ASTA 98 - DIPINTI, DISEGNI E SCULTURE DAL XIV AL XIX SECOLO
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Lot 241 ARTISTA FIAMMINGO ATTIVO IN ITALIA, FINE XVI / INIZIO XVII SECOLO
San Francesco in meditazione
Olio su tela, cm. 90x71. Con cornice -
Lot 242 ARTISTA FIAMMINGO (ATTIVO IN EMILIA ROMAGNA?), SECONDA METÀ XVI SECOLO
Ecce Homo
Olio su tavola, cm. 41x34. Con cornice
Ecce Homo
Olio su tavola, cm. 41x34. Con cornice
In quest'intensa immagine, carica di un pathos dolente, si ritiene di rinvenire la mano di un artista di formazione nordica, ben aggiornato, però, sui modelli della pittura italiana, in primis leonardesca e correggesca. Il nostro notevole dipinto richiama, più speficamente, esiti legati alla produzione bolognese della bottega dei Carracci: dalla celebre acquaforte di Agostino del 1587, alle varie rappresentazioni del tema, nel formato devozionale a figura singola a mezzo busto, da riferire alla responsabilità di Ludovico e Annibale. Meritano di essere segnalate soprattutto l'alta qualità della mano che regge la canna, l'effetto delle labbra livide e la liquidità delle pupille e dell'iride. -
Lot 243 GIOVANNI ANTONIO GALLI DETTO LO SPADARINO (Roma, 1580 - post 1650), ATTRIBUITO
Tre Cherubini
Olio su tela, cm. 52x68. Con Cornice
Gruppi angelici o anche singoli angeli sono stati più volte eseguiti da Spadarino e dai suoi aiuti, sia come porzioni di dipinti più ampi con iconografie piu complesse, sia come composizioni autosufficenti. Possiamo riconoscere il prototipo nella tela oggi conservata nel palazzo di Propaganda Fidae, a Roma, ma sono note numerose repliche, assai variabili per qualità, impaginazione e numero di figure. La presente versione spicca per finezza esecutiva, materia pittorica ed efficacia nella resa delle espressioni, che ne rendono evidente la natura anche di possibile studio di volti di fanciulli. -
Lot 244 PITTORE CARAVAGGESCO OLANDESE, ATTIVO A ROMA SECONDO DECENNIO DEL XVII SECOLO (DIRK VAN BABUREN?)
San Giacomo Maggiore
Olio su tela, cm. 77x63,5. Con cornice
Il dipinto è stato riferito dal Prof. Paul Huys Janssen direttamente alla mano di Dirk van Baburen, nel corso del suo soggiorno italiano, tra il 1616 e il 1620. Insieme a Hendrick ter Brugghen (1588-1629) e Gerard van Honthorst (1592-1656), Baburen fa parte della’importante cerchia dei primi pittori caravaggeschi olandesi. Ispirato da Caravaggio e dai suoi primi seguaci, lo stile pittorico di Baburen è molto espressivo e caratterizzato da ampie pennellate e forti lumeggiature, particolarmente evidenti anche nella in questa superba rappresentazione della testa del di San Giacomo Maggiore. Il presente In questo dipinto raffigurante San Giacomo Maggiore mostra i tratti classici Rinveniamo qui, in effetti, molti dei tratti peculiari dello stile di Baburen, a partire dall'energico plasticismo e dall'effetto di vividezza ottenuto per forza di accensioni cromatiche e studiati contrasti di luce.
BIBLIOGRAFIA:
W. Franits, The Paintings of Dirck van Baburen, Amsterdam 2012, p. 249 no. U1 (sezione "Unidentified", dipinti su cui lo studioso sospende il giudizio: ‘no Definitive Judgement’)
PROVENIENZA:
vendita, Finarte Milano, 20 November 1955, lotto 537 (come Dirck van Baburen);
collezione privata, Italia; attuale proprietà, Italia. -
Lot 245 SCUOLA NAPOLETANA, QUARTO / QUINTO DECENNIO DEL XVII SECOLO
San Pietro
Olio su tela, Cm. 54,5x42,5
La tela reca al retro antica iscrizione a pennello: "BC" incrociate.
Questa intensa effige a mezzo busto di San Pietro, inequivocabilmente identificato dall'attributo della chiave, si pone esemplarmente all'intersezione di varie declinazioni del naturalismo napoletano post-caravaggesco, tra Ribera, Francesco Fracanzano, il Maestro dell'Annuncio ai pastori, e soprattutto
Antonio de Bellis e Bernardo Cavallino. Particolarmente evidente risulta la commessione con la maniera di quest'ultimo, come dimostra il confronto con il San Pietro già in in collezione Garzilli, Napoli, o il San Paolo, già nella collezione del conte de Maguiro, Madrid. Al pari di questi ultimi, è altamente presumibile che il nostro San Pietro facesse parte di un Apostolato completo, frutto di un'importante commissione privata. BIBLIOGRAFIA DI CONFRONTO: N. Spinosa, Grazia e tenerezza in posa. Bernardo Cavallino e il suo tempo 1616 - 1656, Roma, 2013, pp. 277 e 322-323. -
Lot 246 ARTISTA ATTIVO A ROMA, SECONDO QUARTO DEL XVII SECOLO
Coppia di santi eremiti, l'incontro Sant'Antonio Abate e San Paolo Eremita
Olio su tela, cm. 74,5x100. Con cornice
PROVENIENZA:
collezione privata, Roma -
Lot 247 CORNELIS DE WAEL (Anversa, 15925 - Roma, 1667)
Esaù vende a Giacobbe la primogenitura per un piatto di lenticchie
Olio su tela, cm. 80,5x108,5. Con cornice
Cornelis De Wael fu tra gli esponenti più significativi della colonia di pittori fiamminghi che, sulla scorta di Van Dyck, animò la scena artistica genovese di pieno Seicento. Forte anche della sua esperienza romana, che lo vide a contatto con il gruppo dei bamboccianti, De Wael si divise fra pittura di storia, scene di genere e battaglie.
Il nostro bel dipinto può essergli riferito per le sue forti attinenze stilistiche e compositive con le quattro tele raffiguranti altrettanti episodi delle storie del figliol prodigo, oggi tutte in collezione privata genovese. Queste ultime sono le uniche oggi note di una serie completa di otto episodi, testimoniata dal ciclo inciso da Martinus van den Enden su disegni dello stesso De Wael. In particolare la tela raffigurante la Guardia ai porci presenta chiare affinità con la nostra e, come quest'ultima, dimostra la grande qualità di De Wael come pittore di animali.
BIBLIOGRAFIA DI CONFRONTO:
Van Dyck a Genova, cat. della mostra, a cura di S. Barnes, P. Boccardo, C. Di Fabio, L. Tagliaferro, Genova 1997, nn. 78 a, b, c, d, pp. 346-349.
PROVENIENZA:
Collezione privata, Roma -
Lot 248 JAN VAN DE VELDE II (Rotterdam, 1593 - Enkhuizen, 1641)
Martirio di San Bartolomeo
Olio su tela, cm. 103,5x138
La tela reca al margine inferiore sinistro iscrizione a pennello con firma e data: " J. VAN DE VELDE 1630".
Questa potente immagine di martirio, caratterizzata dalla monumentalità delle figure e da un esasperato realismo, oltre alla sua notevole qulità riveste uno speciale interesse storico-artistico. La tela, infatti, risulta essere l'unico dipinto firmato di Jan van de Velde, che fu specialista di paesaggi e di ritratti e fece fortuna soprattutto come incisore, costituendo una rara testimonianza della sua attività di pittore di storia.
PROVENIENZA:
collezione privata, Roma -
Lot 249 BOTTEGA DI JACOPO DAL PONTE DETTO BASSANO (Bassano del Grappa, 1510 - 1592)
Cristo deposto dalla Croce
Olio su tela, cm. 60x74,5. Con cornice
Questa tela, di notevole qualità, presenta molteplici elementi di interesse legati alla produzione tarda di Jacopo Bassano e all'attività della sua bottega. Il tema della deposizione di Cristo dalla croce torna, infatti, sovente nell'ultima operosa decina d'anni di carriera del grande pittore, caratterizzati com'è noto da un uso quasi esclusivo dell'ambientazione notturna, rischiarata da fonti di luce artificiali. Il prototipo del nostro dipinto dovrebbe essere individuato nella tela in tutto analoga e pienamente autografa, oggi conservata al Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona. Questa composizione, particolarmente riuscita nella sua intensa e coinvolgente drammaticità, fu più volte replicata da Jacopo, quasi sempre affidandone l'esecuzione ai suoi aiuti, tra cui i figli Francesco e Leandro. La versione qui in oggetto presenta una esecuzione perticolarmente sciolta e caratterizzata da una pittura di tocco, soprattutto le figure di Cristo, Nicodemo e Giovanni d'Arimatea, particolarmente vicina alla peculiare declinazione del linguaggio pittorico dell'ultimo Tiziano, che caratterizza l'estrema fase creativa dello stesso Jacopo.
PROVENIENZA:
collezione privata, Roma -
Lot 250 GIACINTO BRANDI (Roma, 1621 - 1691), ATTRIBUITO
Le lacrime di San Pietro
Olio su tela, cm. 99x74. Con cornice
Quest'immagine di così intenso patetismo deriva idealmente da un modello di Guercino e da lui riproposto in varie versioni (tra le altre, National Gallery of Scotland, Edimburgo, e Museo Nazionale di Palazzo Venezia, Roma). L'immagine rappresenta nei termini più espliciti il pentimento di San Pietro apostolo subito dopo il tradimento di Gesù. Il nostro dipinto enfatizza il connotato dolente del dramma interiore vissuto da Pietro, accentuandone l'espressione sofferta, con la fronte rugosa corrucciata, gli occhi rivolti verso l'alto e le lacrime in piena evidenza lungo le guance. Riscrontiamo qui i caratteri tipici della pittura di Giacinto Brandi con la sua materia densa e pastosa, la pennellata vigorosa e la sua esasperata espressività. La nostra tela può essere così strettamente connessa con la versione dello stesso soggetto, oggi a Clitheroe, Lancashire, Stonyhurst College, e col San Paolo suo pendante, nella stessa sede inglese, o con il San Gerolamo penitente nella collezione Alessandro Boncompagni Ludovisi di Roma.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO: G. Serafinelli, Giacinto Brandi 1621-1691. Catalogo ragionato delle opere, Torino 2015. -
Lot 251 BOTTEGA DI FRANCISCO DE ZURBARAN (Fuente de Cantos, 1598 - Madrid, 1664)
Santa Casilda
Olio su tela, cm. 147x103,5. Con importante cornice fiorentina del Seicento
In alto a sinistra la tela presenta un'iscrizione dorata a pennello con l'indicazione del personaggio effigiato: "S. CASILDA".
La nostra tela, corredata da una superba cornice fiorentina, costituisce una replica di buona qualità, con numerose varianti (in particolare nel taglio della composizione e nel vestito), del celebre capolavoro di Zurbaran oggi conservato presso il Museo Thyssen di Madrid. La nostra versione, coeva all'originale, potrebbe essere stata eseguita direttamente nell'atelier del grande maestro spagnolo. -
Lot 252 BERNARDO STROZZI (Campo Ligure, 1581 – Venezia, 1644) E AIUTI
San Francesco abbracciato al crocifisso
Olio su tela, cm. 102,5x90,5
Il tema di San Francesco in estasi, in preghiera o abbracciato al crocifisso, è tra quelli più ricorrenti e felicemente risolti nel corpus delle opere sacre di destinazione devozionale di Bernardo Strozzi. Tale soggetto si rivelò, in effetti, particolarmente congeniale sia all’essenzialità e concisione del suo estro compositivo, sia all’intensità emotiva che Strozzi era incline ad assegnare alle pose e alle espressioni delle sue figure. La mirabile tela che qui si presenta rielabora, con significative aggiunte e varianti, l’impianto del San Francesco abbracciato alla croce oggi conservato al Museo di Palazzo Rosso a Genova, che dovrebbe corrispondere al prototipo della serie iconografica, più volte replicato da Strozzi e dai suoi aiuti. In aggiunta troviamo qui l’importante inserzione del superbo inserto naturamortistico, che include, accanto al teschio, gli altri principali emblemi della vanitas, clessidra e volumi chiusi, e che richiama le analoghe soluzioni figurative nelle due versioni del San Francesco in preghiera davanti al crocifisso della Pinacoteca Nazionale di Siena e del Wellesley College Museum. Con queste ultime, e con altre effigi a figura singola di Francesco, la nostra tela condivide anche la scultura lignea del Cristo in croce, coi motivi del disco piatto dell’aureola e della corona con le spine aguzze marcatamente sporgenti, evidentemente ripresa da uno stesso esemplare a disposizione nell’atelier dell’artista. Nella versione qui in oggetto il cricifisso è raffigurato più di tre quarti, una scelta che risulta perfettamente coerente con l’impegno che l’artista profuse in questa tela per produrre il massimo coinvolgimento patetico dello spettatore. Essi si combina, infatti, con l’intensità particolarmente sofferta del volto del santo, grazie alla sottolineatura naturalistica delle rughe profonde della fronte, delle guance scavate e degli occhi socchiusi e immersi nell’ombra, che conferiscono a quest’immagine un timbro dolente superiore a tutte le altre versioni note del soggetto.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO: C. Manzitti, Bernardo Strozzi, Torino 2012. -
Lot 253 GIOVANNI MARTINELLI (Montevarchi, 1600 – Firenze, 1659)
La Carità Romana (Cimone e Pero)
Olio su tela, cm. 129,5x146. Con cornice
Il dipinto è accompagnato dalle expertise della Prof.ssa Mina Gregori e del Prof. Sandro Bellesi che indipendentemente lo hanno riconosciuto come autografo di Giovanni Martinelli.
Quest’opera, inizialmente attribuita ad Artemisia Gentileschi (un'attribuzione che, seppur erronea, comunque ben la collocava all’interno della stessa temperie culturale fiorentina verso la metà del XVII secolo), va definitivamente collocata nel catalogo di Martinelli. L’episodio illustrato è tratto dalla classicità (Valerio Massimo, Factorum e dictorum memorabilium, vol. V). Nota come la Carità Romana, la storia di Cimone e Pero ha chiari intenti moralizzanti e conobbe una considerevole fortuna nella pittura italiana del Seicento. Dal punto di vista stilistico il nostro dipinto può essere messo a confronto due tele di Martinelli realizzate nel 1647: la Madonna del Rosario di Pozzolatico e lo stesso soggetto nella tela d'altare oggi ricoverata nel Castello di Poppi, situando l’opera alla fase matura del pittore.
BIBLIOGRAFIA: S. Bellesi, Studi sulla pittura e sulla scultura del ’600 - ’700 a Firenze, Firenze 2013, p. 49, fig. 30. -
Lot 254 AMBITO FRANCISCO RIBALTA (Solsona, 1565 – Valencia, 1628)
Cristo flagellato
Olio su tela, cm. 181x138,5. Con cornice
Formatosi a Madrid sotto la guida dei pittori incaricati da Filippo II della decorazione del El Escorial, il Ribalta venne a contatto con Navarrete el Mudo e Bartolomé Carducho ma anche con i capolavori dei maestri veneziani Sebastiano Del Piombo e Tiziano. Successivamente, fu tra i primi seguaci in Spagna del nuovo stile caravaggesco, introducendo nella sua pittura uno spiccato naturalismo soprattutto nelle anatomie dei corpi. A Valencia guidò una bottega che includeva suo figlio, Juan Ribalta (1597-1628) e il figliastro, Vicente Castelló (c. 1586-c. 1636). Il nostro quadro può essere datato posteriormente al 1620, anche in riferimento ad un’altra versione dello stesso soggetto esitato nel 1997 da Christie’s Londra come autografo del pittore, di dimensioni molto simili e con minime varianti compositive. Nel nostro dipinto la drammaticità della scena è enfatizzata di un sapiente uso della luce e dalla tensione del corpo del Cristo in primo piano quasi a grandezza naturale. Un riferimento stilistico e compositivo per la nostra tela può essere certamente considerata La Flagellazione di Cristo del Caravaggio oggi conservata al Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli.
PROVENIENZA:
collezione privata, Roma -
Lot 255 BENEDETTO GENNARI (Cento, 1563 – 1610)
Ritratto di Sir Thomas Isham
Olio su tela, cm. 140x120. Con cornice
Il dipinto reca in alto a destra iscrizione a pennello: "SIR THOMAS ISHAM".
Sir Thomas Isham, morì appena ventiquattrenne a Londra il 26 luglio 1681, tale data rappresenta evidentemente il termines ante quem per la datazione del dipinto. La sua probabile esecuzione verso la fine dell'ottavo decennio colloca questo ritratto di smagliante qualità esecutiva nei primi anni del soggiorno di Benedetto Gennari come pittore della corte reale inglese, dove si era trasferito nel 1675 e dove rimase fino al ritorno a Bologna nel 1692. Allievo e seguace di Guercino, Benedetto Gennari, combina qui l'esempio del suo maestro con l'influsso della coeva ritrattistica di corte inglese, dipendente da Anton Van Dyck, e in particolare della pittuta di Sir Peter Lely. -
Lot 256 SEGUACE DI GUIDO RENI, XVII SECOLO
Crocifissione di Cristo con Maddalena abbracciata alla croce
Olio su tela, cm. 112x75. Con cornice
Al retro della tela di rifodero è stata lasciata una finestra in basso a destra per mantenere visibile l'iscrizione a pennello presente sulla tela originale: "F. CAUMETTE / 1699".
Questa intensa rappresentazione della crocifissione di Cristo, originalmente accompagnato dall'esclusiva presenza della Maddalena abbracciata al legno di croce, s'ispira al Crocifisso con la Vergine, Maddalena e l'Evangelista, capolavoro di Guido Reni, eseguito intorno al 1617 per la chiesa dei Cappuccini a Bologna e oggi conservato presso la locale pinacoteca Nazionale. La scelta di sottrarre le due figure laterali della Madonna e Giovanni, dovette trarre origine da una specifica motivazione di carattere devozionale legata, con ogni probabilità, a una richiesta della committenza. La soluzione iconografica adottata consentì al pittore di sviluppare il paesaggio sullo sfondo ampliando il brano della città che ne occupa la porzione destra. -
Lot 257 PITTORE LOMBARDO (BERGAMASCO?) ATTIVO NELL'ULTIMO QUARTO DEL XVII SECOLO
Ritratto dell'abate "Benedetto Adolphus …"
Olio su tela, cm. 115x97,5. Con cornice
La tela reca in basso a destra iscrizione a pennello con nome dell'effigiato e data di esecuzione: "BENED. ALDOPHU[S] / (…) 1683". -
Lot 258 PAOLO DE MATTEIS (Piano Vetrale, 1662 - Napoli, 1728)
Sacra Famiglia
Olio su tela, cm. 72,5x102,5. Con cornice
Questa tela smagliante, in eccellente stato di conservazione, documenta al più alto livello l'attenzione riservata da Paolo De Matteis alla pittura di Luca Giordano. Nella levigatezza degli incarnati, nella plasticità delle figure, nella luminosità delle gamme cromatiche e nella peculiare combinazione di classicismo e naturalismo la nostra tela si avvicina agli esiti più felici della produzione devozionale del pittore, quali l'Annunciazione dell'Art Museum di Saint Louis, l'Assunzione della Vergine del Museum of Fine Art di Boston o il Matrimonio Mistico di Santa Caterina del Kunsthistorische Museum di Vienna. -
Lot 259 SALVATOR ROSA (Arenella, 1615 - Roma, 1673), ATTRIBUITO
Ritratto di matematico (Autoritratto in vesti di matematico?)
Olio su tela, cm. 117x92,5. Con cornice
Questa impressionante effige di matematico si colloca all'intersezione di varie tipologie centrali nella produzione di Salvator Rosa: le immagini, per così dire astratte, di antichi filosofi, studiosi e uomini di scienza, nella tradizione di Ribera; la pittura concettosa, filosofica, in voga alla metà del Seicento grazie anche alla diffusione dello stoicismo; e forse l'autoritratto (se questa suggestione potesse trovare piena conferma per la nostra tela), da lui assiduamente praticato nelle più varie modalità: qui, eventualmente, anche nella fattispecie dell'autoritratto nelle vesti di figure di particolare valenza esemplare. Il migliore supporto, seppure non definitivo, all'intrigante ipotesi che Rosa abbia qui voluto rappresentarsi (e trasfigurarsi) è l'Autoritratto oggi al Musée des Beaux-Arts di Strasburgo, dove lo dovremmo ritrovare sui quarant'anni, qualcuno meno di quanti ne suggerisce il nostro dipinto. In quest'opera sofisticata, immagine ideale e insieme vivido e concreto ritratto "in azione", trovano espressione in una miscela singolare il distaccato disinteresse delle cose mondane, l'assoluta concentrazione sull'oggetto delle proprie meditazioni, ma anche l'energia vitale del pensiero nel suo svilupparsi. In ciò, seppure in una veste ormai pienamente matura, si potrebbe ritrovare il Rosa inquieto degli autoritratti giovanili.
Interessanti termini di comparazione per il nostro dipinto - stilistici, iconografici, ma anche ideali - si possono considerare l'Eraclito e Democrito del Kunsthistorisches Museum di Vienna, il Filofoso che contempla un teschio del Christ Church College di Oxford e il Belisario della Renishaw Hall di Stafford (Derbyshire).
PROVENIENZA: collezione privata, Roma -
Lot 260 JACOB DE HEUSCH (Utrecht, 1657 – Amsterdam, 1701)
Paesaggio costiero con arco di roccia, barche e figure
Olio su tela, cm. 102x178. Con Cornice -
Lot 261 ATELIER DI MARIA VON OOSTERWYCK (Nootdorp, 1630 – Uitdam, 1693)
Bouquet di fiori in un vaso di cristallo
Olio su tela, cm. 61x51
PROVENIENZA:
collezione privata, Roma -
Lot 262 ARTISTA LOMBARDO, SECONDA METÀ XVII SECOLO (ANGELO MARIA ROSSI?)
Coppia di nature morte di frutta con pappagalli
Olio su tela, cm. 64x60. Con cornice
Questa notevole coppia di nature morte di frutta, entrambe ingentilite dalla presenza di un pappagallo, è stata ricondotta, con buoni argomenti, sebbene forse non definitivi, alla mano di Angelo Maria Rossi da Nicosetta Roio. A questo eminente specialista di nature morte attivo in Lombardia nella seconda metà del Seicento, è stato infine possibile assegnare con una certa sicurezza un nucleo omogeneo di dipinti in precedenza riferito dapprima allo pseudo Fardella e poi al Pittore di Carlo Torre.
BIBLIOGRAFIA: N. Roio, in 712 A.D. - 2012: Berceto 1300 anni di storia, catalogo della mostra Berceto 2012, nn. 18-19. -
Lot 263 JOHANNES NICOLAUS TREU (Bamberg, 1734 - Würzburg, 1786)
Autoritratto
Olio su tela, cm. 85x67. Con cornice
Il dipinto è accompagnato da un'expertise del Prof. Eduard Safarik.
Questa bella tela, raffigurante un pittore intento a terminare un ritratto femminile, ed è stato riferito da Eduard Safarik alla mano di Johannes Nicohlaus Treu. Figlio di una famiglia di pittori di Bamberg, si specializzò nella ritrattistica e sotto Adam Friedrich von Seinsheim si trasferì a Würzburg, dove fu nominato pittore di corte. Questo tipo di autoritratto, con la raffigurazione del dipinto nel dipinto rientra in una tipologia molto comune nella cerchia del pittore ceco Ján Kupecký di cui Treu faceva attivamente parte. Molte delle sue opere oggi si trovano al Historisches Museum e nella Neue Residenz a Bamberg e nel Mainfränkisches Museum di Würzburg. -
Lot 264 GIOVAN FRANCESCO DE ROSA DETTO PACECCO (Napoli, 1607 – 1656)
Santo Stefano martire
Olio su tela, cm. 180x127. Con cornice
il dipinto è accompagnato da un'expertise del Prof. Nicola Spinosa.
Questa tela monumentale è stata, con certezza, assegnata dal professor Nicola Spinosa a Pacecco De Rosa, il quale segnala il suo stretto collegamento con un dipinto pressocchè identico, salvo la disposizione delle braccia del Santo, in collezione privata. Per la resa preziosa della tunica la nostra tela risulta prossima alle due versioni del San Nicola di Bari presso la chiesa della Certosa di San Martino a Napoli e nella chiesa di San Niccolò a Milano. Come questi ultimi la tela che qui si illustra può essere collocata alla metà del settimo decennio del Seicento, presentando un'alnaloga combinazione di forte naturalismo mutuato da Filippo Vitale, patrigno di Pacecco, e di soluzioni di più temperato classicismo affini a quelle che negli stessi anni venivano adottate da Massimo Stanzione, Artemisia Gentileschi, Simon Vouet e Francesco Guarini. -
Lot 265 MARCO BENEFIAL (Roma, 1684 - 1764)
Ritratto di Dama
Olio su tela, cm. 70x59. Con cornice
Il dipinto reca in basso a destra firma e data: "M. BENEFIAL FECIT ROMA 1763".
Questo notevole ritratto anche al di là della presenza della firma, evidenzia le migliori qualità del Benefial ritrattista. La tecnica esecutiva risulta qui particolarmente raffinata è in grado di restituire i particolari più minuti del suntuoso abbigliamento della protagonista la rosa, i gioielli, il ventaglio e tutti gli ornamenti del vestito sono restituiti con superbo virtuosismo. Stringenti termini di confronto sotto il profilo stilistico e qualitativo sono il ritratto di Angela Mignanelli della Galleria Spada di Roma e il ritratto di Giacinta Ruspoli Marescotti Orsini della fondazione Cini di Venezia.
PROVENIENZA:
collezione privata, Roma -
Lot 266 GIROLAMO BRUSAFERRO (Venezia, 1684 - 1760)
San Sebastiano curato dagli angeli
Olio su tela, cm. 106x131. Con cornice
Il dipinto è accompagnato da un'expertise del Prof. Emilio Negro -
Lot 267 FILIPPO FALCIATORE (Napoli, notizie fra il 1728 e il 1768)
Mulino con ortolana e due avventori
Olio su tela, cm. 128x101. Con cornice
Filippo Falciatore fu tra i protagonisti della scena artistica partenopea tra il quarto e il settimo decennio del Settecento. Dotato di raffinati mezzi tecnici ed espressivi, fu impegnato su tutti i fronti della pittura di storia. La sua fama principale è però legata alle scene galanti e agli intrattenimenti in giardino della nobiltà napoletana, e forse ancor più alle scene di genere di carattere più rustico, legate alla vita quotidiana delle classi umili, descritte con un tono costantemente sapido e leggero. Di teale produzione costituisce una notevole testimonianza la nostra grande tela inedita imperniata sui motivi, particolarmente cari al Falciatore pittore di genere, dell'ortolana e del mulino. Spiccano qui anche il bel paesaggio punteggiato di mulini, con il golfo di Napoli sullo sfondo, l'albero minutamente descritto e il bel brano di cielo, denso di nuvole scure. Confronti inequivocabili legano la presente tela a molte altre opere certe del pittore: si vedano, ad esempio, le opere pubblicate da Nicola Spinosa in Pittura napoletana del Settecento. Dal Barocco al Rococò, Napoli 1993, nn. 255-258, pp. 151, 153 e 317-318. -
Lot 268 ARTISTA FRANCESE (?) ATTIVO A ROMA, SECONDO QUARTO XVII SECOLO
Ritratto di Gentiluomo della famiglia Rondinini (o Rondanini)
Olio su tela, cm. 70x53. Con cornice
Dipinto in prima tela. La tela reca al retro timbro con stemma della famiglia Rondinini (o Rondanini) di Roma. L'originale provenienza, di così alto rango e gusto collezionistico, potrebbe aprire qualche spiraglio per sciogliere il rebus attributivo intorno a questo notevolissimo ritratto. Sembra possibile un'origine non-italiana per il suo autore, forse francese, ma ancor più evidente è il suo diretto aggiornamento sui modi della ritrattistica romana post-caravaggesca. -
Lot 269 ARTISTA VENETO, XVII SECOLO
San Giovanni Evangelista
Olio su tela, cm. 120x82. Con cornice -
Lot 270 PITTORE VENETO, SECONDA METÀ DEL XVI SECOLO
Ritratto di gentiluomo in armatura
Olio su tela, cm. 147x112. Con cornice
Questa notevole effige di gentiluomo in vesti di condottiero militare si richiama chiaramente alla ritrattistica ufficiale di Tiziano Vecellio. Il portamento altero e fieramente distaccato, lo sguardo inquisitivo, col volto di trequarti, direttamente rivolto al riguardante, l'accurata descrizione dei paramenti militari, compreso lo scettro e l'elmo piumato posato sul tavolo retrostante, inscrivono questa bella tela all'interno di quel fondamentale segmento della ritrattistica europea tardo rinascimentale, che ha in Bronzino, Antonis Mor e naturalmente lo stesso Tiziano i suoi esponenti di più alto rango. -
Lot 271 CARLO BONAVIA (attivo a Napoli dal 1751 al 1788)
Veduta di Baia con il castello aragonese e il tempio di Venere
Olio su tela, cm. 53x83. Con cornice
Allievo tra i più dotati del pittore francese Claude Joseph Vernet, Carlo Bonavia fu un pittore apprezzatissimo in vita, i suoi soggetti spaziano dalle campagne laziali e soprattutto partenopee, alle marine del Golfo di Napoli, fino ai capricci architettonici e alle vedute archeologiche dei Campi Flegrei, in linea con il gusto della sua epoca. Questa veduta, di ottima qualità, è animata da varie figure e rappresenta il golfo di Baia, nei Campi Flegrei, con in evidenza il cosiddetto Tempio di Venere, oggi riconosciuto come parte del complesso termale romano e la mole del castello aragonesco sullo sfondo. Questo soggetto è stato più volte ripreso dal pittore, con alcune varianti, ne troviamo, infatti, un’altra versione nelle raccolte dell’Ermitage di San Pietroburgo (inv. n. ГЭ-10119), il successo della composizione è testimoniato anche da una fedele riproduzione a stampa di Antoine Cardon nella sua Raccolta di vedute significative di Napoli e dintorni edita a Napoli tra il 1764 e il 1766 (vedi A. Negro Spina, Napoli nel Settecento. Le incisioni di Antoine Alexandre Cardon, Napoli 1989, pp. 70-73). -
Lot 272 PIETRO RICCHI (Lucca, 1606 – Udine, 15 agosto 1675), ATTRIBUITO
Banchetto di Ester e Assuero
Olio su tela, cm. 188x131. Con cornice
Questa superba tela inedita costituisce una notevole aggiunta al catalogo del lucchese Pietro Ricchi. Essa rappresenta una testimonianza rilevante di quel segmento della produzione del pittore lucchese caratterizzato da marcati contrasti chiaroscurali e dalle ricerche sul lume artificiale. Documenti rilevanti di questa porzione del corpus di Ricchi, particolarmente orientato in senso naturalista e influenzato da pittori nordici caravaggeschi come Bigot, Honthorst e Seghers, sono alcuni dei suoi capolavori, affini in modo sostanziale all'opera qui in oggetto. Vale la pena di citare, tra gli altri, la Giuditta con la testa di Oloferne del museo di Castelvecchio di Verona, il Lot e le figlie, oggi irreperibile dopo una comparsa sul mercato antiquario berlinese nel 1927, la Giuditta con la testa di Oloferne nel Castello del Buonconsiglio a Trento e i due giovani a lume di candela già nella galleria Altomani di Pesaro. La presente opera recava un'attribuzione tradizionale all'ancora misterioso Trophime Bigot, che, sebbene oggi non più accettabile, rende comunque conto dell'attenzione con cui Ricchi guardò a pittori transalpini come Nicolas Renier e Jean Leclercq, originali interpreti di una lettura non ortodossa del caravaggismo.
BIBLIOGRAFIA DI CONFRONTO: P. Dal Poggetto, Pietro Ricchi. 1606-1675, Luisè ed., Rimini 1996. -
Lot 273 MATTEO LOVES (Colonia?, ca. 1585 - Cento, ante 1647)
Giuditta e Oloferne
Olio su tela, cm. 91x114. Con cornice
Il dipinto è accompagnato da un'expertise del Prof. Paul Huys Janssen. Questa tela smagliante manifesta una duplice radice pittorica, che trova però un punto di fusione di ammirevole equilibrio. Il naturalismo della vecchia serva di Giuditta, il marcato chiaroscuro, gli incarnati perlacei parlano una lingua nordica post-caravaggesca; il bilanciamento classico della composizione, la tornita plasticità delle figure, lo sfarzo dei tessuti e dei panneggi indirizzano verso il barocco italiano e a Guercino in modo specifico. Nello studio che accompagna l'opera, Paul Janssen ha convincentemente ricondotto al nome di Matteo Loves questa varietà di elementi e di influssi. Tedesco di nascita, fiammingo di formazione, Loves si trasferì in Italia prima del 1625, anno in cui prende per moglie, a Cento, Violante Fabri. Pochi mesi più tardi Guercino fa da padrino al battesimo della figlia di Matteo e per tutta la sua carriera Loves sarebbe rimasto uno stretto collaboratore del grande pittore. Il più stringente termine di confronto della nostra tela è il dipinto dello stesso soggetto di proprietà dela Galleria Sarti di Parigi, firmato sul retro della tela, che mostra un impianto simile e un'analoga definizione dei tessuti e dei panneggi. Significative analogie di stile e di esecuzione si possono rilevare anche con la Maddalena in contemplazione del crocifisso della Fondazione Cavallini Sgarbi e con il San Giuseppe, San Filippo Neri ed angeli del Duomo di Carpi. -
Lot 274 PIER FRANCESCO MAZZUCCHELLI, DETTO IL MORAZZONE (Morazzone, 1573 - Piacenza, 1626)
Decollazione del Battista
Olio su tela, cm. 241x165,8
La tela presenta al centro del margine inferiore l'arme gentilizio, non più decifrabile, della famiglia committente dell'opera. Ai lati dello stemma è presente una iscrizione a pennello in lettere capitali con tracce di firma: "FRANCI [SCU] S / (…) CAMER (…) A".
Il dipinto è presentato con alcuni saggi di pulitura. L'importante opera che qui si illustra, a quanto ci risulta inedita, costituisce probabilmente la pala d'altare della quale il modello finito è rappresentato dalla ben nota versione conservata presso il Museo di Palazzo Bianco a Genova, di più piccole dimensioni. Quest'ultimo dipinto, oggi considerato fra i capolavori del Morazzone, ha avuto in realtà una vicenda attributiva assai tortuosa, essendo stato riferito per la prima volta al grande pittore lombardo solo nel 1979. La nostra grandiosa tela concretizza appieno tutte le premesse di monumentalità implicite nel dipinto di Palazzo Bianco, esasperandone la tragicità e conferendo una solennità rituale alla scena, quasi da arcaica rappresentazione sacrificale. La magistrale calibratura delle posture congela il momento culminante del racconto, conferendo al gruppo composito delle figure, pur nell'adozione di un linguaggio pittorico naturalistico, una plasticità autenticamente classica.
PROVENIENZA:
collezione privata, Roma -
Lot 275 ELISABETTA SIRANI (Bologna, 1638 - 1665) E GIOVANNI ANDREA SIRANI (Bologna, 1610 - 1670)
Berenice
Olio su tela, cm. 109x149,5. Con cornice
Il dipinto è accompagnato da un' del Prof. Massimo Pulini.
L'opera è presentata in temporanea Importazione.
Cornice bolognese originale in legno dorato.
Questa tela di superba qualità rappresenta Berenice, figlia di Magas re di Cirene, nell’atto di tagliare con un paio di piccole forbici la sua lunga chioma bionda, aiutandosi con uno specchio di cui lo spettatore vede esclusivamente una piccola porzione del retro. La sovrana porta così a compimento un voto fatto ad Arsinoe, regina d’Egitto divinizzata in Afrodite Zefiritide, affinché suo marito Tolomeo III Evergete, futuro re d’Egitto, tornasse in salvo dalla guerra in Siria contro Antioco II. Un giovane paggio assiste Berenice in questo gesto simbolico di rinuncia a quello che tradizionalmente è uno dei connotati più caratteristici della femminilità, porgendole per contrasto i più tipici attributi bellici, l’elmo e la spada. Come narra l’astronomo di corte Conone, al felice ritorno in patria di Tolomeo il voto fu sciolto e la chioma di Berenice si trasformò miracolosamente in una costellazione di stelle, nota ancora oggi come Chioma di Berenice.
Quando fu rinvenuto, il dipinto venne presentato e pubblicato come autografo di Elisabetta Sirani nel catalogo della mostra "Guercino. Poesia e sentimento nella pittura del 600" (Roma 2003-2004, pp. 234-235). Fu Adelina Modesti (Bologna 2004, pp. 252-253) a ipotizzare per la prima volta che la tela potesse essere il frutto della collaborazione fra Elisabetta Sirani e il padre Giovanni Andrea. Tale opinione fu in seguito rivista dalla stessa studiosa in favore del solo Giovanni Andrea (Modesti 2014, n. 22, pp. 151-152) a seguito dell’interpretazione da lei data a un’indicazione contenuta in un inventario del 1671 della collezione di Simone Tassi a Bologna. La studiosa propone così di riconoscere la nostra tela con quella sommariamente descritta nell’inventario come una Semiramide di mano di Giovanni Andrea Sirani che faceva coppia con la Porzia di Elisabetta oggi presso la Miles & Ross Foundation di Houston (le cui misure, peraltro, sono cm. 101 x 138 rispetto ai cm. 108 x 150 dell’opera qui in oggetto). Se tale identificazione appare chiaramente problematica, viste le incongruenze di dimensioni e soprattutto di iconografia, va sottolineato come il nostro mirabile dipinto mostri un linguaggio pittorico a metà strada tra lo stile del padre e quello della figlia. Tipici di Giovanni Andrea, infatti, sono il trattamento delle vesti e l'impostazione teatrale della scena, mentre appaiono ben riconducibili ai modi di Elisabetta l'espressione energica dell'eroina, la figura abbreviata del giovane servitore e l’intonazione cromatica giocata sui rossi squillanti.
Dopo il 1660, del resto, era del tutto naturale che Elisabetta collaborasse alle commissioni paterne, e tanto l'atmosfera appassionata, quanto il piglio energico che traspaiono nella nostra opera rivelano pienamente il suo apporto decisivo alla tela impostata da Giovanni Andrea. Al di là delle questioni filologiche resta l'elevatissima qualità del dipinto, in cui viene eloquentemente celebrata la moralità della bellezza e la nobiltà del comportamento dall’eroina che, seppur pagana, poteva costituire un efficace modello di virtù per la nobiltà cattolica del Seicento.
Massimo Pulini suggerisce persuasivamente che l'opera sia stata eseguita intorno al 1664, negli ultimi tempi di vita di Elisabetta, poco prima della sua morte dovuta al perforamento dell’appendicite. Un evento tragico, che troncò brutalmente la carriera già luminosa della giovane artista e avrebbe condizionato per sempre anche la produzione di Giovanni Andrea, che non sarebbe più riuscito in seguito a raggiungere la qualità pittorica e il grado di espressività attestate da questa opera.
BIBLIOGRAFIA:
Guercino. Poesia e sentimento nella pittura del '600, catalogo della mostra, a cura di D. Mahon, M. Pulini, V. Sgarbi, Roma, 2003-2004, Novara 2003, pp. 234-235;
A. Modesti, Elisabetta Sirani: una virtuosa del Seicento bolognese, Bologna 2004, pp. 252-253;
B. Bohn, The construction of artistic reputation in Seicento Bologna: Guido Reni and the Sirani, in Renaissance studies, 2011, n. 25, 4, pp. 511-537;
M. Pulini, Le terre della pittura tra Marche e Romagna: Cesena, Galleria Comunale d’Arte, 25 giugno - 28 agosto 2011, Santa Lucia (Cesena), 2011, p. 25;
A. Modesti, Elisabbetta Sirani 'Virtuos’. Woman's Cultural Production in Early Modern Bologna, in Late medieval and Early Modern Bologna, Brepols 2014, n. 22, pp. 151-152 e p. 390;
D. Dotti, Donne nell’arte da Tiziano a Boldini, Milano 2020, pp. 54-55. -
Lot 276 CARLO SARACENI (Venezia, 1579 - 1620)
Venere e Cupido
Olio su tela, cm. 130x106,5
Questo mirabile e importante dipinto vanta una vicenda attributiva di grande interesse, prima di approdare a un più stabile riferimento alla paternità di Carlo Saraceni. La tela fu infatti pubblicata nel 1943 da Roberto Longhi, accompagnata da un ampio ed entusiastico commento. Il grande studioso inquadrò criticamente l'opera nell'ambito dei rapporti tra Saraceni, Elsheimer e Orazione Gentileschi nel primo decennio del Seicento: "Certe intenzioni di carattere e di 'humor' rattenuto (...) certe tortuosità nelle frange del tappeto orientale parlano soprattutto del Saraceni; lo splendore acconciato del panno bianco, del Gentileschi; ma il massello rosa-ambra del nudo appallato, raccolto, candidamente animalesco e lo sfuggir del paese (...) potrebbero anche suggerire il nome dello stesso Elsheimer". Successivamente l'opera rimbalzò fra i tre grandi pittori finchè Ben Nicholson e Ward Bissel, indipendente, la indirizzarono più convincentemente verso Saraceni, dove essa ci sembra che vada confermata. In occasione di una pulitura della tela, risalente agli anni Ottanta del Novecento, è riapparsa la figura di Cupido in basso a destra, integra e in buono stato di conservazione, che in epoca imprecisata era stata ricoperta da un'ampia zona scura.
BIBLIOGRAFIA: R. Longhi, Ultimi studi sul Caravaggio e la sua cerchia (1943), in Il Caravaggio e i caravaggeschi di Roberto Longhi, Firenze 2005, p. 21, fig. 32; E. Waterhouse, A Note on British Collecting of Italian Pictures in the later Seventeenth Century, in "Burlington Magazine", CII (1960), p. 57; B. Nicolson, The Art of Carlo Saraceni, in "Berlington Magazine", CXII (1970), p. 312; R. Ward Bissell, Orazio Gentileschi and the poetic tradition in Caravaggesque painting, University Park and London, 1981, pp.209-210, fig. 164.
PROVENIENZA:
collezione Aldo Briganti; collezione privata, Roma
Per il suo particolare interesse storico-artistico 01/03/2012 l'ufficio esportazioni di Roma avviò il diniego di attestato di libera circolazione per il presente dipinto. -
Lot 277 JAN VAN SCOREL (Alkmaar, 1495 - Utrecht, 1562)
a) Annunciazione - b) Sposalizio della Vergine. Ante laterali di trittico
Olio su tavola sagomata entro cornice, cm. 224,5x82,5
I pannelli recano entrambi una sigla. Nell'Annunciazione la vetrata reca il monogramma "JS" da sciogliere con “JAN SCOREL”; nell'episodio dello Sposalizio la figura dietro al vescovo ha un cartiglio nella mano recante le lettere "SF" da sciogliere come "SCOREL FECIT".
Questi due monumentali tavole sagomate, sicuramente pannelli laterali di un trittico a sportelli, come si evince dalle cerniere laterali, e destinato probabilmente ad un altare (al cui centro trovava forse posto una Natività), raffigurano due momenti della vita della Vergine: l’Annunciazione e lo Sposalizio. Le tavole sono state ricondotte alla mano del pittore fiammingo Jan von Scorel grazie, anche, alle due sigle riportate su ciascun pannello: una di queste, nell’episodio dello Sposalizio, si trova su un cartiglio in mano ad una figura in secondo piano, dietro il vescovo che sta officiando il rito, in cui potrebbe riconoscersi l’autoritratto dell’artista. Nell’elegante composizione e nella raffinata resa pittorica si ritrovano elementi tipici della tradizione fiamminga tardo-gotica, riscontrabili nella resa delle vesti e nella fisionomia delle figure, ma si trova anche la grande influenza del Rinascimento italiano nelle prospettive e nelle strutture architettoniche che fanno da sfondo all’episodio rappresentato. È possibile quindi che l’opera venne realizzata durante il periodo che il pittore passò in Italia, tra il 1522 e il 1525, in città come Venezia e Roma dove lavorò al servizio per papa Adriano IV, suo concittadino, e dove venne a contatto con i capolavori dei maestri rinascimentali, come Michelangelo e Raffaello, che influenzarono tutta la sua produzione posteriore.
PROVENIENZA:
Collezione privata, Roma -
Lot 278 ARTISTA FIAMMINGO ATTIVO A ROMA, FINE XVI / INIZIO XVII SECOLO (WILLEM VAN NIEULANDT IL GIOVANE?)
Campo Vaccino con arco di Settimio Severo e viandanti
Olio su tela, cm. 55,5x76. Con cornice
La veduta dell'arco di Settimio Severo con il Clivo capitolino sullo sfondo è stata più volte oggetto dell'attenzione degli artisti nord-europei in soggiorno a Roma per studiare le vestigia classiche della città eterna. In particolare riscontriamo un punto di vista analogo in alcune prove grafiche dei fratelli Brill e di altri artisti della stessa cerchia. ll bell' esemplare qui in oggetto, oltre che per la precisa resa topografica dei monumenti, si caratterizza per la singolare presenza di due cavalieri abbigliati all'orientale. Rinveniamo qui chiare affinità con la pittura di Willem van Nieulandt il Giovane al quale l'opera in passato è stata con buoni argomenti attribuita attribuita. -
Lot 279 ARTISTA ROMANO, SECONDO QUARTO DEL XVII SECOLO
Sacco del Tempio di Gerusalemme
Olio su tavola, cm. 52x64. Con cornice
Questo raffinatissimo dipinto brulicante di figure illustra il sacco del Tempio di Gerusalemme, culmine dell'assedio della città da parte dell'esercito romano guidato da Tito Flavio Vespasiano (il futuro imperatore Tito). Si tratta dell'episodio decisivo, avvenuto nell'anno 70 d.C., della prima guerra giudaica. L'esercito assediò e conquistò Gerusalemme, mettendo la città a ferro e fuoco e distruggendone il tempio. Il tragico evento è ancora oggi ricordato nella festa ebraica della Tisha BeAv. Il soggetto del dipinto è ben riconoscibile grazie al gruppo delle figure in primo piano, con i soldati che sfilano davanti a Tito col Sacerdote imprigionato e subito dietro il candelabro a 7 braccia ammassato assieme al bottino trafugato dall'esercito romano. La tela rivela una trama impressionante di riferimenti figurativi che intreccia mirabilmente la dominante nota poussiniana, con una forte componente romana (Tassi, Caroselli, Lemayre, Testa) e anche napoletana (Micco Spadaro, Cornelio Brusco). Punto di fusione di queste molteplici influenze è la rimarchevole cultura antiquariale dimostrata dell'autore. Ne è esplcita testimonianza la resa dei monumenti classici (dal Pantheon al grande cratere istoriato che sormonta i due sarcofagi sovrapposti decorati a bassorilievo; dall'obelisco all'acquedotto coi grandi clipei sopra i pilastri, sino ai ruderi frammentari disseminati nel primo piano), tanto fantasiosa quanto accurata, seppur nelle dimensioni contenute della tela, -
Lot 280 SCUOLA ROMANA, META' DEL XVII SECOLO
Grande natura morta di frutta e cacciagione
Olio su tela, cm. 151x230. Con cornice -
Lot 281 GIOVAN FRANCESCO DE ROSA DETTO PACECCO DE ROSA (Napoli, 1607 – 1656), E AIUTI
Apollo e Marsia
Olio su tela, cm. 135x97. Con cornice
Il dipinto fu riconosciuto dal Prof. Nicola Spinosa, sulla base della visione diretta, come opera di Pacecco de Rosa con interventi di aiuti.
La tela offre una lettura interessante del soggetto mitologico, impegnata a non esasperare l'efferatezza dell'atto di scorticamento in corso. Marsia viene infatti raffigurato di spalle e in penombra, col volto di tre quarti, senza amplificare l'espressione del dolore nel suo volto, come a suggerire l'ineluttabilità della sua sconfitta nella gara musicale che lo aveva contrapposto ad Apollo e, di conseguenza, la rassegnata accettazione del suo supplizio. Anche l'operazione "chirurgica" compiuta dalla divinità è raffigurata nella sua fase iniziale, e la porzione di pelle rimossa è ancora minima. Apollo è Il dipinto fu riconosciuto dal Prof. Nicola Spinosa, sulla base della visione diretta, come opera di Pacecco de Rosa con interventi di aiuti.
La tela offre una lettura interessante del soggetto mitologico, impegnata a non esasperare l'efferatezza dell'atto di scorticamento in corso. Marsia viene infatti raffigurato di spalle e in penombra, col volto di tre quarti, senza amplificare l'espressione del dolore nel suo volto, come a suggerire l'ineluttabilità della sua sconfitta nella gara musicale che lo aveva contrapposto ad Apollo e, di conseguenza, la rassegnata accettazione del suo supplizio. Anche l'operazione "chirurgica" compiuta dalla divinità è raffigurata nella sua fase iniziale, e la porzione di pelle rimossa è ancora minima. Apollo è pienamente concentrato nel compimento della punizione, ma senza segni di coinvolgimento emotivo, e la sua postura, quasi danzante, esibisce un'eleganza classica, che ne esalta lo studiato contrapposto. Il panneggio della tunica, la plastica flessione delle gambe di Apollo, la precisa resa anatomica delle braccia e delle mani, come pure della schiena possente leggermente arcuata di Marsia, sono altrettanti pezzi di bravura in cui si scorge la mano diretta di Pacecco.
La nostra tela può essere confrontata con opere del pittore quali il Martirio di San Giuliano già nella chiesa di S. Sofia a Giugliano in Campania, il Martirio di S. Biagio del Museo Sigismondo Castromediano di Lecce, l'Incontro di Rachele e Giacobbe della Pinacoteca Proviciale di Bari.
BIBLIOGRAFIA DI CONFRONTO: V. Pacelli, Giovan Francesco de Rosa detto Pacecco de Rosa. 1607-1656, Napoli, 2008.
PROVENIENZA: Asta Porro, Milano, 21 novembre 2007, lotto 221;
collezione privata, Campania. -
Lot 282 FRANCESCO ALBOTTO (Venezia, 1721-1757), ATTRIBUITO
Il Canal Grande con Santa Lucia e Santa Maria di Nazareth
Olio su tela, cm. 47,5x67. Con cornice
Si ringrazia il Prof. Dario Succi che ha riferito il dipinto alla mano di Francesco Albotto (comunicazione orale alla proprietà).
La veduta riprende uno scorcio di Canal Grande reso celebre da Canaletto e in seguito più volte ripreso da Michele Marieschi e Francesco Guardi. L'angolo di Venezia qui rappresentato riveste un particolare interesse anche dal punto di vista documentario, riproducendo la porzione di Canal Grande verso nord che includeva la perduta chiesa di Santa Lucia, nell'area dove oggi sorge l'omonima stazione ferroviaria. La nostra tela può essere accostata alla produzione di Francesco Albotto, il più eccellente allievo di Marieschi del quale riprese sovente le vedute tradotte a stampa da lui stesso e da Antonio Visentini. -
Lot 283 ARTISTA FRANCESE, XIX SECOLO
Giuditta con la testa di Oloferne
Olio su tela, cm. 158,5x121. Con cornice
Il dipinto reca in basso a destra tracce di firma: " P… Y". -
Lot 284 MAESTRO TOSCANO, XIII SECOLO
Volto di Eterno
Statua lignea, cm. 46x16x19
Il Prof. Alberto Lai in una comunicazione scritta alla proprietà suggerisce di riferire l'opera alla manifattura toscana del XIII secolo. -
Lot 285 SCUOLA ABRUZZESE, XIV SECOLO
Vescovo a figura intera
Legno intagliato, cm. 115x24x22
Danni e lacune. La scultura è priva degli arti superiori.
PROVENIENZA:
collezione privata, Abruzzo -
Lot 286 SCUOLA ROMANA, ULTIMO DECENNIO DEL XVII SECOLO
Papa Clemente XI Albani
Clipeo in marmo, Ø cm. 22,30
Giovanni Francesco Albani (Urbino, 1649 – Roma, 1721) è effigiato in questo bel rilievo marmoreo nelle sue vesti cardinalizie con la berretta e la mantella. Ciò consente di datare la scultura nell'ultimo decennio del XVII secolo, tra la nomina a cardinale, del 1690, voluta da papa Alessandro VIII e l'elezione al soglio pontificio avvenuta l'8 dicembre del 1700 -
Lot 287 SCULTORE, XVIII SECOLO
Testa di uomo barbuto di profilo, placca di marmo entro importante base di porfido e cornice in legno dorato con motivi di conchiglie
Porfido e marmo bianco, cm. 14x12. Con cornice cm. 17x15 -
Lot 288 BOTTEGA DI WILLEM VAN TETRODE ( Delft ca., 1525 - Westphalia, 1580)
Venere e Cupido
Placca in bronzo, cm. 29x26. Con cornice
L'opera è accompagnata da un'expertise del Prof. Francesco Rossi.
L'opera reca la data in caratteri a rilievo sulla roccia a sinistra: "1553". Cornice antica.
La dinamica struttura serpentinata e il modellato plastico rimandano alla scultura manierista toscana tra Cellini e Gianbologna. Chiara vi è anche l'influenza delle composizioni del Parmigianino tradotte a stampa da Ugo da Carpi e dalla sua cerchia. L'autore della placca può essere individuato tra gli artisti fiamminghi attivi tra Firenze e Roma nella cerchia di Benvenuto Cellini. D'accordo con lo studio del dottor Francesco Rossi il riferimento più accreditato appare quello alla bottega di Willem van Tetrode che soggiornò in Italia in tutto l'arco del sesto decennio del Cinquecento
PROVENIENZA:
collezione privata, Roma