in disparte e getta via invece gli intestini. Il fiele, il cuore e il fegato possono essere utili medicamenti». Il ragazzo squartò il pesce, ne tolse il fiele, il cuore e il fegato; arrostì una porzione del pesce e la mangiò; l'altra parte la mise in serbo dopo averla salata. Poi tutti e due insieme ripresero il viaggio, finché non furono vicini alla Media. Allora il ragazzo rivolse all'angelo questa domanda: «Azaria, fratello, che rimedio può esserci nel cuore, nel fegato e nel fiele del pesce?». Gli rispose: «Quanto al cuore e al fegato, ne puoi fare suffumigi in presenza di una persona, uomo o donna, invasata dal demonio o da uno spirito cattivo e cesserà in essa ogni vessazione e non ne resterà più traccia alcuna. Il fiele invece serve per spalmarlo sugli occhi di uno affetto da albugine; si soffia su quelle macchie e gli occhi guariscono».
Il tema della scultura riposa dunque nella ricerca, nel coraggio, nella scoperta e nello stupore, in stretto rapporto con la poetica del Realismo magico, che lo scultore abbraccia alla ricerca di una forma pura, distanziandosi dalle movenze arcaiche a lungo sperimentate e qui riecheggiate soltanto nello sguardo 'etrusco' di Tobia/Tobiolo.
La scultura è imponente, Martini decide di sottolinearne la forza, con un modellato leggermente più grande del reale, in linea con la visione distanziata in ambiente aperto. A seguito del successo prima alla galleria Milano, aperta a Milano nel 1928 dal critico d’arte ed editore Enrico Somarè, e poi alla Biennale di Venezia, nel 1934, l'opera fu ceduta sia nella versione in gesso sia in quella in bronzo agli Ottolenghi. Il gesso fu più tardi riscattato da Martini che lo ha conservato nella Casa Museo di Vado Ligure.
Dove è stato acquistato da Veneto Banca direttamente dagli eredi Martini, nel 2002, quale «gesso originale del "Tobiolo"», con il diritto "a trarne una copia in bronzo", che fu collocata nel parco del centro direzionale dell'Istituto di Credito a Montebelluna. Frattanto il bronzo originale di Villa Ottolenghi Wedekind è stato sostituito da una copia. I bronzi sono oggi, dunque, tre, di cui due autorizzati (quello originario Ottolenghi e quello di Veneto Banca), ed uno non autorizzato (quello ora a Villa Ottolenghi Wedekind).
La condizione del gesso mostra i segni dell'impiego per la produzione in bronzo, in particolare le linee di arginatura dei pezzi di stampo. La struttura in gesso ha una armatura in ferro interna. L'opera è stata oggetto di un accurato restauro nel 2007 da parte di Nuova Alleanza.
L'opera si presenta ancorata, con viti passanti la base, ad un piano di liste di legno, a loro volta fissate ad una struttura di metallo. Il peso della struttura in metallo rende necessaria la massima attenzione negli spostamenti poiché se essa si flette si aprono alcune leggere fessurazioni già esistenti nel gesso. La terza immagine del corredo fotografico mostra il basamento in legno e metallo. Nelle altre immagini il basamento è stato eliminato fotograficamente al solo fine di focalizzare l'attenzione sulla scultura.
La scultura è stata fotografata con luci di diverso colore per consentire il più attento apprezzamento della superficie e dei volumi.



















