Lotto 83 | Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d'Arpino (Arpino 1568 - Roma 1640)

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ARGENTI, DIPINTI, ICONE ED OGGETTI D'ARTE ARGENTI, DIPINTI, ICONE ED OGGETTI D'ARTE
martedì 14 settembre 2021 ore 15:00 (UTC +01:00)

Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d'Arpino (Arpino 1568 - Roma 1640)

Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d'Arpino (Arpino 1568 - Roma 1640)

Testa del Battista

Olio su tela

St. John Baptist's head

Oil on canvas

53 x 74 cm


Si ringrazia il professor Michele Daniele per l'attribuzione


Nel 1577 la famiglia di Giuseppe Cesari lascia Arpino e si trasferisce a Roma in cerca di migliori prospettive di vita. Sin da ragazzino emerge la sua volontà di essere pittore e a soli 14 anni: prima è macinatore di colori nei lavori al terzo piano della Loggia del Palazzo Vaticano, poi partecipa alla pratica della pittura decorativa a fresco. 

Protetto da papa Gregorio XIII, Sisto V, Clemente VIII, Paolo V, tanto da poterlo definire quasi un pittore di corte, sebbene gli sia stata offerta massima libertà d’impresa. Alle contorsioni plastiche dei manieristi, egli contrappone la dignità iconica ed estatica dei profeti e apostoli anziani, il fascino e la grazia della gioventù di ambo i sessi, grazie al suo senso naturale verso la bellezza decorativa e della pienezza dei colori. Queste caratteristiche corrispondono al suo temperamento, esattamente come il senso dell’eleganza e del movimento. Nel 1583 è ammesso all’Accademia Artistica di S. Luca di cui sarà eletto membro e poi presidente più volte fino al 1631 quando lo sostuisce il Bernini. Tre anni più tardi è ammesso nella Congregazione dei Virtuosi del Pantheon; conseguentemente sono giunte al Cesari commesse sempre più prestigiose come i grandi affreschi per San Lorenzo in Damaso. Questi affreschi sono l’esplicazione dell’arte del Cavaleir d’Arpino in quanto fondono la grazia di Raffello e Michelangelo con Guido Reni, Domenichino e Pietro da Cortona. Intorno al 1590, fa un viaggio in nord Italia per perfezionare le sue conoscenze pittoriche. Il risultato lo si avverte negli affreschi della Cappella Olgiati (1592), capolavoro assoluto dell’artista, che inaugura un nuovo brillante modo di dipingere con una gamma cromatica rinvigorita sotto l’influsso della pittura toscana ed emiliana: Pontormo a Firenze, Correggio a Parma, il Gatti e il Campi a Cremona, lo Scarsellino a Venezia. Raggiunge l’apice della sua carriera diventando il pittore preferito del pontificato Aldobrandini e ottenendo le commesse più significative in Vaticano e nell’Urbe, come la decorazione del Salone dei Conservatori in Campidoglio e Il gigantesco affresco della "Battaglia dei Romani e dei Veienti" (Roma, Palazzo dei Conservatori, 1597/98). Successivamente, insieme agli affreschi, esegue molti quadri di piccole dimensioni, come la pregiata tela della Cattura di Cristo, una drammatica scena notturna definita dal Bellori, che pur ripudia il Cesari, "la più bella opera che facesse il Cavaliere". Le luci violente danno un senso di drammaticità alla scena, un dipinto probabilmente fondamentale per il giovane Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, che per alcuni mesi frequenta la bottega del Cesari. Alla morte di Clemente VIII, il suo successore Paolo V affida al Cesari la supervisione della decorazione pittorica della Cappella Paolina di S. Maria Maggiore, ove egli si rifà a Raffaello e Michelangelo e agli ideali del Rinascimento, ovvero alludendo al classicismo raffaellesco con citazioni della scuola bolognese e Guido Reni in particolare. Non attirato dai primi richiami del Barocco il Cavalier d’Arpino non segue i nuovi orientamenti di cultura e di gusto, indirizzandosi ad una maniera severa, rigida, quasi reazionaria, nascono dipinti velati di melanconica, fredda e irreale, fondati su una cromia raffinatissima, sofisticata e coinvolgente