Importanti maioliche rinascimentali
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Lotto 13 ALBARELLO
MONTELUPO, 1505-1515 CIRCA
Maiolica dipinta in policromia con giallo antimonio e blu di cobalto; smaltatura all’interno.
Alt cm 20; diam. bocca cm 8,5; diam. piede cm 9,3.
Apothecary Jar (albarello)
Montelupo , c. 1505–15
Earthenware, painted in antimony yellow and cobalt blue
H. 20 cm; mouth diam. 8.5 cm; foot diam. 9.3 cm
Il contenitore apotecario presenta un’imboccatura ampia con orlo inclinato, rifinito a stecca. II collo è breve; la spalla piana, con stacco a spigolo vivo, scende in un corpo cilindrico appena rastremato, terminante in un calice troncoconico che si assottiglia per finire in un piede con base piana. Lo smalto è di colore bianco rosato, molto crettato, e alcune colature dall’orlo della bocca ne denunciano lo spessore.
Il vaso mostra, lungo il corpo, un decoro “alla porcellana” in monocromia blu e sul fronte, entro una cornice rotonda, uno stemma con una croce blu decorata da cinque stelline ad asterisco di colore giallo. Una catena continua corre lungo la spalla, mentre il collo e le fasce limitrofe alla decorazione principale sono dipinti con linee parallele. Nella decorazione predomina il colore blu cobalto in vari gradi di diluizione applicato con tecnica sapiente, come ad esempio nella cornice dello scudo di colore azzurro chiaro o nei nastri che la adornano tracciati a punta di pennello. Unica nota differente di colore il giallo delle stelle all’interno dello scudo.
La forma è ancora tardo-quattrocentesca e si può accostare per confronto a quella di un albarello già in collezione Cora, ora al Museo Internazionale della Ceramica di Faenza che presenta decori “alla porcellana”, ma in una versione policroma e accostata a ornati più complessi (1). Il decoro del nostro esemplare, abbinato all’emblema della farmacia, ci sembra però influenzato da dettami stilistici già di primo Cinquecento e comunque ormai slegato dagli ornati d’ispirazione strettamente mediorientale. Il gusto è prossimo a quello degli albarelli già descritti in questo stesso catalogo (lotti 10-11) ma se ne discosta. L’influenza stilistica guarda all’estremo oriente: ai modelli della famiglia blu e del nodo orientale, qui declinati in un modo più corrivo, ma non meno elegante di quello generalmente proposto nelle forme aperte provenienti dal pozzo dei lavatoi a Montelupo.
Il gruppo di appartenenza potrebbe essere pertanto il 40.6 della classificazione di Berti (2), allorché il tralcio naturalistico perde consistenza e si destruttura in elementi più sottili e meno incisivi: gli elementi araldici sono spesso presenti in questa fase.
Si pensa pertanto a una datazione attorno al primo trentennio del secolo XVI.
1- BOJANI 1985, p.177, n. 440.
2-BERTI 1998, p. 148 gruppo 40.6 .
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Lotto 14 PIATTO
MONTELUPO, 1515 CIRCA
Maiolica dipinta in policromia con giallo, arancio, blu, verde, bianco, bruno di manganese.
Alt. cm 6,5; diam. cm 47,5; diam. piede cm 18.
Sul retro del piatto sotto il piede la scritta “Lo”.
Dish
Montelupo, c. 1515
Earthenware, painted in yellow, orange, blue, green, white, and manganese
H. 6.5 cm; diam. 47.5 cm; foot diam. 18 cm
On the back, beneath the base, inscription ‘Lo’
Il piatto mostra la foggia tipica dei bacili di grande diametro con ampio cavetto piano, tesa obliqua, piede ad anello appena accennato. La materia è spessa, il corpo ceramico di colore beige rosato traspare dallo smalto bianco panna poco aderente, specialmente sul retro del piatto, magro e friabile.
Sul fronte leggiamo una complessa decorazione con, al centro del cavetto, la scena della Deposizione di Cristo dalla croce . La raffigurazione vede al centro la croce, dalla quale alcune figure arrampicate su scale distaccano il corpo di Cristo: uno dei personaggi utilizza una grossa pinza che stringe in una mano. Ai piedi della croce la Maddalena, riconoscibile dai lunghi capelli biondi, inginocchiata accoglie le spoglie. Alcune figure femminili velate aiutano nell’operazione mentre, a destra, San Giovanni sorregge la Madonna che si accascia per il dolore. Sottili alberelli fanno da sfondo alla scena, e piccoli ciuffi di fiori adornano il prato. Sullo sfondo, a sinistra, si scorge la città di Gerusalemme appena tratteggiata in blu.
Una fascia decorata a perline separa il cavetto dalla tesa, che mostra un complesso ornato in cui quattro riserve di forma arrotondata si alternano a un fitto motivo a grottesche che riempie interamente le restanti campiture. La medesima impostazione decorativa è poi ripetuta per quattro volte: un’erma femminile, sostenuta da due sfingi, porta sul capo una cornucopia su cui è appollaiato un pavone; ai lati dell’erma, due putti sorreggono un tendaggio a incorniciare la scena; le restanti campiture sono riempite in giallo, rosso e blu mentre piccoli decori fogliati e uccelli volanti le animano. All’interno delle riserve sono descritti quattro momenti della passione di Cristo: la visita da Erode con la folla che sbeffeggia il Cristo, Ponzio Pilato, la fustigazione e Gesù che porta la croce. Tutte le scene mostrano una grande attenzione narrativa con aggiunta di particolari miniaturistici nelle architetture, nelle vesti, nelle armi e in altro ancora.
La caratteristica fascia “a petali” orna il verso della tesa, lasciando scoperto il centro del cavetto, sottolineato da linee di colore blu, nel quale s’intravede –nella parte ancora ricoperta dallo smalto bianco-beige che non ha aderito in lavorazione – una porzione della marca “ Lo ”, attribuita alla bottega di Lorenzo di Pietro Sartori, attiva nel primo decennio del secolo XVI (1).
Il pittore mostra una felice ispirazione miniaturistica che fa superare la rapidità e l’imperizia di alcune realizzazioni: l’effetto artistico non è da ricercare tanto nel dettaglio quanto nell’insieme, nell’impatto decorativo generale. L’artefice è comunque capace e mostra un suo stile preciso: i volti dei personaggi, arrotondati nei putti, le bocche dipinte con un trattino orizzontale, i corpi leggermente ombreggiati di azzurro nelle grottesche. -
Lotto 15 CRESPINA O PSEUDOCRESPINA
MONTELUPO, 1505-1515 CIRCA
Maiolica dipinta in policromia su smalto con arancio, blu, verde, rosso e bianco.
Alt. cm 3,3; diam cm 21,3; diam. piede cm 10,2.
Moulded Bowl (crespina or pseudocrespina)
Montelupo , c. 1505–15
Earthenware, painted in orange, blue, green, red, and white
H. 3.3 cm; diam. 21.2 cm; foot diam. 10.2
Il piatto ha forma poco profonda, umbone centrale rilevato e separato dalla tesa da una cornice centinata; la tesa ha forma baccellata a rilievo e termina in un orlo rilevato dal profilo arrotondato, mentre il piatto poggia su un basso piede leggermente incavato. Anche sul retro sono visibili le baccellature. La forma, che imita i piatti metallici sbalzati del primo Rinascimento, era realizzata a crudo dal vasaio tramite l’applicazione sul retro del piatto di uno stampo che veniva compresso sul disco di argilla poi lavorato.
Il decoro dipendeva dalla morfologia dell’oggetto, e quello proposto su quest’opera è particolarmente significativo: le baccellature sono rimarcate dalla bicromia giallo-blu che dà rilievo alla forma, evidenziata e riservata per mezzo di una sottile filettatura in blu di cobalto. Tra le baccellature e la tesa si scorge un piccolo motivo a punta di diamante, esaltato anch’esso dall’uso della bicromia in rosso ferro e verde. Gli spazi vuoti sono poi riempiti da sottili spirali blu. Il centro dell’umbone è interessato da una scacchiera fitta, con sottili decori blu, a riempimento delle parti a riserva, tra le quadrettature verdi e rosse. Il retro non mostra decori, ed è ricoperto da un ingobbio di color nocciola, steso con rapidità e con una vetrina sottile.
Il piattello si trova documentato già nello studio di Galeazzo Cora, che lo pubblica come esempio importante della categoria a sbalzo, a somiglianza appunto di recipienti metallici, appartenente al Gruppo XVI C che circoscrive a un periodo cronologico prossimo alla fine del secolo XV (1).
I documenti di scavo pubblicati da Berti lo inseriscono invece tra le produzioni meno rappresentate, collocabili cronologicamente nel primo periodo rinascimentale, ben documentato negli scavi di Valdarno, e lo classificano nel gruppo 38 (2).
Si aggiungono a questa serie di confronti, un piatto con decoro appena differente sull’orlo della tesa, conservato al British Museum (3), e uno conservato al Louvre con diversa cromia (4).
Il raffronto con l’immagine fotografica di un piatto delle raccolte prebelliche del British Museum, attribuito a Montelupo negli anni 1500-1515, molto vicino per morfologia e decoro al nostro oggetto e purtroppo andato distrutto nell’ultima guerra (5), ci pare poi particolarmente interessante.
Anche il confronto con i reperti dallo scavo “del pozzo dei lavatoi”, unitamente a quanto sopra detto, ci conduce dunque a una datazione precoce e circoscritta al primo quindicennio del secolo XVI.
1 CORA 1973, vol. I, p. 154; vol. II, fig. 273b.
2 BERTI 1997-2003, II, pp. 134-135 tav. 131 e II, p. 134 figg. 131-132.
3 THORNTON-WILSON 2009, p. 204; n. 128.
4 GIACOMOTTI 1974, n.442.
5 THORNTON-WILSON 2009, Appendix p. 716 tav. A15.
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Lotto 16 Giovanni della Robbia
(Firenze 1469 - 1529/1530)
VASO DECORATIVO DEL TIPO AD ANFORA CON ANSE A DELFINO, ORNATO DA FESTONI E
PROTOMI, 1520/1525 CIRCA
COPERCHIO IN FORMA DI MAZZETTO DI FRUTTA, FIORI E UNA RANA, COEVO
Terracotta invetriata: il vaso color porpora a imitazione del porfido, il
coperchio con una policromia naturalistica; cm 54,5x38; il vaso cm41x31
(senza le anse); il coperchio cm 13,5 (cm 20 col perno) x 22 circa.
DECORATIVE VASE-TYPE AMPHORA WITH DOLPHIN HANDLES, DECORATED WITH GARLANDS
AND BUSTS, CA. 1520/1525 COVER IN THE FORM OF A BUNCH OF FRUIT, FLOWERS AND
A FROG, CONTEMPORARY
Earthenware glazed: the vase is colored porpora imitation, cover with a
polychrome naturalistic: 54,5 cmx38; the vase 41x31 cm (without handles);
the cover 13,5 (20 cm with the hinge) x 22 cm
Già pubblicato da Galeazzo Cora nel suo fondamentale contributo sui Vasi
robbiani (1959, pp. 59- 60 n. 44, tav. XXV.d), poi riproposto
nellimportante, prestigiosa Storia della maiolica di Firenze e del contado
(1973, pp. 188-189 n. 44, tav. 308.d), questo spettacolare vaso decorativo
si distingue nella feconda e variegata produzione di simili manufatti -
che, come la popolare plastica araldica (Dionigi 2014), attestano
loriginale, apprezzato impegno dei Della Robbia nellarredo profano delle
dimore signorili - in quanto riconducibile ad una delle tipologie più rare,
maestose ed evolute, caratterizzata dalle proporzioni monumentali e dal
fastoso ornato scultoreo dimpronta archeologica; ma soprattutto per la
singolare invetriatura purpurea a imitazione del porfido, considerato
nellantichità per la sua durezza la pietra degli imperatori, colore che
sostituisce qui la consueta tonalità azzurra utilizzata per simulare un
intaglio nel lapislazzuli.
Il vaso è del tipo ad anfora biansata, con manici a S in forma di delfino -
frequente nella maiolica rinascimentale in quanto allusiva alle acque -,
che adottano un modello ripetuto con minime varianti nella produzione
robbiana, mentre il corpo presenta invece una più complessa struttura
composita, scandita da fasce diversamente ornate. Il collo, scampanato e
schiacciato in modo da assumere un profilo a scozia, con ampia bocca
svasata bordata da una fusarola, è ricoperto da embricazioni a scaglie e
freccette, motivo ricorrente anchesso nei vasi robbiani che conferisce
allanfora un carattere architettonico a guisa durna. Il corpo, di forma
ampia e solida, è costituito da una coppa scandita da vigorose baccellature
in aggetto - decorazione consueta ma che in tali manufatti assume caratteri
diversi, perlopiù meno plastici -, sopra la quale si distende un alto
fregio scultoreo ispirato dagli ornati lapidei rinascimentali, cadenzato da
quattro cherubini e da altrettante protomi leonine sopra le quali sono
appesi festoni vegetali. Al centro risalta una fantasiosa balza col motivo
classico del meandro, riscontrabile solo in unaltra tipologia riferita alla
maturità di Giovanni della Robbia (Philadelphia, Museum of Art; già
Firenze, collezione Contini Bonacossi: A. Bellandi, in Gentilini 1998, pp.
277-278 n. III.19), presumibilmente anteriore per la concezione più
semplificata (vedi fig.1); mentre il piede, al centro del quale si trova un
foro per lancoraggio praticato durante la foggiatura, presenta una più
essenziale struttura tornita, ornata solo da un collarino di raccordo alla
coppa. -
Lotto 17 CANESTRO DI FRUTTA
GIOVANNI DELLA ROBBIA, 1520-1525 CIRCA
Terracotta decorata in policromia a pigmento e invetriata.
Alt. cm 18; diam. cm 26.
Basket of Fruit
Giovanni della Robbia, c.152025
Glazed earthenware, painted in colours
H. 18 cm; diam. 26 cm.
La scultura è a forma di canestro con composizione di frutta. Il
contenitore ha unimboccatura ampia, con una strozzatura a metà del corpo e
piede piano: limitazione del vimini nella struttura è accorta e
dettagliata. La parte alta del contenitore ospita una grande quantità di
frutta, di verdura e alcuni fiori: uva, melograno, cetriolo, limoni, noci,
fiordaliso, fiori darancio e altro. La composizione è disposta con grande
naturalezza e arricchita da elementi quali una piccola raganella verde e
una lumaca.
Di questa tipologia sono conosciuti alcuni esemplari con varianti: si
ricordano tra le altre la cestina del Museo Bardini di Firenze (1)
attribuita a Giovanni della Robbia; le cestine esposte alla Mostra di
Fiesole sui della Robbia (2), anchesse assegnabili al medesimo ambito; la
cestina della collezione Cagnola di Varese di officina robbiana forse
vicino a Giovanni o Luca della Robbia (3).
Questo tipo di oggetto si affianca alle produzioni non scultoree della
bottega della Robbia, che comprendeva anche i vasi di gusto classicistico e
i vasi con coperchio plasmato a guisa di cespo di fiori o di frutta, come
ad esempio quello del Fitzwilliam di Cambridge, in cui ci pare di vedere
una comunanza nello stile del decoro a frutta con il nostro cestino (4).
Queste opere dovevano probabilmente essere utilizzate come ornamento
dellaltare o anche come gameli nuziali (5).
Giancarlo Gentilini ricorda come si tratti di una produzione limitata, dove
i panieri erano realizzati a calco dal vero, mentre la frutta e gli animali
da orto erano modellati, e assegna queste opere al periodo di Giovanni e
Luca il Giovane nella prima metà del Cinquecento (6).
Qualche analogia va segnalata anche con un canestro, di dimensioni
superiori al consueto, abitato come il nostro esemplare da piccoli
animaletti, databile agli anni venti del Cinquecento per il modellato e le
scelte cromatiche (7).
La produzione sinserisce in un preciso programma culturale dei della Robbia
che ha un suo illustre precedente nellantichità classica, quando opere in
terracotta raffiguranti i frutti della terra erano esposte nelle dimore per
alludere alla fertilità e allabbondanza (8).
1 GENTILINI 1992, inv.1923 n. 877, p. 281.
2 QUINTERIO in GENTILINI 1998, p. 279 n. III, 21a,b.
3 AUSENDA 1999, p. 165 n. 2.
4 POOLE 1997, p. 30 n. 10, attribuito a bottega di Andrea della Robbia.
5 GENTILINI 1992, p. 221.
6 GENTILINI 1998, pp. 221 e 359. Ne parla il Piccolpasso indicando le varie
tecniche della maiolica (PICCOLPASSO 1976, p. 87).
7 QUINTERIO in GENTILINI 1998, p. 280 n. III, 22.
8 GENTILINI 1980, p. 85.
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Lotto 18 PIATTO
CAFAGGIOLO, 1545 CIRCA
Maiolica dipinta in policromia con giallo, arancio, blu, verde, bianco, bruno di manganese.
Alt. cm 4; diam. cm 40,5; diam. piede cm 23,5.
Sul retro del piatto sotto il piede, la scritta “Lacjena di Simone/in gafagiolo” e il monogramma “ SP” seguito dalle iniziali “ A.f.”.
Dish
Cafaggiolo, c. 1545
Earthenware, painted in yellow, orange, blue, green, white, and manganese
H. 4 cm; diam. 40.5 cm; foot diam. 23.5 cm
On the back, beneath the base, inscription ‘Lacjena di Simone/in gafagiolo’ and a monogram ‘SP’ with the initials ‘A.f.’ next to it
Il piatto mostra la forma tipica dei bacili di grande diametro con ampio cavetto piano, tesa obliqua, piede ad anello appena accennato. La materia è spessa, il corpo ceramico di colore beige rosato traspare dallo smalto bianco panna poco aderente e, specialmente sul retro, magro e friabile. Sul retro un fitto motivo a petali delineati e decorati in blu di cobalto è riempito da linee tratteggiate color arancio e interessa l’intera superficie della tesa. Il cavetto è decorato “a calza” con filetti paralleli blu. Alcune linee gialle concentriche delimitano l’orlo e il piede, mentre lungo la tesa si scorge, in blu di cobalto, un decoro “alla porcellana” disposto intorno a un motivo a nastro intrecciato, “groppo”, a segnare i punti cardinali. Al centro del piede, poco leggibile, è tracciata la legenda: “Lacjena di Simone/in gafagiolo” associata al monogramma SP e alle iniziali Af.
La scena raffigurata sul fronte è tratta puntualmente da una nota incisione di Marcantonio Raimondi da Giulio Romano (1) (fig. 1) e mostra Gesù seduto mentre la Maddalena, dopo avergli cosparso i piedi di unguenti, glieli asciuga con i capelli. Sulla sinistra si scorge la tavola imbandita riccamente, i commensali che osservano la scena, mentre un giovinetto, con un vassoio ricolmo di vivande, si dirige là dove gli è indicato dal padrone di casa, raffigurato con il capo adornato da un turbante. I personaggi sono variamente atteggiati e intenti nel banchetto. Un cagnolino e alcune brocche riempiono la scena alle spalle della donna inginocchiata. Tutta la rappresentazione è incorniciata da due spessi tendaggi ed è chiusa da una parete scura: vi si aprono due finestrelle da cui s’intravede un paesaggio montuoso.
L’incisione doveva aver avuto una buona diffusione tra le botteghe dei vasai nel corso del Cinquecento: la troviamo raffigurata in una bella coppa faentina, opera autografa di Baldassarre Manara, presumibilmente attorno al 1534 – già nella collezione Zschille di Lipsia e pubblicata nel corpus di Ballardini (2) – e anche nel piatto datato 1528, lustrato dalla bottega di Mastro Giorgio, oggi al Metropolitan Museum of Art di New York (3).
Il monogramma Af è stato collegato da Alinari(4) al nome di Alessandro, figlio di Stefano Fattorini, anche se lo studio della personalità che utilizza tale sigla negli istoriati tardi è stata a lungo indagata per la presenza documentata dei Fattorini a Montelupo in quell’epoca (5).
Al momento si ritiene che i “fornaciari” Pietro e Stefano di Filippo Schiavon, chiamati a lavorare a Cafaggiolo da Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici fra il 1498 e il 1499, abbiano dato origine alla manifattura con il loro trasferimento da Montelupo (6). -
Lotto 19 MATTONELLA
SIENA, LIBRERIA PICCOLOMINI, 1502
Maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto, giallo antimonio, rosso ferro, bruno di manganese.
Lato cm. 15,2, spessore cm 2.
TILE
SIENA, LIBRERIA PICCOLOMINI, 1502
Earthenware, painted in cobalt blue, antimony yellow, iron red, and manganese
Side 15.2 cm; depth 2 cm
La mattonella appartiene al celeberrimo pavimento della Biblioteca Piccolomini collocata all’interno della cattedrale di Siena. La libreria fu fatta costruire a partire dal 1492 dal cardinale Francesco Todeschini Piccolomini con intento di uso pratico: avrebbe dovuto contenere il cospicuo patrimonio librario del pontefice Pio II, Enea Silvio Piccolomini, con l’aggiunta di codici appartenuti al Todeschini e a suo fratello Giacomo, ma anche con chiaro significato simbolico celebrativo in onore della vita del papa umanista. L’opera, monumentale, fu completata dal bel ciclo di affreschi commissionato a Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio, che tuttora la ornano, mentre il pavimento fu sostituito nell’Ottocento con ambrogette romboidali (1). Le mattonelle originali, di forma triangolare e dimensioni minori, sono in parte conservate nei Depositi del Museo dell’Opera, in parte disperse e presenti in vari musei.
Gli affreschi del Pinturicchio e della sua bottega furono probabilmente terminati nel 1508 e si era pensato che la realizzazione e la messa a dimora del pavimento andasse fatta risalire alla progettazione architettonica dell’edificio e pertanto al primo periodo di costruzione: 1495-1497 (2). Questa proposta cronologica è stata discussa e si ritiene ormai più corretto posticiparla di pochi anni (3). Gli autori della schedatura delle mattonelle conservate al British Museum di Londra, che costituiscono per noi un valido raffronto, fanno notare, circa la datazione, come nessuno dei pavimenti già realizzati a Siena e in altre sedi abbia questa forma o riporti una luna crescente di questa tipologia e come questa foggia compaia solo nel basamento della statua realizzata a Roma nel 1502 e poi collocata nella Biblioteca a Siena. Questa data costituisce pertanto un terminus ante quem per la datazione del pavimento (4).
1 Del 1839 è il rifacimento a cura della fabbrica Ginori (CANTELLI in ANSELMI ZONDANARI–TORRITI 2012, pp. 214-216; MOORE VALERI 2006).
2 RAVANELLI GUIDOTTI 1992, p. 11.
3 Si vedano in merito anche BILENCHI FUCECCHI 2006.
4 THORNTON-WILSON 2009, pp. 606-608 nn. 376-377, dove si rammenta la storia degli studi di questo prezioso pavimento e si elencano gli esemplari fino ad ora noti.
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Lotto 20 ALBARELLO
DERUTA, 1510-1520
Maiolica dipinta in policromia con giallo antimonio, verde rame, blu di cobalto, giallo, arancio.
Alt. cm 20,2, diam. bocca cm 10,2; diam. piede cm 9,9.
Sotto il piede traccia di etichetta e timbro dell’ufficio di esportazione della Sovrintendenza di Firenze.
Apothecary Jar (albarello)
Deruta, 1510–20
Earthenware, painted in antimony yellow, copper green, cobalt blue, yellow, and orange
H. 20.2 cm; mouth diam. 10.2 cm; foot diam. 9.9 cm
On the bottom, remains of a label and stamp of Florence Superintendency Exportation Office.
Il contenitore apotecario ha un corpo cilindrico appena rastremato al centro, spalla pronunciata dal profilo arrotondato, bocca larga poggiante su un collo breve e cilindrico, orlo tagliato a stecca dal profilo aggettante. Il piede è basso, a base piana con orlo aggettante.
Il corpo ceramico color camoscio scuro è ben visibile all’interno dei vasi, che non sono rivestiti da smalto, ma solo da invetriatura. Lo smalto di colore panna–grigiastro mostra numerose cavillature e distacchi dovuti alla presenza del contenuto.
La decorazione, coerente con quella dell’esemplare che segue, mostra sul fronte una corona fogliata con bacche che circonda una riserva contenente la scritta apotecaria redatta in caratteri capitali di colore blu “ GRASSO.D.BECHO ”. Il cartiglio funge da cornice al decoro principale, che qui raffigura un ariete fermo su un prato, con uno sfondo giallo e che riempie, solo parzialmente, lo spazio riservato dalla corona fogliata a sua volta centrata dallo stemma della farmacia. Quest’ultimo, non identificato, mostra uno scudo semplice con tre mezzelune attorno a una palla tagliata in tre porzioni.
Il retro del vaso mostra un decoro a nastro sinuoso, delineato in verde, interrotto da due ornati a rombi che vanno a incorniciare la sigla A MA .
L’albarello, con l’esemplare che segue, deriva da una farmacia non individuata e mostra, per caratteristiche tecniche formali e stilistiche, affinità con i corredi farmaceutici attribuiti alle manifatture derutesi (1) o comunque della zona dell’Umbria e Alto Lazio dei primi decenni del secolo XVI.
Il confronto morfologico trova molti riscontri in ambito derutese: si veda ad esempio, e solo a livello morfologico, l’albarello con ritratto di donna recentemente presentato nella mostra sulla maiolica delle Marche (2) e databile al primo ventennio del XVI secolo.
Anche il confronto, sempre prettamente morfologico, con gli albarelli pubblicati nel catalogo della collezione Fanfani del Museo Internazionale della Ceramica di Faenza (3) ci conforta nell’attribuzione, pur nella consapevolezza dell’estrema diversità e originalità della decorazione dell’esemplare in esame e del vaso che lo accompagna.
Nonostante una certa rapidità nella stesura della decorazione, soprattutto delle figure centrali, e la ripetitività propria dei corredi farmaceutici, ci troviamo davanti ad un esempio decisamente inconsueto e sicuramente collegato a un corredo importante. Tuttavia, solo la corretta lettura dello stemma e della sigla potrebbe portare all’identificazione definitiva dell’opera in esame.
Il preparato indicato nel cartiglio fa forse riferimento all’ Hysopo , corruzione di oesypum humida , un preparato a base di lana sudicia ricca di lanolina, a indicare il grasso di lana usato in farmacopea per ammorbidire, per mitigare il dolore e per fortificare (4).
1 Già attribuiti ad area senese e durantina.
2 SANNIPOLI 2010, p. 80 n. 1.11.
3 RAVANELLI GUIDOTTI 1990, pp. 169-170 nn. 97-98.
4 MASINO 1988, p. 104.
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Lotto 21 ALBARELLO
DERUTA, 1510-1520
Maiolica dipinta in policromia con giallo antimonio, verde rame, blu di cobalto, giallo, arancio.
Alt. cm 20; diam. bocca cm 10; diam. piede cm 9,7.
Sotto il piede etichetta con scritto a mano a inchiostro il numero 100 e timbro dell’ufficio di esportazione della Sovrintendenza di Firenze.
Apothecary Jar (albarello)
Deruta, 1510–20
Earthenware, painted in antimony yellow, copper green, cobalt blue, yellow, and orange
H. 20 cm; mouth diam. 10 cm; foot diam. 9.7 cm
On the bottom, label hand-written in ink ‘100’ and stamp of Florence Superintendency Exportation Office
Il contenitore apotecario ha un corpo cilindrico appena rastremato al centro, spalla pronunciata dal profilo arrotondato, bocca larga poggiante su un collo breve e cilindrico, orlo tagliato a stecca dal profilo aggettante. Il piede è basso, a base piana con orlo aggettante.
Il corpo ceramico color camoscio scuro è ben visibile all’interno del vaso, che non è rivestito da smalto ma solo da invetriatura.
La decorazione, coerente con quella dell’esemplare precedente (lotto 20), mostra sul fronte una corona fogliata con bacche che circonda una porzione a forma di medaglione contenente il cartiglio, redatto in caratteri capitali di colore blu, attorno alla figura di una fanciulla con un piccolo libro in mano. Il cartiglio recita “ INFRIGIDANS GALLIE ”.
Lo stemma della farmacia sovrasta il medaglione centrale: uno scudo semplice con tre mezzelune attorno ad una palla tagliata in tre porzioni.
Il retro mostra un decoro a nastro sinuoso delineato in verde e interrotto da due ornati a rombi che vanno a incorniciare la sigla A MA .
Per confronti e analisi tecnica si rimanda a quanto già detto nell’esemplare che precede salvo aggiungere un confronto stilistico per la figura umana che, pur mantenendo caratteristiche disegnative meno efficaci, ci sembra simile a quelle dipinte sull’importante serie di bottiglie farmaceutiche conservate al Museo del Louvre (1).
L’ Infrigidans Gallie fa probabilmente riferimento all’ infrigidans alleni , un unguento a base di altea campestre bianca, rosa, limone putrido, fiori di papaveri erratici e altro ancora con scopo antipiretico e antisudorifero.
1 GIACOMOTTI 1974, pp. 142-144 nn. 481-487.
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Lotto 22 PIATTO
DERUTA, PRIMA META’ DEL SECOLO XVI
Maiolica dipinta in policromia con verde, rosso ferro, giallo antimonio, blu di cobalto.
Alt. cm 8; diam. cm 39,5; diam. piede cm 13,5.
Dish
Deruta, first half of 16th century
Earthenware, painted in green, iron red, antimony yellow, and cobalt blue
H. 8 cm; diam. 39.5 cm; foot diam. 13.5 cm
Il piatto ha forma concava liscia senza soluzione di continuità tra tesa e cavetto e sul retro poggia su un piede piano ad anello rilevato. È smaltato grossolanamente anche sul retro, dove l’interno del piede è lasciato grezzo.
Sul fronte mostra una scena evangelica con l’incredulità di San Tommaso. Il santo è raffigurato di profilo con la mano destra protesa a toccare il costato ferito nel punto indicato dallo stesso Cristo che, con la mano sinistra, gli tocca una spalla quasi per incoraggiarlo: è quella la prova della sua resurrezione in carne e in spirito. Intorno alle figure si snoda un lungo cartiglio che recita: “MITE MANUM TUAM IN LOCHO CHLAORUM ET CREDI DERUT ” (“ metti la tua mano nel luogo dei chiodi e credi. Deruta” ). La scritta, incorniciando la scena, ritaglia una riserva a sfondo blu, mentre il resto del piatto è campito da uno sfondo giallo. L’esergo è occupato da un pavimento a mattonelle triangolari bianche e arancio, mentre il bordo mostra un motivo a perline. Particolarmente interessante la parte finale del cartiglio con la parola “Derut”, che si riferisce molto probabilmente al luogo di produzione dell’opera.
Il soggetto ebbe indubbiamente successo presso le botteghe umbre e dell’Italia centrale come testimoniato dalla presenza di numerosi esemplari che lo riproducono con tecniche e scelte stilistiche differenti. La stessa scena è stata raffigurata su altri esemplari con cartigli differenti, come ad esempio quello conservato al Museo di Cluny (1). Un altro piatto è conservato al Victoria and Albert Museum (2) e raffigura la scena a decoro in blu e lustro dorato, databile per la decorazione della tesa al 1510 circa. Un terzo piatto, sempre di forma analoga e decoro in blu e lustro dorato, si trova nella collezione Di Ciccio a Capodimonte e mostra l’episodio racchiuso in una mandorla dorata con stile pittorico differente, più delicato, e con la tesa a foglie d’acanto, datato alla prima metà del secolo XVI (3). Un altro ancora, conservato al Museo di Deruta, con disegno in blu e lustro dorato (4) e con tesa suddivisa in comparti radiali è databile alla prima metà del XVI secolo.
Ricordiamo anche la presenza di altri esemplari: uno nella Scott -Taggart Collection (5), uno nella Von Beckerath (6), uno a Metropolitan Museum of Art di New York (7), e infine uno comparso sul mercato antiquario qualche anno fa (8). Prendendo poi in considerazione le collezioni private il numero potrebbe aumentare ulteriormente.
Il piatto in oggetto ha modalità stilistiche più rigide e corrive, il pavimento mostra una prospettiva poco sicura, ma si tratta di un tipo di scelta scenografica che vediamo presente in altre opere derutesi come ad esempio i piatti con San Girolamo dei musei francesi del Louvre e di Limonges (9). La scelta tecnica decorativa non prevede nel nostro esemplare l’uso del lustro bensì di una policromia varia, con sapiente uso del colore rosso ferro.
Infine la vicinanza stilistica con il piatto che raffigura un vescovo accompagnato dai santi Giacomo e Giovanni del Museo del Louvre (10), anch’esso dipinto in policromia e con una impostazione decorativa molto simile, viene datato al primo terzo del XVI secolo e presenta sul retro una B in blu scuro. -
Lotto 23 PIATTO DA PARATA
DERUTA O ALTO LAZIO, PRIMA METà SECOLO XVI
Maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto e lustro dorato su fondo maiolicato, e sul retro, vetrina spessa leggermente azzurrata con colature e difetti di cottura.
Alt. cm 7,8; diam. cm 42,5; diam. piede cm 14.
Sotto il piede cartellino “ ANTICHITÀ SCHUBERT, Corso Matteotti 22, Milano ” ed etichetta rotonda stampata in rosso “ Dott. Guido Rossi Milano” e numero dattiloscritto 651.
Large Dish
Deruta or Alto Lazio, first half of 16th century
Earthenware, covered on the back with a thick white tin glaze with a light-bluish tinge and painted in cobalt blue and golden lustre
H. 7.8 cm; diam. 42.5 cm; foot diam. 14 cm
Beneath the base, printed paper tag ‘ANTICHITÀ SCHUBERT, Corso Matteotti 22, Milano’; round label printed in red ‘Dott. Guido Rossi Milano’ and number ‘651’ typewritten
Il piatto ha la forma particolare delle produzioni derutesi e della zona dell’Umbria e Tuscia, mostra un cavetto profondo e largo, la tesa è ampia e termina in un orlo rifinito a stecca e appena rilevato. Il piatto poggia su un piede ad anello anch’esso appena rilevato e forato in origine, prima della cottura, per consentire l’esposizione dell’opera destinata a essere appesa.
Al centro della composizione La crocifissione di Cristo : ai piedi della croce è il trigramma bernardiniano IHS , del quale la croce è parte integrante in quanto costituisce la linea lunga della lettera “h”(1). Il trigramma è scritto con un motivo a nastro circondato da un paesaggio collinare realizzato con un tratto particolarmente leggero e molto raffinato. Attorno al trigramma alcuni fioretti riempiono gli spazi vuoti, mentre ai piedi della croce spicca un oggetto non ben identificabile(2). Sulla tesa si osserva il caratteristico ornato derutese a formelle con decoro a embricazioni alternate a un fiore dalla corolla allargata, generalmente associato alle opere databili al primo ventennio del XVI secolo.
Come negli esemplari di grande qualità il decoro è stato realizzato lasciando a risparmio il fondo maiolicato, distinto dalla parte a lustro grazie a linee di ossido di cobalto stese con maggiore o minore densità, così da creare un effetto di ombreggiatura che dà profondità. Particolarmente accurato il disegno del paesaggio, delineato a tratti sottili con ombreggiature ottenute con pennellate più o meno diluite, così come nella figura del Cristo raffigurato morto, a capo chino, in cui la muscolatura e i tratti fisiognomici sono realizzati con la medesima tecnica pittorica, governata con grande maestria.
La stessa immagine riprodotta su quest’opera si trova, con varianti ma con analoga impostazione decorativa, in piatti di foggia e mano differente, a testimonianza della presenza di una comune fonte incisoria di riferimento. Dallo studio di un piatto del Museo delle Arti Decorative di Lione (3), paragonabile all’opera in esame, le autrici della schedatura ci suggeriscono che la scena derivi da una incisione lombarda della fine del secolo XV(4).
Il piatto è stato pubblicato da Aurelio Minghetti(5) nel catalogo dei ceramisti come maiolica di Deruta: l’autore ne indica la provenienza dalla collezione di maioliche del Barone Archibald Buchan Hepburn(6) e quindi all’epoca nella collezione Bolognesi di Milano.
Il piatto è rientrato sul mercato antiquario in occasione di un’asta tenutasi a Milano nel 1997(7), per poi, probabilmente, entrare nella collezione Schubert, prima della definitiva collocazione nella attuale raccolta. -
Lotto 24 PIATTO
DERUTA, 1500-1530
Maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto e lustro dorato.
Alt. cm 9,4; diam. cm 42; diam. piede cm 13,9.
Dish
Deruta, 1500–30
Earthenware, painted in cobalt blue and golden lustre
H. 9.4 cm; diam. 42 cm; foot diam. 13.9 cm.
L’esemplare mostra la caratteristica forma dei piatti da pompa con un cavetto profondo e largo. La tesa è ampia e termina in un orlo rifinito a stecca appena rilevato. Il piatto poggia su un piede ad anello anch’esso appena rilevato e forato in origine, prima della cottura, per consentirne l’esposizione. Il retro si presenta con un’invetriatura appesantita di bistro che ricopre l’intera superficie.
La foggia è quella tipica delle produzioni derutesi, che ha fatto la fortuna delle manifatture della città umbra. Questa forma era destinata ad accogliere i celeberrimi ritratti di belle donne, stemmi nobiliari o soggetti importanti come le immagini di santi ed eroi, dipinti con tecnica mista ottenuta in due cotture: la prima a gran fuoco con blu a due toni, la seconda in riduzione per l’ottenimento del lustro.
Al centro del cavetto una giovane donna è raffigurata di profilo a mezzo busto con un abito chiuso sul davanti da complessi alamari, il collo decorato da sottili catenine e da una collana di perle, e sul capo un diadema è arricchito da due ali e centrato da un mascherone. Alle sue spalle si scorge un tralcio fiorito. Di fronte al ritratto si svolge un cartiglio che reca la scritta a caratteri capitali: ”PER / DoMIRE/ NonSAQUI//SSTA” (“ a causa del dormire non si guadagna ”), un verso d’ispirazione amatoria. Il profilo, come di consueto, è fortemente sottolineato da pennellate blu scuro che si schiariscono progressivamente fino a scemare nel bianco di fondo, intorno al cartiglio, alla figura e al tralcio fiorito. Una sottile fascia con un motivo decorativo a corona fogliata separa il cavetto dalla tesa, ornata da un fitto motivo ad embricazione.
Com’è consuetudine in questa tipologia ceramica, la stessa immagine è ripetuta, in modo sostanzialmente simile, anche in altri piatti con analoga impostazione decorativa, direttamente ispirata dalle figure del Pinturicchio nell’appartamento Borgia in Vaticano o dalla Sibilla Eritrea raffigurata negli affreschi del Perugino nella Sala delle Udienze nel Collegio del Cambio a Perugia(1).
La raffigurazione di profilo con copricapo alato e veste decorata con alamari è piuttosto comune nelle produzioni derutesi dei primi decenni del Cinquecento. Si vedano ad esempio il piatto con il motto amoroso del Museo delle Arti Decorative di Lione(2) e quello del Museo Regionale della Ceramica(3), con decoro a policromia e tesa con tipico motivo a tralcio vegetale, cosiddetto a “corone di spine”. Il confronto più vicino ci deriva dal bel piatto, già della collezione Adda, oggi conservato nella Collezione Getty(4): la fanciulla è ritratta con modalità pittoriche e stilistiche veramente molto vicine a quelle del nostro esemplare, differenziandosi solo per il decoro della tesa, che alterna il motivo a embricazioni a quello con fiore. Altri confronti al museo di Ecouen(5) e al Louvre (6).
Questo gruppo di piatti è databile grazie al confronto con il piatto del British Museum dalla tesa decorata a ghirlanda recante lo stemma di Papa Giulio II, che colloca l’intera serie negli anni del pontificato, ovvero dal 1503 fino al 1513(7), e pertanto nel primo trentennio del XVI secolo.
Ci sembra di poter riconoscere l’opera come uno dei piatti della Collezione Murray venduti nel 1929 (fig. 1.)