Importanti maioliche rinascimentali

Pandolfini Casa d'Aste - Borgo degli Albizi (Palazzo Ramirez-Montalvo) 26, 50122 Firenze

Importanti maioliche rinascimentali

giovedì 1 ottobre 2015 ore 17:00 (UTC +01:00)
Lotti dal 49 al 65 di 65
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  • TONDINO CASTEL DURANTE, BOTTEGA DI LUDOVICO E ANGELO PICCHI,1550-1560 CIRCA...
    Lotto 49

    TONDINO
    CASTEL DURANTE, BOTTEGA DI LUDOVICO E ANGELO PICCHI,1550-1560 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nei toni del nero, marrone e bianco di stagno.
    Alt. cm 4,8; diam. cm 21; diam. piede cm 5,4 .

    ARMORIAL PLATE (TONDINO)
    Castel Durante, workshop of Ludovico and Angelo Picchi, c.1550–60
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white
    H. 4.8 cm; diam. 21 cm; foot diam. 5.4 cm

    Il piccolo piatto ha cavetto profondo, tesa larga e obliqua e poggia su un piede ad anello. La materia è ricca con uno smalto grasso, con vetrina brillante molto lucida sia sul fronte sia sul retro, ed abbondante è l’uso dei pigmenti. Le cavillature allo smalto conseguenti all’abbondanza di materia sono ben visibili sul retro privo di decoro. L’orlo arrotondato è listato di giallo.
    La scena dipinta interessa l'intera superficie del piatto senza soluzione di continuità e raffigura il filosofo greco Diogene il Cinico (1). Dopo una vita travagliata visse prevalentemente a Corinto , dove si dedicò a predicare le virtù dell’autocontrollo e dell’autosufficienza abitando all’interno di una botte: fu qui che incontrò Alessandro Magno . Plutarco (2) racconta l’incontro con il re in senso positivo: Alessandro Magno rimase molto colpito dalla grandezza d’animo del filosofo che, per nulla intimorito dalla presenza del re in persona, lo apostrofò dicendogli “spostati un poco dal Sole” , frase che Alessandro ammirò al punto da affermare: "Se non fossi Alessandro, io vorrei essere Diogene". Ma le versioni sull’episodio sono discordanti: infatti Diogene Laerzio, a differenza di Plutarco, riferisce che Alessandro, irritato dalla mancanza di rispetto , per farsi gioco di lui che veniva chiamato "cane" gli mandò un vassoio pieno di ossi e lui lo accettò non senza avergli mandato a dire che il cibo era degno di un cane, ma il dono non era degno di un re (3) .
    L'aneddoto fu molto popolare tra gli studiosi medievali, grazie anche alla sua trasmissione attraverso i classici latini (4) e fu spesso raffigurato in maiolica.
    La probabile fonte incisoria non è seguita con attenzione: se ne conoscono del resto diverse versioni (5) , variamente influenzate dall’interpretazione che gli artisti diedero al personaggio (6) .
    Nel nostro piatto Diogene è seduto sulla destra, di fronte alla botte in cui vive , ed è assorto nella lettura di un libro appoggiato per terra; accompagna con la torsione del busto il gesto del braccio destro che indica un libro con un sottile bastone. Di fronte a lui appaiono tre personaggi in abito da soldato, che supponiamo essere Alessandro Magno e il suo seguito: in questo caso l’autore pare discostarsi dai modelli canonici che derivavano dalle incisioni e sembra interpretare liberamente l’episodio. Sullo sfondo compare il consueto paesaggio marino con una grande città marittima che segna l’orizzonte e dietro la quale s’innalzano alcune montagne.
    Lo stile e le modalità pittoriche sono quelle tipiche della Bottega di Ludovico e Angelo Picchi, cui abbiamo già accennato nelle schede che precedono (lotti 46-48) (7): anche lo stesso personaggio , inserito in un contesto differente , compare dipinto in una crespina del Museo Cristiano di Brescia (8) .

  • PIATTO DUCATO DI URBINO, PROBABILMENTE PESARO, METÀ SECOLO XV Maiolica...
    Lotto 50

    PIATTO
    DUCATO DI URBINO, PROBABILMENTE PESARO, METÀ SECOLO XV
    Maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nei toni del nero, marrone e bianco di stagno; lumeggiature con lustro color giallo oro .
    Alt. cm 3,2; diam. cm 23; diam piede cm 8,3.
    Sul retro , al centro del cavetto , in blu di cobalto l’iscrizione “ Come Jovve portoganime/nie/dem Cielo” .

    DISH
    URBINO DISTRICT, PROBABLY PESARO, MID-16TH CENTURY
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white; highlights of golden lustre on the front and back.
    H. 3.2 cm; diam. 23 cm; foot diam. 8.3 cm.
    On the back, at the centre of the well, inscription in cobalt blue ‘Come Jovve porto ganime/nie/dem Cielo’.

    Il piatto ha un cavetto concavo , largo e con stacco marcato; la tesa larga e obliqua termina in un orlo arrotondato. Poggia su basso piede privo di anello.
    La scena interessa l'intera superficie senza soluzione di continuità e mostra al centro Ganimede trasportato in cielo da Giove tramutato in aquila. Sulla tesa si vede una corona di nuvole dalla forma a chiocciola , su cui sono sedute alcune divinità dell'Olimpo: Ercole, Venere e Amore , Poseidone, Crono e una divinità femminile priva di attributi, probabilmente Diana. Al verso sono dipinte alcune foglie stilizzate in lumeggiatura oro e due spirali tracciate in color rosso ferro. L’orlo è orlato in giallo e lustrato. Lo smalto si presenta grasso, molto ricco , con vetrina brillante , lucida e vetrosa sia sul fronte sia sul retro e abbondante è l’uso dei pigmenti.
    Sul retro, al centro del cavetto, in blu di cobalto l’iscrizione “ Come Jovve portoganime/nie/dem Cielo” .
    La pittura è veloce e lo stile semplice, con caratteristiche che ci ricordano le opere della bottega Picchi.
    Anche questo mito, derivante da Ovidio (1), è caro alle botteghe di istoriato e fu variamente interpretato dai vari pittori (2). La raffigurazione del rapimento trova la sua fonte in un’incisione di Giulio Bonasone (3) , qui interpretata con grande libertà: nell’incisione il giovane è nudo e di età adolescenziale, qui invece indossa un abito corto ed è ancora bambino (4) .
    Non è possibile proporre al momento una sicura lettura attributiva, nonostante le numerose opere che trattano la tematica astronomica rinascimentale (5) .
    Il paesaggio con nuvole dalla forma a chiocciola è stato variamente utilizzato in opere con soggetto di divinità olimpiche e abbiamo notato una maggior incidenza di esemplari con questa caratteristica prodotte nella città di Pesaro, nel Ducato di Urbino: ad esempio nel piatto con Psiche presentata al concilio degli dèi , da un affresco di Raffaello, attribuito alla cerchia di Nicola da Urbino, nel quale un gruppo di divinità riunite attorno a una tavola è circondato da una cornice di nuvole e risalta su un fondo giallo-uovo molto luminoso (6). La corona di nuvole è presente anche nel piatto di Francesco Xanto Avelli con Marte e Venere in cielo , iscritto “ Spere ” nel verso (7) .
    Anche nel piatto del servizio Lanciarini del Museo di Padova ritroviamo le divinità olimpiche raccolte attorno a un cerchio di nuvole mentre ricevono la dea Pallade (8).

  • GRANDE PIATTO URBINO, BOTTEGA FONTANA, 1570 CIRCA Maiolica dipinta con...
    Lotto 51

    GRANDE PIATTO
    URBINO, BOTTEGA FONTANA, 1570 CIRCA
    Maiolica dipinta con azzurro, verde, giallo, giallo arancio e bruno di manganese.
    Alt. cm 4,4; diam. cm 44,4; diam. piede cm 28,7.

    Sul retro, sotto il piede, delineata in blu di cobalto la scritta “ Venere sene va aspasso p(er) il mare con/le Nereide apuleio nel primo dela/faula di psiche” seguita da due segni. Etichetta recante il numero dattiloscritto C. 13747 .

    LARGE DISH
    URBINO, FONTANA’S WORKSHOP, C. 1570
    Earthenware, painted in light blue, green, yellow, orange-yellow, and manganese.
    H. 4.4 cm; diam. 44.4 cm; foot diam. 28.7 cm.

    On the back, beneath the base, inscription in cobalt blue ‘Venere sene va aspasso p(er) il mare con/le Nereide apuleio nel primo dela/faula di psiche’; label, typewritten with ‘C. 13747’.


    Il piatto ha un ampio e profondo cavetto, tesa larga e appena obliqua con orlo arrotondato. Poggia su un piede ad anello piuttosto alto e largo. Il fronte è interamente ricoperto da una fitta decorazione istoriata che interessa il cavetto e la tesa senza soluzione di continuità. Il retro è decorato da linee gialle concentriche che ne sottolineano i profili e reca sotto il piede la scritta “ Venere sene va aspasso p(er) il mare con/le Nereide apuleio nel primo dela/faula di psiche” accompagnata da due segni grafici.
    La decorazione mostra un corteo marino con Venere al centro assisa sul suo carro marino trainato da due tritoni e affiancata da due nereidi a cavallo di mostri marini: una le sostiene un braccio, mentre l’altra sorregge un drappo del panneggio che ricopre appena la dea. Alle sue spalle, sempre a cavallo di un mostro marino, un tritone e coppie di tritoni e nereidi intenti in effusioni amorose. Al fianco di Venere, Eros cavalca un delfino. Il paesaggio è di ampio respiro ed è chiuso all’orizzonte da una catena di monti e da una città costiera.
    La legenda sul retro ci illumina sull’interpretazione: si tratta del corteo di Venere per la sua presentazione, che fa da prodromo della narrazione della favola di Amore e Psiche narrata da Apuleio nella sua opera Metamorfosi (1 ) Qui però la protagonista della narrazione è ancora una Venere classica, dalla personalità complessa al punto da generare una diversificazione di culto (2).
    La favola narra la storia della giovane Psiche, la cui bellezza scatena la terribile gelosia di Venere, che inconsapevolmente provoca l’innamoramento tra la stessa Psiche e Cupido: la giovinetta sarà sottoposta dalla dea a terribili prove, fino a raggiungere l’Olimpo per convolare a nozze con Amore.
    La favola è ricca di significati simbolici che non dovettero essere estranei all’autore o alla committenza dell’opera. Da un punto di vista tecnico la decorazione è complessa e distribuita sul supporto con grande perizia. Non è stato possibile ritrovare, per ora, alcuna fonte incisoria, anche se è probabile che ne sia stata utilizzata una, dato il successo iconografico suscitato dall’episodio narrato da Apuleio (3). I personaggi femminili, forse già di gusto manieristico, ci porterebbero a indirizzare la ricerca delle fonti incisorie proprio in questa direzione (4).
    Le figure sono dipinte con maestria, proporzionate, perfettamente inserite nella scena, e i colori sono dosati con indubbia perizia tecnica, sebbene si riscontrino difetti di cottura e bolliture dello smalto, che è comunque abbondante e ricco.

  • PIATTO URBINO, BOTTEGA FONTANA, 1550-1560 CIRCA Maiolica dipinta in...
    Lotto 52

    PIATTO
    URBINO, BOTTEGA FONTANA, 1550-1560 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con giallo, arancio, verde, blu di cobalto, bruno di manganese nei toni del nero e bianco di stagno.
    Alt. cm 5,1; diam. cm 23,5; diam. piede cm 6,8.
    Sul retro, al centro del cavetto, in blu di cobalto l'iscrizione Adamo et eva.

    DISH
    URBINO, FONTANA’S WORKSHOP, C. 1550–60
    Earthenware, painted in yellow, orange, green, cobalt blue, blackish manganese, and tin white.
    H. 5.1 cm; diam. 23.5 cm; foot diam. 6.8 cm.
    On the back, at the center of the well, inscription in cobalt blue Adamo et eva.

    L’episodio raffigurato è quello della Tentazione narrato nella Genesi (1). Al centro del cavetto sta Satana, raffigurato come dracontopode (2), avviluppato a un albero dalla chioma allargata e con numerosi frutti, mentre sullo sfondo s’intravede un paesaggio lacustre con montagne dal profilo squadrato e piccoli paesi. A sinistra della scena, Eva è seduta su una roccia con la mano sinistra allungata verso il centro; di fronte a lei, sul lato destro, Adamo, parzialmente coperto da un manto sinuoso, allunga a sua volta la mano destra verso l’albero.
    La scena è dipinta con maestria e con grande dominio della materia. Il decoro è ricco e ben distribuito, con una composizione che rispetta appieno la prospettiva, sfruttando completamente la forma del piatto. La fonte incisoria d’ispirazione del nostro esemplare, al momento, non è stata riconosciuta e ipotizziamo che si tratti forse di più incisioni o di una reinterpretazione.
    L’episodio biblico fu spesso raffigurato in maiolica e ne sono testimonianza molti esemplari con modalità stilistiche diverse, come si può vedere, ad esempio, nel bel piatto urbinate esposto al Museo Fitzwilliam di Cambridge (3), che trova affinità con un vaso della farmacia della Sacra Casa di Loreto (4); entrambi sono ispirati a una medesima fonte incisoria, probabilmente presente nella bottega Fontana attorno al 1560. In questi confronti, Satana non assume le forme del mostro medievale, ma solo quelle del serpente.
    Un confronto a nostro avviso prossimo ci deriva da un piatto del British Museum (5) attribuito alla bottega Fontana-Durantino e al periodo ascrivibile agli anni 1540-1560. Il piatto, affollato da figure, presenta affinità con il nostro, soprattutto nella disposizione del paesaggio: particolarmente vicini la forma delle montagne in lontananza che circondano la città con torri e l’insenatura del porto, che rispecchia quella presente nel nostro esemplare.
    Un altro confronto ci è fornito dal piatto con Satiro che insegue una Ninfa del Victoria and Albert Museum, attribuito alla stessa bottega urbinate e datato tra il 1540 e il 1550: in esso ci pare di poter ravvisare le stesse modalità pittoriche del nostro esemplare sia nel delineare le figure, sia nel realizzare lo sfondo paesaggistico e i singoli elementi che lo compongono, quali la presenza di una montagna leggermente squadrata e di un villaggio non troppo esteso, adagiato su una costa dal profilo arrotondato e dalla consistenza erbosa.
    Lo stile pittorico, la disposizione della scena tra due quinte, la forma delle montagne sullo sfondo e il modo di articolare il paesaggio su piani prospettici ben definiti sono tutte caratteristiche che ci inducono a collocare la bottega di produzione di quest’opera in ambito marchigiano e probabilmente urbinate.

  • SALIERA URBINO, BOTTEGA PATANAZZI, 1580-1590 CIRCA Maiolica dipinta in...
    Lotto 53

    SALIERA
    URBINO, BOTTEGA PATANAZZI, 1580-1590 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con giallo antimonio, giallo arancio, verde, blu e bruno di manganese nei toni del marrone.
    cm 20 x 22 x 12, piede cm 14x11,5.

    SALT CELLAR
    URBINO, WORKSHOP OF THE PATANAZZI, C. 1580–1590
    Earthenware, painted in antimony yellow, orange-yellow, green, blue, and brownish manganese.
    20 x 22 x 12 cm; foot 14 x 11.5 cm.


    La saliera poggia su una base ottagonale che sorregge l’invaso grazie a quattro sostegni a ricciolo e a zampa ferina alternati, ed è decorata con un motivo a baccellature e finto bugnato. Il corpo dell’invaso, modellato plasticamente, riproduce la classica forma a navicella con due mascheroni ai vertici che sostengono due putti reggi-conchiglia, e altri due mascheroni, posti sui lati lunghi, a coronamento del decoro. Al centro della vasca spicca la figurina di Cupido su uno sfondo verde, mentre la parete esterna è decorata da un motivo a mascheroni in una variante coloristica assai ricca.
    Carmen Ravanelli Guidotti in uno studio concernente le credenze nuziali di Alfonso d’Este (1) esamina le saliere dei servizi da pompa dell’epoca, facendo riferimento alle caratteristiche di quelle cosiddette “a caprone”, e individua anche questa variante con putti reggi-conchiglia in diversi esemplari (2) . La studiosa ricorda che “il corpo a navicella su base poligonale stenta ad accogliere la grottesca, tanto la forma plastica è articolata in una strabiliante concatenazione di elementi plastici complementari (volute, mascheroni, zampe leonine, ecc.)…”.
    Simile per concezione d’uso, ma con le modifiche alla forma che abbiamo già indicato, ovvero con l’aggiunta di valve di conchiglia porta sale sul lato lungo e con decoro con motivo a mostri marini, è la bella saliera conservata al Walters Art Museum di Baltimora (3), datata tra il 1575 e il 1600 e attribuita alla bottega Patanazzi.
    Molto vicina, per la presenza dello stesso modello plastico con minime varianti, è invece la saliera del Museo di Arti Decorative di Lione (4), che si distingue rispetto alla nostra per una scelta cromatica più sobria. Altri esempi sono presenti al Victoria and Albert Museum di Londra (5) e al Louvre (6): tutti appartengono a una produzione urbinate della fine del Cinquecento e sono attribuiti alla celebre bottega dei Patanazzi.


    1 RAVANELLI GUIDOTTI 2000, pp. 30-53.
    2 RAVANELLI GUIDOTTI 2000, p. 47; tav. IX a, b, c.
    3 Inv. n. 48.1361. PRENTICE VON ERDBERG-ROSS 1952, n. 73.
    4 FIOCCO-GHERARDI 2001, p. 107 n. 180.
    5 RACKHAM 1977, n. 887.
    6 GIACOMOTTI 1974, n. 1116.



  • CALAMAIO URBINO, BOTTEGA PATANAZZI, INIZIO SECOLO XVII Maiolica dipinta in...
    Lotto 54

    CALAMAIO
    URBINO, BOTTEGA PATANAZZI, INIZIO SECOLO XVII
    Maiolica dipinta in policromia con giallo, giallo arancio, verde, blu e bruno di manganese nei toni del marrone e bianco di stagno.
    cm 26 x 19 x 14.

    INKWELL
    URBINO, WORKSHOP OF THE PATANAZZI, EARLY 17TH CENTURY
    Earthenware, painted in yellow, orange-yellow, green, blue, brownish manganese, and tin white.
    26 x 19 x 14 cm.

    Il calamaio raffigura una dama intenta a verificare una lavorazione, forse un rotolo di pizzo: la donna è rappresentata seduta in abiti rinascimentali con una camiciola dall’ampio collo, aperta sul davanti, un soprabito smanicato, trattenuto in vita da una cinta sottile, che ricopre un abito azzurro dalle maniche lunghe (1). La donna ha i capelli raccolti sul capo e guarda di fronte, mentre con la mano destra scorre il pizzo che trattiene con la sinistra. Il rotolo è contenuto in un cestino che la donna, seduta su una seggiolina da camino, tiene sulle ginocchia. Ai piedi della sedia un vasetto verde per contenere l’inchiostro.
    Queste plastiche, destinate a un uso privato, frutto di commissione o di dono, sono state attribuite da Carmen Ravanelli Guidotti alla bottega Patanazzi con una datazione coerente a quella già proposta dal Ballardini (2), in base ad un esemplare con stemma Aldobrandini, alla fine del Cinquecento e ai primi anni del Seicento.
    La studiosa ha superato la tradizionale attribuzione a Faenza di questa tipologia in virtù di particolari caratteristiche: le figure in genere modellate con alcuni dettagli realizzati in serie e aggiunti in corso d’opera; la plastica non raffinatissima; lo spessore alto dello smalto, e soprattutto l’associazione delle plastiche al decoro a raffaellesche. Tutti questi elementi avvalorano una paternità urbinate.
    Il confronto con esemplari simili, anch’essi plasmati con personaggi di genere, ci conforta nell’attribuzione. Si vedano ad esempio “il suonatore di organo”, con tratti fisiognomici del volto molto vicini al nostro esemplare, raffigurato sul calamaio del Victoria and Albert Museum recante un cartiglio con la scritta “Urbino” (3); il “Bacco ubriaco” dello stesso museo che, in forma di fontana, riproduce lo stile e il gusto dei calamai urbinati (4); il calamaio con figura di “San Girolamo” del Museo di Leningrado con analoga datazione (5) e le belle plastiche presentate in una mostra sulle maioliche rinascimentali nello stato di Urbino di qualche anno fa (6), in particolare il “San Matteo” (7) della Cassa di Risparmio di Rimini, il “Mosè con le tavole della legge” e la “coppia di figurine” in cui compare un personaggio femminile.
    La figura femminile appare comunque poco rappresentata, e sarebbe quindi interessante verificarne la quantità nell’elenco delle plastiche nell’Inventario Ducale del 1609 (8).

    1 L’abito di foggia tardo-cinquecentesca, già influenzato dalla moda francese e inglese, conferma la produzione nella seconda metà del secolo.
    2 BALLARDINI 1950, pp. 99-103.
    3 RACKHAM 1977, p. 283 n. 852 (inv. 8400-1863).
    4 RACKHAM 1977, pp. 283-284 N. 853 (inv . C.665-1920).
    5 IVANOVA 2003, p.111 n. 97.
    6 GARDELLI 1987, p. 159.
    7 GARDELLI 1987, p. 152 n. 65.
    8 SANGIORGI 1976.



  • FIASCA CASTELLI, ORAZIO POMPEI, 1550 CIRCA Maiolica dipinta in policromia con...
    Lotto 55

    FIASCA
    CASTELLI, ORAZIO POMPEI, 1550 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto, verde rame, giallo, giallo arancio, bruno di manganese, bianco di stagno.
    Alt. cm 34, diam. bocca cm 6,7, diam. piede cm 16,5.
    Sotto la base etichetta relativa all’importazione dell’opera nel 1959, etichetta con numero stampato 1523 e timbro galleria BELLINI; altra etichetta con scritta a inchiostro: “ Faenza 1500 ”. Sul collo etichetta circolare stampata “ ART THREASURES EXHIBITION MUSEUM ”.
    Sul corpo in un cartiglio il proverbio latino ” .OdIE.MICHI ../ “ HOC ..OPUS.. HARATII / CRAS. TIBI.. ” e in basso il nome del preparato in caratteri gotici “ Aqua.de.planta” .

    Opera notificata dallo Stato ai sensi del D.Lgs 42/2004.


    FLASK
    Castelli d’Abruzzo, Orazio Pompei, c.1550
    Earthenware, painted in cobalt blue, copper green, yellow, orange-yellow, manganese, and tin white
    H. 34 cm; mouth diam. 6.7 cm; foot diam. 16.5 cm
    Beneath the base, stamp ‘1959’, stamp ‘1523’, printed label ‘GALL. BELLINI’, and label hand-written in ink ‘Faenza 1500’; on the neck, round label printed ‘ART TREASURES EXHIBITION MUSEUM’
    On the body, in a cartouche, Latin proverb ‘.OdIE.MICHI.. / HOC..OPUS.. HORATII / CRAS. TIBI..’; down below, the name of the preparation in Gothic script ‘Aqua.de.planta’

    This work has been notified according to the Ministerial Decree no. 42/2004.

    La fiasca ha un corpo piriforme e poggia su base piana con piede a disco, appena visibile. Il collo slanciato doveva terminare in una bocca a colletto largo con profilo appena svasato. Sul corpo si conserva il segno dell’attacco delle anse, che probabilmente avevano un profilo a doppio o triplo cordolo e forma introflessa a ricciolo, all’altezza della bocca, ed estroflessa sul corpo. Sul fronte, entro una riserva semiovale, delimitata da una cornice a fascia decorata a girali fitomorfe con foglie bicrome e piccoli melograni, è dipinto un fanciullo nudo addormentato in posizione prona e appoggiato a un teschio. Sopra la figura si scorge un nastro svolazzante che riproduce un proverbio latino unitamente alla firma del maestro: ” .OdIE.MICHI../ HOC..OPUS..HORATII / CRAS.TIBI.. ” ( oggi a me, domani a te. Questa è opera di Orazio ). Il collo mostra poi, nella parte superstite, un bel motivo fitomorfo su fondo aranciato, mentre il retro è interamente decorato con una composizione di girali delineate a pennello in blu di cobalto. Sotto la raffigurazione principale corre il cartiglio relativo al composto farmaceutico, scritto in caratteri gotici: “ Aqua.de.planta ”.
    Il decoro con il putto disteso sul teschio si ritrova su un pilloliere di questo stesso corredo farmaceutico, databile alla metà del secolo XVI e oggi conservato al Museo Duca di Martina a Napoli. Si concorda pienamente con l’interpretazione che ne dà Luciana Arbace, proprio in relazione con la nostra fiasca, di un motivo di Memento mori, come d’altronde conferma il cartiglio descritto sopra.
    La fiasca appartiene al vasellame farmaceutico noto agli studi con la denominazione di “Orsini Colonna”, prodotto nel centro di Castelli d’Abruzzo attorno alla metà circa del secolo XVI. Dopo una serie di studi e confronti tra gli studiosi si è ormai accettato il fatto che non si tratti di un corredo farmaceutico vero e proprio, bensì di una tipologia ceramica caratteristica e caratterizzante la produzione del piccolo centro abruzzese.

  • ALBARELLO CASTELLI D’ABRUZZO, BOTTEGA DI ORAZIO POMPEI, 1550-1560 CIRCA...
    Lotto 56

    ALBARELLO
    CASTELLI D’ABRUZZO, BOTTEGA DI ORAZIO POMPEI, 1550-1560 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto, verde rame, giallo, giallo arancio, bruno di manganese e bianco di stagno.
    Alt. cm 24,4; diam. bocca cm 10; diam. piede 11,8.

    APOTHECARY JAR (ALBARELLO)
    CASTELLI D’ABRUZZO, ORAZIO POMPEI, C.1550–60
    Earthenware, painted in cobalt blue, copper green, yellow, orange-yellow, manganese, and tin white
    H. 24.4 cm; mouth diam. 10 cm; foot diam. 11.8 cm


    Il vaso apotecario ha una bocca larga con orlo estroflesso, un collo corto che scende in una spalla obliqua, breve e dal profilo appena arrotondato. Il corpo è cilindrico con base alta e carenata che termina in un piede basso dal profilo svasato.
    Il decoro, realizzato in piena policromia, mostra nella parte anteriore, racchiuso in una metopa delimitata da due fasce con motivo a corona fogliata, il busto di una giovane donna raffigurata di tre quarti con i capelli raccolti, vestita di una camiciola bianca e un abito verde con le maniche arancio. Subito sotto si legge il cartiglio farmaceutico che recita: “ atanasia” in lettere gotiche (1). Sulla spalla corre un motivo a girali arancio su fondo giallo, mentre la base ha sul fronte un riquadro con lo stesso motivo, più sottile, in blu su fondo azzurro.
    Il volto è tracciato in blu di cobalto a creare una riserva sul fondo smaltato. I campi riservati sono poi riempiti di colore: giallo variamente diluito nei capelli, verde intenso nel corpetto e così via. Il fondo blu cupo è reso con ampie pennellate appena dietro alla figura, quasi a creare una nicchia; lo sfondo è poi riempito da una campitura più aperta, diluita con piccoli tratti, quasi a nuvolette. I tratti sottili, appena rimarcati, sottolineano il naso, la bocca e la capigliatura. Il blu ombreggia tutto l’ornato in sapiente e rapido contrasto con le campiture di altro colore.
    Il vaso appartiene a una serie di contenitori prodotti a Castelli d’Abruzzo per il cosiddetto corredo Orsini Colonna, di cui abbiamo parlato nella scheda che precede (lotto 55). Dal catalogo della celebre mostra tenutasi a Castelli nel 1989, si nota come fossero già state individuate più mani nella realizzazione del celebre corredo. La produzione è da situarsi prevalentemente nel secondo terzo del XVI secolo. Dai dati di scavo è emerso soprattutto come questo tipo di produzione sia ben attestato nei butti. La complessità dei decori e la qualità dei materiali impiegati ne fecero fin dal secolo XVI un materiale di lusso. La bottega o le botteghe interessate nella produzione di queste opere mostrano una perizia tecnica esemplare per l’epoca: i decori e il repertorio morfologico, spesso assai complesso, non sono di uso comune, ma in linea con un mercato che richiedeva sempre di più opere di qualità medio-alta. A tale richiesta il cosiddetto corredo Orsini Colonna sembra rispondere pienamente.
    I decori presenti sull’opera in analisi ci aiutano a inserirla cronologicamente all’interno di una produzione specifica: in particolare il ritratto femminile associato al motivo a girali della spalla e del piede, ma soprattutto il motivo di fondo, ci fanno ritenere l’opera ascrivibile alla seconda fase del secondo Gruppo, secondo la classificazione proposta nell’ultimo studio monografico sulle produzioni castellane del Cinquecento (2), cui rimandiamo per i confronti. Si tratta pertanto della produzione assegnabile per morfologia e per decoro al primo terzo del XVI secolo.

  • PIATTO CASTELLI D’ABRUZZO, 1580-89 Maiolica ricoperta di smalto blu di...
    Lotto 57

    PIATTO
    CASTELLI D’ABRUZZO, 1580-89
    Maiolica ricoperta di smalto blu di cobalto, con decoro in oro e bianco di stagno.
    Alt. cm 4; diam. cm 28,4; diam. piede cm 10.
    Sotto il piede, tracce di etichetta con scritte a mano poco leggibili in inchiostro nero.

    DISH
    Castelli d’Abruzzo, c.1580–89
    Earthenware, covered with a cobalt-blue glaze and painted in gold and tin white
    H. 4 cm; mouth diam. 28.4 cm; foot diam. 10 cm
    Beneath the base, remains of label hand-written in black ink (hardly readable)

    Il piatto ha cavetto ampio e profondo con tesa obliqua, poggia su un piede ad anello appena accennato ed è interamente ricoperto da smalto blu intenso che lascia scoperto solo il cercine del piede. Al centro del cavetto compare lo stemma del Cardinale Farnese con i sei gigli blu in campo d’oro, sormontato dal cappello cardinalizio con sei nappe e racchiuso in una cornice dipinta in bianco di stagno; intorno, il caratteristico motivo a fiori quadrangolari accompagnati da un decoro a groppi. Sulla tesa il motivo si ripete in una ghirlanda continua.
    La storia di questa fornitura è ormai nota grazie all’esposizione dedicata alle collezioni e al servizio con stemma Farnese (1): il servizio fu eseguito in più riprese tra il 1574 e il 1589, anno della scomparsa del Cardinale Alessandro Farnese. L’attribuzione alle officine di Castelli (2), unanimemente accettata, si basa sul confronto con frammenti emersi dagli scavi condotti nella città abruzzese e trova riscontro in due opere del Museo di Capodimonte in cui compare una sigla interpretabile come Castellorum (3). Le varianti morfologiche e stilistiche tra le opere in “turchina” lasciano però aperti alcuni interrogativi riguardo alla definizione delle botteghe castellane autrici della fornitura e alla cronologia delle varianti esistenti.
    La raffinata tecnica di produzione di questi prodotti “compendiari” sembra, attraverso l’analisi dei frammenti, caratterizzata da una pesante invetriatura monocroma, più che dall’applicazione di un vero e proprio smalto come nelle opere faentine (4). Ma la tecnica più sorprendente è quella dell’uso del terzo fuoco per la stesura dell’oro: questa procedura doveva essere causa di un gran numero di rotture dei manufatti durante e dopo la cottura, e comunque riservata dalla bottega incaricata ad una committenza particolare e non abituale, come dimostra l’esistenza di una produzione di turchina senza però applicazione di oro a terzo fuoco.
    Come ricorda Luciana Arbace nelle schede relative a queste opere (5), il servizio è elencato tra gli arredi del Palazzo Farnese a Caprarola nel 1626, e si parla di un servizio da credenza di maiolica turchina miniata d’oro con l’arme del Cardinale Farnese ancora presente nella Loggia del Palazzo Farnese di Roma nel 1644, nel 1653 e qualche anno più tardi (6). Di queste opere tra il 1728 e il 1734 se ne conservavano 72, poi trasferite presso il Museo di Capodimonte nel 1760, mentre altre furono disperse.
    Le caratteristiche decorative e formali eterogenee hanno fatto pensare non solo all’opera di più botteghe coinvolte nella commissione, ma anche all’esistenza di più di un servizio o committenza, forse anche per il cardinale Odoardo Farnese.

  • ALBARELLO NAPOLI, MAESTRO DELLA CAPPELLA BRANCACCIO (ATTR.), 1470-1480...
    Lotto 58

    ALBARELLO
    NAPOLI, MAESTRO DELLA CAPPELLA BRANCACCIO (ATTR.), 1470-1480
    Maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto, giallo antimonio, bruno di manganese nei toni del marrone, violaceo e del nero.
    Alt. cm 34; diam. bocca cm 10; diam. piede cm 10.

    APOTHECARY JAR (ALBARELLO)
    NAPOLI (NAPLES), MAESTRO DELLA CAPPELLA BRANCACCIO (ATTR.), 1470–80
    Earthenware, painted in cobalt blue, antimony yellow, brownish and blackish manganese, and manganese purple
    H. 34 cm; mouth diam. 10 cm; foot diam. 10 cm

    L’albarello ha forma cilindrica appena rastremata al centro, con spalla e calice angolati, collo breve con orlo estroflesso tagliato a stecca e piede appena concavo tanto da poggiare solo sui bordi esterni, aggettante all’esterno. Lo smalto che ricopre l’intera superficie è povero, di colore bianco-crema con inclusioni, ruvido al tatto, e presenta bolliture prevalentemente sul collo e crettature; l’interno non è smaltato.
    Il collo del vaso è interamente decorato con un bel motivo a palmette a ventaglio, motivi puntinati e semi-palmette a ventaglio, racchiuse in un archetto e alternate a piccole foglie trilobate, mentre la spalla è rimarcata da righe blu e gialle. Il corpo è interessato, nella parte anteriore, dalla raffigurazione di un uccello fantastico dal viso di giovinetto (1), ritratto di profilo e conchiuso in una cornice che ne segue i contorni. Intorno si estende un motivo a foglie accartocciate con spirali e punti dipinti a riempimento degli spazi vuoti.
    Il volto è abilmente ombreggiato con sottili pennellate, il lungo collo abbellito da una fascia gialla, il piumaggio realizzato con una stesura del pigmento diluita con diversa densità sia sulle ali, sia sul corpo.
    Il sistema di incorniciare le figure in una riserva che ne circonda i contorni è tipico del primo Rinascimento e sembra interessare trasversalmente tutte le manifatture italiane del periodo.
    Guido Donatone, che ha pubblicato l’opera (2), nel confronto con una piastrella del Pavimento Gaetani di Capua, sottolinea la rarità della tecnica lavorativa, e segnala come anche le foglie che decorano il verso trovino riscontro in ambito napoletano nel retro dell’albarello con probabile profilo del Sannazaro (3) e con altri pavimenti poi attribuiti allo stesso pittore: proprio su queste basi ha avanzato l’ipotesi di una produzione napoletana. Lo stesso studioso affianca l’opera a un albarello del Museo del Bargello (4) con il profilo di un airone, con caratteri peculiari simili a quelli che si riscontrano nelle opere del Maestro della Cappella Brancaccio, escludendo di conseguenza l’attribuzione dello stesso a botteghe pesaresi.
    Un albarello della medesima tipologia, e con attribuzione analoga, è recentemente transitato sul mercato (5): la morfologia, le dimensioni importanti e il decoro secondario a foglie accartocciate avvicinano i due esemplari e ci sostengono nell’attribuzione. Le precedenti assegnazioni ad ambito faentino, romano (6) o siciliano (7) sono ormai superate.
    Anche per questo esemplare ci pare corretta la datazione suggerita dal confronto con i vasi con stemmi aragonesi recanti le armi di Alfonso II d’Aragona e della moglie Ippolita Sforza, che ci danno un’indicazione cronologica compresa tra il 1465 e il 1484 (8).
    Il nostro albarello, ancora con attribuzione ad ambito toscano o faentino, è transitato sul mercato in un’asta Sotheby’s a Milano nel 1997 (9).

  • TONDINO, VENEZIA , MASTRO JACOPO DA PESARO , 1540 CIRCA Maiolica dipinta in...
    Lotto 59

    TONDINO, VENEZIA , MASTRO JACOPO DA PESARO , 1540 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto , bruno di manganese nei toni del nero-marrone con tocchi di bianco di stagno su fondo azzurrato .
    Alt. cm 2,9; diam. cm 19,8; diam. piede cm 8.
    Sigla sulla tesa MJ o mL (?)

    ARMORIAL PLATE (TONDINO)
    VENEZIA (VENICE), MASTRO JACOPO DA PESARO, C.1540
    Earthenware, covered with a light-bluish glaze and painted in cobalt blue and blackish and brownish manganese with tin-white highlights
    H. 2.9 cm; diam. 19.8 cm; foot diam. 8 cm
    On the broad rim, ‘MJ’ or ‘mL’ (?)


    Il piatto, con piede ad anello poco rilevato, presenta un profondo cavetto e una larga tesa leggermente inclinata. Sul recto , si osserva una decorazione nei toni del grigio-azzurro su fondo blu: al centro del cavetto una testa femminile spicca sullo sfondo di scudi e flauti, contornata nello stacco tra cavetto e tesa da una fascia bianca a risparmio. La tesa ripropone il disegno a grisaille a trofei con panoplie e strumenti musicali, nella parte inferiore un cartiglio con note musicali, mentre sul lato destro si legge una sigla con due lettere incrociate, forse MJ , per alcuni leggibili come mL (1).
    Il retro del piatto mostra un motivo decorativo “alla porcellana” realizzato a punta di pennello in blu, che corre tra la tesa e il cavetto attorno al basso anello di appoggio, su fondo di smalto appena azzurrato.
    Il volto al centro, con la bocca chiusa, labbra piene e naso sottile, è dipinto con grazia in un atteggiamento malinconico: gli occhi appena abbassati rivolti a destra. Le guance, la fronte e il mento sono lumeggiati con sottili tratti di stagno che ne arrotondano i contorni. La stessa tecnica, a tratti sottili, si estende per tutta la decorazione, esaltando la luminosità dei trofei e dando al piatto un colore metallico che spicca sul fondo blu, a sua volta realizzato con perizia tecnica pittorica che crea un fondo cupo con pennellate sicure e mano ferma, al punto da lasciare a risparmio le aree interessate dal decoro principale e dai sottili nastri svolazzanti che riempiono le campiture attorno alla raffigurazione principale.
    Questo ornato appartiene alla decorazione “all’antica”, detta “a trofei”: fortunato motivo delle maioliche rinascimentali a Venezia e in tutta Italia (2), diffuso attraverso le incisioni (3).
    Un riscontro calzante si trova in un piatto con trofei con armi, strumenti musicali e geografici pubblicato da Timothy Wilson nel 1996 (4). Il piatto, allora attribuito alla bottega di Maestro Ludovico, è datato 1537 e mostra caratteristiche stilistiche e tecniche sovrapponibili all’opera in esame: il volto al centro del piatto e lo stesso stile del decoro coincidono in modo particolare con il nostro esemplare.
    Molto simili anche due piatti pubblicati dalla compianta Alverà Bortolotto (5), che presentano caratteri disegnativi quasi sovrapponibili ai nostri, tra i quali il grande piatto con trofei d’armi del Victoria and Albert Museum (7) nel quale il largo cavetto mostra un trofeo d’armi pieno di elementi, tra i quali riconosciamo i tamburi, gli schinieri, la lorica disegnata dall’alto verso il basso e soprattutto, nella tesa, elementi con lettere e sigle non meglio riconoscibili. Di stile più calligrafico il tondino comparso recentemente sul mercato, datato 1544, sempre attribuito e pubblicato come opera della bottega di Mastro Ludovico a Venezia. E ancora il tondino transitato sul mercato newyorchese (8) qualche anno fa con l’iscrizione R.E.V. E. N mostra caratteristiche stilistiche molto vicine a quelle dell’esemplare in analisi.

  • PIATTO, VENEZIA, BOTTEGA DI MASTRO DOMENICO 1570 CIRCA Maiolica dipinta in...
    Lotto 60

    PIATTO, VENEZIA, BOTTEGA DI MASTRO DOMENICO 1570 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nei toni del nero, marrone e bianco di stagno.
    Alt. cm 6,5; diam. cm 34,5; diam. piede cm 10,9.
    Sul retro del piatto compare l’iscrizione in blu di cobalto La grecia romana.Ce/fu viollata da tran/. quino.

    DISH
    VENEZIA (VENICE), WORKSHOP OF MASTRO DOMENICO, C.1570
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white
    H. 6.5 cm; diam. 34.5 cm; foot diam. 10.9 cm
    On the back, inscription in cobalt blue ‘La grecia romana.Ce/fu viollata da tran/. quino’

    Il piatto ha un cavetto profondo, un’ampia tesa e poggia su una base ad anello. La decorazione riveste completamente lo smalto stannifero sul fronte del pezzo, occupando tutto lo spazio senza soluzione di continuità, a dimostrare la grande perizia tecnica del pittore, capace di disporre la scena anche nel cavetto senza creare alcuna perdita di prospettiva. Le figure sono disegnate con tocchi in bruno di manganese, ad eccezione di quella di Lucrezia, che ha forme meno rigide ed è pittoricamente più debole rispetto ai personaggi maschili: si noti come sembri perdere consistenza all’altezza dei piedi.
    La scena, drammatica, si svolge in un porticato dalla fitta pavimentazione a mattonelle: alle spalle delle figure un tavolo apparecchiato è collocato davanti all’ingresso di un palazzo con un fornice a volta e alcuni archi in rovina sullo sfondo. In lontananza si nota una città turrita ed un monte dalla forma irregolare, con un foro al centro attraverso il quale s’intravede il tramonto. Le figure sono raccolte attorno alla protagonista ormai morta: un soldato le sorregge le spalle, un giovane la guarda con fare disperato, mentre una fanciulla si porta un fazzoletto agli occhi asciugandosi le lacrime e un personaggio barbato accorre ai richiami. Il verso reca un sottile strato di smalto, che assume un tono beige, con alcuni difetti di cottura; lo smalto spesso con vaste colature è decorato con cinque filetti gialli che profilano e ornano la tesa incorniciando l’anello d’appoggio sottile e cilindrico. Il fondo del piede smaltato presenta l’iscrizione in blu: La grecia romana.Ce/fu viollata da tran/. quino.
    La vicenda narrata è quella della morte di Lucrezia, descritta da Valerio Massimo nell’opera Atti e detti memorabili degli antichi romani, che diviene simbolo della resistenza alla tirannia o alla sottomissione a costo della vita pur di mantenere il proprio onore . L’episodio è narrato anche da Tito Livio (1): la virtù di Lucrezia nota a tutti i romani e vanto del Marito Collatino, fu violata dal malvagio Sesto Tarquinio, figlio del tiranno Tarquinio Prisco; la donna, presa da vergogna, si uccise davanti al marito e agli amici Lucio Giunio Bruto e Publio Valerio, non prima di aver chiesto vendetta. Il marito Collatino, per vendicarsi, guidò quindi una sommossa popolare che cacciò via i Tarquini da Roma.
    La scena è tratta dall’incisione di Georg Pencz (2) (fig. 1), realizzata tra il 1546 e il 1547, e spesso utilizzata in maiolica da più botteghe rinascimentali. Si veda per esempio come la stessa immagine sia stata riprodotta in una riserva nel centro di uno splendido vassoio urbinate della bottega di Orazio Fontana databile agli anni ‘70 del Cinquecento (3).

  • PIATTO VENEZIA, ultimo quarto del XVI secolo Maiolica dipinta in monocromia...
    Lotto 61

    PIATTO
    VENEZIA, ultimo quarto del XVI secolo
    Maiolica dipinta in monocromia blu su fondo smaltato berettino molto scuro; tocchi di bianco di stagno.
    Alt . cm 3; diam. cm 22,2; diam . piede 9,1 .

    DISH
    VENEZIA (VENICE), LAST QUARTER OF 16TH CENTURY
    Earthenware, covered with a dark ‘berettino’ glaze and painted in monochrome blue, with tin-white highlights
    H. 3 cm; diam. 22.2 cm; foot diam. 9.1 cm
    Beneath the base, a deep scratching, made after firing, with a letter (hardly readable)

    Il piatto, con cavetto poco profondo e non particolarmente marcato, ha una tesa ricurva ad orlo estroflesso e poggia su un piede ad anello largo e poco rilevato. È interamente coperto da uno spesso strato di smalto berettino di colore azzurro cupo, dalla superficie brillante, che mostra qualche piccola bollitura.
    La decorazione, che si sviluppa sull’intera superficie, mostra la raffigurazione di un paesaggio caratterizzato dalla presenza di architetture con edifici dal tetto a cuspide, finestre alte rettangolari e finestre ad occhi di pernice. I gruppi di edifici sono valorizzati dalla presenza di alte torri dalla copertura cuspidata sulla destra, e con una cupola a cipolla dal carattere orientaleggiante al centro e sullo sfondo, con un’allusione forse a dei minareti. Gli elementi naturalistici del paesaggio sono un vasto prato con ciuffi d’erba e ciottoli all’esergo e uno scoglio dal profilo arrotondato che svetta al centro di una baia abitata da piccoli velieri. Nel cielo, ombreggiato da piccole nuvole, volano alcuni uccelli.
    Il verso del piatto mostra una decorazione a pennellate radiali attorno al piede, invece del più comune motivo cosiddetto “a cestello”.
    Il decoro “a Paesi” è molto diffuso nel tardo Cinquecento a Venezia e in tutto il Veneto (1) e i confronti sono pertanto numerosi, al punto che si può applicare una distinzione stilistica: gli esemplari più antichi mostrano un tratto più sottile, più accorto e calligrafico, che via via si sgrana negli esemplari più recenti. La lumeggiatura attenta e la precisione nel delineare le architetture è per Saccardo un elemento che sparisce negli esemplari più tardi.
    I pezzi dei servizi mostrano decori simili a quello esposto sul piatto in studio, ma con modalità morfologiche, pittoriche e stilistiche differenti: lo studio di Saccardo , Camuffo e Goffo ci suggerisce alcuni esemplari di confronto (2); una scodella con decoro simile, ma con caratteristiche pittoriche meno calligrafiche, è conservata nella Raccolte di Arti Applicate del Castello Sforzesco di Milano (3). Il nostro piatto si distingue però dalla maggior parte degli esemplari in studio per la presenza di un paesaggio lagunare, raro e solitamente sostituito da dettagli di gusto rovinistico (4). Senza voler paragonare il livello eccezionale raggiunto dalle architetture raffigurate sul grande piatto del Museo dell’Ermitage (5), riteniamo che la presenza di architetture all’orientale e lo stile molto curato nell’esecuzione giustifichino l’inserimento del nostro piatto in una fase produttiva abbastanza precoce e pertanto nell’ultimo quarto del secolo.
    Anche questo piatto è stato pubblicato da Alverà Bortolotto nel suo studio monografico sulla maiolica veneta e compare tra i piatti presenti alla mostra tenutasi a Milano negli anni ‘80 dello scorso secolo, dedicata alle immagini architettoniche nella maiolica del Cinquecento (7) , e nel catalogo della mostra sulle maioliche veneziane del Cinquecento che si svolse, sempre a Milano, negli anni novanta dello scorso secolo (8).

  • VASO MANISES (VALENCIA), METÀ CIRCA DEL SECOLO XVI Maiolica decorata...
    Lotto 62

    VASO
    MANISES (VALENCIA), METÀ CIRCA DEL SECOLO XVI
    Maiolica decorata in lustro dorato e blu di cobalto.
    Alt. cm 13; diam. bocca cm 21; largh. massima cm 25; diam. base cm 17,2.
    Sotto la base etichetta quadrata stampata con la scritta “EXPOSITION NATIONALE/ DE CÉRAMIQUE/ 1897/ SECTION RETROSPECTIVE” e a mano “356”. Altra etichetta rotonda stampata della COLLECTION IMBERT ROME, al centro numero scritto a mano poco leggibile.


    VASE
    MANISES (VALENCIA), C. MID-16TH CENTURY
    Earthenware, painted in golden lustre and cobalt blue.
    H. 13 cm; maximum width 25 cm; mouth diam. 21 cm; foot diam. 17.2 cm.
    Beneath the base, rectangular printed label ‘EXPOSITION NATIONALE/ DE CÉRAMIQUE/ 1897/ SECTION RETROSPECTIVE’, with ‘356’ hand-written; round printed label ‘COLLECTION IMBERT ROME’ (in the centre, hardly readable hand-written number).

    Il vaso è prodotto al tornio e presenta un corpo cilindrico appena rastremato verso la base, che si presenta a fondo piano. La bocca si apre larga e aggettante con una tesa obliqua e un orlo arrotondato. Dall’orlo partono tre anse a S dal profilo cilindrico, che scendono fino al corpo.
    Il rivestimento, in smalto stannifero color avorio, è ricoperto da una decorazione a lustro di colore rosso ramato che interessa l’intera superficie del vaso, anche nella parte interna. Il decoro è meno curato all’interno del contenitore, con un motivo a larghe foglie e spirali, e con puntinature a riempire i campi vuoti. Sulla tesa corre un motivo a piccoli fioretti quadripetali con lunghi pistilli e gambo fogliato dall’andamento mosso. Sul corpo, sui due lati principali, si scorge il tipico decoro a pardalot , circondato da fioretti sinuosi e puntinature. La base è anch’essa decorata con un motivo naturalistico dipinto con maggior rapidità. Il decoro deriva dal prototipo dei pardalot, da rintracciare quasi certamente nel tipo dell'aquila raffigurata sul rovescio di piatti valenciani della prima metà del IX-X secolo. Una stilizzazione di questo genere, evolvendosi nel tempo, diviene di uso comune sui prodotti valenciani fra il XII e il XVIII secolo.
    Le decorazioni della parte interna del vaso e della base sono campite a lustro secondo modalità già tarde della produzione ispano-moresca. Invece, i due tipici uccelli dipinti sul fondo puntinato del corpo presentano tratti stilistici ancora antichi e non la tipica stilizzazione a fasci di linee secondo l’evoluzione del decoro. Per queste caratteristiche, ci pare di poter ascrivere l’opera ancora a una fase precoce o comunque di transizione.
    La produzione valenciana di ceramiche a lustro metallico fu grandemente apprezzata nel Rinascimento italiano e le importazioni di maioliche iberiche estremamente ricercate, tanto che i pezzi decorati a lustro costituirono uno status symbol ambito dalle corti europee e ispirarono produzioni emulative in Italia. Con il Romanticismo e il sorgere del gusto per l’Oriente si scatena in Europa un collezionismo animatissimo di questo tipo di oggetti. La Spagna diventa di moda e la ceramica medievale a riflesso metallico diviene paradigma del collezionismo orientaleggiante (1).

  • GRANDE PIATTO MANISES (VALENCIA) O SIVIGLIA, METÀ SECOLO XVI Maiolica...
    Lotto 63

    GRANDE PIATTO
    MANISES (VALENCIA) O SIVIGLIA, METÀ SECOLO XVI
    Maiolica decorata in lustro dorato e blu di cobalto.
    Alt. cm 16; diam. cm 38,6.

    LARGE DISH
    MANISES (VALENCIA) OR SEVILLE, MID-16TH CENTURY
    Earthenware, painted in golden lustre and cobalt blue.
    H. 16 cm; diam. 38.6 cm.

    Il grande bacile mostra una forma tonda concava profonda, con tesa obliqua molto accentuata. Il cavetto è fondo e centrato da un umbone rilevato, a sua volta rimarcato da un motivo ad anello sottolineato in blu.
    Il piatto è interamente rivestito anche sul retro da uno smalto stannifero color avorio decorato a lustro. L’ornato in blu si ripete sulla tesa, decorata da una sottile doppia linea sinuosa. Il blu è stato utilizzato per suddividere la decorazione, che è comparsa solo a seguito della seconda cottura.
    Il decoro a foglie bipartite, intervallate simmetricamente da un rametto anch’esso fogliato, si ripete lungo la tesa e nel cavetto. Al retro un caratteristico motivo decorativo a “foglie di felce”, tipico dei decori di questo periodo storico, nell’incavo che si forma in corrispondenza del cavetto e si fa più accentuato con un fiore stellato o ruota, anch’esso tipico di questa fase di produzione. In base alla decorazione, che sul fronte riprende il motivo cosiddetto “ad arbusto” e sul retro un motivo tipico della serie popolare, possiamo ipotizzare una probabile datazione riconducibile alla fine del XVI secolo. Il piatto è comunque poco comune tra quelli pubblicati e presenti nelle collezioni italiane. Sebbene non mostri stemmi al centro dell’umbone, ha mantenuto ancora il gusto più arcaico per la bicromia grazie all’utilizzo dell’azzurro.
    Il decoro del retro, di derivazione più antica, è spesso presente anche su pezzi chiusi, come gli albarelli, quale motivo secondario in associazione a decori più consistenti come la foglia (1).
    Gli esemplari di confronto mostrano molteplici varianti del fronte, mentre si ha una maggiore uniformità per il decoro del retro, che come già detto ci aiuta nella datazione, da collocarsi intorno alla metà del secolo XVI. La forma della tesa, liscia e priva di baccellature, che richiama i bacili metallici, non è molto comune e la ritroviamo in alcuni piatti (2) delle Raccolte di Arti Applicate del Castello Sforzesco di Milano. Il primo piatto, con decoro semplificato a grossi “nastri annodati” su un motivo a piccole spirali, mostra una grande sobrietà compositiva che gioca sul contrasto con alcuni tocchi di blu. Il secondo è più coerente con il progetto compositivo del nostro, con un ripetersi simmetrico di motivi ad alberelli alternati a metope dal decoro geometrico. Entrambi i confronti si possono datare alla fine del secolo XVI.

    1 CAVIRÒ 1991, p. 184 e p. 195 per il decoro sul retro del piatto.
    2 CAVIRÒ in AUSENDA 2002, pp. 260-261 nn. 362 e 364.



  • PIATTO TONDO SIENA, FERDINANDO MARIA CAMPANI, 1733-1745 Maiolica dipinta in...
    Lotto 64

    PIATTO TONDO
    SIENA, FERDINANDO MARIA CAMPANI, 1733-1745
    Maiolica dipinta in policromia con bruno di manganese, verde ramina, giallo antimonio e blu di cobalto.
    Alt. cm 2,6; diam. cm 25,8; diam. base cm 18.
    Iscrizione in corsivo nero che corre sul retro lungo l’orlo interno della tesa Iacob ad puteum vidit rachel; et adaquato grege, indicavit et, quod frater esset patris sui ; tre piccole etichette con cornice blu, su una è leggibile il numero ‘63’.

    DISH
    SIENA, FERDINANDO MARIA CAMPANI, 1733–45
    Earthenware, painted in manganese, copper green, antimony yellow, and cobalt blue.
    H. 2.6 cm; diam. 25.8 cm; foot diam. 18 cm.
    On the back, inscription in black along the inner edge of the broad rim ‘Iacob ad puteum vidit rachel; et adaquato grege, indicavit et, quod frater esset patris sui’; three small labels with a blue frame, one with ‘63’.

    Piatto tondo con orlo liscio, ampia tesa orizzontale, corta balza e ampio cavetto. Il retro è interamente rivestito da un leggero strato di smalto stannifero che mostra sulla tesa pulci e i segni lasciati dai distanziatori di cottura. Attorno alla balza corre la scritta Iacob ad puteum vidit rachel; et adaquato grege, indicavit et, quod frater esset patris sui in corsivo nero di accurata calligrafia. L’orlo è color nocciola con un filetto bruno di manganese. Il dipinto è stato eseguito con i colori a gran fuoco sapientemente accostati. La scena è dominata dal blu dai toni molto forti nelle vesti delle figure e molto sfumati nel paesaggio, nelle lontane cime montuose, nel cielo; il modellato degli incarnati e del pellame animale è realizzato in giallo e bruno; tocchi di verde olivastro e smeraldo creano il prato, le fronde arboree e i ciuffi fogliati. Ed infine un sottile ripasso in bruno accentua i contorni delle figure e tocchi lumeggiati in giallo su prato e paesaggio ne vivacizzano il chiaroscuro.
    In primo piano a destra, protagonista della scena istoriata, un giovane forte uomo barbuto con veste blu e manto giallo esprime fisicamente sorpresa nel vedere due giovani donne che si tengono per mano, circondate da pecore e capre che si abbeverano al pozzo. Come ci indica la scritta sul retro, è illustrata la scena della Bibbia (1) in cui si narra del primo incontro di Giacobbe con la bella cugina Rachele che, con la sorella Lia, aveva portato il gregge alla fonte. Giacobbe accettò di servire lo zio Làbano per sette anni per poterla sposare.
    La scena figurata deriva fedelmente da un riquadro dell’affresco di Raffaello Sanzio su una volta della Loggia Vaticana (1517-1519). L’incisione ad acquaforte di Nicolas Chaperon, che la riprende, fa parte del volume intitolato Sacrae Historiae Acta a Raphaele urbin. In Vaticanis xystis ad picturae miraculum expressa , pubblicato a Roma nel 1649 con 52 incisioni numerate. La nostra scena è la n. 22 e reca sotto il riquadro figurato la scritta: “Jacob ad puteum, vidit Rachel, et adaguato grege, indicavit ei/quod frater estet patris fui.Gen XXIX”: la scritta ripresa sul retro del piatto.
    Vi sono alcuni piatti di maiolica dipinti nello stesso codice formale con scene derivate dalla medesima serie di incisioni raffaellesche e che recano l’iscrizione di identico tipo. Tre portano anche la firma dell’artista senese Ferdinando Maria Campani e la data “1733”. Un piatto che mostra raffigurata la colonna di nubi nell’accampamento ebraico è conservato al Kunstgewerbe Museum di Berlino (2).

  • TARGA SAN QUIRICO D'ORCIA (SIENA), BARTOLOMEO TERCHI, 1717-1724 Maiolica...
    Lotto 65

    TARGA
    SAN QUIRICO D'ORCIA (SIENA), BARTOLOMEO TERCHI, 1717-1724
    Maiolica dipinta in policromia con giallo, verde, blu, bruno di manganese nei toni del nero, marrone e bianco di stagno.
    Alt. cm 1,6; lunghezza cm 52; larghezza cm 29 .
    Un’antica etichetta cartacea incollata sul retro reca scritto in corsivo con inchiostro nero “[…] de David in /magiolica di Rafael, o/ di Giulio Romano/ 84”.

    PANEL
    SAN QUIRICO D’ORCIA (SIENA), BARTOLOMEO TERCHI, 1717–24
    Earthenware, painted in yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white.
    H. 1.6 cm; length 52 cm; width 29 cm.
    On the back, ancient label hand-written in black ink ‘[…] de David in /magiolica di Rafael, o/ di Giulio Romano/ 84’.

    Il corpo ceramico è composto dall’unione (a crudo) di tre piastre in terracotta chiara, rivestito da uno strato sottile di smalto stannifero sul fronte. Vi si notano sul retro due leggere colature. Due sottili linee nere profilano i margini nei lati minori del quadro pittorico. L’albero e le zolle di terra ondulate, che impostano la composizione in primo piano, sono dipinte in scuro bruno di manganese e in verde ramina. L’intera scena figurata è disegnata con una linea in bruno di manganese sottile e leggera, con la coloritura acquarellata in giallo-bruno degli incarnati e in azzurro-bruno di molte vesti. Arricchiscono un poco il cromatismo della scena effetti minori di cangiantismi in azzurro-giallo e qualche piccola zona tessile colorata in verde ramina. Al contrario , dominano il sistema visivo i campi gialli del carro e della cassa lignea. Le pennellate, che avrebbero dovuto lumeggiare diverse forme, hanno fatto difetto durante la cottura brunendosi probabilmente a causa della presenza di smalto stannifero: lo possiamo notare soprattutto nella veste della figura reale sul carro.
    In questa lastra sono dipinti due episodi biblici, Il trionfo di Davide sugli Assiri e Il passaggio con l’arca dell’alleanza attraverso il fiume Giordano (1), composti in un unico corteo trionfale dell’ingresso di David a Gerusalemme, trionfante sui barbari, in un carro prezioso e, alle sue spalle, il trasporto dell’Arca dell’Eterna Alleanza in una cassa lignea dorata.
    Ambedue sono derivati dagli affreschi di Raffaello Sanzio nelle Logge Vaticane, tramite le celebri incisioni di Nicolas Chaperon (1612-1656) del volume intitolato Sacrae Historiae Acta a Raphaele urbin. In Vaticanis xystis ad picturae miraculum expressa , pubblicato a Roma nel 1649.
    La scena dipinta sulla maiolica mostra una notevole cura nel ripetere la posizione delle figure e dei cavalli in modo fedele al modello grafico. La qualità disegnativa è alta nelle figure protagoniste, ma diventa ben più corsiva nei volti delle figure secondarie. Il forte tronco frondoso e il corpo dei cavalli sono modellati con un sapiente chiaroscurare steso a piccoli tratti sottili, paralleli e talvolta incrociati. Nel blu le pennellate sono più diluite e il colore ha un tono celeste chiaro.
    Questa targa è stata esposta all’importante mostra di storia della ceramica tenuta a San Quirico d’Orcia nel 1996. Allora apparteneva a una collezione privata ferrarese. Gianni Mazzoni, che ne compilò la scheda di catalogo, lo attribuì alla produzione di Bartolomeo Terchi degli anni ’20 del XVIII secolo a San Quirico o Siena (2).
    Bartolomeo Terchi era nato a Roma nel 1691 nel quartiere di Trastevere, forse da una famiglia di “vascellari” (3).

Lotti dal 49 al 65 di 65
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Importanti maioliche rinascimentali

Esposizione

FIRENZE
24 Settembre al 1 Ottobre2015
orario 10 – 19 
Palazzo Ramirez-Montalvo 
Borgo degli Albizi, 26

Sessioni

  • 1 ottobre 2015 ore 17:00 Sessione unica - dal lotto 1 al lotto 65 (1 - 65)