Asta di Macchiaioli, Ottocento & Novecento
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Lotto 26 PIETRO FRAGIACOMO
(Trieste 1856 - Venezia 1922)
Pescatori in laguna
Olio su cartoncino applicato su tavola, cm 25 x 14
Cornice di epoca posteriore in legno dorato
Firmato Fragiacomo in basso a sinistra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Nel 1879 si iscrive ai corsi superiori all'Accademia delle Belle Arti di Venezia dove ha come maestri il "Viola", dal quale apprese le tecniche relative alla rappresentazione prospettica, e Guglielmo Ciardi, uno dei maggiori rappresentanti della pittura paesistica veneta di questo periodo. In questi anni stringe amicizia con Giacomo Favretto e Ettore Tito.
Raggiunge quindi la prima vera affermazione alla Triennale di Milano del 1891, dove espose il quadro intitolato Pace, comprato da re Umberto. Un'altra opera dal titolo D'inverno fu acquistata dalla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma.
Sincero e fedele nella vita come nell’arte, Fragiacomo fu un "lirico del paesaggio", conosciuto e apprezzato soprattutto per i suoi paesaggi lagunari: mai si scostò da questi temi, che ritrasse con abilità di poeta, rendendone in modo profondo il silenzio, la solitudine, la pace e comunicando tutto il suo amore per quel mare piatto che lambisce strisce di sabbia affioranti dall'acqua.
Bibliografia: V. Pica, Pietro Fragiacomo, in «Emporium», XXII (1905), pp. 403-416; U. Ojetti, Ritratti d'artisti italiani, Milano 1911, pp. 181-192; V. Pica, Pietro Fragiacomo, Bergamo 1912; P. Scarpa, Fragiacomo, Bergamo 1934; P. Campopiano, Pietro Fragiacomo. Poeta lagunare, s.l. né d. (ma Cremona 1995);. Un catalogo generale delle opere del Fragiacomo è in corso di redazione a cura di Andrea Baboni. Firma leggermente sbiadita. -
Lotto 27 RAFFAELLO GAMBOGI
(Livorno 1874-1943)
Lo scalo merci
dopo il 1910
Olio su tavola, cm 19,4 x 31,9
Cornice posteriore in legno dorato
Scritta a stilografica Gambogi sull'ex-libris di Galli sul retro del dipinto
Provenienza: 1. Ex-libris cartaceo della collezione di Mario Galli, no. 70. nel quale è anche indicato il titolo "Lo scalo merci" 2. Collezione privata, Verona.
Proveniente dalla raccolta di Mario Galli, la tavola raffigura il piccolo magazzino merci della stazione di Ardenza, ora dismessa. Si trova nel tratto compreso tra la stazione di Livorno Centrale e quella di Antignano: all'epoca in cui Gambogi lo ritrae, il quartiere livornese non era ancora stato inglobato dalla città, sebbene la zona fosse stata oggetto di un crescente interesse sin dalla prima metà dell'Ottocento, quando qui furono costruite alcune strutture per il turismo balneare. La costruzione della stazione risale al 1910, quando fu completata la tratta costiera tra Livorno e Vada della ferrovia Tirrenica, e questo ci permette di fissare questa data come termine post quem per la collocazione temporale del dipinto.
Appartenente al gruppo dei Postmacchiaioli, nel 1892 si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Firenze ed entrò in contatto con Giovanni Fattori. La personalità artistica che più lo influenza fu però Angiolo Tommasi e quando nel 1894 creò probabilmente il suo quadro più conosciuto (Gli emigranti) chiara è l'impronta e l'insegnamento di quel pittore.
Fu tuttavia un altro incontro a cambiargli la vita; quello con Elin Danielson, pittrice finlandese di talento, che nel 1898 diviene sua moglie. Si stabilirono presso Torre del Lago, dando avvio ad una collaborazione artistica molto proficua.
Gambogi entrò a far parte del Club la Boheme, una sorta di associazione cultural-goliardica che fiancheggiava l’opera artistica di Giacomo Puccini. In quegli anni fu in compagnia dei fratelli Tommasi (Angiolo e Ludovico), di Francesco Fanelli e di Ferruccio Pagni. Fu questo il momento migliore per la pittorica di Gambogi che, complice i consigli della moglie, orientò le sue composizioni su un nuovo equilibrio tra le forme e la luce, che creano un'atmosfera di austerità per così dire "nordica".
Con il declinare del secolo Gambogi si trasferì a Livorno, nel quartiere di Antignano, e qui cominciarono i suoi primi problemi di salute. Un viaggio in Finlandia fece esplodere la malattia nervosa che il pittore stava forse covando. Nel 1904 deve stabilirsi a Volterra per farsi curare da alcuni specialisti del locale ospedale. Non si riprenderà mai, anche se artisticamente parlando si notarono poco i contraccolpi determinati da questa nevrosi. La sua salute peggiorò alla morte della moglie, Elin, avvenuta ad Antignano nel 1919.
Bibliografia: G. Razzaguta, Virtù degli artisti labronici, editrice Nuova Fortezza, 1985. -
Lotto 28 RAFFAELLO GAMBOGI
(Livorno 1874-1943)
Strada in collina
Olio su tavola, cm 22,4 x 32,5
Cornice di epoca posteriore in legno dorato e dipinto
Firmato Gambogi in basso a sinistra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Appartenente al gruppo dei Postmacchiaioli, nel 1892 si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Firenze ed entrò in contatto con Giovanni Fattori. La personalità artistica che più lo influenza fu però Angiolo Tommasi e quando nel 1894 creò probabilmente il suo quadro più conosciuto (Gli emigranti) chiara è l'impronta e l'insegnamento di quel pittore.
Fu tuttavia un altro incontro a cambiargli la vita; quello con Elin Danielson, pittrice finlandese di talento, che nel 1898 diviene sua moglie. Si stabilirono presso Torre del Lago, dando avvio ad una collaborazione artistica molto proficua.
Gambogi entrò a far parte del Club la Boheme, una sorta di associazione cultural-goliardica che fiancheggiava l’opera artistica di Giacomo Puccini. In quegli anni fu in compagnia dei fratelli Tommasi (Angiolo e Ludovico), di Francesco Fanelli e di Ferruccio Pagni. Fu questo il momento migliore per la pittorica di Gambogi che, complice i consigli della moglie, orientò le sue composizioni su un nuovo equilibrio tra le forme e la luce, che creano un'atmosfera di austerità per così dire "nordica".
Con il declinare del secolo Gambogi si trasferì a Livorno, nel quartiere di Antignano, e qui cominciarono i suoi primi problemi di salute. Un viaggio in Finlandia fece esplodere la malattia nervosa che il pittore stava forse covando. Nel 1904 deve stabilirsi a Volterra per farsi curare da alcuni specialisti del locale ospedale. Non si riprenderà mai, anche se artisticamente parlando si notarono poco i contraccolpi determinati da questa nevrosi. La sua salute peggiorò alla morte della moglie, Elin, avvenuta ad Antignano nel 1919.
Bibliografia: G. Razzaguta, Virtù degli artisti labronici, editrice Nuova Fortezza, 1985. -
Lotto 29 GEROLAMO INDUNO
(Milano 1827-1890)
Ritratto di fanciulla col fazzoletto azzurro
Olio su tela, cm 27,4 x 22,4
Cornice d'epoca in legno dorato
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Tradizionalmente attribuita a Gerolamo Induno, questa delicata tela è da mettersi in relazione con La filatrice (Genova, Galleria d'arte moderna) e con altri numerosi acquerelli di gusto popolare raffiguranti contadine e popolane lombarde.
Fratello minore di Domenico, frequenta l’Accademia di Brera dove, dal 1839 al 1846 è allievo di Luigi Sabatelli. Dal 1845 comincia a esporre alla mostra braidense le sue prime opere, studi dal vero, ritratti e una Scena dai Promessi Sposi.
Coinvolto nei moti antiaustriaci del 1848 si rifugia con il fratello ad Astano, in Svizzera, poi si trasferisce a Firenze, dove si arruola come volontario per la difesa di Roma, assediata dai francesi, ed esegue numerosi schizzi e riprese dal vero.
Dal 1854 al 1855 partecipa alla campagna di Crimea nel corpo dei bersaglieri e, in qualità di pittore-soldato, esegue disegni, studi e resoconti per immagini che utilizza per quadri molto apprezzati dalla critica e dal pubblico per i sentimenti patriottici espressi, diventando uno dei principali artisti tra i pittori-soldato del Risorgimento.
Arruolatosi nelle file garibaldine si conferma definitivamente quale interprete ufficiale dell’epopea risorgimentale.
Bibliografia: Esposizione postuma dei fratelli Domenico e Gerolamo Induno. Catalogo ufficiale, (catalogo della mostra tenuta nel marzo del 1891 a Milano), Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, Tipografia Lombardi, Milano 1891. G. Nicodemi, Domenico e Gerolamo Induno, Milano, Gorlich, 1945. Girolamo Induno, in «Ottocento. Catalogo dell'Arte Italiana», Milano 2005, pp. 311-312. G. Predaval, Pittura lombarda dal Romanticismo alla Scapigliatura, Milano 1967, pp. 12-13. G. Matteucci (a cura di), Domenico e Gerolamo Induno. La storia e la cronaca scritte con il pennello, catalogo della mostra tenuta nel 2006-2007 a Tortona, Torino, Allemandi, 2006. -
Lotto 30 VINCENZO IROLLI
(Napoli, 1860-1942)
Terrazza di Capri
Olio su tavola, cm 41,9 x 44,3
Cornice di epoca posteriore in legno intagliato, dorato e dipinto
Firmato V. Irolli in basso a destra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Si avvicinò alla pittura a diciassette anni quando si iscrisse alla Accademia di belle arti di Napoli, dove ebbe per maestri Gioacchino Toma e Federico Maldarelli.
Nel 1878 con l'opera Ritratto del pittore Izzo si fece notare da Domenico Morelli per l’impiego di una forte tavolozza e, nel 1879, fu presente per la prima volta alla Promotrice di Napoli con l’opera Felice Rimembranza; lo stesso anno vinse il primo premio alla XV Mostra della Promotrice Salvator Rosa, evento che lo rese noto al grande pubblico, e ne favorì una notevole fortuna artistica e commerciale.
La sua fortuna, eccezionale all'estero, tardò ad affermarsi in Italia dove giunse a scontrarsi coi Novecentisti. La sua impronta tradizionalista non lo fece amare dai critici del tempo più interessati alle avanguardie.
Sul finire degli anni Ottanta, Irolli fu tra gli artisti che con maggiore convinzione si espressero attraverso quello che è stato definito un secondo realismo, insieme con Volpe, Caprile, R. Santoro, Esposito e P. Vetri.
Irolli descrisse interni rustici con figure di giovani mamme intente a cullare il proprio neonato o a sorvegliare il gioco o i compiti dei bambini, fanciulli ritratti nell'abbraccio con piccoli animali, giovani spose abbigliate per la cerimonia nuziale e ancora figure messe in posa accanto a un vario repertorio di oggetti da cucina, frutta, verdure, stoffe. Nel trattare questi soggetti l'artista seppe dar luogo a brani di natura morta dalla rutilante vivacità cromatica, grazie a una tecnica pittorica abilissima nell'alternare effetti di minuta e puntuale verosimiglianza ottica con più libere deposizioni materiche di colore, in una fantasia di macchie e di contrasti luminosi, coniugando, secondo la sua personale inclinazione, costume napoletano e genere fiammingo.
Tale formula pittorica, condensata spesse volte in tavolette che ritraevano prevalentemente soggetti graziosi e di maniera, venne esportata con successo a partire dagli ultimi anni dell'Ottocento sui mercati di Parigi, Londra, Amburgo, Berlino.
Nell'arco del Novecento, invece, l'Irolli svilupperà un linguaggio pittorico più fluido e rapido nel concatenare impressioni di figure e cose, prediligendo anche composizioni in cui la figura è collocata all'aperto.
Il percorso espositivo dell'Irolli è stato integralmente ricostruito, ma sono rari i casi in cui le opere esposte nel corso degli anni sono oggi identificabili con dipinti noti. -
Lotto 31 FRANCESCO LOJACONO
(Palermo, 1838-1915)
Marina con pescatori
Olio su tavola, cm 24 x 14
Cornice d'epoca posteriore in legno dorato e dipinto
Firmato in basso a destra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Francesco Lojacono è considerato il più importante paesaggista dell'Ottocento siciliano. Fu tra i primi pittori ad utilizzare la fotografia come riferimento per realizzare le sue opere.
Allievo di Salvatore Lo Forte. Nel 1856, a 18 anni, si trasferì a Napoli, dove affinò le sue doti frequentando diversi pittori viaggiatori e soprattutto entrando nella scuola dei fratelli Giuseppe e Filippo Palizzi. Dalla città partenopea si spostò spesso: prima verso Firenze, dove entrò in contatto con la scuola dei Macchiaioli.
Guadagnatosi il soprannome di Ladro del sole, per la sua capacità di infondere luminosità alle proprie tele, nel 1878 espose le sue opere all'Esposizione internazionale di Parigi, consolidando la sua fama internazionale.Nel 1883, L'arrivo inatteso fu acquistato a Roma dalla regina Margherita di Savoia per il Palazzo del Quirinale, e L'estate fu acquistato dal re Umberto I nel 1891. Tra i tanti commenti della critica, nel 1883 Gabriele D'Annunzio pubblicò i commenti più entusiasti.
Bibliografia: AAVV, Gioacchino Barbera (a cura di), Francesco Lojacono 1838-1915, Milano, 2005.S. Grandesso-F. Mazzocca, A. Purpura-L. Martorelli, G. Barbera e G. Puglisi (a cura di), Galleria d'Arte Moderna di Palermo. Catalogo delle opere, Milano, 2007. -
Lotto 32 DOMENICO MORELLI
(1823-1901)
Ossesso
circa 1873-1876
Olio su tela, cm 50,5 x 29,5
Cornice in legno intagliato, dorato e dipinto
Scritta a matita sul retro Studio per il quadro degli ossessi. Tassello cartaceo di antiquario ottocentesco sul retro in basso.
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Straordinario studio preparatorio per Gli Ossessi, il capolavoro di drammatica spiritualità cristiana, con le sue anime deformi che invocano aiuto a Gesù sullo sfondo di un arido paesaggio della Palestina, che Domenico Morelli dipinse per Giuseppe Verdi nel 1876.
Dall'incontro con Verdi, avvenuto a Napoli nel 1858 (cui seguì il ritratto che Morelli realizzò per il compositore, ora a Villa Carrara Verdi), nacque tra il pittore napoletano ed il compositore di Busseto un'intensa amicizia, documentata da un lungo rapporto epistolare che si protrasse almeno fino al 1896. Quando nel 1873 il Maestro tornò a Napoli per la rappresentazione dell'Aida al Teatro San Carlo, soggiornando all'Albergo Crocelle a Chiatamone, chiese all'artista di dipingere per lui un quadro. Verdi premeva per ottenere il dipinto promessogli, ma dovette attendere fino al 1876, anno in cui finalmente ricevette Gli Ossessi, accolto con entusiasmo. Nel 1880 acconsentì a che fosse presentato all'Esposizione di Torino e, dopo tale data, lo conservò a Sant'Agata.
La Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma conserva una serie di disegni ed un bozzetto che si riferiscono a quest'opera, acquistati nel 1904 dagli eredi di Morelli insieme ad altri bozzetti provenienti dallo studio del pittore.
Domenico Morelli è considerato uno dei più importanti artisti napoletani del XIX secolo, fu senatore del Regno d'Italia nella XVI legislatura.
Iniziò a frequentare l'Accademia di Belle Arti di Napoli nel 1836 e i suoi primi dipinti furono improntati all'ideale romantico, con numerosi influssi medievali.Nel 1850 visitò Firenze dove ricevette il suo primo riconoscimento pubblico per la sua opera Gli iconoclasti. Nel 1855 partecipò, insieme a Francesco Saverio Altamura e Serafino De Tivoli, all'Esposizione Universale di Parigi e, di ritorno a Firenze, prese parte ai dibattiti dei macchiaioli sul realismo pittorico, ciò che lo condusse gradualmente ad assumere uno stile meno accademico e maggiormente libero, soprattutto nell'uso del colore; secondo i critici della pittura napoletana, la sua arte fonde verismo e tardo-romanticismo a modelli neo-seicenteschi.
Negli anni sessanta, ormai tra i pittori italiani più conosciuti della sua epoca, fu nominato consulente del museo nazionale di Capodimonte relativamente alle nuove acquisizioni di opere, portando così il suo contributo alla gestione delle collezioni d'arte. -
Lotto 33 MARIO PAOLO PAJETTA
(Genova 1890 - Verona 1977)
Alla finestra
circa 1930
Olio su tavola telata, cm 38,9 x 17
Cornice posteriore in legno dorato
Firmato Payeta in basso a destra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Appartenente alla terza generazione di una famiglia di pittori, Mario Paolo Pajetta si trasferisce dapprima a Venezia, allievo di Luigi Nono, poi a Milano ed infine col padre Mariano a Verona dove diviene uno degli animatori culturali della città e una figura artistica molto apprezzata e amata dalla borghesia veronese.
La sua opera si colloca a cavallo tra Ottocento e Novecento ed è permeabile alle infiltrazioni della primissima modernità, quella legata ai post-impressionisti e in particolare alla scomposizione cezanniana della forma. Il pittore eccelle nella grande forza espressiva dei numerosi ritratti di eminenti personaggi della borghesia veronese.
La figura di Pajetta è stata recentemente riscoperta grazie ad una grande mostra L'eredita' della pittura che attraverso un centinaio di dipinti particolarmente significativi documenta in sezioni distinte i diversi momenti della ricerca artistica dei cinque pittori che ha espresso la famiglia dei Pajetta dal 1809 (anno di nascita del pittore capostipite Paolo) al 1987 (anno della morte di Guido, artista della terza generazione).
Bibliografia: A. Fiz, G. Pajetta, V. Pianca, N. Stringa (a cura di), L'eredita' della pittura, Galleria Civica d'Arte Medievale, Moderna e Contemporanea Vittorio Emanuele II di Vittorio Veneto (TV), 24 giugno - 24 settembre 2006. -
Lotto 34 MARIO PAOLO PAJETTA
(Genova 1890 - Verona 1977)
Cortigiana
circa 1930
Olio su tavola telata, cm 39,2 x 16,8
Cornice posteriore in legno dorato
Firmato M.P. Payeta in basso a sinistra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Appartenente alla terza generazione di una famiglia di pittori, Mario Paolo Pajetta si trasferisce dapprima a Venezia, allievo di Luigi Nono, poi a Milano ed infine col padre Mariano a Verona dove diviene uno degli animatori culturali della città e una figura artistica molto apprezzata e amata dalla borghesia veronese.
La sua opera si colloca a cavallo tra Ottocento e Novecento ed è permeabile alle infiltrazioni della primissima modernità, quella legata ai post-impressionisti e in particolare alla scomposizione cezanniana della forma. Il pittore eccelle nella grande forza espressiva dei numerosi ritratti di eminenti personaggi della borghesia veronese.
La figura di Pajetta è stata recentemente riscoperta grazie ad una grande mostra L'eredita' della pittura che attraverso un centinaio di dipinti particolarmente significativi documenta in sezioni distinte i diversi momenti della ricerca artistica dei cinque pittori che ha espresso la famiglia dei Pajetta dal 1809 (anno di nascita del pittore capostipite Paolo) al 1987 (anno della morte di Guido, artista della terza generazione).
Bibliografia: A. Fiz, G. Pajetta, V. Pianca, N. Stringa (a cura di), L'eredita' della pittura, Galleria Civica d'Arte Medievale, Moderna e Contemporanea Vittorio Emanuele II di Vittorio Veneto (TV), 24 giugno - 24 settembre 2006. -
Lotto 35 MARIO PAOLO PAJETTA
(Genova 1890 - Verona 1977)
Chiostro del Duomo di Verona
Olio su tavola, cm 30 x 40
Cornice coeva in legno dorato e dipinto
Firmato M.P. Payeta in basso a sinistra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Appartenente alla terza generazione di una famiglia di pittori, Mario Paolo Pajetta si trasferisce dapprima a Venezia, allievo di Luigi Nono, poi a Milano ed infine col padre Mariano a Verona dove diviene uno degli animatori culturali della città e una figura artistica molto apprezzata e amata dalla borghesia veronese.
La sua opera si colloca a cavallo tra Ottocento e Novecento ed è permeabile alle infiltrazioni della primissima modernità, quella legata ai post-impressionisti e in particolare alla scomposizione cezanniana della forma. Il pittore eccelle nella grande forza espressiva dei numerosi ritratti di eminenti personaggi della borghesia veronese.
La figura di Pajetta è stata recentemente riscoperta grazie ad una grande mostra L'eredita' della pittura che attraverso un centinaio di dipinti particolarmente significativi documenta in sezioni distinte i diversi momenti della ricerca artistica dei cinque pittori che ha espresso la famiglia dei Pajetta dal 1809 (anno di nascita del pittore capostipite Paolo) al 1987 (anno della morte di Guido, artista della terza generazione).
Bibliografia: A. Fiz, G. Pajetta, V. Pianca, N. Stringa (a cura di), L'eredita' della pittura, Galleria Civica d'Arte Medievale, Moderna e Contemporanea Vittorio Emanuele II di Vittorio Veneto (TV), 24 giugno - 24 settembre 2006. -
Lotto 36 GIUSEPPE PALIZZI
(Lanciano 1812 - Parigi 1888)
Mucca
Olio su tela, cm 37,3 x 48,9
Cornice coeva in legno dorato
Firmato G. Palizzi in basso a sinistra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Giunto dall'Abruzzo a Napoli nel 1835, frequenta dall'anno seguente il Reale Istituto di Belle Arti entrando in contatto con i pittori della Scuola di Posillipo.
Alle mostre annuali presenta paesaggi storici ma i difficili rapporti col mondo accademico lo portano a lasciare l’Italia: nel 1844 viene a Parigi e si stabilisce poi a Bourron-Marlotte, ai margini della foresta di Fontainebleau che diventa soggetto privilegiato della sua pittura, maturata verso un attento verismo grazie anche all’influsso degli artisti della scuola di Barbizon.
In contatto epistolare col fratello Filippo, condivide con lui le proprie ricerche artistiche. Espone regolarmente ai Salons parigini e, dopo un soggiorno in Italia nel 1854, rientra in Francia dove la sua pittura di paesaggio, spesso animata da figure di umili lavoratori, riscuote grande successo.
Insignito della Legion d'onore nel 1859 e, in Italia, della croce di Cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro nel 1862, morirà a Parigi nel 1888 dove è sepolto al Père Lachaise.
Bibliografia: G. Matteucci, Aria di Parigi nella pittura italiana di del secondo Ottocento, Torino, Allemandi, 1998.A e V. Menna, Giuseppe Palizzi - Celebrazione del bicentenario della nascita (1812-2012), Vasto, Cannarsa, 2012.L. Zanone, Giuseppe Palizzi et ses frères, Bull. Les Amis de Bourron-Marlotte n° 51, 2009. -
Lotto 37 ALBERTO PISA
(Ferrara 1864 - Firenze 1930)
Fanciulli nell'aia
Olio su tavola, cm 35,5 x 25
Cornice d'epoca posteriore in legno dorato e dipinto
Firmato A. Pisa in basso a sinistra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Si forma inizialmente a Ferrara con Gaetano Domenichini; prosegue poi gli studi presso l'Accademia di Belle Arti di Firenze. dove ebbe modo di accostarsi al gruppo dei Macchiaioli. Successivamente, grazie ad un viaggio a Parigi nel 1886,si accostò alle novità pittoriche dell'impressionismo che si rivelarono estremamente importanti per la sua formazione.
Decise in seguito di trasferirsi a Londra, dove visse prevalentemente, per circa trent'anni. Alternava la vita nella capitale inglese a frequenti ritorni in Italia per presenziare a mostre ed esposizioni, soprattutto alla Biennale di Venezia.
A Londra fu conosciuto grazie ad una numerosa produzione di vedute all'acquarello di panorami e di rappresentazioni della vita della città, opere caratterizzata da una pennellata rapida e delicata per garantire all'osservatore una immediata idealizzazione delle immagini rappresentate.
Nel 1889 organizzò una personale a Bond Street, grazie alla quale la sua fama di vedutista crebbe, tanto che il pittore ebbe numerose commissioni come illustratore di libri di viaggio. Il successo fu tale che fu invitato ad esporre alla Royal Academy.
Bibliografia: A. De Gubernatis, Dizionario degli Artisti Italiani Viventi: pittori, scultori, e Architetti, Le Monnier, 1889, p. 378. C. Bonagura (a cura di), Dizionario degli Artisti Pittori & pittura dell’Ottocento italianoViareggio, Istituto Matteucci, 2012.