Importanti maioliche rinascimentali

Pandolfini Casa d'Aste - Borgo degli Albizi (Palazzo Ramirez-Montalvo) 26, 50122 Firenze

Importanti maioliche rinascimentali

giovedì 1 ottobre 2015 ore 17:00 (UTC +01:00)
Lotti dal 49 al 60 di 65
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  • TONDINO CASTEL DURANTE, BOTTEGA DI LUDOVICO E ANGELO PICCHI,1550-1560 CIRCA...
    Lotto 49

    TONDINO
    CASTEL DURANTE, BOTTEGA DI LUDOVICO E ANGELO PICCHI,1550-1560 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nei toni del nero, marrone e bianco di stagno.
    Alt. cm 4,8; diam. cm 21; diam. piede cm 5,4 .

    ARMORIAL PLATE (TONDINO)
    Castel Durante, workshop of Ludovico and Angelo Picchi, c.1550–60
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white
    H. 4.8 cm; diam. 21 cm; foot diam. 5.4 cm

    Il piccolo piatto ha cavetto profondo, tesa larga e obliqua e poggia su un piede ad anello. La materia è ricca con uno smalto grasso, con vetrina brillante molto lucida sia sul fronte sia sul retro, ed abbondante è l’uso dei pigmenti. Le cavillature allo smalto conseguenti all’abbondanza di materia sono ben visibili sul retro privo di decoro. L’orlo arrotondato è listato di giallo.
    La scena dipinta interessa l'intera superficie del piatto senza soluzione di continuità e raffigura il filosofo greco Diogene il Cinico (1). Dopo una vita travagliata visse prevalentemente a Corinto , dove si dedicò a predicare le virtù dell’autocontrollo e dell’autosufficienza abitando all’interno di una botte: fu qui che incontrò Alessandro Magno . Plutarco (2) racconta l’incontro con il re in senso positivo: Alessandro Magno rimase molto colpito dalla grandezza d’animo del filosofo che, per nulla intimorito dalla presenza del re in persona, lo apostrofò dicendogli “spostati un poco dal Sole” , frase che Alessandro ammirò al punto da affermare: "Se non fossi Alessandro, io vorrei essere Diogene". Ma le versioni sull’episodio sono discordanti: infatti Diogene Laerzio, a differenza di Plutarco, riferisce che Alessandro, irritato dalla mancanza di rispetto , per farsi gioco di lui che veniva chiamato "cane" gli mandò un vassoio pieno di ossi e lui lo accettò non senza avergli mandato a dire che il cibo era degno di un cane, ma il dono non era degno di un re (3) .
    L'aneddoto fu molto popolare tra gli studiosi medievali, grazie anche alla sua trasmissione attraverso i classici latini (4) e fu spesso raffigurato in maiolica.
    La probabile fonte incisoria non è seguita con attenzione: se ne conoscono del resto diverse versioni (5) , variamente influenzate dall’interpretazione che gli artisti diedero al personaggio (6) .
    Nel nostro piatto Diogene è seduto sulla destra, di fronte alla botte in cui vive , ed è assorto nella lettura di un libro appoggiato per terra; accompagna con la torsione del busto il gesto del braccio destro che indica un libro con un sottile bastone. Di fronte a lui appaiono tre personaggi in abito da soldato, che supponiamo essere Alessandro Magno e il suo seguito: in questo caso l’autore pare discostarsi dai modelli canonici che derivavano dalle incisioni e sembra interpretare liberamente l’episodio. Sullo sfondo compare il consueto paesaggio marino con una grande città marittima che segna l’orizzonte e dietro la quale s’innalzano alcune montagne.
    Lo stile e le modalità pittoriche sono quelle tipiche della Bottega di Ludovico e Angelo Picchi, cui abbiamo già accennato nelle schede che precedono (lotti 46-48) (7): anche lo stesso personaggio , inserito in un contesto differente , compare dipinto in una crespina del Museo Cristiano di Brescia (8) .

  • PIATTO DUCATO DI URBINO, PROBABILMENTE PESARO, METÀ SECOLO XV Maiolica...
    Lotto 50

    PIATTO
    DUCATO DI URBINO, PROBABILMENTE PESARO, METÀ SECOLO XV
    Maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nei toni del nero, marrone e bianco di stagno; lumeggiature con lustro color giallo oro .
    Alt. cm 3,2; diam. cm 23; diam piede cm 8,3.
    Sul retro , al centro del cavetto , in blu di cobalto l’iscrizione “ Come Jovve portoganime/nie/dem Cielo” .

    DISH
    URBINO DISTRICT, PROBABLY PESARO, MID-16TH CENTURY
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white; highlights of golden lustre on the front and back.
    H. 3.2 cm; diam. 23 cm; foot diam. 8.3 cm.
    On the back, at the centre of the well, inscription in cobalt blue ‘Come Jovve porto ganime/nie/dem Cielo’.

    Il piatto ha un cavetto concavo , largo e con stacco marcato; la tesa larga e obliqua termina in un orlo arrotondato. Poggia su basso piede privo di anello.
    La scena interessa l'intera superficie senza soluzione di continuità e mostra al centro Ganimede trasportato in cielo da Giove tramutato in aquila. Sulla tesa si vede una corona di nuvole dalla forma a chiocciola , su cui sono sedute alcune divinità dell'Olimpo: Ercole, Venere e Amore , Poseidone, Crono e una divinità femminile priva di attributi, probabilmente Diana. Al verso sono dipinte alcune foglie stilizzate in lumeggiatura oro e due spirali tracciate in color rosso ferro. L’orlo è orlato in giallo e lustrato. Lo smalto si presenta grasso, molto ricco , con vetrina brillante , lucida e vetrosa sia sul fronte sia sul retro e abbondante è l’uso dei pigmenti.
    Sul retro, al centro del cavetto, in blu di cobalto l’iscrizione “ Come Jovve portoganime/nie/dem Cielo” .
    La pittura è veloce e lo stile semplice, con caratteristiche che ci ricordano le opere della bottega Picchi.
    Anche questo mito, derivante da Ovidio (1), è caro alle botteghe di istoriato e fu variamente interpretato dai vari pittori (2). La raffigurazione del rapimento trova la sua fonte in un’incisione di Giulio Bonasone (3) , qui interpretata con grande libertà: nell’incisione il giovane è nudo e di età adolescenziale, qui invece indossa un abito corto ed è ancora bambino (4) .
    Non è possibile proporre al momento una sicura lettura attributiva, nonostante le numerose opere che trattano la tematica astronomica rinascimentale (5) .
    Il paesaggio con nuvole dalla forma a chiocciola è stato variamente utilizzato in opere con soggetto di divinità olimpiche e abbiamo notato una maggior incidenza di esemplari con questa caratteristica prodotte nella città di Pesaro, nel Ducato di Urbino: ad esempio nel piatto con Psiche presentata al concilio degli dèi , da un affresco di Raffaello, attribuito alla cerchia di Nicola da Urbino, nel quale un gruppo di divinità riunite attorno a una tavola è circondato da una cornice di nuvole e risalta su un fondo giallo-uovo molto luminoso (6). La corona di nuvole è presente anche nel piatto di Francesco Xanto Avelli con Marte e Venere in cielo , iscritto “ Spere ” nel verso (7) .
    Anche nel piatto del servizio Lanciarini del Museo di Padova ritroviamo le divinità olimpiche raccolte attorno a un cerchio di nuvole mentre ricevono la dea Pallade (8).

  • GRANDE PIATTO URBINO, BOTTEGA FONTANA, 1570 CIRCA Maiolica dipinta con...
    Lotto 51

    GRANDE PIATTO
    URBINO, BOTTEGA FONTANA, 1570 CIRCA
    Maiolica dipinta con azzurro, verde, giallo, giallo arancio e bruno di manganese.
    Alt. cm 4,4; diam. cm 44,4; diam. piede cm 28,7.

    Sul retro, sotto il piede, delineata in blu di cobalto la scritta “ Venere sene va aspasso p(er) il mare con/le Nereide apuleio nel primo dela/faula di psiche” seguita da due segni. Etichetta recante il numero dattiloscritto C. 13747 .

    LARGE DISH
    URBINO, FONTANA’S WORKSHOP, C. 1570
    Earthenware, painted in light blue, green, yellow, orange-yellow, and manganese.
    H. 4.4 cm; diam. 44.4 cm; foot diam. 28.7 cm.

    On the back, beneath the base, inscription in cobalt blue ‘Venere sene va aspasso p(er) il mare con/le Nereide apuleio nel primo dela/faula di psiche’; label, typewritten with ‘C. 13747’.


    Il piatto ha un ampio e profondo cavetto, tesa larga e appena obliqua con orlo arrotondato. Poggia su un piede ad anello piuttosto alto e largo. Il fronte è interamente ricoperto da una fitta decorazione istoriata che interessa il cavetto e la tesa senza soluzione di continuità. Il retro è decorato da linee gialle concentriche che ne sottolineano i profili e reca sotto il piede la scritta “ Venere sene va aspasso p(er) il mare con/le Nereide apuleio nel primo dela/faula di psiche” accompagnata da due segni grafici.
    La decorazione mostra un corteo marino con Venere al centro assisa sul suo carro marino trainato da due tritoni e affiancata da due nereidi a cavallo di mostri marini: una le sostiene un braccio, mentre l’altra sorregge un drappo del panneggio che ricopre appena la dea. Alle sue spalle, sempre a cavallo di un mostro marino, un tritone e coppie di tritoni e nereidi intenti in effusioni amorose. Al fianco di Venere, Eros cavalca un delfino. Il paesaggio è di ampio respiro ed è chiuso all’orizzonte da una catena di monti e da una città costiera.
    La legenda sul retro ci illumina sull’interpretazione: si tratta del corteo di Venere per la sua presentazione, che fa da prodromo della narrazione della favola di Amore e Psiche narrata da Apuleio nella sua opera Metamorfosi (1 ) Qui però la protagonista della narrazione è ancora una Venere classica, dalla personalità complessa al punto da generare una diversificazione di culto (2).
    La favola narra la storia della giovane Psiche, la cui bellezza scatena la terribile gelosia di Venere, che inconsapevolmente provoca l’innamoramento tra la stessa Psiche e Cupido: la giovinetta sarà sottoposta dalla dea a terribili prove, fino a raggiungere l’Olimpo per convolare a nozze con Amore.
    La favola è ricca di significati simbolici che non dovettero essere estranei all’autore o alla committenza dell’opera. Da un punto di vista tecnico la decorazione è complessa e distribuita sul supporto con grande perizia. Non è stato possibile ritrovare, per ora, alcuna fonte incisoria, anche se è probabile che ne sia stata utilizzata una, dato il successo iconografico suscitato dall’episodio narrato da Apuleio (3). I personaggi femminili, forse già di gusto manieristico, ci porterebbero a indirizzare la ricerca delle fonti incisorie proprio in questa direzione (4).
    Le figure sono dipinte con maestria, proporzionate, perfettamente inserite nella scena, e i colori sono dosati con indubbia perizia tecnica, sebbene si riscontrino difetti di cottura e bolliture dello smalto, che è comunque abbondante e ricco.

  • PIATTO URBINO, BOTTEGA FONTANA, 1550-1560 CIRCA Maiolica dipinta in...
    Lotto 52

    PIATTO
    URBINO, BOTTEGA FONTANA, 1550-1560 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con giallo, arancio, verde, blu di cobalto, bruno di manganese nei toni del nero e bianco di stagno.
    Alt. cm 5,1; diam. cm 23,5; diam. piede cm 6,8.
    Sul retro, al centro del cavetto, in blu di cobalto l'iscrizione Adamo et eva.

    DISH
    URBINO, FONTANA’S WORKSHOP, C. 1550–60
    Earthenware, painted in yellow, orange, green, cobalt blue, blackish manganese, and tin white.
    H. 5.1 cm; diam. 23.5 cm; foot diam. 6.8 cm.
    On the back, at the center of the well, inscription in cobalt blue Adamo et eva.

    L’episodio raffigurato è quello della Tentazione narrato nella Genesi (1). Al centro del cavetto sta Satana, raffigurato come dracontopode (2), avviluppato a un albero dalla chioma allargata e con numerosi frutti, mentre sullo sfondo s’intravede un paesaggio lacustre con montagne dal profilo squadrato e piccoli paesi. A sinistra della scena, Eva è seduta su una roccia con la mano sinistra allungata verso il centro; di fronte a lei, sul lato destro, Adamo, parzialmente coperto da un manto sinuoso, allunga a sua volta la mano destra verso l’albero.
    La scena è dipinta con maestria e con grande dominio della materia. Il decoro è ricco e ben distribuito, con una composizione che rispetta appieno la prospettiva, sfruttando completamente la forma del piatto. La fonte incisoria d’ispirazione del nostro esemplare, al momento, non è stata riconosciuta e ipotizziamo che si tratti forse di più incisioni o di una reinterpretazione.
    L’episodio biblico fu spesso raffigurato in maiolica e ne sono testimonianza molti esemplari con modalità stilistiche diverse, come si può vedere, ad esempio, nel bel piatto urbinate esposto al Museo Fitzwilliam di Cambridge (3), che trova affinità con un vaso della farmacia della Sacra Casa di Loreto (4); entrambi sono ispirati a una medesima fonte incisoria, probabilmente presente nella bottega Fontana attorno al 1560. In questi confronti, Satana non assume le forme del mostro medievale, ma solo quelle del serpente.
    Un confronto a nostro avviso prossimo ci deriva da un piatto del British Museum (5) attribuito alla bottega Fontana-Durantino e al periodo ascrivibile agli anni 1540-1560. Il piatto, affollato da figure, presenta affinità con il nostro, soprattutto nella disposizione del paesaggio: particolarmente vicini la forma delle montagne in lontananza che circondano la città con torri e l’insenatura del porto, che rispecchia quella presente nel nostro esemplare.
    Un altro confronto ci è fornito dal piatto con Satiro che insegue una Ninfa del Victoria and Albert Museum, attribuito alla stessa bottega urbinate e datato tra il 1540 e il 1550: in esso ci pare di poter ravvisare le stesse modalità pittoriche del nostro esemplare sia nel delineare le figure, sia nel realizzare lo sfondo paesaggistico e i singoli elementi che lo compongono, quali la presenza di una montagna leggermente squadrata e di un villaggio non troppo esteso, adagiato su una costa dal profilo arrotondato e dalla consistenza erbosa.
    Lo stile pittorico, la disposizione della scena tra due quinte, la forma delle montagne sullo sfondo e il modo di articolare il paesaggio su piani prospettici ben definiti sono tutte caratteristiche che ci inducono a collocare la bottega di produzione di quest’opera in ambito marchigiano e probabilmente urbinate.

  • SALIERA URBINO, BOTTEGA PATANAZZI, 1580-1590 CIRCA Maiolica dipinta in...
    Lotto 53

    SALIERA
    URBINO, BOTTEGA PATANAZZI, 1580-1590 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con giallo antimonio, giallo arancio, verde, blu e bruno di manganese nei toni del marrone.
    cm 20 x 22 x 12, piede cm 14x11,5.

    SALT CELLAR
    URBINO, WORKSHOP OF THE PATANAZZI, C. 1580–1590
    Earthenware, painted in antimony yellow, orange-yellow, green, blue, and brownish manganese.
    20 x 22 x 12 cm; foot 14 x 11.5 cm.


    La saliera poggia su una base ottagonale che sorregge l’invaso grazie a quattro sostegni a ricciolo e a zampa ferina alternati, ed è decorata con un motivo a baccellature e finto bugnato. Il corpo dell’invaso, modellato plasticamente, riproduce la classica forma a navicella con due mascheroni ai vertici che sostengono due putti reggi-conchiglia, e altri due mascheroni, posti sui lati lunghi, a coronamento del decoro. Al centro della vasca spicca la figurina di Cupido su uno sfondo verde, mentre la parete esterna è decorata da un motivo a mascheroni in una variante coloristica assai ricca.
    Carmen Ravanelli Guidotti in uno studio concernente le credenze nuziali di Alfonso d’Este (1) esamina le saliere dei servizi da pompa dell’epoca, facendo riferimento alle caratteristiche di quelle cosiddette “a caprone”, e individua anche questa variante con putti reggi-conchiglia in diversi esemplari (2) . La studiosa ricorda che “il corpo a navicella su base poligonale stenta ad accogliere la grottesca, tanto la forma plastica è articolata in una strabiliante concatenazione di elementi plastici complementari (volute, mascheroni, zampe leonine, ecc.)…”.
    Simile per concezione d’uso, ma con le modifiche alla forma che abbiamo già indicato, ovvero con l’aggiunta di valve di conchiglia porta sale sul lato lungo e con decoro con motivo a mostri marini, è la bella saliera conservata al Walters Art Museum di Baltimora (3), datata tra il 1575 e il 1600 e attribuita alla bottega Patanazzi.
    Molto vicina, per la presenza dello stesso modello plastico con minime varianti, è invece la saliera del Museo di Arti Decorative di Lione (4), che si distingue rispetto alla nostra per una scelta cromatica più sobria. Altri esempi sono presenti al Victoria and Albert Museum di Londra (5) e al Louvre (6): tutti appartengono a una produzione urbinate della fine del Cinquecento e sono attribuiti alla celebre bottega dei Patanazzi.


    1 RAVANELLI GUIDOTTI 2000, pp. 30-53.
    2 RAVANELLI GUIDOTTI 2000, p. 47; tav. IX a, b, c.
    3 Inv. n. 48.1361. PRENTICE VON ERDBERG-ROSS 1952, n. 73.
    4 FIOCCO-GHERARDI 2001, p. 107 n. 180.
    5 RACKHAM 1977, n. 887.
    6 GIACOMOTTI 1974, n. 1116.



  • CALAMAIO URBINO, BOTTEGA PATANAZZI, INIZIO SECOLO XVII Maiolica dipinta in...
    Lotto 54

    CALAMAIO
    URBINO, BOTTEGA PATANAZZI, INIZIO SECOLO XVII
    Maiolica dipinta in policromia con giallo, giallo arancio, verde, blu e bruno di manganese nei toni del marrone e bianco di stagno.
    cm 26 x 19 x 14.

    INKWELL
    URBINO, WORKSHOP OF THE PATANAZZI, EARLY 17TH CENTURY
    Earthenware, painted in yellow, orange-yellow, green, blue, brownish manganese, and tin white.
    26 x 19 x 14 cm.

    Il calamaio raffigura una dama intenta a verificare una lavorazione, forse un rotolo di pizzo: la donna è rappresentata seduta in abiti rinascimentali con una camiciola dall’ampio collo, aperta sul davanti, un soprabito smanicato, trattenuto in vita da una cinta sottile, che ricopre un abito azzurro dalle maniche lunghe (1). La donna ha i capelli raccolti sul capo e guarda di fronte, mentre con la mano destra scorre il pizzo che trattiene con la sinistra. Il rotolo è contenuto in un cestino che la donna, seduta su una seggiolina da camino, tiene sulle ginocchia. Ai piedi della sedia un vasetto verde per contenere l’inchiostro.
    Queste plastiche, destinate a un uso privato, frutto di commissione o di dono, sono state attribuite da Carmen Ravanelli Guidotti alla bottega Patanazzi con una datazione coerente a quella già proposta dal Ballardini (2), in base ad un esemplare con stemma Aldobrandini, alla fine del Cinquecento e ai primi anni del Seicento.
    La studiosa ha superato la tradizionale attribuzione a Faenza di questa tipologia in virtù di particolari caratteristiche: le figure in genere modellate con alcuni dettagli realizzati in serie e aggiunti in corso d’opera; la plastica non raffinatissima; lo spessore alto dello smalto, e soprattutto l’associazione delle plastiche al decoro a raffaellesche. Tutti questi elementi avvalorano una paternità urbinate.
    Il confronto con esemplari simili, anch’essi plasmati con personaggi di genere, ci conforta nell’attribuzione. Si vedano ad esempio “il suonatore di organo”, con tratti fisiognomici del volto molto vicini al nostro esemplare, raffigurato sul calamaio del Victoria and Albert Museum recante un cartiglio con la scritta “Urbino” (3); il “Bacco ubriaco” dello stesso museo che, in forma di fontana, riproduce lo stile e il gusto dei calamai urbinati (4); il calamaio con figura di “San Girolamo” del Museo di Leningrado con analoga datazione (5) e le belle plastiche presentate in una mostra sulle maioliche rinascimentali nello stato di Urbino di qualche anno fa (6), in particolare il “San Matteo” (7) della Cassa di Risparmio di Rimini, il “Mosè con le tavole della legge” e la “coppia di figurine” in cui compare un personaggio femminile.
    La figura femminile appare comunque poco rappresentata, e sarebbe quindi interessante verificarne la quantità nell’elenco delle plastiche nell’Inventario Ducale del 1609 (8).

    1 L’abito di foggia tardo-cinquecentesca, già influenzato dalla moda francese e inglese, conferma la produzione nella seconda metà del secolo.
    2 BALLARDINI 1950, pp. 99-103.
    3 RACKHAM 1977, p. 283 n. 852 (inv. 8400-1863).
    4 RACKHAM 1977, pp. 283-284 N. 853 (inv . C.665-1920).
    5 IVANOVA 2003, p.111 n. 97.
    6 GARDELLI 1987, p. 159.
    7 GARDELLI 1987, p. 152 n. 65.
    8 SANGIORGI 1976.



  • FIASCA CASTELLI, ORAZIO POMPEI, 1550 CIRCA Maiolica dipinta in policromia con...
    Lotto 55

    FIASCA
    CASTELLI, ORAZIO POMPEI, 1550 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto, verde rame, giallo, giallo arancio, bruno di manganese, bianco di stagno.
    Alt. cm 34, diam. bocca cm 6,7, diam. piede cm 16,5.
    Sotto la base etichetta relativa all’importazione dell’opera nel 1959, etichetta con numero stampato 1523 e timbro galleria BELLINI; altra etichetta con scritta a inchiostro: “ Faenza 1500 ”. Sul collo etichetta circolare stampata “ ART THREASURES EXHIBITION MUSEUM ”.
    Sul corpo in un cartiglio il proverbio latino ” .OdIE.MICHI ../ “ HOC ..OPUS.. HARATII / CRAS. TIBI.. ” e in basso il nome del preparato in caratteri gotici “ Aqua.de.planta” .

    Opera notificata dallo Stato ai sensi del D.Lgs 42/2004.


    FLASK
    Castelli d’Abruzzo, Orazio Pompei, c.1550
    Earthenware, painted in cobalt blue, copper green, yellow, orange-yellow, manganese, and tin white
    H. 34 cm; mouth diam. 6.7 cm; foot diam. 16.5 cm
    Beneath the base, stamp ‘1959’, stamp ‘1523’, printed label ‘GALL. BELLINI’, and label hand-written in ink ‘Faenza 1500’; on the neck, round label printed ‘ART TREASURES EXHIBITION MUSEUM’
    On the body, in a cartouche, Latin proverb ‘.OdIE.MICHI.. / HOC..OPUS.. HORATII / CRAS. TIBI..’; down below, the name of the preparation in Gothic script ‘Aqua.de.planta’

    This work has been notified according to the Ministerial Decree no. 42/2004.

    La fiasca ha un corpo piriforme e poggia su base piana con piede a disco, appena visibile. Il collo slanciato doveva terminare in una bocca a colletto largo con profilo appena svasato. Sul corpo si conserva il segno dell’attacco delle anse, che probabilmente avevano un profilo a doppio o triplo cordolo e forma introflessa a ricciolo, all’altezza della bocca, ed estroflessa sul corpo. Sul fronte, entro una riserva semiovale, delimitata da una cornice a fascia decorata a girali fitomorfe con foglie bicrome e piccoli melograni, è dipinto un fanciullo nudo addormentato in posizione prona e appoggiato a un teschio. Sopra la figura si scorge un nastro svolazzante che riproduce un proverbio latino unitamente alla firma del maestro: ” .OdIE.MICHI../ HOC..OPUS..HORATII / CRAS.TIBI.. ” ( oggi a me, domani a te. Questa è opera di Orazio ). Il collo mostra poi, nella parte superstite, un bel motivo fitomorfo su fondo aranciato, mentre il retro è interamente decorato con una composizione di girali delineate a pennello in blu di cobalto. Sotto la raffigurazione principale corre il cartiglio relativo al composto farmaceutico, scritto in caratteri gotici: “ Aqua.de.planta ”.
    Il decoro con il putto disteso sul teschio si ritrova su un pilloliere di questo stesso corredo farmaceutico, databile alla metà del secolo XVI e oggi conservato al Museo Duca di Martina a Napoli. Si concorda pienamente con l’interpretazione che ne dà Luciana Arbace, proprio in relazione con la nostra fiasca, di un motivo di Memento mori, come d’altronde conferma il cartiglio descritto sopra.
    La fiasca appartiene al vasellame farmaceutico noto agli studi con la denominazione di “Orsini Colonna”, prodotto nel centro di Castelli d’Abruzzo attorno alla metà circa del secolo XVI. Dopo una serie di studi e confronti tra gli studiosi si è ormai accettato il fatto che non si tratti di un corredo farmaceutico vero e proprio, bensì di una tipologia ceramica caratteristica e caratterizzante la produzione del piccolo centro abruzzese.

  • ALBARELLO CASTELLI D’ABRUZZO, BOTTEGA DI ORAZIO POMPEI, 1550-1560 CIRCA...
    Lotto 56

    ALBARELLO
    CASTELLI D’ABRUZZO, BOTTEGA DI ORAZIO POMPEI, 1550-1560 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto, verde rame, giallo, giallo arancio, bruno di manganese e bianco di stagno.
    Alt. cm 24,4; diam. bocca cm 10; diam. piede 11,8.

    APOTHECARY JAR (ALBARELLO)
    CASTELLI D’ABRUZZO, ORAZIO POMPEI, C.1550–60
    Earthenware, painted in cobalt blue, copper green, yellow, orange-yellow, manganese, and tin white
    H. 24.4 cm; mouth diam. 10 cm; foot diam. 11.8 cm


    Il vaso apotecario ha una bocca larga con orlo estroflesso, un collo corto che scende in una spalla obliqua, breve e dal profilo appena arrotondato. Il corpo è cilindrico con base alta e carenata che termina in un piede basso dal profilo svasato.
    Il decoro, realizzato in piena policromia, mostra nella parte anteriore, racchiuso in una metopa delimitata da due fasce con motivo a corona fogliata, il busto di una giovane donna raffigurata di tre quarti con i capelli raccolti, vestita di una camiciola bianca e un abito verde con le maniche arancio. Subito sotto si legge il cartiglio farmaceutico che recita: “ atanasia” in lettere gotiche (1). Sulla spalla corre un motivo a girali arancio su fondo giallo, mentre la base ha sul fronte un riquadro con lo stesso motivo, più sottile, in blu su fondo azzurro.
    Il volto è tracciato in blu di cobalto a creare una riserva sul fondo smaltato. I campi riservati sono poi riempiti di colore: giallo variamente diluito nei capelli, verde intenso nel corpetto e così via. Il fondo blu cupo è reso con ampie pennellate appena dietro alla figura, quasi a creare una nicchia; lo sfondo è poi riempito da una campitura più aperta, diluita con piccoli tratti, quasi a nuvolette. I tratti sottili, appena rimarcati, sottolineano il naso, la bocca e la capigliatura. Il blu ombreggia tutto l’ornato in sapiente e rapido contrasto con le campiture di altro colore.
    Il vaso appartiene a una serie di contenitori prodotti a Castelli d’Abruzzo per il cosiddetto corredo Orsini Colonna, di cui abbiamo parlato nella scheda che precede (lotto 55). Dal catalogo della celebre mostra tenutasi a Castelli nel 1989, si nota come fossero già state individuate più mani nella realizzazione del celebre corredo. La produzione è da situarsi prevalentemente nel secondo terzo del XVI secolo. Dai dati di scavo è emerso soprattutto come questo tipo di produzione sia ben attestato nei butti. La complessità dei decori e la qualità dei materiali impiegati ne fecero fin dal secolo XVI un materiale di lusso. La bottega o le botteghe interessate nella produzione di queste opere mostrano una perizia tecnica esemplare per l’epoca: i decori e il repertorio morfologico, spesso assai complesso, non sono di uso comune, ma in linea con un mercato che richiedeva sempre di più opere di qualità medio-alta. A tale richiesta il cosiddetto corredo Orsini Colonna sembra rispondere pienamente.
    I decori presenti sull’opera in analisi ci aiutano a inserirla cronologicamente all’interno di una produzione specifica: in particolare il ritratto femminile associato al motivo a girali della spalla e del piede, ma soprattutto il motivo di fondo, ci fanno ritenere l’opera ascrivibile alla seconda fase del secondo Gruppo, secondo la classificazione proposta nell’ultimo studio monografico sulle produzioni castellane del Cinquecento (2), cui rimandiamo per i confronti. Si tratta pertanto della produzione assegnabile per morfologia e per decoro al primo terzo del XVI secolo.

  • PIATTO CASTELLI D’ABRUZZO, 1580-89 Maiolica ricoperta di smalto blu di...
    Lotto 57

    PIATTO
    CASTELLI D’ABRUZZO, 1580-89
    Maiolica ricoperta di smalto blu di cobalto, con decoro in oro e bianco di stagno.
    Alt. cm 4; diam. cm 28,4; diam. piede cm 10.
    Sotto il piede, tracce di etichetta con scritte a mano poco leggibili in inchiostro nero.

    DISH
    Castelli d’Abruzzo, c.1580–89
    Earthenware, covered with a cobalt-blue glaze and painted in gold and tin white
    H. 4 cm; mouth diam. 28.4 cm; foot diam. 10 cm
    Beneath the base, remains of label hand-written in black ink (hardly readable)

    Il piatto ha cavetto ampio e profondo con tesa obliqua, poggia su un piede ad anello appena accennato ed è interamente ricoperto da smalto blu intenso che lascia scoperto solo il cercine del piede. Al centro del cavetto compare lo stemma del Cardinale Farnese con i sei gigli blu in campo d’oro, sormontato dal cappello cardinalizio con sei nappe e racchiuso in una cornice dipinta in bianco di stagno; intorno, il caratteristico motivo a fiori quadrangolari accompagnati da un decoro a groppi. Sulla tesa il motivo si ripete in una ghirlanda continua.
    La storia di questa fornitura è ormai nota grazie all’esposizione dedicata alle collezioni e al servizio con stemma Farnese (1): il servizio fu eseguito in più riprese tra il 1574 e il 1589, anno della scomparsa del Cardinale Alessandro Farnese. L’attribuzione alle officine di Castelli (2), unanimemente accettata, si basa sul confronto con frammenti emersi dagli scavi condotti nella città abruzzese e trova riscontro in due opere del Museo di Capodimonte in cui compare una sigla interpretabile come Castellorum (3). Le varianti morfologiche e stilistiche tra le opere in “turchina” lasciano però aperti alcuni interrogativi riguardo alla definizione delle botteghe castellane autrici della fornitura e alla cronologia delle varianti esistenti.
    La raffinata tecnica di produzione di questi prodotti “compendiari” sembra, attraverso l’analisi dei frammenti, caratterizzata da una pesante invetriatura monocroma, più che dall’applicazione di un vero e proprio smalto come nelle opere faentine (4). Ma la tecnica più sorprendente è quella dell’uso del terzo fuoco per la stesura dell’oro: questa procedura doveva essere causa di un gran numero di rotture dei manufatti durante e dopo la cottura, e comunque riservata dalla bottega incaricata ad una committenza particolare e non abituale, come dimostra l’esistenza di una produzione di turchina senza però applicazione di oro a terzo fuoco.
    Come ricorda Luciana Arbace nelle schede relative a queste opere (5), il servizio è elencato tra gli arredi del Palazzo Farnese a Caprarola nel 1626, e si parla di un servizio da credenza di maiolica turchina miniata d’oro con l’arme del Cardinale Farnese ancora presente nella Loggia del Palazzo Farnese di Roma nel 1644, nel 1653 e qualche anno più tardi (6). Di queste opere tra il 1728 e il 1734 se ne conservavano 72, poi trasferite presso il Museo di Capodimonte nel 1760, mentre altre furono disperse.
    Le caratteristiche decorative e formali eterogenee hanno fatto pensare non solo all’opera di più botteghe coinvolte nella commissione, ma anche all’esistenza di più di un servizio o committenza, forse anche per il cardinale Odoardo Farnese.

  • ALBARELLO NAPOLI, MAESTRO DELLA CAPPELLA BRANCACCIO (ATTR.), 1470-1480...
    Lotto 58

    ALBARELLO
    NAPOLI, MAESTRO DELLA CAPPELLA BRANCACCIO (ATTR.), 1470-1480
    Maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto, giallo antimonio, bruno di manganese nei toni del marrone, violaceo e del nero.
    Alt. cm 34; diam. bocca cm 10; diam. piede cm 10.

    APOTHECARY JAR (ALBARELLO)
    NAPOLI (NAPLES), MAESTRO DELLA CAPPELLA BRANCACCIO (ATTR.), 1470–80
    Earthenware, painted in cobalt blue, antimony yellow, brownish and blackish manganese, and manganese purple
    H. 34 cm; mouth diam. 10 cm; foot diam. 10 cm

    L’albarello ha forma cilindrica appena rastremata al centro, con spalla e calice angolati, collo breve con orlo estroflesso tagliato a stecca e piede appena concavo tanto da poggiare solo sui bordi esterni, aggettante all’esterno. Lo smalto che ricopre l’intera superficie è povero, di colore bianco-crema con inclusioni, ruvido al tatto, e presenta bolliture prevalentemente sul collo e crettature; l’interno non è smaltato.
    Il collo del vaso è interamente decorato con un bel motivo a palmette a ventaglio, motivi puntinati e semi-palmette a ventaglio, racchiuse in un archetto e alternate a piccole foglie trilobate, mentre la spalla è rimarcata da righe blu e gialle. Il corpo è interessato, nella parte anteriore, dalla raffigurazione di un uccello fantastico dal viso di giovinetto (1), ritratto di profilo e conchiuso in una cornice che ne segue i contorni. Intorno si estende un motivo a foglie accartocciate con spirali e punti dipinti a riempimento degli spazi vuoti.
    Il volto è abilmente ombreggiato con sottili pennellate, il lungo collo abbellito da una fascia gialla, il piumaggio realizzato con una stesura del pigmento diluita con diversa densità sia sulle ali, sia sul corpo.
    Il sistema di incorniciare le figure in una riserva che ne circonda i contorni è tipico del primo Rinascimento e sembra interessare trasversalmente tutte le manifatture italiane del periodo.
    Guido Donatone, che ha pubblicato l’opera (2), nel confronto con una piastrella del Pavimento Gaetani di Capua, sottolinea la rarità della tecnica lavorativa, e segnala come anche le foglie che decorano il verso trovino riscontro in ambito napoletano nel retro dell’albarello con probabile profilo del Sannazaro (3) e con altri pavimenti poi attribuiti allo stesso pittore: proprio su queste basi ha avanzato l’ipotesi di una produzione napoletana. Lo stesso studioso affianca l’opera a un albarello del Museo del Bargello (4) con il profilo di un airone, con caratteri peculiari simili a quelli che si riscontrano nelle opere del Maestro della Cappella Brancaccio, escludendo di conseguenza l’attribuzione dello stesso a botteghe pesaresi.
    Un albarello della medesima tipologia, e con attribuzione analoga, è recentemente transitato sul mercato (5): la morfologia, le dimensioni importanti e il decoro secondario a foglie accartocciate avvicinano i due esemplari e ci sostengono nell’attribuzione. Le precedenti assegnazioni ad ambito faentino, romano (6) o siciliano (7) sono ormai superate.
    Anche per questo esemplare ci pare corretta la datazione suggerita dal confronto con i vasi con stemmi aragonesi recanti le armi di Alfonso II d’Aragona e della moglie Ippolita Sforza, che ci danno un’indicazione cronologica compresa tra il 1465 e il 1484 (8).
    Il nostro albarello, ancora con attribuzione ad ambito toscano o faentino, è transitato sul mercato in un’asta Sotheby’s a Milano nel 1997 (9).

  • TONDINO, VENEZIA , MASTRO JACOPO DA PESARO , 1540 CIRCA Maiolica dipinta in...
    Lotto 59

    TONDINO, VENEZIA , MASTRO JACOPO DA PESARO , 1540 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto , bruno di manganese nei toni del nero-marrone con tocchi di bianco di stagno su fondo azzurrato .
    Alt. cm 2,9; diam. cm 19,8; diam. piede cm 8.
    Sigla sulla tesa MJ o mL (?)

    ARMORIAL PLATE (TONDINO)
    VENEZIA (VENICE), MASTRO JACOPO DA PESARO, C.1540
    Earthenware, covered with a light-bluish glaze and painted in cobalt blue and blackish and brownish manganese with tin-white highlights
    H. 2.9 cm; diam. 19.8 cm; foot diam. 8 cm
    On the broad rim, ‘MJ’ or ‘mL’ (?)


    Il piatto, con piede ad anello poco rilevato, presenta un profondo cavetto e una larga tesa leggermente inclinata. Sul recto , si osserva una decorazione nei toni del grigio-azzurro su fondo blu: al centro del cavetto una testa femminile spicca sullo sfondo di scudi e flauti, contornata nello stacco tra cavetto e tesa da una fascia bianca a risparmio. La tesa ripropone il disegno a grisaille a trofei con panoplie e strumenti musicali, nella parte inferiore un cartiglio con note musicali, mentre sul lato destro si legge una sigla con due lettere incrociate, forse MJ , per alcuni leggibili come mL (1).
    Il retro del piatto mostra un motivo decorativo “alla porcellana” realizzato a punta di pennello in blu, che corre tra la tesa e il cavetto attorno al basso anello di appoggio, su fondo di smalto appena azzurrato.
    Il volto al centro, con la bocca chiusa, labbra piene e naso sottile, è dipinto con grazia in un atteggiamento malinconico: gli occhi appena abbassati rivolti a destra. Le guance, la fronte e il mento sono lumeggiati con sottili tratti di stagno che ne arrotondano i contorni. La stessa tecnica, a tratti sottili, si estende per tutta la decorazione, esaltando la luminosità dei trofei e dando al piatto un colore metallico che spicca sul fondo blu, a sua volta realizzato con perizia tecnica pittorica che crea un fondo cupo con pennellate sicure e mano ferma, al punto da lasciare a risparmio le aree interessate dal decoro principale e dai sottili nastri svolazzanti che riempiono le campiture attorno alla raffigurazione principale.
    Questo ornato appartiene alla decorazione “all’antica”, detta “a trofei”: fortunato motivo delle maioliche rinascimentali a Venezia e in tutta Italia (2), diffuso attraverso le incisioni (3).
    Un riscontro calzante si trova in un piatto con trofei con armi, strumenti musicali e geografici pubblicato da Timothy Wilson nel 1996 (4). Il piatto, allora attribuito alla bottega di Maestro Ludovico, è datato 1537 e mostra caratteristiche stilistiche e tecniche sovrapponibili all’opera in esame: il volto al centro del piatto e lo stesso stile del decoro coincidono in modo particolare con il nostro esemplare.
    Molto simili anche due piatti pubblicati dalla compianta Alverà Bortolotto (5), che presentano caratteri disegnativi quasi sovrapponibili ai nostri, tra i quali il grande piatto con trofei d’armi del Victoria and Albert Museum (7) nel quale il largo cavetto mostra un trofeo d’armi pieno di elementi, tra i quali riconosciamo i tamburi, gli schinieri, la lorica disegnata dall’alto verso il basso e soprattutto, nella tesa, elementi con lettere e sigle non meglio riconoscibili. Di stile più calligrafico il tondino comparso recentemente sul mercato, datato 1544, sempre attribuito e pubblicato come opera della bottega di Mastro Ludovico a Venezia. E ancora il tondino transitato sul mercato newyorchese (8) qualche anno fa con l’iscrizione R.E.V. E. N mostra caratteristiche stilistiche molto vicine a quelle dell’esemplare in analisi.

  • PIATTO, VENEZIA, BOTTEGA DI MASTRO DOMENICO 1570 CIRCA Maiolica dipinta in...
    Lotto 60

    PIATTO, VENEZIA, BOTTEGA DI MASTRO DOMENICO 1570 CIRCA
    Maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nei toni del nero, marrone e bianco di stagno.
    Alt. cm 6,5; diam. cm 34,5; diam. piede cm 10,9.
    Sul retro del piatto compare l’iscrizione in blu di cobalto La grecia romana.Ce/fu viollata da tran/. quino.

    DISH
    VENEZIA (VENICE), WORKSHOP OF MASTRO DOMENICO, C.1570
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white
    H. 6.5 cm; diam. 34.5 cm; foot diam. 10.9 cm
    On the back, inscription in cobalt blue ‘La grecia romana.Ce/fu viollata da tran/. quino’

    Il piatto ha un cavetto profondo, un’ampia tesa e poggia su una base ad anello. La decorazione riveste completamente lo smalto stannifero sul fronte del pezzo, occupando tutto lo spazio senza soluzione di continuità, a dimostrare la grande perizia tecnica del pittore, capace di disporre la scena anche nel cavetto senza creare alcuna perdita di prospettiva. Le figure sono disegnate con tocchi in bruno di manganese, ad eccezione di quella di Lucrezia, che ha forme meno rigide ed è pittoricamente più debole rispetto ai personaggi maschili: si noti come sembri perdere consistenza all’altezza dei piedi.
    La scena, drammatica, si svolge in un porticato dalla fitta pavimentazione a mattonelle: alle spalle delle figure un tavolo apparecchiato è collocato davanti all’ingresso di un palazzo con un fornice a volta e alcuni archi in rovina sullo sfondo. In lontananza si nota una città turrita ed un monte dalla forma irregolare, con un foro al centro attraverso il quale s’intravede il tramonto. Le figure sono raccolte attorno alla protagonista ormai morta: un soldato le sorregge le spalle, un giovane la guarda con fare disperato, mentre una fanciulla si porta un fazzoletto agli occhi asciugandosi le lacrime e un personaggio barbato accorre ai richiami. Il verso reca un sottile strato di smalto, che assume un tono beige, con alcuni difetti di cottura; lo smalto spesso con vaste colature è decorato con cinque filetti gialli che profilano e ornano la tesa incorniciando l’anello d’appoggio sottile e cilindrico. Il fondo del piede smaltato presenta l’iscrizione in blu: La grecia romana.Ce/fu viollata da tran/. quino.
    La vicenda narrata è quella della morte di Lucrezia, descritta da Valerio Massimo nell’opera Atti e detti memorabili degli antichi romani, che diviene simbolo della resistenza alla tirannia o alla sottomissione a costo della vita pur di mantenere il proprio onore . L’episodio è narrato anche da Tito Livio (1): la virtù di Lucrezia nota a tutti i romani e vanto del Marito Collatino, fu violata dal malvagio Sesto Tarquinio, figlio del tiranno Tarquinio Prisco; la donna, presa da vergogna, si uccise davanti al marito e agli amici Lucio Giunio Bruto e Publio Valerio, non prima di aver chiesto vendetta. Il marito Collatino, per vendicarsi, guidò quindi una sommossa popolare che cacciò via i Tarquini da Roma.
    La scena è tratta dall’incisione di Georg Pencz (2) (fig. 1), realizzata tra il 1546 e il 1547, e spesso utilizzata in maiolica da più botteghe rinascimentali. Si veda per esempio come la stessa immagine sia stata riprodotta in una riserva nel centro di uno splendido vassoio urbinate della bottega di Orazio Fontana databile agli anni ‘70 del Cinquecento (3).

Lotti dal 49 al 60 di 65
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Importanti maioliche rinascimentali

Esposizione

FIRENZE
24 Settembre al 1 Ottobre2015
orario 10 – 19 
Palazzo Ramirez-Montalvo 
Borgo degli Albizi, 26

Sessioni

  • 1 ottobre 2015 ore 17:00 Sessione unica - dal lotto 1 al lotto 65 (1 - 65)