Presale LA GRAZIA E LA FORZA. PARTE I. BASI D'ASTA RIDOTTE
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Lot 105 Josè Guevara (1926 - 2010)
La corrida, 1990
Olio su masonite
81 x 53,5 cm
Firma: “Guevara” al recto e sul verso
Data: sul verso, “1991”
Altre iscrizioni: sul verso, autentica dell’artista con dati relativi all’opera
Elementi distintivi: sul verso, etichetta Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana con riferimenti di inventario; una etichetta anonima con dati dell’opera
Provenienza: Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95% -
Lot 106 Paolo da San Lorenzo (1935)
Veduta parziale del sogno, 1999
Olio su tela
50,1 x 69,7 cm
Firma: “Paolo da San Lorenzo”, al recto
Elementi distintivi: sul telaio due etichette con riferimento agli inventari della banca e stampigliature del produttore e delle dimensioni; al verso della tela certificato di garanzia dell’autore
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95% -
Lot 107 Luca Alinari (1943 - 2019)
Ricordi d’infanzia
Serigrafia su carta
68,5 x 69 cm (lastra)
Firma: “Alinari” al recto a matita
Altre iscrizioni: tiratura “100/175” al recto a matita
Elementi distintivi: sul verso, etichetta della Galleria d’Arte Martinazzo, Montebelluna; etichetta della Banca Popolare di Asolo e Montebelluna con riferimenti di inventario
Provenienza: Galleria d’Arte Martinazzo, Montebelluna; Banca Popolare di Asolo e Montebelluna; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95% -
Lot 108 Andrea Locatelli (1695 - 1741), attribuito a
Polifemo con Aci e Galatea
Olio su rame
59,8 x 74,3 cm
Elementi distintivi: al verso del rame, a gesso, numero “1075”; al verso della cornice un numero, forse di inventario, a pennarello
Provenienza: Collezione privata (fino al 2011); Veneto Banca SpA in LCA
Bibliografia: Catalogo Finarte - Semenzato, Venezia, 27 marzo 2011 (lotto 462)
Stato di conservazione. Supporto: 80% (danni minori da sfregamento e urto, per esempio al volto di Polifemo)
Stato di conservazione. Superficie: 70% (graffi, cadute di colore e integrazioni)
L'opera venne attribuita a Francesco Cozza (1605-1682) da Maurizio Marini, con datazione al 1664-1665, in paragone, in particolare al "Paesaggio con il figliuol prodigo" nella collezione di Burghley House, datato 1667, al "Paesaggio con Agar e l'Angelo", datato 1665 conservato presso lo Statens Museum fur Kunst di Copenaghen, ed al dipinto di analogo soggetto, datato 1664, oggi presso il Rijksmuseum Amsterdam, con richiamo, per la figura di Polifemo, ai ciclopi affrescati da Cozza tra il 1658 e il 1661 nella stanza del fuoco del Palazzo Pamphili a Valmontone. L'identificazione dell'autore con Cozza è stata accolta nella scheda d'asta predisposta da Semenzato nel 2011(Venezia, 27 marzo 2011, lotto 462).
L'attribuzione è contestata da Ludovica Trezzani, curatrice del catalogo ragionato dell'artista (comunicazione dell'8 giugno 2021), e da Erich Schleier (comunicazione del 4 giugno 2021), i principali studiosi dell'autore. Schleier segnala «le forme un po' tornite e frastagliate delle figure» solo apparentemente prossime a Cozza, disegnate su «un paesaggio fantastico non tipico del Cozza, che fu allievo del Domenichino», nella cui produzione non si registrano paesaggi panoramici, a volo d'uccello. In accordo con Mary Newcome, lo studioso sottolinea come «Specialmente le montagne azzurre nella lontananza [siano] impossibili per Cozza», segnalando «l’impressione che il quadro non sia italiano, ma francese o fiammingo-francese intorno al 1700».
Rossella Vodret vi legge la mano «di Carlo Saraceni o di qualcuno a lui molto vicino» (comunicazione del 5 giugno 2021), con evidente richiamo alle opere su rame a tema mitologico del maestro veneziano, in genere di dimensioni di poco superiori a 40x50 cm, per esempio la serie di tre opere dedicata al "Volo di Icaro", il "Ratto di Ganimede", "Salmace ed Emafrodito" e "Arianna abbandonata a Nasso", provenienti dalla collezione Farnese e databili al 1605-1608, oggi al Museo di Capodimonte, Napoli (inv. Q151-Q156). Anche il paesaggio, in particolare nella resa della vegetazione, offre raffronti con l'opera di Saraceni, per esempio con la "Apparizione di un angelo alla moglie di Manue", conservato presso la Öffentliche Kunstsammlung di Basilea, e databile al 1610. Altri dettagli, come il regolare incresparsi delle onde, l'esuberanza fantastica dello sfondo paesistico e lo slancio dei panneggi più difficilmente si confrontano con il catalogo di Saraceni.
Anna Ottani Cavina, per contro, esclude «ogni riferimento a Saraceni e al primo Seicento», considerando pertinente «l'area cronologica indicata da Maurizio Marini, in età barocca, nel secondo Seicento», in «ambiente probabilmente romano» (comunicazione del 22 febbraio 2022). Anche Massimo Francucci, esclusa la attribuzione a Cozza, non avverte legami sufficientemente forti con la serie di Capodimonte di Saraceni né ritiene che «il dipinto sia così precoce»: sottolineando la «qualità ragguardevole», ne rileva alcuni elementi «non troppo italiani» suggerendo come possibile soluzione «l'ambito di Schonfeld» (comunicazioni del 5 e 7 giugno 2021). Francesco Petrucci intravede «un minore, forse nordico» (comunicazioni del 5 giugno 2021). L'eco nordica appare forte anche a Angela Negro, che considera l'opera meglio avvicinabile al gusto di Filippo Lauri, così confermando una datazione avanzata nel secolo ed una maniera lontana da Cozza «sanguigno, monumentale, post caravaggesco nel gioco delle luci e delle ombre» allorché il dipinto di Veneto Banca appare «nella resa del paesaggio e delle figure ... pre-arcadico, come appunto fu Lauri che introduce alla pittura settecentesca di Trevisani» (comunicazioni del 7 e 8 giugno 2021). Riccardo Lattuada avvicina il rame al mondo di Pieter Mulier, il Tempesta, e, secondariamente, di Carlo Antonio Tavella, «anche nelle citazioni dei modi e delle invenzioni da Salvator Rosa» (comunicazione del 7 giugno 2021).
Claudio Strinati, che all'opera ha dedicato la scheda critica pubblicata in calce, conferma di contro il legame con Venezia, patria di Saraceni, precisando però l'autore in Joseph Heintz il giovane (1600 ca. - 1678), con datazione verso il quinto decennio del Seicento (comunicazione del 2 luglio 2021). Daniele D'Anza conferma l'elevato interesse e complessità del dipinto, ma su base fotografica non ritiene di potersi esprimere sulla attribuzione (comunicazione del 6 luglio 2021). Daniela Gallavotti Cavallero e Marco Cannone non concordano con la attribuzione ad Heintz, considerando anomala la ambientazione naturalistica e distante la tecnica pittorica («Heintz costruisce le forme per piccoli tocchi cromatici rialzati di bianco»), mentre segnalano il valore della attribuzione a Francesco Cozza, in quanto, «pur non calzante, indirizza, a nostro parere correttamente, verso l'ambito della cultura figurativa classicista, probabilmente non veneziana» (comunicazione del 21 luglio 2021).
Le letture degli esperti nel loro insieme sembrano riportare ad un autore non nominato, il cui stile richiama però da vicino il trattamento del cielo, delle fisionomie, delle fronde e molte altre soluzioni formali del dipinto in esame: Andrea Locatelli (1695–1741). Si paragoni, per esempio, la tela in esame al "Paesaggio con Venere e Adone" già a Sotheby's, New York (28 gennaio 2016, l. 329).
Ringraziamo, per il prezioso supporto dato alla schedatura, Marco Cannone, Daniele D'Anza, Daniela Gallavotti Cavallero, Massimo Francucci, Riccardo Lattuada, Angela Negro, Mary Newcome, Anna Ottani Cavina, Francesco Petrucci, Erich Schleier, Ludovica Trezzani, Rossella Vodret, Claudio Strinati.
Una nuova proposta per Joseph Heintz il giovane
Scheda critica di Claudia Strinati
La rappresentazione del mito di Polifemo, Aci e Galatea è condotta in questo quadro su rame con notevole arguzia e ironia rispetto ai modelli iconografici del tempo.
La Ninfa non è ancora salita sul carro navigante che la porterà lontano accompagnata dai tritoni e dalle nereidi; Polifemo ha afferrato il gigantesco masso con cui intende colpire Aci reo di sottrarle la fanciulla desiderata; mentre Aci a sua volta ha l'aspetto inconsueto di un giovane baldanzoso e tutt'altro che intimorito e schiverà facilmente l'immane proiettile di pietra scagliatogli contro da Polifemo. Questi ha un'aria erculea mentre la Ninfa è dipinta con elegante finezza accentuata dal drappo che si gonfia a vela sulla sua testa. Ha l'aria spaventata ma anche qui fino a un certo punto quasi beffandosi dell'inconsistente pericolo con aria maliziosa e ingenua nel contempo.
Il paesaggio è coerente con l'impostazione generale del pregevole dipinto. La superficie pittorica, esaltata dal magnifico supporto del rame, è tersa, limpida e insieme articolata tra il fitto bosco da cui spunta Polifemo infuriato e l'orizzonte lontano disseminato di montagne. Il mare, che sarebbe il fattore predominante dal punto di vista visivo della vicenda, quasi non si vede e proprio qui rifulge il punto cruciale della questione interpretativa di quest'opera.
Il quadro, infatti, incorpora in sé una sorta di narrazione del mito distorta in chiave ironica e stravagante.
Si tratta di una mentalità figurativa tipica di quella fase della storia della pittura europea che corrisponde all'incirca al periodo che va dal terzo al quinto decennio del Seicento e culmina a Venezia e alla cultura veneta, ove ritengo debba essere incardinata quest'opera così bella, fresca e sensibile.
A Venezia, infatti, sull'onda del trionfo su scala europea della grande tradizione tizianesca e postizianesca, affluisce una vera e propria colonia di artisti provenienti dai Paesi Bassi e dall'area germanica, molti dei quali restano nell'ambito di attività marginali di paesaggisti, di pittori di genere o ritrattisti, mentre altri creano una vera e propria scuola potentemente originale e innovativa che si pone in bilico tra gli esiti estremi del cosiddetto manierismo internazionale e i primi impulsi in chiave barocca.
Il nostro quadro, qui in esame, deve essere stato eseguito, a parer mio, in quella temperie storica, probabilmente proprio a Venezia e da uno dei massimi esponenti di questa linea di tendenza innovativa: Joseph Heintz il giovane, il pittore nato a Augusta intorno all'anno 1600 (la data esatta si ignora) che, formatosi in patria, risulta già presente e attivo a Venezia dalla metà del terzo decennio per restarvi poi per il resto di una operosissima vita durata fino al 1678, anno della sua scomparsa dopo una carriera gloriosa che fece di lui uno dei massimi protagonisti di quella dimensione estetica dai contemporanei definita come "capriccio", termine che mutò poi significato nel Settecento ma che all'epoca significava la predilezione per rappresentazioni, tratte dai preziosi scrigni dell'iconografia imperiale asburgica, tali da trasformare il millenario patrimonio iconografico della mitologia greca e della religione cattolica in materia di supremo divertimento e di suprema bellezza e freschezza dell'immaginazione.
Se si confronta il nostro quadro con la celeberrima "Allegoria della Sapienza" dipinta da Heintz il giovane verso al fine della sua carriera nel 1674 e conservata oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna, sembra plausibile scorgere, sia pure a molti anni di distanza, la stessa mano e persino la stessa tipologia di figure rispetto al nostro quadro, ma, nell'opera di Vienna, molto più avanzata e tumultuante a cospetto del nostro "Polifemo, Aci e Galatea". E' probabile, infatti, che il nostro dipinto qui in esame, per motivi strettamente stilistici, debba esser datato piuttosto nel corso del quinto decennio del Seicento, quando Heintz il giovane fu tra l'altro in rapporti interessanti con numerosi colleghi attivi a Venezia tra cui il grande Nicolas Regnier, all'epoca molto influente sulla cultura artistica locale.
Doveva avere, Heintz il giovane, una posizione di enorme successo se si pensa come documenti certi attestino che nei primi anni del quinto decennio Heintz risulti a Venezia l'artista più tartassato dalle tasse insieme con il Padovanino, celebre allievo di Tiziano, e appunto Nicolas Regnier, il che la dice lunga sulla sua eminente figura.
La figura di Polifemo nel nostro quadro risulta pressoché identica a quella dell'Ercole che, accanto alla figura del Tempo, fiancheggia nel quadro di Vienna l'immagine centrale della Sapienza che si volge elegantemente estatica verso l'empireo che la sovrasta brulicante di presenze. La stessa figura di Galatea nel nostro dipinto, del resto, è paragonabile direttamente alla Sapienza di Vienna, una immagine di sintesi universale del mondo immaginario di Heintz, così come ricostruito magistralmente in sede filologica dagli studi di Daniele D'Anza, in particolare nel suo articolo determinante, "Uno stregozzo di Joseph Heintz il giovane", in Arte in Friuli, Arte a Trieste, 24, 2006; studi ripresi e sviluppati ultimamente da Marco Cannone e Daniela Gallavotti, "Dipinti inediti e nuove attribuzioni per Joseph Heintz il giovane", in "Storia dell'Arte" 139, 48-83, 2014.
Nel nostro quadro il mostro marino che dovrebbe presumibilmente trascinare il carro marino di Galatea già adombra quelle figure di curiosi esseri metafisici che Heintz il giovane poté mediare, inserendole a piene mani in tante sue opere, dalla conoscenza della cultura figurativa di Bosch e Brueghel, che riprodusse e rielaborò poi nelle forme più stravaganti e sottili nei suoi innumerevoli capolavori profani.
Artista filosofo, disincantato contestatore del mito ma nel contempo sottile esoterista, Heintz il giovane mi appare come l'autore del nostro quadro, in una fase ancora relativamente giovanile ma comunque già dominatore del suo stile ipercolto e insieme dottamente ammiccante allo spirito divertito e disincantato del popolo e del patriziato veneziano, cui seppe dare forme interessanti, fantasiose, edonisticamente orientate ma anche gravide di un senso di realismo e di pregnanza della forma che lo hanno portato ad assumere un ruolo eminente nell'arte del tempo. -
Lot 109 Piergiorgio Rebesco (1936 - 2020)
Perenne ascesa, 2004-2005
Bronzo, marmo
300 x 147,5 x 188 cm (la scultura)
72 x 252 x 150,5 cm (il basamento - parte esposta)
Firma: sulla base in bronzo, in fusione, "P. G. Rebesco"; sulla targa affissa al basamento, in fusione, "P. G. Rebesco"
Data: sulla base in bronzo, in fusione, "2004 fuse 2005"
Altre iscrizioni: sulla targa affissa al basamento, in fusione, "PERENNE ASCESA"
Elementi distintivi: sulla base in bronzo, marchio della "FONDERIA ARTISTICA GUASTINI GAMBELLARA VICENZA"
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Bibliografia: Aa. Vv., "L'opera di Piergiorgio Rebesco", Asolo, 2005, pp. 114-115
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95% (depositi)
La scultura è conservata nel parco dell'ex Centro Direzionale di Veneto Banca SpA in Via Feltrina Sud N. 250 a Montebelluna. -
Lot 110 Maurizio Piovan (1953)
Tristezza, 1976
Olio, matita e pastelli su tela
80 x 90 cm
Firma: “M Piovan” al recto
Data: “76” al recto
Altre iscrizioni: nome, indirizzo e numero di telefono dell’artista sul verso
Elementi distintivi: sul verso, etichetta del “IV Premio di Pittura Concorso Nazionale”, S. Lucia di Piave con dati relativi all’opera
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Esposizioni: “IV Premio di Pittura Concorso Nazionale”, S. Lucia di Piave
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95% -
Lot 111 Ottorino Stefani (1928 - 2016)
Memoria di paesaggio, 1971
Olio su tavola
60 x 79,5 cm
Firma: “Stefani” al recto; illeggibile sul verso
Elementi distintivi: sul verso, etichetta con titolo e data; timbro con titolo e data; etichetta della Banca Popolare di Asolo e Montebelluna con riferimenti di inventario
Provenienza: Banca Popolare di Asolo e Montebelluna; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95%
Nativo di Volpago del Montello, Stefani ha vissuto gran parte della sua vita a Montebelluna. Legato a personalità della cultura locale come Orazio Celeghin e Manlio Dazzi, frequentò l’Accademia di Belle Arti e la Facoltà di Architettura di Venezia, avvicinandosi alla lezione di Bruno Zevi e Carlo Scarpa. Si laureò nel 1978 con una tesi su Antonio Canova, autore cui dedicò importanti studi, così come a Noè Bordignon, Luigi Serena, Luigi Bianchi Barriviera e Renzo Biasion. Per trent’anni insegnò disegno e storia dell’arte presso l’Istituto Magistrale di Montebelluna, dedicandosi costantemente alla pittura. A Ottorino Stefani si devono anche numerose raccolte poetiche ed il saggio "Itinerari autobiografici". Bibliografia di confronto: Marco Goldin e Alberico Sala, a cura di, "Ottorino Stefani", Cornuda, 1989. -
Lot 113 Ivo Pannaggi (1901 - 1981)
Fabbrica
Litografia su carta
44 x 66 cm (luce)
Firma: “IvoPannaggi” al recto a matita
Altre iscrizioni: tiratura “96/100” al recto a matita
Elementi distintivi: sul verso, una etichetta anonima con dati dell’opera; etichetta della Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana con riferimenti di inventario
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95% -
Lot 114 Franco Angeli (1935 - 1988)
Piramide
Acrilico su tela
90 x 90 cm
Firma: "Franco Angeli" al verso della tela
Altre iscrizioni: "Livio Collina" e sigla a matita non decifrabile al verso della tela; "A51" al verso del telaio
Elementi distintivi: sul verso, etichetta Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana con riferimenti di inventario e etichetta analoga anonima
Provenienza: Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 90% (intervento di pulitura da aggressione fungina, con tracce al verso della tela)
Stato di conservazione. Superficie: 90%
L'opera è in corso di archiviazione presso l'Archivio Franco Angeli, Roma. -
Lot 115 Helidon Xhixha (1970)
Donna in tre colori
Metallo sagomato e laccato a campione
124,5 x 119,3 x 7,2 cm
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95% (danni minori da urto e sfregamento)
È possibile che l'opera sia stata elaborata da Helidon Xhixha su disegno o in collaborazione con il fratello Ilirjan (1964), anch'egli artista di fama. -
Lot 117 Josè Guevara (1926 - 2010)
Natura morta, 1991
Olio su masonite
54 x 81 cm
Firma: “Guevara” al recto e sul verso
Data: sul verso, “1991”
Altre iscrizioni: sul verso, autentica dell’artista con dati relativi all’opera
Elementi distintivi: etichetta Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana con riferimenti di inventario
Provenienza: Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 90%
Stato di conservazione. Superficie: 95% -
Lot 118 Roberto Poloni (1938)
Limoni
Olio e sabbia su tela
50 x 40 cm
Firma: “Poloni” al recto; “Roberto Poloni” sul verso
Altre iscrizioni: “Limoni”, “opera mia autentica” sul verso
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95% -
Lot 120 Giovanni Battista Salvi, detto il Sassoferrato (1609 - 1685)
Madonna in adorazione del Bambino dormiente
Olio su tela
37,2 x 43,6 cm
Elementi distintivi: sul verso, etichetta Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana con riferimenti di inventario
Provenienza: mercato antiquario, Bologna (fino al 2000); Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana (fino al 2010); Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana; Veneto Banca SpA in LCA
Bibliografia: Piccinini 1931, p. 30; Enggass, 1962; François Macé de Lépinay, "Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato", Milano, 1990, pp. 84, 129, nn. 30, 64; Massimo Pulini, "Il minimalismo della bellezza", in Massimo Pulini, "Il Sassoferrato. Un preraffaellita tra i puristi del Seicento", Milano, 2009, p. 31; Arianna Bardelli, scheda dell'opera, in François Macé de Lépinay, a cura di, "Il Sassoferrato. La devota bellezza. Devout beauty", Milano, 2017, pp. 234-235 (rip.)
Esposizioni: "Il Sassoferrato. La devota bellezza. Devout beauty", a cura di François Macé de Lépinay, Sassoferrato, Palazzo degli Scalzi e Monastero di Santa Chiara, 17 giugno - 5 novembre 2017, cat. 53
Stato di conservazione. Supporto: 80% (il tondo originale è stato trasportato in antico su una tela di rifodero rettangolare, prima del 2000)
Stato di conservazione. Superficie: 85% (superficie leggermente consunta; moderate integrazioni e ritocchi sulla pittura originale; completa integrazione delle parti della tela di rifodero esuberanti la superficie del dipinto)
Il dipinto proviene dal mercato antiquario bolognese, dove fu acquistato nel 2000 dalla Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana, con la consulenza di Andrea Emiliani. Nel novembre 2016, durante l'organizzazione della mostra "La Devota Bellezza", François Macé de Lépinay "ha esaminato la tela e ne ha riconosciuto la autografia al Sassoferrato, sottolineandone l'assoluto pregio, la raffinatezza e intensità" (Bardelli 2017, p. 53). Il dipinto raffigura la Madonna in adorazione del Bambino dormiente e deriva da un celebre modello di Guido Reni, di cui Cornelis Bloemart ha realizzato una incisione diffusa a Roma da Giovanni Giacomo de Rossi. Robert Engass ha studiato il successo e la diffusione del modello reniano, attraverso la richiesta di un crescente numero di copie da parte del pubblico. Anche Sassoferrato realizzò numerose copie, tuttavia mai identiche al modello originale. Le versioni note - tra cui la tela di Veneto Banca, la tela della Galleria Parmeggiani di Reggio Emilia, quella della Galleria Nazionale di Roma ed una tela apparsa da Pierre Bergé & Associés (08/12/2017, l. 22) - si distinguono per il diverso uso del colore, sempre brillante e intenso, accentuato in senso teatrale. Il dipinto in asta si caratterizza per l'elevata qualità pittorica e gli intensi contrasti di luce, che fanno risaltare il viso di Maria, le mani giunte, il corpo del bambino e il telo sullo sfondo, donando al dipinto un effetto di preziosa intimità. Come osserva Massimo Pulini, Sassoferrato utilizza "una sorta di triade cromatica equidistante e perfetta": "il bianco, solitamente ingiallito da una goccia di ocra, il blu oltremare, ottenuto tramite un azzurro minerale inconfondibile, e il rosso, mai puro, ma sempre mescolato in piccole dosi a qualche altro colore" (Bardelli 2017, p. 53).
Ringraziamo il Prof. Massimo Pulini per aver ulteriormente confermato la autografia dell'opera. La nostra nota di catalogo è ampiamente debitrice nei confronti di Arianna Bardelli e della scheda da lei curata per la mostra del 2017. -
Lot 121 Orazio De Ferrari (1606 - 1657), ambito di
San Daniele nella fossa dei leoni
Olio su tela
108 x 134,5 x 3 cm
Altre iscrizioni: al verso iscrizione recente in lettere maiuscole, "STROIFI ERMANNO PADOVA 1616 VENEZIA 4/7/1693"
Elementi distintivi: sul verso, etichetta Casa d’aste Semenzato (lotto 465), altre due etichette ed una annotazione in gesso con numero di inventario ("986") con numeri
Provenienza: Sotheby's, Firenze (23.05.1979, l.986); Casa d’aste Semenzato, Venezia (26-27 marzo 2011, l.465, stima: € 35.000-40.000); Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 70% (reintelo, importante deformarzione da pressione della tela a destra e sinistra, in particolare sulla fascia superiore)
Stato di conservazione. Superficie: 80% (craquelures, cadute di colore, un punto di cedimento della tela da perforazione in basso a sinistra in corrispondenza di una caduta di colore)
L'opera è catalogata, pur dubitativamente, come Orazio De Ferrari da Federico Zeri (Fototeca Zeri, scheda 58661), per evidente relazione con altre opere nella sua fototeca come la tela con "Santa Maria Maddalena penitente con un angelo" passata da Rubinacci nell'ottobre 1975 (scheda 58683) o il "Sant'Agostino che lava i piedi di Cristo nelle vesti di pellegrino" della Accademia Ligustica (scheda 58678). Maurizio Marini (nota peritale conservata in copia), conserva la attribuzione, collocando l'opera alla metà del XVII secolo, nella piena maturità dell'artista. Anche Marco Horak, in una importante scheda critica, ritiene l'opera autografa di De Ferrari, riscontrandone «la derivazione dei modi di Giovanni Andrea Ansaldo, figura tipica dell'eclettismo della pittura genovese di inizio Seicento, tanto che nelle sue tele si possono trovare influenze di Rubens e di Anton van Dyck, da cui riprese la vivacità coloristica, e dei milanesi Cerano, Giulio Cesare Procaccini e Morazzone, richiamati dall'intonazione patetica di molti suoi soggetti, ma anche di certa pittura caravaggesca. E nel "San Daniele nella fossa dei leoni" si notano in effetti tutte queste influenze, perfino un certo contrasto luministico tipico della pittura cavaraggesca, ma soprattutto sono chiare le derivazioni dalla pittura dell’Ansaldo, a sua volta mutuata dal colorismo di Rubens e van Dyck (entrambi presenti temporaneamente a Genova) nonché il rinvio ai modi di esponenti della pittura lombarda del Seicento. Il colorismo di cui si è detto, così come il contrasto luci/ombre, li ritroviamo con rese simili in molte altre opere di Orazio, come nello splendido e vivace "Ratto delle Sabine" della collezione Zerbone, nell’"Ester davanti ad Assuero", battuto dalla casa d’aste genovese Cambi o nel S. Antonio da Padova e il miracolo del piede riattaccato, apparso in tempi ancora recenti sul mercato dell'arte».
Massimo Pulini ritiene l'opera ispirata a De Ferrari, ma eseguita da un autore meno abile, che può, a prima impressione, ricordare Stefano Magnasco, o in subordine Giovanni Battista Merano, ipotesi comunque da verificare con ulteriore ricerca (comunicazione del 29 giugno 2021). Altre idee attributive sono state avanzate nel tempo (Francesco Zugno, da parte di D. Bodart, cfr. Semenzato 2011; Ermanno Stroiffi, forse sul mercato, appuntata al retro del telaio).
Quanto allo stato conservativo va segnalato che la importante deformazione bilaterale della tela, indicata nella apposita nota, non è facilmente visibile in fotografia.
Ringraziamo Marco Horak e Massimo Pulini per il supporto nella catalogazione dell'opera. -
Lot 122 Roberto Moschini (1937 - 2023)
Prove di scena, 1985
Calcografia su carta
57 x 76,4 cm
Firma: "Roberto Moschini" a matita al recto
Data: "85" a matita al recto
Altre iscrizioni: titolo ("Prove di scena") e tiratura ("7/40") a matita al recto
Elementi distintivi: sul verso, etichetta Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana con riferimenti di inventario ed analoga etichetta anonima
Provenienza: Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 90%
Stato di conservazione. Superficie: 70% (ingiallimento localizzato) -
Lot 123 Guelfo Bianchini, detto Guelfo (1937 - 1997)
Senza titolo, 1959
Litografia su carta
14,1 x 26,8 cm (luce)
Firma: "Guelfo" a matita al recto
Data: "59" a matita al recto
Altre iscrizioni: indicazione della tiratura ("XX/LX") a matita al recto
Elementi distintivi: sul verso, etichetta Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana con riferimenti di inventario e analoga etichetta anonima; timbro dell'editore a secco
Provenienza: Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 90%
Stato di conservazione. Superficie: 90%
Fra il 1957 e il 1963 Guelfo è a Roma e stringe rapporti con Francalancia, Bartolini, De Chirico e Cocteau. Nel 1961 è invitato da Oskar Kokoschka nel castello di Salisburgo, dove conosce Manzù. Esegue la serie di disegni "Viaggio in Austria" e ritrae Kokoschka ricevendo in cambio dall’artista austriaco il "Ritratto di Guelfo – Velfen". Conosce Marc Chagall che gli dona il disegno "Profilo di Guelfo" e in occasione del compleanno dell’artista russo Guelfo gli regalerà "Chagall ironico" (coll. Vence, Francia). Fra il 1965 e il 1973 compie numerosi viaggi in Francia dove incontra Magnelli, Picasso e Mirò. Grazie all’amicizia di George Visat, editore parigino, inizia una collezione di opere su carta. Dal 1957 il suo Studio dell’Orologio, situato all’ombra della torre dell’orologio del Borromini, è punto d’incontro e poi sede di un conciliabolo di stravaganti cultori della patafisica («scienza delle soluzioni immaginarie» che si propone di studiare «ciò che si aggiunge alla metafisica, estendendosi così lontano al di là di questa quanto questa al di là della fisica», secondo la definizione dello scrittore francese A. Jarry). Viaggia a Berlino, in Grecia e Parigi, dove incontra Ernst, Tanning, Matta, Ray, Bellmer. Questi due ultimi eseguiranno foto e disegni per Guelfo. Nel ’71 fonda il “Giornale invisibile TIC biografici” e il Museo Internazionale l’Orologio. Conosce Buñuel, Hans Richter, Masson che lo ritrae in un disegno. Conosce Hartung, invitato dalla sua scuola, e Lam a Parigi.
Nel 1974 viaggia attraverso Olanda, Danimarca, Francia. Guidi e Cagli disegnano un suo ritratto. A Parigi conosce Dalì che schizza un suo profilo e le Gallerie di Visat e Berggruen espongono le sue opere. Nel 1977 è Pericle Fazzini a eseguire un suo ritratto. Nel 1978 viene fondata l’Associazione Museo Internazionale d’Arte Moderna – l’Orologio a Fabriano e Guelfo è presidente. Madame Arp dona l’opera "Idol" di Jean Arp come simbolo del Museo di Guelfo. Nel 1979 entra come protagonista nel romanzo "La torre dell’Orologio" di Franco Simongini. Esce il filmato nella rassegna televisiva “Artisti d’oggi” "Guelfo e la torre dell’orologio" con un testo di Giuliano Briganti e intervista di Sergio Pautasso, musiche Alvin Curran. Il "Giornale Invisibile TIC (Diario di bordo biografico)" diventa visibile ed esce in edizione d’arte: "TIC di Guelfo, ovvero capricci a volo, Giorgio De Chirico, Guelfo e gli amici volanti", stampato a Roma da M. De Rossi, con la collaborazione di De Chirico, Arp, Dalì, Fazzini, Guidi, Kokoschka, Manzù, Mirò, Ray, Strazza, Turcato, poesie di Borges e altri. Al 1980 risalgono gli studi per un suo ritratto da parte di Riccardo Tommasi Ferroni. Angela Redini gli dedica un servizio televisivo: “Guelfo in bicicletta nei cortili barocchi di Roma”.
Nell'ultimo periodo della vita, si dedica anche alla produzione di vetrate. Tra le più prestigiose, quelle realizzate tra il 1983 e il 1997 per la chiesa di San Giuseppe Lavoratore di Fabriano.
Un importante nucleo di sue opere è conservato presso la Pinacoteca Civica Bruno Molajoli di Fabriano, città che ospita anche la casa-museo dell'artista, in cui è esposta la sua collezione. -
Lot 125 Giuseppe Migneco (1903 - 1997)
Donna seduta con cappello
Inchiostro su carta da spolvero
50 x 35 cm
Firma: “Migneco” al recto
Provenienza: Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 85% (pieghe)
Stato di conservazione. Superficie: 95%