LA GRAZIA E LA FORZA. PARTE I Sessione unica
martedì 2 dicembre 2025 ore 17:00 (UTC +01:00)
Francesco Bassano (1549 - 1592), con possibili interventi di Jacopo Bassano (1510-1592) Ritorno del figliol prodigo, 1575 circa
Francesco Bassano (1549 - 1592), con possibili interventi di Jacopo Bassano (1510-1592)
Ritorno del figliol prodigo, 1575 circa
Olio su tela
99,4 x 131 cm
Provenienza: Cambi, Genova, 26 febbraio 2007, l. 1301 (€ 68.000); Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 70% (reintelo)
Stato di conservazione. Superficie: 80% (abrasioni nelle parti delle terre, limitate cadute; interventi di restauro in due momenti diversi)
La parabola del “Ritorno del figliol prodigo”, dal Vangelo di Luca (15, 11-32), è un soggetto fortunato e ricorrente nella produzione dei Bassano: la complessa scena – sul fondo il giovane che si allontana a cavallo, a sinistra l’incontro con l’anziano padre che lo perdona e al centro la macellazione del vitello grasso – offre alla capacità inventiva ed al gusto narrativo di Jacopo da un canto una efficace articolazione teatrale del tempi (consentendo di rappresentare l’intera storia in una unica scena), e dall’altro la possibilità di unire i temi più apprezzati della pittura del Cinquecento, la figura umana, il paesaggio, i ricchi interni, la natura morta, gli animali, i contrasti luminosi, la prospettiva e l’architettura classica. Se l’ideazione è certamente di Jacopo, le molte versioni note richiedono una attenta valutazione delle mani operanti, e nessuna di esse sembra, oggi, essere stata compiuta integralmente dal caposcuola.
Presso il Prado, con datazione intorno al 1570, si conserva la composizione più complessa: eguale all’opera in asta nell’impianto generale, presenta tre ulteriori personaggi, di eccezionale fattura: a sinistra un uomo intento a pulire un pollo, al centro un ragazzo riccamente abbigliato e a destra, innanzi al focolare, una giovane serva. Soprattutto nelle prime due figure citate, si rileva lo scatto qualitativo tra Jacopo ed il figlio Francesco, ma l’impianto generale mostra la collaborazione tra i due artisti. Jacopo e Francesco affrontano il tema insieme altre volte, tra il 1570 e il 1590 nelle tele conservate alla Galleria Doria Pamphili, Roma, ed alla Art Gallery of Western Australia, Perth, e forse in un dipinto già presso il Rose Art Museum, Brandeis University, di Waltham (MA) archiviato da Federico Zeri con attribuzione piena a Jacopo Bassano (Fototeca Zeri, cat. 44488). Integralmente a Francesco sono da ascriversi le versioni conservate presso il Musée des Beaux Arts di Libourne e presso la Chiesa della Ss. Annunziata a Napoli, mentre a Leandro risale una replica oggi al Bristol Museum of Fine Arts. Non poche copie, più o meno vicine alla celebre bottega, sono inoltre apparse negli anni.
La tela in esame, inedita, è stata presentata in asta nel 2007 come autografa di Jacopo Bassano presso Cambi a Genova, dove è stata acquistata da Veneto Banca, con la consulenza di Saviano Luigi Bellé, che ne ha anche curato la pulitura, restituendo alla tela – piuttosto appannata in asta – una grande leggibilità dei valori cromatici, e per primo proponendo l’attribuzione a Francesco Bassano (2007).
Come ricorda Rodolfo Pallucchini, nella monografia dedicata all’artista, “Alle soglie degli anni settanta, si avverte (…) che qualcosa sta mutando nel gusto di Jacopo Bassano: venuta meno la esigenza di un «experiri» manieristico, il pittore tende a ridare alla composizione una monumentalità su basi prospettiche che possa consentire un racconto sacro, ormai ambientato in luce vespertine, sviluppato e coordinato secondo i canoni tridentini. Contemporaneamente a tale attività nel campo devozionale, richiesta da chiese e conventi di tutto il Veneto, Jacopo, con l’aiuto della bottega - specialmente del figlio Francesco – s’avvia ad una produzione sempre più larga nel campo della pittura di genere. Le opere dell’ottavo decennio, tanto le devozionali o civili quanto le scene campestri o di genere, sono forse quelle che hanno dato maggiore fama al Bassano: le prime per essere esposte in pubblico, le seconde per corrispondere a quella moda che è stata definita del «bassanismo»: ma sono anche le più esteriori (Pallucchini, Bassano, Bologna, 1982, p. 41).
In questo excursus stilistico, l’opera in asta, databile intorno il 1575, si colloca assai vicino al dipinto del Prado (1570 circa), più complessa e di maggiore piglio realistico, ed alla tela della Galleria Doria Pamphilj (1570-1578 circa), che presenta la analoga composizione semplificata. La presenza di Francesco, nelle tre tele, è testimoniata dalle pennellate rapide e compendiarie (pressoché identico, il modo in cui è realizzato il cappello del macellaio nella tela del Prado e nell’opera in asta), che nel dipinto di Veneto Banca dominano la composizione, più aperta anche nel paesaggio. Quasi una firma di Francesco è il modo di realizzare le orecchie, con una sovrapposizione nervosa di colpi di pennello, la stessa che si snoda ampiamente nei panneggi, di contro alla mano più controllata del padre. Più vicini a Jacopo, e di maggiore effetto drammatico e realistico insieme, sono invece la scena del perdono, in particolare le figure del padre e del figliol prodigo, così come particolari nel macellaio di spalle, nella figura femminile a destra e nel viso di vecchia come rileva Giorgio Tagliaferro (comunicazione orale), opinione condivisa, in particolare per quanto concerne il gruppo del perdono, da altri tre specialisti, che hanno chiesto di non essere citati. Andrea Donati (comunicazione orale) considera per l’opera una datazione più tarda, intorno al 1580-1585, suggerendo che il gruppo del perdono risalga all’ultimo Jacopo. Giuseppe Pavanello ascrive, invece, l’opera completamente a Francesco (comunicazione del 10 giugno 2021).
Nel complesso svolgersi della bottega dei Bassano – iniziata dal padre di Jacopo, Francesco il Vecchio, e proseguita dai figli Francesco, Leandro, Giambattista e Gerolamo – la figura di Francesco è centrale, tant’è che Jacopo lo ricorda, con Leandro, nel proprio testamento come pratico e di pronta invenzione, e capace di un’arte “bona e perfetta" (Alberton Vinco da Sesso - F. Signori, “Il testamento di Jacopo Bassano”, in “Arte veneta”, XXXIII, pp. 161-64, 1979, pp. 163 s.). Come segnala Marco Horak, confermando l’attribuzione a Francesco con interventi di Jacopo nella scheda approntata per l’asta, nel 1577 il Marucini annota che Iacopo ha un "figlio ammaestrato da lui che non solamente è imitatore diligentissimo del Padre, ma tende a strada di non, solo agguagliarlo, ma superarlo, se Dio li presta vita", mentre nel 1648 il Ridolfi descrive Francesco come "Il più valoroso dei figli di Iacopo" e aggiunge che "fu allevato con ottime istituzioni dal Padre, e negli anni ancor giovanili gli fu di sollievo di molte fatiche", soprattutto dopo il 1575, quando il crescente successo obbliga ad una riorganizzazione della “ditta familiare” dei Bassano.
Dalle analisi diagnostiche realizzate nel 2021, sono emerse in radiografia significative variazioni nella resa della struttura architettonica a sinistra e la sovrapposizione del gruppo del perdono allo sfondo paesistico, con un importante ampliamento della figura del figliolo: un dato che conferma come queste figure siano state realizzate per ultime, quasi a suggellare l’opera (Relazione Diagnostica Fabbri, pp. 7-12). Rimarchevole, anche ai fini di datazione, la parziale rotazione del volto della bambina intenta a lavare i panni, originariamente maggiormente di profilo come nel dipinto Doria Pamphilj e poi corretta con un risultato assai simile alla tela del Prado, modelli che dovevano quindi essere entrambi ben presenti agli autori del dipinto di Veneto Banca.
La lavorazione del gruppo del perdono con maggiore libertà assume particolare significato in confronto alla predisposizione di parte dei confini di figure e architetture con abbozzo con medium opaco, probabilmente carbone, messa in evidenza dalla riflettografia infrarossa: per esempio, la figura del macellaio, di cui si può facilmente seguire il disegno preparatorio dal cappello alla spalla lungo il fianco destro (Relazione Diagnostica Fabbri, p. 14), in analogia con la tela del Prado. Tratteggiata a carbone anche la fronte della figura femminile seduta davanti al caminetto – che risulta maggiormente di profilo rispetto alle tele di Roma e Madrid, e ridotta nel mento rispetto alla prima stesura – così come il petto ed un tratto della veste (ibidem, p. 15). Analoghi segni di organizzazione dell’immagine con abbozzo a carboncino si rilevano nel profilo inferiore del gatto e nella definizione delle architetture, realizzate con l’ausilio di una riga e anch’esse dipinte precedentemente al gruppo del perdono (ibidem, p. 17).
L’analisi a falso colore ha messo in evidenza il viraggio verso una tonalità grigio scuro di alcuni elementi che probabilmente in origine tendevano maggiormente al blu ed al verde: in particolare il cielo, il paesaggio, alcune vesti (del padre, della lavandaia e del servo che apre l’anta) e la seconda fila di piatti a parete. Questo rilievo è assai interessante perché la cromia originale blu-verde di queste parti è confermata dalle repliche di questo soggetto conservate al Musée de Beaux-Art di Libourne (con attribuzione a Jacopo, ma in realtà di Francesco) ed al Bristol Museum of Fine Arts (con attribuzione a Leandro), nonché dal dipinto del Prado, che tuttavia presenta, nelle vesti, una cromia maggiormente scurita e più simile all’opera in esame.
Ringraziamo Andrea Donati, Marco Horak, Giuseppe Pavanello, Giorgio Tagliaferro e Davide Bussolari (Diagnostica Fabbri) per il supporto nella catalogazione dell'opera.


