Importanti maioliche rinascimentali

Pandolfini Casa d'Aste - Borgo degli Albizi (Palazzo Ramirez-Montalvo) 26, 50122 Firenze

Importanti maioliche rinascimentali

giovedì 1 ottobre 2015 ore 17:00 (UTC +01:00)
Lotti dal 25 al 48 di 65
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  • PIATTO DERUTA (?), INIZIO DEL SECOLO XVI Maiolica dipinta in policromia con...
    Lotto 25

    PIATTO DERUTA (?), INIZIO DEL SECOLO XVI Maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto, rosso ferraccia, giallo, arancio, verde rame in due toni, giallo antimonio, bistro e tocchi di manganese. Alt. cm 9,8; diam. cm 42; diam. piede cm 14,5. Sul retro etichetta di collezione dattiloscritta: “Plat rond raprésentant: Daphné cangée en laurier/dirigeant vers la gauche, une coupe chargée de feuilles posée/sur la tête . Dessin au trait bleu sur fond blanc. Au marii,/Faenza XVI siècle”.L’esemplare ha la forma caratteristica dei piatti da pompa con un cavetto largo e profondo, una tesa ampia che termina in un orlo rifinito a stecca appena rilevato. Il piatto poggia su un piede ad anello, anch’esso appena rilevato, e forato prima della cottura per consentirne l’esposizione. La foggia è tipica delle produzioni derutesi, ma utilizzata anche da altre botteghe della zona umbro-laziale, ed è destinata ad accogliere i celeberrimi ritratti di belle donne, stemmi nobiliari o soggetti importanti. Anche in questo caso, come per gli altri esemplari presenti in questa selezione, il piatto è dipinto a policromia e mostra una scena istoriata. La giovane Dafne è raffigurata da sola mentre si sta tramutando in un albero di alloro: un cesto di foglie le ricopre il capo, quasi fosse un’erma decorativa, ma la trasformazione è più evidente nelle mani che si stanno mutando in rami fogliati, mentre l’espressione del volto è impassibile, quasi indifferente. Tutto intorno si estende un paesaggio roccioso dominato sullo sfondo, sulla cima di un colle, da una torre isolata e, più lontano, da una città fortificata che si specchia in un lago. La tesa mostra una ghirlanda d’infiorescenze, ognuna originata da gruppi di tre bacche gialle e terminante in un frutto verde puntinato di giallo, chiuso tra foglie blu arricciate. La policromia del decoro spicca sul fondo smaltato di bianco della tesa, in contrasto con la monocromia della scena centrale, vivacizzata appena dal colore di un serto di foglie che circonda la vita della protagonista. Il retro, coperto con una vetrina piombifera, mostra un rapido decoro costituito da tre larghe spirali dipinte con pennellate blu molto diluite. Il motivo decorativo della tesa è poco utilizzato: lo ritroviamo, con modalità stilistiche appena differenti, in un vasetto dalla foggia tipicamente derutese, conservato nella collezione Chigi Saracini di Siena (1), nel quale il decoro ha un andamento a girali fogliati con corolle e bacche realizzate in forma più aperta. Carmen Ravanelli Guidotti analizzando l’opera suggerisce una possibile diversificazione della scelta decorativa nei manufatti ceramici a seconda che si trattasse di esemplari da rifinire a lustro o semplicemente a policromia. Tuttavia, mentre le girali del piccolo vaso sono prossime a quelle comunemente visibili sulle tese dei piatti da pompa della città umbra di Deruta, nel nostro esemplare si sviluppano in una corona continua, molto serrata e con modalità stilistiche ben caratterizzate: di contro, l’insolita scelta cromatica è molto simile. Ancora più notevole è la comparazione con il piatto con Ercole e Anteo del Metropolitan Museum of Art, recentemente esposto in un’importante mostra fiorentina (2). Il confronto con il nostro mette in evidenza apprezzabili parentele: la modalità nel dipingere il cielo e le nuvole come piccoli monticelli in un campo riempito a linee parallele; l’uso di un tratto grafico sottile in monocromia blu; il contrasto coloristico così marcato tra tesa e cavetto; ed infine il paesaggio roccioso, di gusto gotico.

  • PIATTO DERUTA, SECONDA METÀ SECOLO XVI Maiolica dipinta in policromia...
    Lotto 26

    PIATTO
    DERUTA, SECONDA METÀ SECOLO XVI
    Maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto, rosso ferraccia, giallo, arancio, verde rame in due toni, giallo antimonio, bistro e tocchi di manganese.
    Alt. cm 8; diam. cm 38,2; diam. piede cm 13,3.
    Sul retro tracce di etichetta con numero stampato .. 61..

    Dish
    Deruta, second half of 16 th century
    Earthenware, painted in cobalt blue, iron red, yellow, orange, antimony yellow, two tones of copper green, bistro and touches of manganese
    H. 8 cm; diam. 38.2 cm; foot diam. 13.3 cm

    On the back, remains of printed label ‘61’


    L’esemplare mostra la caratteristica forma dei piatti da pompa con un cavetto profondo e largo: la tesa è ampia e termina in un orlo rifinito a stecca appena rilevato. Il piatto poggia su un piede ad anello, anch’esso appena rilevato e forato in origine, prima della cottura, per consentirne l’esposizione. La foggia è quella tipica delle produzioni derutesi, destinata ad accogliere i celeberrimi ritratti di belle donne, stemmi nobiliari o soggetti importanti, come le immagini di santi e di eroi, in questo caso dipinti a policromia con tecnica a risparmio su fondo maiolicato bianco. Il retro è ricoperto da uno spesso strato di bistro con un sottile velo di vetrina.
    Il decoro mostra un soldato, con elmo e armatura, seduto su una roccia erbosa mentre indica con la mano destra un punto in lontananza, e sostiene, con la sinistra, un’alabarda appoggiata alla spalla; una lunga spada pende al suo fianco. La scena è compresa in un paesaggio con quinte di alberi e rocce chiuso all’orizzonte da una città turrita, che compare dopo una serie di avvallamenti dal profilo arrotondato. Intorno, su rocce sparse, spiccano fioretti colorati dallo stelo sinuoso.
    La tesa è decorata da un motivo a ghirlanda stilizzata con palmette e infiorescenze, che spicca su un fondo di colore giallo arancio molto carico.
    Il piatto trova numerosi riscontri in molte raccolte: quelli conservati nel Museo Regionale della Ceramica di Deruta, coerenti per decorazione della tesa e per stile pittorico(1), ci spingerebbero ad avvicinare l’opera in esame all’ambito della bottega Mancini, attiva a Deruta alla metà circa del secolo(2).
    Tuttavia il confronto con opere particolarmente vicine per impostazione decorativa della tesa, una con un cavaliere con cappello piumato che mostra un paesaggio stilisticamente coerente con il nostro, conservata al Museo Duca di Martina a Napoli(3); e un’altra decorata da un guerriero in armatura, raffigurato a mezzo busto(4), dimostra analogie stilistiche molto marcate, al punto che, se accostati ad altri esempi, si è portati a pensare all’esistenza di una bottega produttiva coerente. La datazione proposta da Luciana Arbace per l’opera del museo napoletano, unitamente allo stile decorativo, ci incoraggia a pensare a una ripetizione, ormai tradizionale, di motivi più antichi, spostando la datazione di qualche decennio, fino alla seconda metà del secolo.
    Il confronto infine con un piatto conservato al Museo di arti decorative di Lione(5) nel quale compare una figura di giovane con un violino ci porta a ritenere l’opera in esame più coerente con le produzioni più tarde della bottega che, pur mantenendosi ad alto livello, tendono a ripetere i decoro del maestro in modo più seriale. La datazione proposta da Carola Fiocco e Gabriella Gherardi per questo esemplare si basa sull’affinità del decoro della tesa con un piatto del Museo di Amburgo(6) nel quale compare lo stemma del papa Giulio III il cui pontificato si svolse dal 1550 al 1555.

  • TONDINO STEMMATO FAENZA, 1525-30 CIRCA Maiolica dipinta in policromia con...
    Lotto 27

    TONDINO STEMMATO
    FAENZA, 1525-30 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con giallo chiaro, turchino, verde, rosso e lumeggiature bianche su fondo azzurro-grigio “berettino”.
    Alt. cm 5; diam. cm 24; diam. piede cm 7.
    Sul retro, sotto il piede, è delineato un rombo intersecato da una croce.

    Armorial Plate (tondino)
    Faenza, c. 1525–30
    Earthenware, covered with a ‘berettino’ glaze and painted in light yellow, turquoise, green, red, and white highlights
    H. 5 cm; diam. 24 cm; foot diam. 7 cm

    On the back, beneath the base, a mark with a diamond intersected by a cross.

    Il piatto, o tondino, ha un profondo cavetto e una larga tesa appena obliqua, è integralmente ricoperto da smalto “berettino” spesso di colore azzurro intenso e poggia su un piede ad anello appena accennato. Il decoro mostra uno stemma, al centro del cavetto, racchiuso in un medaglione che è a sua volta incorniciato da una fascia decorata in bianco su fondo azzurrato. Lo stemma è dipinto in piena policromia con fondo giallo e branca d’orso che stringe una zampa di capriolo, attorniato da tre stelle rosse. Sopra lo stemma, racchiuso in cartiglio, un amorino e intorno tra sottili nastri sinuosi le lettere in caratteri capitali “ P.G. ”.
    Sulla tesa si estende una decorazione “a groppi“, associata a un motivo “a rabesche” in bianco su azzurro. Sul verso , all’interno del piede, si registra la presenza di un rombo con croce sovrapposta; tutt’intorno sul retro della tesa si osserva un motivo “alla porcellana”.
    Un decoro molto simile è riportato su una mattonella da pavimento della Collezione Cora al Museo Internazionale della Ceramica di Faenza databile attorno al 1530 circa (1).
    Al momento non è stato possibile rintracciare la famiglia committente, ma la qualità dell’opera in esame ci fa supporre che si trattasse di un casato importante (2).
    Il raffinatissimo decoro della tesa s’inserisce nella tipologia delle “vaghezze e gentilezze”, secondo una definizione registrata nei documenti faentini sulle esportazioni del 1528 (3): tale definizione comprende opere cronologicamente vicine alla produzione a grottesche.
    L’ornato del nostro piatto mostra un evidente padronanza della tecnica e della sintassi decorativa, sviluppata su un fondo berettino chiaramente recepito. Il decoro, che comprende la ghirlanda fogliata, groppi, rabesche e molti dei motivi ornamentali più raffinati, può essere probabilmente comparato ad altri esemplari ben riusciti, fra tutti il grande piatto pubblicato come esempio da Carmen Ravanelli Guidotti (4). La scelta della decorazione della tesa e lo stile dello stemma ci portano poi al confronto con un piatto conservato nelle collezioni del Victoria and Albert Museum di Londra, di dimensioni e decorazione più importanti, databile probabilmente al 1530 (5): l’ornato principale che accomuna i piatti è quello a groppi, ma il nostro è realizzato con un ductus estremamente raffinato, tanto da far pensare ad una maggiore vicinanza ai piatti a grottesche e, soprattutto, che sia ancora legato alla decorazione bianco su bianco, qui declinata su un fondo berettino chiaro e associata a un blu cobalto distribuito con sapienza, a definire il decoro e a creare idonee ombreggiature con pennellate più o meno diluite.

  • COPPIA DI ALBARELLI FAENZA, 1530-1550 CIRCA Maiolica dipinta in policromia...
    Lotto 28

    COPPIA DI ALBARELLI
    FAENZA, 1530-1550 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno. Smaltati all'interno.
    a) Saladino : alt. cm 32; diam. cm 11,7; diam. piede cm 11;
    b) Soldato romano : alt. cm 31,2; diam. cm 11,7; diam. piede cm 11,4.
    Sul fronte iscrizioni in catrtiglio: a) Rcqfo :minor ; b) S. Cufcute; e sul retro - a2) R;qfo: minor , b2) S. Cufcute . Tutte con leggera variazione nelle grafia gotica.

    A pair of Apothecary Jars (albarelli)
    Faenza, c. 1530–50
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white; glazed inside
    a) Saladino : H. 32 cm; diam. 11.7 cm; foot diam. 11 cm
    b) Roman Soldier : H. 31.2 cm; diam. 11.7 cm; foot diam. 11.4 cm

    On the front, inscriptions in a cartouche with slight variations of Gothic script: a) Rcqfo :minor ; b) S. Cufcute – a2) R;qfo: minor ; b2) S. Cufcute

    La forma ripropone la morfologia classica degli albarelli faentini con bocca larga appena estroflessa e collo breve con marcata rastrematura che si ripropone anche nella parte inferiore, il corpo ha forma leggermente troncoconica, con spalla e calice dal profilo angolato.
    Lo smalto abbondante presenta microcavillature, ossidi ferrosi e tracce di bruciato sotto il piede, con applicazione d’ingobbiatura a crudo per coprire il difetto.
    Il decoro, realizzato in due varianti di colore per dare la possibilità di mutare l’aspetto dell’intero scaffale apotecario, prevede l’estensione a tutta la superficie dei vasi con una vivace policromia nei toni del blu e dell’arancio.
    La spalla e il piede sono decorati con un motivo a piccoli frutti tondeggianti su un ramo sinuoso, delineati in giallo e giallo arancio su fondo verde intenso. Il corpo dei vasi mostra invece un decoro “bifronte” “a grottesche” con teste di amorini, mascheroni, racemi accartocciati e delfini, presenti simmetricamente sui due lati del contenitore con uno sfondo blu su un lato, e giallo arancio sull’altro. Il decoro è centrato da un medaglione contenete un busto maschile con turbante e scritta in caratteri capitali SALADINO nel primo albarello, mentre sull’altro il medaglione, di analoga proporzione, è decorato da un cagnolino in corsa. Sotto il medaglione corre poi un cartiglio con la scritta apotecaria in caratteri gotici Rcqfo:minor(um). Nell’altro albarello si ripropone il medesimo decoro, con un busto di soldato romano a variare il protagonista del medaglione; il cartiglio presenta la scritta S. Cufcute sempre in caratteri gotici.
    Per ductus e scelta pittorica i vasi potrebbero essere opera di due mani differenti come si desume dallo stile dissimile nella resa dei dettagli disegnativi e nella loro effettiva realizzazione: più calligrafici e sicuri nell'albarello con Saladino, più diluiti e meno incisivi in quello con ritratto di soldato romano. Ciononostante si pensa a un periodo di produzione coeva e alla destinazione per la medesima farmacia.
    Per confronti si veda l’albarello con profili di Rodamote e Carlo della Wallace Collection di Londra (1): di dimensioni minori, si distingue per il decoro su fondo berettino, ma rimane affine per morfologia e per stile decorativo. I serafini e le foglie di quercia accartocciate sono delineati con cura e mostrano affinità con le opere in esame.
    Altri esemplari di confronto sono conservati nei principali musei italiani e stranieri, tra cui quelli indicati nella scheda di pubblicazione dei nostri albarelli in uno studio sui vasi da farmacia rinascimentali di qualche anno fa (2).

  • COPPA FAENZA, BALDASSARE MANARA, 1539 Maiolica, dipinta in policromia con...
    Lotto 29

    COPPA
    FAENZA, BALDASSARE MANARA, 1539
    Maiolica, dipinta in policromia con arancio, giallo antimonio, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno.
    Alt. cm 5,8, diam. bocca cm 25, diam. piede cm 10,5.
    Sul retro la data “1539” entro cartiglio in color ocra .

    SHALLOW BOWL
    Faenza, Baldassarre Manara, 1539
    Earthenware, painted in orange, antimony yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white
    H. 5.8 cm; mouth diam. 25 cm; foot diam. 10.5 cm
    On the back, the date (‘1539’) in an ochre cartouche

    La coppa presenta un cavetto concavo e tesa alta terminante in un orlo sottile arrotondato; poggia su un piede basso e privo di anello.
    La rappresentazione si adatta alla forma del manufatto, assecondandone le curve e le convessità e raffigura un soggetto mitologico ambientato in un paesaggio racchiuso da alberi e quinte di montagne sullo sfondo. Una città turrita si confonde nel paesaggio tra montagne, prati ondeggianti e fiumi. I due protagonisti della scena, Marte e Venere, si affrontano al centro del piatto: Marte appoggiato a un albero, ai cui piedi si scorge Cupido intento a guardare la madre, ritta sulla destra del piatto con la mano alzata ad indicare il cielo dove un amorino appare reggendo nelle mani un arco, probabilmente destinato a Cupido, già armato di faretra. Poco distante due personaggi, intenti a dialogare, sembrano avvicinarsi alla radura in cui si svolge la vicenda.
    Lo smalto è steso con abbondanza, i pigmenti trattati con estrema perizia, anche se sul retro sono presenti qualche difetto di cottura e qualche colatura all’orlo.
    Il verso è dipinto interamente in ocra con motivo a embricazioni, al centro un cartiglio a fondo bruno marrone con scritta giallo antimonio “1539”, intorno al quale risaltano due rami di ulivo.
    Si tratta a nostro avviso di un episodio dell’amore tra Marte e Venere di cui ci narra Ovidio nelle Metamorfosi (1) . Carmen Ravanelli Guidotti, che ha pubblicato l’opera qualche anno fa, pensava invece a Vulcano e Venere, ma a conferma della nostra ipotesi ci sembra di ritrovare una concreta somiglianza del personaggio raffigurato nel nostro piatto con il Marte di una incisione di Giulio Bonasone, con la sola variante del braccio alzato con la spada che pare comunque un attributo più idoneo al dio della Guerra.
    La coppa in esame, pur in assenza di firma, si avvicina molto all’opera del maestro faentino, al punto che è stata inserita da Carmen Ravanelli Guidotti nella monografia su Baldassarre Manara (2) . La studiosa conferma l’attribuzione dell’opera al pittore faentino con la prudenza dovuta alla mancanza di verifica autoptica sul pezzo, noto solo per le numerose pubblicazioni (3) . Di grande interesse, oltre alla ricostruzione della storia collezionistica del pezzo, è il paragone che la studiosa introduce con le opere del “Pittore di Argo”, attivo in questo arco cronologico in area marchigiana, non escludendo un’influenza di questo tipo di pittura sul grande artefice faentino ormai giunto alla maturità artistica.
    La presenza della data colloca la coppa tra le opere mature di Baldassarre Manara, quando, ormai affermato, tende a firmare o a datare i propri lavori.
    Le notizie biografiche su questo celebre pittore sono scarse, ma la sua attività si colloca nella prima metà del XVI secolo. Sappiamo che proveniva da una famiglia di vasari, nota nella città di Faenza. Le attestazioni archivistiche sono scarse e abbiamo notizie dal 1529 fino al 1546-1547, anno supposto della morte (4).

  • CRESPINA FAENZA, TERZO QUARTO DEL SECOLO XVI Maiolica dipinta in policromia...
    Lotto 30

    CRESPINA
    FAENZA, TERZO QUARTO DEL SECOLO XVI
    Maiolica dipinta in policromia con giallo, giallo arancio, blu di cobalto, verde rame, bruno di manganese.
    Alt. cm 5,8; diam. cm 24,8; diam. piede cm 9,5.

    MOULDED BOWL (CRESPINA)
    Faenza, third quarter of 16th century
    Earthenware, covered with a crackled white glaze with a light-bluish tinge and painted in yellow, orange-yellow, cobalt blue, copper green, and manganese
    H. 5.8 cm; diam. 24.8 cm; foot diam. 9.5 cm

    Coppa con umbone centrale rilevato, tesa baccellata a conchiglia e orlo sagomato. La coppa poggia su alto piede, tagliato all’altezza dell’orlo, che risulta pertanto dritto e non aggettante. La forma, altresì nota come “crespina” dall’andamento ondulato dell’orlo, è decorata a policromia sulla tesa con motivo “a quartieri” con settori di forma romboidale, alternati a piccoli petali, disposti simmetricamente attorno all’umbone centrale, che mostra entro una cornice poligonale un amorino in un paesaggio montuoso.
    Entro le riserve sono dipinti tralci fogliati, foglie stilizzate e delfini su fondo arancio, verde e blu. Sul retro un motivo a corolla nei colori blu e giallo arancio si dispone simmetricamente a ornare le pareti della coppa.
    Si tratta di una crespina “a quartieri”, tipica della produzione faentina, che ebbe grande successo intorno alla metà del Cinquecento. I caposaldi cronologici di questa produzione ci derivano da esemplari datati, e sono stati ampiamente studiati da Carmen Ravanelli Guidotti nel Thesaurus (1) della maiolica di Faenza: si tratta di esemplari che vanno dal 1538 (2) fino al 1547 (3). Questa tipologia decorativa perdura parallelamente all’insorgere della moda dei “ bianchi” ed è rappresentata insieme con le coppe compendiarie nelle principali botteghe e almeno fino al 1575 nella bottega Utili (4).
    Numerosi sono gli esemplari di confronto: simile per impostazione la coppa della collezione del Banco di Sicilia (5), che sottolinea la tematica amatoria del decoro con la scritta “ non la lassa ”, che sottintende la frase “ Amor non la lascia ”, ma anche la coppa del Museo del Louvre con un amorino in corsa (6) o quella del Museo di Sévres con variante di forma e disposizione del decoro (7). Un’altra crespina con un putto inserito in un paesaggio “già di gusto compendiario” è conservata al Victoria and Albert Museum (8) e, se accostata alla nostra, mostra una disposizione della cromia invertita con predominanza di arancio rispetto alla maggiore concentrazione di blu di cobalto nei “ quartieri” del nostro esemplare.
    Ci pare infine di ravvisare una particolare vicinanza stilistica nella crespina con putto nell’umbonatura centrale del Museo Civico di Pesaro, già pubblicata come esempio del genere “a quartieri” nel volume sulla maiolica in Italia di Giovanni Conti (9).

    1-RAVANELLI GUIDOTTI 1998, p. 378 n. 94.
    2-Crespine del Museo Correr di Venezia.
    3- La crespina del Museo Civico di Pesaro (MANCINI 1979, n. 198).
    4- RAVANELLI GUIDOTTI 1998, pp. 379-380 n. 95.
    5-RAVANELLI GUIDOTTI in AUSENDA 2010, p. 126 n. 47.
    6-GIACOMOTTI 1974, n. 952.
    7-GIACOMOTTI 1974, n. 954.
    8-RACKHAM 1977, inv. 1807-1855.
    9-CONTI 1973, n. 190.


  • CRESPINA FAENZA, TERZO QUARTO DEL SECOLO XVI Maiolica dipinta in bicromia con...
    Lotto 31

    CRESPINA
    FAENZA, TERZO QUARTO DEL SECOLO XVI
    Maiolica dipinta in bicromia con azzurro e giallo su smalto bianco in un ricco e spesso strato.
    Alt. cm 7,6; diam. cm 31; diam. piede cm 14
    Sul retro iscrizione “ VR AF ” sormontata da omega, delineata in blu

    MOULDED BOWL (CRESPINA)
    Faenza, third quarter of 16th century
    Earthenware, covered with a thick white tin glaze and painted in light blue and yellow
    H. 7.6 cm; diam. 31 cm; foot diam. 14 cm.

    On the back, inscription in blue ‘VR AF’ surmounted by omega.

    La coppa ha un umbone centrale rilevato, tesa baccellata a mascheroni e orlo sagomato. Poggia su alto piede appena aggettante. La forma a “crespina” è simile a quella dell’esemplare che segue (lotto 32) dal quale si distingue per la sagomatura, modellata con mascheroni, poco leggibili per l’alto spessore dello smalto, al posto delle conchiglie.
    Il decoro, realizzato secondo i dettami dello stile compendiario, utilizza pochi colori standardizzati: blu, giallo e giallo arancio su uno spesso smalto bianco e lucente, volutamente scelto come colore che maggiormente richiama l’argento. Questo deriva proprio dal progetto produttivo del periodo, che trae a stampo le forme mutuandole direttamente dai modelli metallici; idea che perdurerà per tutto il secolo.
    L’opera mostra al centro dell’umbone uno stemma con leone rampante delineato in giallo arancio su fondo giallo antimonio più chiaro. Sulla tesa, a completamento dell’ornato, corre una ghirlanda di fioretti a campanula dalla foggia arrotondata e foglie, collegati fra loro da una girale sottile dipinta in blu. I pigmenti sono applicati in abbondanza fino a ottenere quasi un effetto di rilievo nelle parti in giallo ferraccia utilizzato per simulare il rosso.
    Le cavillature sottilissime presenti nello smalto ne denunciano lo spessore volutamente abbondante, indice di un prodotto particolarmente ricercato, come confermato dall’apposizione sul retro, sotto il piede, della sigla “ VR AF” sormontata da omega. È questa la sigla attribuita alla bottega di Virgiliotto Calamelli che sappiamo attiva dal 1531 al 1579, per circa nove anni dopo la morte del maestro.
    Interessante al fine della comprensione di questa tipologia di opere l’elenco della produzione della bottega, Descriptio , in data 1556, dal quale si evince come la tipologia compendiaria fosse molto rappresentata nella produzione della bottega e ci dia “la misura della solidità e dell’ampiezza della bottega Calamelli”. Il repertorio della bottega Calamelli è molto diversificato e comprende busti all’antica, amorini, figure di guerriero, ma anche raffigurazioni istoriate, più o meno complesse fino all’istoriato policromo vero e proprio.
    La raffigurazione degli stemmi nobiliari s’inserisce appieno in questo repertorio e alcuni esemplari con questo tipo di decoro sono stati pubblicati nel volume monografico sui Bianchi di Faenza di Carmen Ravanelli Guidotti: ad esempio la crespina, di foggia più semplice, con stemma del vescovo Annibale Grassi, e quella con uno stemma non identificato, sormontato da cherubino.


  • COPPA O CRESPINA FAENZA, TERZO QUARTO DEL SECOLO XVI Maiolica con impasto...
    Lotto 32

    COPPA O CRESPINA
    FAENZA, TERZO QUARTO DEL SECOLO XVI
    Maiolica con impasto giallo camoscio rosato, dipinta in bicromia con azzurro e giallo su smalto bianco.
    Alt. cm 7,5, diam. cm 29, diam. piede cm 15.
    Sotto il piede n. 299 dipinto in rosso.


    MOULDED BOWL (CRESPINA)
    Faenza, third quarter of 16th century
    Earthenware, covered with a white tin glaze and painted in light blue and yellow
    H. 7.5 cm; diam. 29 cm; foot diam. 15 cm
    Beneath the base, number ‘299’ hand-written in red



    Coppa con umbone centrale rilevato, tesa baccellata a conchiglie e orlo sagomato. La coppa poggia su alto piede appena aggettante. La forma a “crespina” ricorda quella dell’esemplare precedente (lotto 31) da cui si distingue per la maggior leggibilità dello stampo attraverso lo smalto bianco spesso, ricco e lucente, che vede affiancati alle conchiglie dei bei mascheroni a rilievo distribuiti lungo l’orlo.
    In comune con il lotto precedente anche il decoro con i colori tipici del cosiddetto “periodo compendiario”, che ha determinato gran fama per le botteghe della città romagnola.
    L’opera mostra al centro dell’umbone una figura femminile che avanza sostenendo una colonna e sullo sfondo un paesaggio montano di grande impatto. La figura è attorniata da una decorazione a mazzi di foglie sparsi disordinatamente sulla tesa salvo alcuni ciuffi fogliati, di colore azzurro collocati in quattro punti simmetrici.
    Si tratta della rappresentazione della Forza, secondo la raffigurazione cristiana, che la vede come una virtù vincitrice sull’istinto brutale e sulle false divinità. La sua personificazione è una donna recante una colonna, di solito spezzata, per collegamento con la vicenda di Sansone (1), distruttore del tempio.
    Un primo confronto ci viene fornito da una coppa della bottega Enea Utili (2), nella quale si scorge una figurina maschile che avanza con passo svelto. L’opera, diversa per stile pittorico, ci fornisce un’idea della sintassi decorativa in uso nella bottega faentina, con ciuffi di fiori sparsi sulla tesa. Assai simile invece il decoro secondario che leggiamo sui vasi da farmacia, raggruppati da Carmen Ravanelli Guidotti attorno ai due albarelli del Museo Internazionale della Ceramica di Faenza (3) ancora non ascritti a una bottega certa e databili alla fine del secolo. Non riscontriamo invece alcuna somiglianza stilistica nelle figure principali, che mostrano uno stile molto caratterizzato, in contrasto con la nostra figurina che è invece tradizionale e delicata, nonostante la forza decorativa del paesaggio di sfondo.
    L’impostazione del decoro, le modalità stilistiche, la grande qualità tecnica sia dello stampo che dello smalto, e la ricercatezza nell’impostazione del decoro ci confermano, comunque, la provenienza di quest’opera da una bottega faentina della seconda metà del XVI.

    1- GIUDICI, 16, 29
    2- RAVANELLI GUIDOTTI 1996, p. 244 n. 56.
    3-RAVANELLI GUIDOTTI 1996, pp. 368-371 n. 94, n. 56, ora conservata alla Pinacoteca di Varallo Sesia (ANVERSA 2004, p. 102 n. 42).


  • COPPA CASTELDURANTE , 1535 Maiolica, dipinta in policromia con arancio,...
    Lotto 33

    COPPA
    CASTELDURANTE , 1535
    Maiolica, dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno.
    Alt. cm 5,5 , diam. cm 23, diam. piede cm 12 .
    Sul fronte entro cartiglio in caratteri capitali “ Battista ”.

    SHALLOW BOWL
    CASTEL DURANTE, 1535
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white
    H. 5.5 cm; diam. 23 cm; foot diam. 12 cm
    On the front, in a cartouche, inscription in capital letters ‘BATTISTA’.


    La coppa ha cavetto concavo con tesa alta terminante in un orlo sottile arrotondato e larga tesa appena inclinata. Poggia su un piede alto dall’orlo appena estroflesso.
    Il ritratto nel piatto è realizzato di fronte: la giovane donna indossa una camicetta plissettata chiusa al collo da un gallone ricamato, e s’intravede appena un bustino giallo ocra chiuso sul seno da un laccio. Lo sguardo è rivolto verso il basso e la piccola bocca è chiusa. I capelli, raccolti sulla nuca, sono trattenuti da un nastro arancio dal quale scendono alcuni sottili nastri che cadono a lato del volto.
    Dietro il ritratto appare un cartiglio che si srotola sinuosamente e che reca la scritta BATISTA .
    Anche questa coppa, come quella che segue (lotto 34), appartiene alla tipologia delle “belle” e condivide con essa anche il confronto tipologico stilistico con la coppa del Museo di Lione (1). La grande perizia tecnica nella stesura dei colori è ben esemplificata nel modo di realizzare i nastri che scendono dal capo: sono assai sottili e realizzati a risparmio rispetto al blu dello sfondo, che è steso con pennellate parallele molto fitte e continue. La perizia dell'autore ben si evince anche dalla stesura di sottili tocchi di bianco di stagno , a dare luce ai tratti del volto.
    Il confronto più prossimo alla nostra coppa ci deriva da un esemplare morfologicamente affine, oggi conservato al Victoria and Albert Museum (2) , nel quale il ritratto femminile, raffigurato di fronte, è decorato a lustro metallico in un tono giallo oro: la coppa è attribuita a Casteldurante, inserita tra le opere lustrate a Gubbio (3) in un ambito cronologico compreso tra il 1535 e il 1540, e reca alle spalle della “bella” la scritta “ amaro chi me amara ”. Lo stile delle due figure è, a nostro avviso, sovrapponibile, salvo alcuni particolari nella scelta della raffigurazione, di fronte e con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, e l’applicazione del lustro che, oltre a lumeggiare il ritratto, si estende nella scritta e decora lo sfondo blu con stelle. Coincide anche la rappresentazione della veste e del sottile nastro, che scende dalla larga fascia che ferma l’acconciatura, e la forma dell’orecchio.
    La coppa è stata esposta alla mostra culturale “Belle, bellissime su maiolica” tenutasi a Verona parallelamente alla V Biennale antiquaria Tesori dal tempo nella primavera del 2001 (4).


    1-GHERARDI-FIOCCO 2001, p. 207 n. 141.
    2-RACKAHAM 1977, p. 237 n. 716 (Inv. 8886-1863).
    3-Una più recente ipotesi suggerisce che fossero i lustratori eugubini a spostarsi nel ducato per lustrare le opere e non il contrario (FIOCCO-GHERARDI 2007).
    4- “Ceramica Antica” XI, n. 4, 2001, p. 6.




  • COPPA CASTELDURANTE O URBINO E DUCATO, 1540 CIRCA Maiolica dipinta in...
    Lotto 34

    COPPA
    CASTELDURANTE O URBINO E DUCATO, 1540 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno.
    Alt. cm 6, diam. cm 22 , diam. piede cm 10,5 .
    Sul fronte entro cartiglio in caratteri capitali LUCIA. BE[LLA] .

    SHALLOW BOWL
    CASTEL DURANTE OR URBINO OR URBINO DISTRICT, C.1540
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white
    H. 6 cm; diam. 22 cm; foot diam. 10.5 cm
    On the front, in a cartouche, inscription in capital letters ‘LUCIA. BE[LLA]’


    La coppa presenta corpo concavo con tesa alta terminante in un orlo sottile arrotondato e poggia su un piede basso.
    Sul fronte un bel ritratto femminile di faccia, alle spalle del quale si snoda un cartiglio che reca la scritta LUCIA. BE[LLA] , a indicare il nome della protagonista. La giovane donna è dipinta con il volto verso lo spettatore, il busto è compresso nel piatto e indossa un peplo all’antica, drappeggiato e fermato sulle spalle, appena visibili attraverso i panneggi, da due fermagli rotondi di color verde. Lo sguardo è rivolto a sinistra, la bocca chiusa e atteggiata a un sorriso un poco trattenuto; attraverso la folta capigliatura di colore fulvo, raccolta in una morbida acconciatura sul capo, si scorge un orecchio.
    La coppa appartiene alla tipologia delle “belle” , utilizzate com’è noto per celebrare le future spose da parte del promesso , o come dono di fidanzamento.
    Questa coppa trova numerosi confronti in collezioni private e pubbliche: fra queste indichiamo quella con figura femminile del Victoria and Albert Museum (1), il bel ritratto di “Girolama” in una coppa conservata al Museo del Louvre , anche se forse più leggero nel tratto , soprattutto nel modo di trattare la capigliatura, rispetto alla coppa in esame, e anche la coppa con ritratto di “Bartolomea” del Metropolitan Museum of Art di New York , databile attorno agli anni 1525-1530 , che condivide con il nostro esemplare la resa dello sguardo e alcune particolarità tecniche (2) .
    Particolarmente vicino per il modo di trattare l’incarnato con tecnica di velature di bianco su bianco, bistro e tocchi di arancio, per la resa degli occhi con l’interno sottolineato da una zona rosata e le ombreggiature sottilissime in bianco, ma anche per i capelli raccolti sulla nuca e altro ancora , è il frammento di coppa conservato al Bargello a Firenze e datato 1546 (3) .
    Non lontano dal nostro ritratto è quello di “Dianora bella” del Museo di Lione (4) , simile per la medesima impostazione del ritratto che interessa l’intera coppa , per la sapiente capacità tecnica nella resa dell’incarnato, per il modo di sottolineare il naso solo nella parte terminale lasciando al gioco cromatico il compito di delinearne la forma e infine per il medesimo modo di far cadere alcuni ciuffi arricciati delineati con un sol tocco di pennello .
    Anche alla luce di questi confronti ci sembra pertanto corretto inserire quest’opera nella produzione durantina della metà circa del secolo XVI.
    La coppa è stata esposta alla Mostra culturale “ Belle, bellissime su maiolica ” che si tenne a Verona parallelamente alla V Biennale antiquaria Tesori dal tempo nella primavera del 2001 (5)

    1-RACKHAM 1977, p. 186 n. 554 (Inv. 8930-1863), per il quale viene indicata una produzione durantina e una datazione attorno al 1530 circa
    2- Lehamann Collection, inv. 1975.1.1103.
    3- CONTI 1971, n. 466.
    4- GHERARDI-FIOCCO 2001, p. 207 n. 141.
    5-“Ceramica Antica” XI, n. 4, 2001, p. 6.


  • MATTONELLA DA PAVIMENTO DELLO STUDIOLO DI ISABELLA D’ESTE, PESARO...
    Lotto 35

    MATTONELLA DA PAVIMENTO DELLO STUDIOLO DI ISABELLA D’ESTE, PESARO BOTTEGA DI ANTONIO FEDELI (1493-1494)
    Terracotta smaltata sul fronte e decorata in manganese nei toni del nero e del bruno violaceo, giallo ocra e blu di cobalto.
    Cm 23,5x23,5x4,5.

    FLOOR TILE FROM THE STUDIOLO OF ISABELLA D’ESTE
    Pesaro, workshop of Antonio Fedeli, 1493–94
    Earthenware, glazed on the front and painted in blackish manganese, manganese purple, ochre yellow, and cobalt blue
    23.5 x 23.5 x 4.5

    La mattonella ha forma quadrata e buono spessore, il fronte è smaltato e decorato. Al verso è presente un profondo solco a forma di cerchio, espediente, questo, utilizzato per far asciugare prima la mattonella, per alleggerirla nel trasporto e per assicurarne un miglior ancoraggio al momento della posa.
    La decorazione mostra un sole i cui raggi s’intrecciano a un cartiglio svolazzante che reca la scritta in blu di cobalto “ PER UND/IXIR ” in caratteri capitali: la profondità delle pieghe del cartiglio è ben realizzata grazie a sottili righe di ombreggiatura.
    Il sole è dipinto in bruno di manganese, con un volto antropomorfo che s’intravede tra le larghe pennellate di manganese, che danno spessore alla sfericità dell’astro. Anche i raggi hanno uno spessore tridimensionale, sono a forma di cono e dipinti in giallo ocra e bruno di cobalto; intorno il calore irradiato è realizzato con elementi sinuosi. Lo smalto è povero e friabile, color crema, e mostra difetti di cottura, bolliture e puntinature.
    La mattonella appartiene a una serie assai celebre, oggi custodita tra i principali musei del mondo (1), coerente per materia, dimensioni e decoro. Le mattonelle, di grande qualità artistica, appartenevano al pavimento che Giovanni Sforza fece realizzare per il cognato Francesco II Gonzaga e per la moglie Isabella d’Este per un camerino della Villa di Marmirolo (2). Dai documenti d’archivio sappiamo che Giovanni Sforza, Signore di Pesaro, aveva ordinato una grande quantità di mattonelle “quadrelle” secondo i desideri della cognata, che aveva precedentemente inviato il disegno del progetto decorativo (3). Le “quadrelle” arrivarono da Pesaro il 1° giugno e il 9 luglio del 1493 erano già in posa, come si evince da una lettera di Isabella d’Este, che ringrazia entusiasta il cognato.
    Il pavimento reca le imprese dei Gonzaga e costituisce, anche grazie al corredo documentario che le accompagnano, un elemento cardine per gli studi sulla cultura del periodo.
    La mattonella in oggetto riporta il motto “ PER UN DIXIR ”, motto di Ludovico II, e anche le altre mattonelle delle serie raccontano la storia dei Gonzaga attraverso le loro imprese: i leoncini di Boemia alludono al titolo conquistato dal Marchese Gianfrancesco nel 1433; la tortora sul nido e il motto “ VRAI AMOUR NE SE CHANGE ”, unitamente alla mattonella con il sole, si riferiscono al Marchese Ludovico; la cerva con il motto “ BEDERCRAFT ” si riferisce a Francesco I (1382-1407); lo scoglio con il diamante e il motto “ AMUMOK ” è stato interpretato come omaggio a Francesco I. E infine le imprese più antiche: il cane vigilante, la museruola con il motto “ CAUTIUS ”, la manopola con “ buena fè non es mudable ” in diverse versioni.
    Lo studiolo di Isabella fu uno dei luoghi più preziosi del Rinascimento, ricco di opere artistiche realizzate dai più valenti autori del periodo.

  • Tondino Ducato di Urbino, 1525-1530 Maiolica dipinta in policromia nei toni...
    Lotto 36

    Tondino
    Ducato di Urbino, 1525-1530
    Maiolica dipinta in policromia nei toni del giallo, blu, verde, bianco.
    Alt. cm 2,6; diam. cm 21,6; diam. piede cm 5,8.
    Sul retro una piccola etichetta con la scritta in corsivo “2.3.36 This is property of Mrs Jean Douglas ER” , un’etichetta scritta in inchiostro “ 5892 ” e un’altra etichetta con n. 48 a stampa.

    Armorial Plate (tondino)
    Faenza or Urbino district, 1525–30
    Earthenware, covered with a thick and vitreous glaze and painted in yellow, blue, green, and white
    H. 2.6 cm; diam. 21.6 cm; foot diam. 5.8 cm
    On the back, small label hand-written ‘2.3.36 This is property of Mrs Jean Douglas ER’; label hand-written in ink ‘5892’; printed label ‘48’


    Il piatto, poggiante su piede ad anello appena accennato, mostra un cavetto profondo e separato dalla tesa da una sottile linea blu che ne delimita lo stacco. Esso è occupato da uno stemma con cinque monti sormontati da tre fiori di papavero sfioriti in campo giallo, che galleggia in un paesaggio di sfondo con una base verdeggiante all’esergo e alcuni monti appuntiti all’orizzonte, il cielo reso da sottili linee in azzurro diluito, mentre intorno allo stemma svolazza un nastro piatto con andamento sinuoso. Lo stemma non è stato identificato.
    La tesa è interamente occupata da un motivo “alla porcellana”, centrato nei punti cardinali da quattro cartigli intervallati da un motivo tondeggiante che ricorda un melograno: la decorazione è qui realizzata in monocromia blu di cobalto, che spicca sullo smalto bianco latte, spesso e vetroso. L’orlo è delimitato da due linee concentriche anch’esse blu. Il retro invece non presenta decorazioni.
    Il piatto proviene dalla collezione Murray (1), dove era classificato e collocato tra le opere di Faenza e datato all’incirca al 1525 (fig 1). Nella stessa collezione si nota la presenza di altri piatti stemmati, attribuiti a differenti manifatture, ma alcune di queste opere, per quanto si possa desumere dalla visione fotografica in bianco e nero, sembrano mostrare caratteristiche morfologiche e scelte decorative simili; tra esse, un piatto con decoro della tesa a trofei (2) mostra nel cavetto uno stemma di forma simile al nostro, che poggia su una base collinare e ha sullo sfondo un cielo sfumato. Il piatto è stato a suo tempo attribuito a bottega durantina del 1530 circa.
    Il paesaggio di sfondo e la rigida forma dello scudo, decorata da un motivo trilobato sulla cuspide, accompagnato da nastri svolazzanti, piatti e spesso terminanti in due capi, sono tutte caratteristiche che ci permettono di avvicinare la nostra opera ad altre simili, le quali, però, mostrano tutte scelte decorative della tesa molto differenziate. Tra queste un tondino con tesa decorata “in bianco sopra bianco” “alla porcellana” del British Museum (3)mostra una tecnica decorativa per riempire il fondale dietro lo scudo molto vicina al nostro esemplare: si differenzia per una ulteriore colorazione del cielo con del giallo per rendere una luce serotina. Il piatto è attribuito al Ducato di Urbino attorno al 1530.
    Il confronto con un esemplare che mostra una scelta decorativa differente può spiegare l’attribuzione generica ad area urbinate: si tratta di un piatto del Victoria and Albert Museum (4) con una tesa decorata “alla porcellana”, ma su fondo blu e con decoro in lustro rosso, che porta al centro uno stemma di fattura semplice e con sfondo paesaggistico coerente con il nostro; tale piatto è attribuito a Gubbio e datato 1531.

  • COPPA URBINO E DUCATO DI URBINO, AMBITO DI NICOLA DA URBINO , 1525-1535 CIRCA...
    Lotto 37

    COPPA
    URBINO E DUCATO DI URBINO, AMBITO DI NICOLA DA URBINO , 1525-1535 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nei toni del nero, marrone e bianco di stagno.
    Alt. cm 3,5; diam. cm 25,7.

    SHALLOW BOWL
    URBINO OR URBINO DISTRICT, CIRCLE OF NICOLA DA URBINO, C. 1525–35
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white.
    H. 3.5 cm; diam. 25.7 cm.

    La coppa ha cavetto concavo e tesa bassa , terminante in un orlo sottile e arrotondato. Si presenta priva di piede.
    La scena si svolge all’interno di un porticato a pianta centrale, con volte a vela e un’esedra sullo sfondo, pavimentato a grandi lastre quadrate. Al centro della composizione è collocato un altare dalla forma “a candelabro” (1) con ricca decorazione a foglie d'acanto, sul quale è acceso un focolare. Ai piedi dell'altare , un sacerdote barbato sacrifica un animale con una spada dalla lama larga e ricurva. Alle sue spalle un uomo, anch'esso barbato e avvolto in un manto arancio (2) , assiste alla scena, mentre sul lato opposto una donna velata accompagna un fanciullo che sorregge con la mano destra un animale da sacrificare. Sullo sfondo, dietro le architetture, un paesaggio accennato spicca in ombra sul cielo al tramonto.
    La composizione richiama, con molte varianti, quella replicata in un’incisione di Marco Dente tratta da un disegno realizzato da Raffaello per le Logge Vaticane e già utilizzata in maiolica presso le botteghe urbinati (3) .
    Una scena di sacrificio, invero più affollata, attribuita alla bottega di Guido Durantino, è conservata al Museo di Berlino (4) e mostra una figura di vecchio che sacrifica un capro davanti ad un altare, in presenza di un sacerdote con il capo velato e davanti a numerosi personaggi: i modi stilistici sono vicini a quelli della cerchia di Nicola da Urbino.
    La nostra coppa era stata attribuita a Nicola Pellipario da Rackham, che in una lettera al proprietario, datata 24 novembre 1962, scriveva: “Non ci sono dubbi che tu sia il proprietario di un altro lavoro di Nicola Pellipario (5). Daterei la coppa al 1520 o forse al 1525”(6) . Tale attribuzione è accolta anche da Maria Cristina Villa, che pubblica la coppa come confronto in un articolo su un istoriato inedito di Nicola da Urbino (7) . Nell’articolo vengono raffrontate alcune opere del maestro urbinate nelle quali si riscontrano effettivamente molti elementi comuni, vuoi nella resa delle figure vuoi in quella dei personaggi.
    L’architettura con il porticato ha invece un riscontro in un altro piatto pubblicato nello stesso articolo e conservato al Castello di Wawel a Varsavia (8), nel quale la vicenda narrata si svolge in un porticato del tutto coerente con il nostro: Maria Cristina Villa fornisce tutti i dettagli relativi alle fonti d’ispirazione e all’utilizzo delle stesse da parte di Nicola e della sua cerchia.
    Tra le opere di confronto, ci colpisce un piatto del Museo di Amburgo, nel quale le figure attorno all’altare comprendono un personaggio barbato avvolto in un mantello sulla sinistra del piatto e due figure erette sulla destra; il vecchio non mostra riscontri stilistici affini a quello raffigurato sul nostro piatto, ma ne potrebbe comunque costituire una fonte d’ispirazione. Nei personaggi femminili l’attenzione è focalizzata sulla forma del viso, che ritroviamo nelle figure rappresentate nel nostro piatto con varianti: nell’opera in analisi i personaggi sono uno maschile e uno femminile e le vesti sono differenti.

  • PIATTO URBINO, FRANCESCO XANTO AVELLI, 1528-1529 Maiolica dipinta in...
    Lotto 38

    PIATTO
    URBINO, FRANCESCO XANTO AVELLI, 1528-1529
    Maiolica dipinta in policromia, con arancio, giallo, verde, blu, bianco di stagno e bruno di manganese nei toni del nero, del marrone e del viola .
    Alt. cm 2,7; diam. cm 26.5; diam. piede cm 9 .
    Sul retro l’iscrizione “ Vedi Porzia ch'il ferro el/fuoco affina . historia Y/ φ ” . Sul retro etichetta rotonda con scritta di collezione in inchiostro nero “ Xanto Avelli Urbino 1530” .

    DISH
    URBINO, FRANCESCO XANTO AVELLI, 1528–29
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, tin white, blackish and brownish manganese, and manganese purple
    H. 2.7 cm; diam. 26.5 cm; foot diam. 9 cm
    On the back, inscription ‘Vedi Porzia ch'il ferro el/fuoco affina. historia Y/ φ ’; on the back, collection round label hand-written in black ink ‘Xanto Avelli Urbino 1530’

    Il piatto presenta basso cavetto e larga tesa appena inclinata. L’orlo sul retro mostra tre filettature a rilievo concentriche. Poggia su basso piede privo di anello.
    La scena raffigurata è quella del suicidio di Porzia perpetrato in un modo tanto inusitato e così descritto da Marziale (1): “Dixit et ardentis avido bibit ore favillas. I nunc et ferrum, turba molesta, nega” . Come sempre Xanto Avelli ci descrive la scena aiutandoci nella comprensione, con una spiegazione sul retro “ Vedi Porzia ch'il ferro el/fuoco affina. historia Y/ φ” ; utilizza inoltre nella legenda la frase tratta dai Trionfi del Petrarca (2) e appone la scritta historia e non fabula poiché si tratta di un episodio di storia romana e non di una vicenda mitologica (3) .
    Porzia, figlia di Catone Uticense e moglie di Marco Giunio Bruto, uno degli assassini di Giulio Cesare, alla notizia della morte del marito (42 a.C.) si uccide ingoiando dei carboni ardenti. Questa vicenda storica è narrata da Valerio Massimo (4), che così descrive il tragico atto: "Quando venisti a sapere che il tuo sposo Bruto era stato sconfitto e ucciso a Philippi, poiché non ti si dava un pugnale, non esitasti a inghiottire castissimi carboni ardenti, imitando con il tuo coraggio femminile la morte virile di tuo padre". I carboni ingoiati da Porzia sono "castissimi", perché la castità era stata la dote principale di questa donna coraggiosa: e la castità era una delle virtù fondamentali della matrona romana (5). A far passare Porzia per leggenda non fu dunque il suicidio in sé, ma il modo in cui Valerio Massimo lo descrive, cioè “tale da meritare l’ammirazione di tutti i secoli futuri” e da superare addirittura il coraggio dello stesso padre.
    La giovane donna è dipinta sulla sinistra del piatto mentre, seduta su un gradino, inghiotte le braci; a destra un’ancella, sconvolta, cerca aiuto e in basso un cagnolino, con una piccola preda in bocca, guarda lo spettatore con fare smarrito; al centro il focolare, protagonista della composizione.
    Il piatto è stato pubblicato in occasione degli atti del convegno su Francesco Xanto Avelli a cura di Carmen Ravanelli Guidotti (6): a questo studio faremo riferimento per l’analisi del piatto.
    Anche in questo caso si riconosce l’uso di più incisioni: Porzia in una delle madri nell’opera La strage degli innocenti (vedi fig. 1) (7), mentre l’ancella è tratta dall’incisione con “gli Ebrei che raccolgono la manna” (vedi fig. 2) (8).

  • PIATTO URBINO, BOTTEGA DI GUIDO DURANTINO, 1540-1545 CIRCA Maiolica dipinta a...
    Lotto 39

    PIATTO
    URBINO, BOTTEGA DI GUIDO DURANTINO, 1540-1545 CIRCA
    Maiolica dipinta a policromia con azzurro, giallo, giallo arancioe bruno di manganese.
    Alt. cm 2,5; diam. cm 27,2; diam. piede cm 9,4.
    Sul retro, sotto il piede, delineata in blu di cobalto la scritta Nottuno .

    DISH
    URBINO, WORKSHOP OF GUIDO DURANTINO, C.1540–45
    Earthenware, painted in light blue, yellow, orange-yellow, and manganese
    H. 2.5 cm; diam. 27.2 cm; foot diam. 9.4 cm
    on the back, beneath the base, inscription in cobalt blue Nottuno


    Il piatto ha un cavetto ampio e poco profondo, tesa larga e appena obliqua, orlo arrotondato; poggia su un piede ad anello. Il fronte è interamente ricoperto da una decorazione istoriata che interessa il cavetto e la tesa senza soluzione di continuità.
    Nella parte inferiore del cavetto e della tesa è raffigurato il carro di Nettuno che sorge dal mare, trainato da cavalli marini e scortato da due tritoni: uno alle spalle del dio e uno sulla tesa a destra (1). La divinità brandisce il tridente rivolgendolo verso il basso, gesto ripetuto da un tritone raffigurato sulla tesa a destra. Sullo sfondo le navi troiane squassate dai venti, dipinti mentre soffiano da un nimbo illuminato dai fulmini e collocato nella parte superiore del piatto, sulle quali si intravede la figura di Enea con le braccia alzate in cerca di aiuto.
    La scena riproduce in maiolica la celebre incisione di Marcantonio Raimondi (1480 circa - 1534), ritenuta uno dei suoi capolavori, tradizionalmente intitolata “Quos Ego” (2) (vedi fig. 1) dal noto verso di Virgilio dal libro I dell' Eneide (3).
    Il piatto in esame è stato pubblicato dal Professore Gaetano Mario Columba nel marzo 1895. Lo studioso siciliano mette in relazione l’incisione con la scena raffigurata sul piatto (4) e la paragona a opere di maiolica con simile soggetto, probabilmente ispirate alla medesima incisione, ipotizzando che per alcune caratteristiche stilistiche, come la presenza dei fulmini, il pittore si sia potuto ispirare a disegni o modelli presenti alla corte di Urbino dai quali il Raimondi avrebbe in seguito tratto l’incisione.
    Esistono comunque altre opere che s’ispirano alla celebre opera del Raimondi, che sappiamo posteriore al 1516, in cui si riconoscono varianti e interpretazioni da parte degli autori. Il confronto più prossimo, già indicato da Columba, è il bel tagliere di bottega urbinate conservato al Museo del Louvre, recante sul retro la scritta “ 1543/Nettuno dio del mare” , attribuito da Giacomotti alla bottega Fontana (5).
    Un altro piatto, datato 1544, con il medesimo soggetto è conservato al Museo Nazionale Ungherese di Budapest: morfologicamente affine, mostra caratteristiche stilistiche e scelte decorative differenti pur ispirandosi al medesimo soggetto. La scelta cromatica è diversa e la stesura molto più rigida: il dio del mare è raffigurato su una conchiglia e i cavalli marini sono disposti e realizzati in modo libero, senza la consueta coda di delfino; i venti sono sostituiti da nubi tempestose e il mare è popolato da delfini che prendono il posto dei tritoni rappresentati da un’unica figura dipinta di spalle (6).
    Una coppa, databile tra il 1560 e il 1570, con la stessa scena riprodotta con inversione verso destra, è conservata al Victoria and Albert Museum (7): anch’essa presenta la scritta “ notuno ” al verso , ma ha caratteristiche coloristiche e stilistiche più vicine a quelle che ritroviamo nell’ambito della bottega Fontana: si vedano in particolare i musi dei cavalli e la figura stessa della divinità.

  • COPPA URBINO, SECONDO QUARTO DEL SECOLO XVI Maiolica dipinta in policromia...
    Lotto 40

    COPPA
    URBINO, SECONDO QUARTO DEL SECOLO XVI
    Maiolica dipinta in policromia con azzurro, verde ramina, bruno di manganese, giallo ocra, blu di cobaltoe bianco di stagno.
    Alt. cm 5,2; diam. cm 26,5; diam. del piede cm 12,6.

    SHALLOW BOWL
    URBINO, SECOND QUARTER OF 16TH CENTURY
    Earthenware, painted in light blue, copper green, manganese, ochre yellow, cobalt blue, and tin white
    H. 5.2 cm; diam. 26.5 cm; foot diam. 12.6 cm


    La coppa, poggiante su piede ad anello molto basso, ha cavetto largo, tesa alta e stretto bordo estroflesso. La scena istoriata raffigura Il sacrificio di Marco Curzio (1), avvenuto quando, per un terremoto o per un'altra causa naturale, il suolo franò nel centro del foro romano, lasciando aperta un'ampia voragine. Nonostante tutti vi gettassero della terra non si riusciva a riempirla, fino a quando, su preciso monito degli dèi, gli indovini sostennero che si doveva consacrare quel luogo con “l'elemento principale della forza del popolo romano”, se si voleva che la Repubblica romana durasse in eterno. Allora Marco Curzio, un giovane distintosi in guerra, riconoscendo nel valore militare ciò che gli dèi richiedevano, si offrì in voto e, montato in groppa a un cavallo, si gettò armato nella voragine: la folla, colpita dal gesto, lanciò frutta e libagioni su di lui e la voragine ne fu colma (2).
    Questa vicenda riscontrò un grande successo nell’iconografia rinascimentale e in particolar modo sulla maiolica istoriata. Si vedano ad esempio i piatti del Museo di Pesaro che, con modalità stilistiche differenti, in alcuni casi accomunati dalle medesime incisioni di riferimento, raffigurano questa stessa scena (3); ma l’elenco di come questo episodio sia stato trattato in maiolica sarebbe assai lungo.
    Notiamo nell’analisi della coppa che l’autore ha associato più incisioni nella formazione del soggetto da raffigurare: si riconosce nei personaggi assembrati ad assistere al sacrificio del giovane valoroso, una parte del popolo che affolla l’agorà nell’incisione di Marcantonio Raimondi che raffigura La predica di San Paolo nell'Areopago di Atene (4) (vedi fig. 1). La figura del Marco Curzio da Marcantonio Raimondi invece non ci pare possa costituire il riferimento iconografico corretto per l’opera in esame, pur essendo probabilmente assai nota nelle botteghe urbinati.
    Stilisticamente la coppa ci pare vicina alle produzioni urbinati, o comunque di una bottega attiva nel Ducato di Urbino: anche la forma della coppa è assai usata nel ducato stesso. E anche l’uso di più fonti incisorie, secondo l’abitudine delle botteghe marchigiane, e la capacità di unirle in una corretta proporzione ci conforta sull’area produttiva e ci fa pensare a un pittore esperto. Ciò che ci colpisce è l’abilità dell’artefice di disporre con grande maestria le figure all’esergo del piatto delineandole con libertà, nonostante il riferimento alle incisioni.
    I pigmenti sono variamente diluiti per dare profondità alle pieghe delle vesti, i volti sono illuminati da tocchi di stagno che fanno spiccare i nasi, dritte le bocche chiuse, il cavallo è ben descritto grazie a un sapiente gioco di chiaroscuro e con ombreggiature con tocchi di bistro, così come il cavaliere: si noti per esempio la cura nella realizzazione dell’elmo. Ma sono le architetture dello sfondo, il muro arcuato (5), le cupole, i fornici ad arco, unitamente agli alberi dal tronco scuro e sinuoso, che ci portano a ragionare e a confrontarci con autori attivi della prima metà del secolo e con maestranze che conoscono l’operato di Nicola da Urbino.

  • COPPA PESARO, PITTORE DEL PIANETA VENERE (?), 1542-1548 CIRCA Maiolica...
    Lotto 41

    COPPA
    PESARO, PITTORE DEL PIANETA VENERE (?), 1542-1548 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno.
    Alt. cm 3,8; diam. cm 29; diam. piede cm 11.
    Sul retro al centro del cavetto in blu di cobalto “ presa de Iosefe/ Dalifratelli” .

    SHALLOW BOWL
    PESARO, ‘THE PAINTER OF THE PLANET VENUS’ (?), C.1542–48
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white
    H. 3.8 cm; diam. 29 cm; foot diam. 11 cm
    On the back, at the centre of the well, inscription in cobalt blue ‘presa de Iosefe/ Dalifratelli’

    Il piatto presenta ampio cavetto, tesa larga e obliqua terminante in orlo arrotondato. Poggia su basso piede privo di anello. Lo smalto è grasso, molto ricco e materico con vetrina brillante lucida e vetrosa sia sul fronte, sia sul retro e abbondante uso dei pigmenti. Vi sono ombreggiature verdi sul retro , ornato da righe gialle concentriche che ne sottolineano gli stacchi di forma: al centro del cavetto la scritta in blu di cobalto “ presa de Iosefe/ Dalifratelli” .
    La scena delineata sul fronte interessa l'intera superficie senza soluzione di continuità e raffigura l’episodio biblico del rapimento di Giuseppe da parte dei fratelli (1) . Giuseppe era nato da Rachele, seconda moglie di Giacobbe, dopo anni di sterilità: alla sua nascita il padre Giacobbe era già anziano e lui divenne il figlio prediletto. Questa preferenza del padre alimentò la gelosia dei suoi fratellastri , che complottarono contro di lui. Il primogenito si oppose all'uccisione di Giuseppe, preferendo che fosse gettato in fondo a un pozzo, ma infine si decise di venderlo per venti monete d'argento a una carovana di mercanti di passaggio: Giuseppe, schiavo , fu condotto in Egitto. I suoi fratelli quindi utilizzarono la tunica , donatagli dal padre come segno di predilezione, cosparsa di sangue di capra per far credere al padre Giacobbe che Giuseppe fosse stato ucciso da una bestia feroce.
    Nel piatto il giovane è disegnato con le mani legate tra i fratelli che lo conducono verso il pozzo, dove li attende uno di loro, il maggiore, che ne indica il fondo. Un’alta roccia fa da quinta alla scena , mentre sullo sfondo si scorge un paesaggio con montagne alte dal profilo arrotondato e un villaggio con cupole e torri cuspidate si specchia in un lago.
    Le figure sono dipinte con uno stile dal tratto deciso: i volti e i dettagli sono illuminati da tocchi di bianco di stagno, in contrasto con la scelta cupa dei colori molto materici.
    Un confronto stilisticamente pertinente si ritrova nel piatto con la contesa di Pan e Apollo della Wallace Collection di Londra , attribuito al Ducato di Urbino negli anni 1540 circa (2). Si noti come il volto di Apollo si avvicini molto a quello di uno dei fratelli di Giuseppe , così come quello del personaggio barbato seduto nel piatto londinese è molto simile a quello dei fratelli più anziani dipinti nel nostro piatto. Si vedano inoltre lo stile delle mani, le braccia robuste, la forma delle chiome degli alberi a ciuffi larghi e appiattiti, le rocce allungate e scontornate, ma soprattutto la forma delle montagne e dei villaggi con cupole e torri dal tetto acuminato , molto rassomiglianti nelle due opere.

  • PIATTO URBINO O DUCATO DI URBINO, 1540 CIRCA Maiolica dipinta in policromia...
    Lotto 42

    PIATTO
    URBINO O DUCATO DI URBINO, 1540 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno.
    Alt. cm 4; diam. cm 29,7; diam. piede cm 8,5 .
    Sul retro al centro del cavetto in blu di cobalto la scritta Europa .

    DISH
    URBINO OR URBINO DISTRICT, C.1540
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white
    H. 4 cm; diam. 29.7 cm; foot diam. 8.5 cm
    On the back, at the centre of the well, inscription in cobalt blue ‘Europa’

    Il piatto ha un cavetto largo e concavo a stacco marcato, la tesa è larga e obliqua e termina in un orlo arrotondato e orlato di giallo. Alcune linee gialle sul retro ne sottolineano i contorni. Il piatto poggia su un piede basso e privo di anello.
    Sul verso , al centro del piede, in blu di cobalto si legge la scritta Europa . Il piatto è decorato su uno smalto grasso, molto ricco con vetrina brillante molto lucida e vetrosa sia sul fronte sia sul retro, e con abbondante uso di pigmenti.
    La scena interessa l'intera superficie senza soluzione di continuità e descrive il momento in cui Europa sale in groppa al toro sotto le cui spoglie si cela Giove , che intende rapirla.
    L'episodio è ben distribuito sul piatto a raffigurare narrativamente momenti ben distinti: diviso in tre parti , a sinistra Europa e le sue ancelle sono dipinte vicino al toro, al centro della composizione la giovane donna è raffigurata ormai in groppa all'animale e nel momento immediatamente precedente al rapimento, a destra accorre il padre Antenore .
    Alcuni esemplari di confronto sono conservati al Museo di Pesaro e ci fanno comprendere come questo episodio della mitologia antica (1) abbia avuto un grande successo nel Rinascimento , tanto da essere tra quelli più raffigurati in maiolica durante tutto il secolo XVI (2). Tra questi, un piatto ormai attribuito a Sforza di Marcantonio (3) , databile al 1550 circa , si avvicina al nostro per scelta decorativa, ma non per stile pittorico; inoltre, diversamente dal nostro esemplare (4), aggiunge alla scena il momento del rapimento vero e proprio, con Europa in groppa al toro ormai perduta in mezzo al mare. Questa versione trae ispirazione dalle incisioni di Bonasone, e i personaggi sembrano più vicini a tale sensibilità.
    La seconda parte del rapimento compare anche in un altro esemplare che, per sintassi decorativa e ambito culturale , ci pare più vicino al nostro, benché anch’esso stilisticamente differente.
    La scena , tratta dall’incisione di Bernard Salomon , è stata poi riprodotta per intero anche in un altro piatto , sempre di ambito urbinate , dello stesso museo (5), anche se non avvicinabile concettualmente o stilisticamente a quello in esame.
    Infine un piatto , comparso sul mercato lo scorso anno (6) , espone l’episodio in maniera analoga: con le ancelle unite in gruppo e la protagonista rivolta di spalle mente sale sul toro .
    Anche nel nostro caso, come per l’ultimo esemplare sopraccitato, ci pare che l’opera più vicina per l’interpretazione della scena sia la coppa conservata nel Museo di Pesaro e attribuita al “Pittore del Pianeta Venere“, vicino a Girolamo Lanfranco dalle Gabicce, che mostra anch’essa la protagonista seduta di spalle (7). È del resto assai probabile che questi esemplari traggano ispirazione da una fonte incisoria simile o da un capostipite per tale iconografia: comunque dalla miscellanea di più fonti incisorie da identificare.

  • COPPA URBINO, BOTTEGA FONTANA (DURANTINO), 1540 CIRCA Maiolica dipinta a...
    Lotto 43

    COPPA
    URBINO, BOTTEGA FONTANA (DURANTINO), 1540 CIRCA
    Maiolica dipinta a policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno.
    Alt. cm 3,8; diam. cm 29; diam. del piede cm 11.
    Sul retro al centro del cavetto in blu di cobalto è delineata la scritta “ Tutia porta/Al temple aqua col cribulo”.

    SHALLOW BOWL
    URBINO, FONTANA’S WORKSHOP (DURANTINO), C.1540
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white
    H. 3.8 cm; diam. 29 cm; foot diam. 11 cm
    On the back, at the centre of the well, inscription in cobalt blue ‘Tutia porta/Al temple aqua col cribulo’

    Il piatto ha un ampio cavetto e una tesa larga e obliqua, terminante in un orlo che sul retro presenta due filettature concentriche, seguite da altre due linee gialle a sottolineare i contorni. Poggia su basso piede privo di anello. Lo smalto è grasso e molto ricco, con vetrina brillante sia sul fronte sia sul retro. Il decoro è realizzato con abbondante uso dei pigmenti e sono presenti alcune ombreggiature verdi sul retro.
    La scena interessa l'intera superficie senza soluzione di continuità e raffigura il Sacrificio della Vestale Tuccia che, ingiustamente accusata di aver violato il voto di castità ( incestum ), chiese di poter provare la propria innocenza sottoponendosi a una pena di prova , consistente nel tentare di raccogliere l'acqua del Tevere con un setaccio : la prova riuscì dopo l’invocazione alla dea Vesta e Tuccia fu ritenuta innocente.
    La donna è raffigurata con il setaccio ricolmo d’acqua tra le mani mentre si avvicina all’altare, su cui arde un fuoco, accolta da due sacerdoti barbati e con il capo velato. L’ara è collocata di fronte a un tempio porticato e con una copertura a cupola; sullo sfondo si scorge una città con edifici arrotondati, cupole e torri sormontate da curiosi e alti pennoni, e tra le due parti scorre un fiume.
    Questo soggetto fu caro alla pittura su maiolica nel Rinascimento (1).
    Un confronto, che ci aiuta a delimitare l’area di produzione, ci viene fornito da una splendida coppa, conservata al Museo Internazionale della Ceramica di Faenza (2), già attribuita a Nicola da Urbino, che raffigura una Scena di sacrificio al tempio di Apollo , come si deduce dall’iscrizione apposta sul retro nei modi grafici del maestro urbinate. Le due opere, stilisticamente molto differenti, condividono lo stesso humus culturale, più semplificato e corrivo nella nostra opera, più sofisticato e colto nell’opera del museo faentino.
    Ma è il confronto con un piatto del Museo Fitzwilliam di Cambridge (3) che ci fornisce una collocazione più precisa: si tratta di un piatto istoriato con La regina di Saba che ascolta il giudizio di Salomone , firmato “ nella Bottega di Maestro Guido Durantino ” e databile agli anni ‘30 del Cinquecento (4). Lo stile, un poco corrivo, a larghe pennellate, e la forma delle architetture, in particolare quella della gradinata, ci inducono ad avvicinare con buona sicurezza l’opera in esame a quella del museo inglese.

    1 Si pensi ad esempio alle varie redazioni che ne fece Xanto Avelli (MALLET 2008, p.154 n. 53).
    2 Inv. 540, già pubblicato in BERNARDI 1980, pp. 47-48 n. 55.
    3 POOLE 1997, p. 68 n. 29.
    4 MALLET, “Burlington Magazine” 1987 pp. 284-298.



  • COPPA PESARO, BOTTEGA DI GIROLAMO LANFRANCO DALLE GABICCE, 1540 CIRCA...
    Lotto 44

    COPPA
    PESARO, BOTTEGA DI GIROLAMO LANFRANCO DALLE GABICCE, 1540 CIRCA
    Maiolica dipinta a policromia con colori arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, bistro e bianco di stagno.
    Alt. cm 6,4; diam. cm 26,4; diam. piede cm 12,9.

    SHALLOW BOWL
    PESARO, WORKSHOP OF GIROLAMO LANFRANCO DALLE GABICCE, C.1540
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish manganese, bistro, and tin white
    H. 6.4 cm; diam. 26.4 cm; foot diam. 12.9 cm

    La coppa presenta cavetto concavo con tesa alta terminante in orlo arrotondato e larga tesa appena inclinata. Poggia su alto piede rifinito a stecca.
    La scena figurata occupa tutto il cavetto e raffigura la sfida tra Poseidone e Atena per la protezione della città di Atene. Il Fato aveva predetto che l’Attica sarebbe diventata la regione più forte, ricca e importante di tutta la Grecia e così gli dèi decisero di insediarsi nelle varie città, dove ognuno di loro avrebbe avuto il suo culto personale. Per Atene si svolse una gara il cui tema era quello di produrre la cosa che sarebbe stata più utile agli uomini. Le versioni sono qui discordanti: per alcune Poseidone per primo si recò in Attica, vibrò un colpo di tridente in mezzo all’Acropoli e fece apparire una fonte di acqua salata, mentre secondo un’altra versione del mito Poseidone avrebbe offerto in dono il primo cavallo, simbolo di guerra e potenza. Dopo di lui venne comunque Atena che piantò un ulivo simbolo di pace e fertilità. Ne nacque una contesa: per Apollodoro (1) lo stesso Zeus li fece smettere chiamando a giudici tutti gli altri dèi dell’Olimpo. Il loro giudizio, grazie alla testimonianza di Cecrope che asserì che la dea avesse per prima piantato l’ulivo, fu a favore di Atena, dalla quale la città ebbe il nome. Poseidone, con l'animo pieno d'ira, allagò per vendetta la pianura Triasia e fece sommergere dal mare tutta l'Attica.
    Il pittore sviluppa la scena su più livelli prospettici. In primo piano le due divinità al centro: Poseidone che con la destra regge il tridente e con la sinistra il cavallo (2), che s’impenna esprimendo tutta la sua potenza, e un poco in disparte, sulla sinistra, Atena entra nella scena avanzando a larghi passi e indicando alle sue spalle l’albero di ulivo. Sullo sfondo il porto di Atene e la città turrita che s’innalza su un colle. Su un albero è appeso uno stemma bipartito forse a indicare un matrimonio. Allo stato attuale degli studi non ci pare di poter riconoscere le famiglie nobiliari, anche se è forse possibile ipotizzare, per la sola metà a destra dello stemma, che si tratti della famiglia fiorentina dei Bardi (3).
    Lo smalto è grasso, spesso, i colori brillanti, la stesura è sicura; i tratti somatici dei volti sono delineati in bruno e la prospettiva è resa con sicurezza, mentre il paesaggio sullo sfondo è ricco di particolari, come ad esempio la torre bianca con il tetto acuminato che svetta sul cielo al tramonto.
    La coppa trova preciso riscontro in un esemplare del tutto analogo per morfologia e sintassi decorativa, ma privo dello stemma, conservato al museo di Pesaro e attribuito alla bottega di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce attorno al 1542 (4). La scena e la disposizione sono veramente molto simili, facendoci pensare ad un soggetto di successo presso la bottega di produzione, ma la mano è differente: più leggera ma anche più imprecisa nella coppa del museo pesarese, più incisiva, ma anche più irrigidita nella resa dei personaggi, nel nostro esemplare.

  • COPPA SU BASSO PIEDE URBINO O DUCATO DI URBINO, 1530 CIRCA Maiolica dipinta...
    Lotto 45

    COPPA SU BASSO PIEDE
    URBINO O DUCATO DI URBINO, 1530 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con verde, giallo antimonio, blu di cobalto, bruno di manganese nei toni del nero, nero-marrone e viola, tocchi di bianco di stagno.
    Alt. cm 45; diam. cm 24; diam. piede cm 13.
    Sul retro in blu di cobalto è scritta la legenda “ di Circia et glauco” .

    SHALLOW BOWL
    URBINO OR URBINO DISTRICT, C.1530
    Earthenware, painted in green, antimony yellow, cobalt blue, blackish and blackish-brownish manganese, and manganese purple with tin-white highlights
    H. 45 cm; diam. 24 cm; foot diam. 13 cm
    On the back, inscription in cobalt blue ‘di Circia et glauco’.

    La coppa poggia su un piede ad anello molto basso, ha cavetto largo, tesa alta e stretto bordo estroflesso. La decorazione istoriata interessa l’intera superficie del cavetto. Sul verso , decorato da linee concentriche gialle a sottolineare i profili, è delineata all’interno del piede la scritta “ di Circia et glauco ”.
    La scena raffigurata mostra Circe seduta all’interno del suo palazzo con un ampio porticato sormontato da un terrazzo, arricchito da una vite che poggia su alcuni pilastri: di fronte a lei Glauco in abiti romani.
    Il mito è narrato nelle Metamorfosi di Ovidio (1) e racconta del pescatore Glauco che, innamorato di Scilla ma incapace di sedurla, attraversa lo stretto per recarsi da Circe e ottenere una formula d’amore. Circe, figlia del Sole, s’innamora di Glauco e gli offre, giacendo con lei, di assecondare con un solo gesto chi lo ama e, contemporaneamente, di vendicarsi di chi lo disprezza, ma il giovane rifiuta e fugge lontano. Allora Circe infuriata muta la rivale in un mostro. Anche Glauco, in una seconda parte del mito, si muterà di sua volontà in divinità marina (2).
    Il soggetto è dipinto con grande cura e i personaggi sono delineati con attenzione e notevole senso delle proporzioni: Glauco, in piedi, ha il busto un poco ritorto e avanza un passo verso la maga, seduta e coperta da un’ampia veste color arancio.
    Il pittore è abile nell’utilizzare il colonnato come suddivisione spazio-temporale: al centro il colloquio sopradescritto, ai lati del piatto due scene erotiche, nelle quali però mutano i personaggi, che forse sono la rappresentazione dei due amori desiderati e mai realizzati. Tra due colonne a sinistra un personaggio, probabilmente Glauco stesso, fugge, mentre dall’altro lato un cigno avvolge il collo attorno a una colonna, forse una vittima della maga, forse un’interpretazione della metamorfosi di Scilla.
    La narrazione è complessa e la scenografia di grande eleganza: i dettagli architettonici tipicamente rinascimentali e l’apertura di uno scorcio paesaggistico proprio al centro del piatto è di grande impatto.
    Le caratteristiche stilistiche e la sintassi decorativa ci portano a orientare la nostra ricerca tra le maggiori botteghe operative nella città di Urbino nella prima metà del Cinquecento, anche se un’attribuzione di questa coppa a una bottega specifica del ducato di Urbino comporta qualche difficoltà.
    L’analisi di confronto dell’architettura con esemplari che mostrano edifici con caratteristiche simili ci porterebbe a escludere l’intervento della mano di Francesco Durantino. Il pittore ci pare usare una modalità stilistica differente e soprattutto un modo di distribuire i suoi personaggi poco convenzionale rispetto alle architetture che li circondano: non le abitano, né ne usufruiscono, ma vi ruotano intorno.

  • GRANDE PIATTO CASTEL DURANTE, BOTTEGA DI LUDOVICO E ANGELO PICCHI, 1525 CIRCA...
    Lotto 46

    GRANDE PIATTO
    CASTEL DURANTE, BOTTEGA DI LUDOVICO E ANGELO PICCHI, 1525 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto, verde rame, giallo antimonio, giallo arancio, bruno di manganese nei toni del nero.
    Alt. cm 6,4; diam. cm 42,3; diam. piede cm 22.
    Sul retro, sotto il piede una etichetta con numeri “ 937/712000 sgell” delineati a inchiostro; a fianco, su un supporto verniciato, il numero a china 31305.

    LARGE DISH
    CASTEL DURANTE, WORKSHOP OF LUDOVICO AND ANGELO PICCHI, C. 1525
    Earthenware, painted in cobalt blue, copper green, antimony yellow, orange-yellow, and blackish manganese.
    H. 6.4 cm; diam. 42.3 cm; foot diam. 22 cm.
    On the back, beneath the base, paper tag ‘937/712000 sgell’ in ink, beside number ‘31305’ hand-written in black ink on a white painted surface.


    Il piatto circolare ha un ampio e largo cavetto, tesa larga e appena obliqua, orlo arrotondato, e poggia su un piede ad anello piuttosto alto. Il retro è decorato a cerchi gialli concentrici, mentre il fronte è interamente ricoperto da una fitta decorazione istoriata che mostra al centro del cavetto una scena di battaglia, mentre la tesa è decorata con figure di satiri, amorini e divinità disposte a riempire, attorno a quattro riserve simmetriche, tutte le campiture.
    La tesa è centrata, in altro e in basso, da due figure di sirene affiancate da due putti e circondate da volute architettoniche. Al loro fianco quattro satiri sorreggono un tendaggio, dietro il quale si scorgono delle figure umane. Nella parte superiore il decoro prevede poi due mostri alati e due soldati romani che sorreggono due riserve polilobate, abitate da figurette ignude dipinte a grisaille ocra, mentre le restanti porzioni della tesa, in basso, sono riempite da putti e figure ignude.
    Il cavetto è interamente interessato, in primo piano, da una scena nella quale si affrontano due schiere di cavalleria (1), mentre, sullo sfondo, svettano edifici circolari sormontati da cupole e una catena montuosa che si staglia su un cielo al tramonto, riempito da nuvolette dalla forma a chiocciola.
    Anche quest’opera, come quelle che seguono (lotti 47-49)), appartiene alla vasta produzione della bottega già attribuita ad Andrea da Negroponte, per via di una coppa che reca questo nome conservata nel museo di Arezzo, e oggi raccolta sotto l’egida della più vasta bottega di Ludovico e Angelo Picchi, attiva a Castel Durante nella seconda metà del secolo XVI.
    Elementi caratterizzanti sono lo stile pittorico rapido, corrivo, poco attento alla prospettiva, estremamente decorativo e caratterizzato da dettagli come il muso allungato dei cavalli, spesso con un collo sproporzionato, gli scudi decorati da mascheroni, gli elmi dipinti di scuro che incorniciano dei volti talvolta troppo piccoli, la scelta cromatica.
    I confronti più vicini al nostro piatto, come sintassi decorativa, ci derivano dal bel bacile del Walters Art Museum di Baltimora (2), che mostra analoga scelta decorativa nella tesa, unita a un ornato a trofei tipico di Castel Durante, mente nel cavetto reca dipinta la scena della contesa di Apollo, e dal piatto del Museo Civico di Pesaro che raffigura l’episodio biblico di Davide e Golia con tesa stilisticamente vicina alla nostra ma con l’inserimento di motivo a trofei (3).

  • PIATTO CASTEL DURANTE, BOTTEGA DI LUDOVICO E ANGELO PICCHI, 1550-1565 CIRCA...
    Lotto 47

    PIATTO
    CASTEL DURANTE, BOTTEGA DI LUDOVICO E ANGELO PICCHI, 1550-1565 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con giallo, arancio, blu, verde, bianco, bruno di manganese.
    Alt. cm 4,5; diam. cm 28,2; diam. piede cm 11,9.
    Sul retro del piatto sotto il piede compare l’iscrizione dipinta in blu”” hateon 1551 “

    DISH
    CASTEL DURANTE, WORKSHOP OF LUDOVICO AND ANGELO PICCHI, C. 1550–65
    Earthenware, painted in yellow, orange, blue, green, white, and manganese.
    H. 4.5 cm; diam. 28.2 cm; foot diam. 11.9 cm.
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘hateon 1551’.

    Il grande piatto ha un cavetto largo, tesa ampia e piana che termina in un orlo arrotondato appena rilevato e orlato di giallo. Poggia su un piede ad anello. Il retro è decorato con linee gialle a rimarcare i profili: al centro la scritta corsiva “ hateon 1551 ” in blu di cobalto (1).
    Sul fronte la scena principale, che occupa tutto lo spazio senza soluzione di continuità, tra tesa e cavetto mostra a destra il giovane Atteone ormai trasformato in cervo mentre i suoi stessi cani si avvicinano per sbranarlo. Sulla tesa, a sinistra, si scorge l’origine della tragica metamorfosi: la fonte protetta da una grotta nella quale Diana e le sue Ninfe si stavano bagnando, ritratte nell’istante in cui le giovani cercano di coprire con il loro corpo la dea Diana alla vista di Atteone. Sullo sfondo un paesaggio lacustre e in alto un emblema tripartito parzialmente, associato alla famiglia ducale di Urbino: vi si distinguono la Quercia dei Della Rovere e l’Aquila dei Montefeltro. L’emblema è sormontato da un cimiero con una branca o una mano guantata (2) che sorregge una spada e da un cartiglio che recita “ SAPIE(N)S DOMINABITYR ASTRIS ”. Il motto è presente negli Emblemata , ove si legge per esteso “ Astra regunt homines, sapiens dominabitur astris, et poterit notis cautior esse malis” (3) .
    La fonte incisoria, liberamente interpretata, non è stata individuata, anche se si tratta probabilmente delle incisioni più antiche , come le xilografie nel libro di Niccolò Zoppino (4) o quelle dell’edizione Raphael Regius (5), nelle quali l’ambientazione naturalistica e la suddivisione della scena nei due episodi può essere stata anch’essa di ispirazione al decoratore del nostro esemplare.
    Il piatto fa parte di un noto servizio che convenzionalmente era stato associato al pittore Andrea da Negroponte (6) , in base al nome scritto dietro una coppa baccellata del Museo Civico Medievale di Arezzo, su cui è rappresentata la gara tra Apollo e Marsia ma che non ricorre su altre opere o nei documenti di archivio. Oggi il pittore del servizio Sapiens , che annovera alcuni esemplari ben conosciuti, si riconosce in un artista attivo a Castel Durante nella bottega di Ludovico e Angelo Picchi fra il 1550 e il 1565.
    Il pittore dipinge velocemente con uno stile ben preciso che, attraverso una scelta cromatica brillante e aranciata, si riconosce soprattutto in alcuni dettagli , come il muso degli animali allungato e con uno sguardo antropomorfo o le rocce , le cui rugosità sono realizzate con pennellate curvilinee che conferiscono loro una forma quasi a guisa di nuvola.
    Numerosi gli esemplari noti con stemma del servizio Sapiens (7): si ricorda tra questi , con forma e dimensioni analoghe al nostro, il magnifico piatto con il Sacrificio di Marco Curzio del Museo Civico Medievale di Bologna , anch’esso datato 1551.

  • CRESPINA CASTEL DURANTE , BOTTEGA DI LUDOVICO E ANGELO PICCHI, 1550-1560...
    Lotto 48

    CRESPINA
    CASTEL DURANTE , BOTTEGA DI LUDOVICO E ANGELO PICCHI, 1550-1560 CIRCA
    Maiolica, dipinta in policromia con arancio, verde, blu, bruno di manganese nei toni del nero n, marrone e bianco di stagno.
    Alt. cm 3,6; diam. cm 25.

    MOULDED BOWL (CRESPINA)
    CASTEL DURANTE, WORKSHOP OF LUDOVICO AND ANGELO PICCHI, C.1550–60
    Earthenware, painted in orange, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white.
    H. 3.6 cm; diam. 25 cm.

    Crespina formata a stampo con umbone centrale rilevato, orlo mosso e corpo sbalzato.
    La decorazione è dipinta su uno smalto ricco con una vetrina brillante e lucida sia sul fronte sia sul retro , dove le baccellature della forma vengono sottolineate da un decoro a linee blu.
    Al centro dell'umbone spicca l'episodio di Muzio Scevola, tramandato dalla tradizione romana come esempio di coraggio. Intorno , lungo la tesa , quattro figure di arcieri si alternano a rami di ulivo a loro volta intervallati lungo il bordo da quattro lune antropomorfe e alate.
    L’episodio , narrato da Tito Livio (1) , si svolge durante l’assedio di Roma ad opera dell’etrusco Porsenna. Mentre nella città cominciavano a scarseggiare i viveri, il giovane aristocratico Muzio Cordo si offrì per andare a uccidere il comandante etrusco; infiltratosi nelle linee nemiche, e armato di un pugnale, raggiunse l'accampamento , ma nell’azione sbagliò persona uccidendo un funzionario del re. Catturato dalle guardie e portato al cospetto di Porsenna, il giovane romano non esitò a dire che avrebbe punito la mano che aveva sbagliato , e la pose su un braciere fino a che non fu completamente consumata. Da quel giorno il coraggioso romano assunse il nome di "Muzio Scevola" (Muzio il mancino). Porsenna rimase tanto impressionato da questo gesto che decise di liberarlo.
    Questo soggetto ebbe grande successo durante il Rinascimento e fu spesso raffigurato su supporto ceramico, come dimostrano i numerosi esempi che vanno dalla coppa di Francesco Xanto Avelli fino a esemplari che possiamo accostare per stile e paternità a quello in studio. Ci riferiamo alla coppa che ripropone lo stesso episodio, conservata al Museo d’Arte Medievale e Moderna di Arezzo (2): la diversità nella disposizione dei personaggi e della scena ci conferma la presenza di più fonti incisorie di riferimento, ma soprattutto l’ecletticità e la capacità di tradurre la stessa scena con modalità assai differenti tra loro. Nel nostro esemplare è riprodotto l’accampamento con una vasta tenda, al centro il focolare su cui il giovane pone la mano; nella coppa di Arezzo si ha la disposizione tradizionale degli episodi di storia antica con il re assiso in trono, possibilmente in posizione rilevata e su un lato del piatto, e di fronte l’antagonista (3). Tuttavia lo stile pittorico è il consueto che ben possiamo riconoscere nelle opere che precedono questa scheda (lotti 45-46): i volti piccoli e racchiusi in elmi scuri, arrotondati, le loriche a fasce parallele di colore blu o ocra, le capigliature arricciate, le bocche piccole un poco imbronciate, le gambe muscolose, un poco tozze, ombreggiate con sottili tratti arancio e lumeggiate con bianco di stagno.
    Ma nella crespina in esame la disposizione dei personaggi intorno al fuoco è più accorta, rendendo la concitazione del momento, e il paesaggio notturno che s’intravede nel cielo scuro, con le consuete nuvolette a chiocciola, dà una profondità alla scena non sempre riuscita nelle opere della bottega marchigiana.

Lotti dal 25 al 48 di 65
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Importanti maioliche rinascimentali

Esposizione

FIRENZE
24 Settembre al 1 Ottobre2015
orario 10 – 19 
Palazzo Ramirez-Montalvo 
Borgo degli Albizi, 26

Sessioni

  • 1 ottobre 2015 ore 17:00 Sessione unica - dal lotto 1 al lotto 65 (1 - 65)