Importanti maioliche rinascimentali
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Lotto 25 PIATTO DERUTA (?), INIZIO DEL SECOLO XVI Maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto, rosso ferraccia, giallo, arancio, verde rame in due toni, giallo antimonio, bistro e tocchi di manganese. Alt. cm 9,8; diam. cm 42; diam. piede cm 14,5. Sul retro etichetta di collezione dattiloscritta: “Plat rond raprésentant: Daphné cangée en laurier/dirigeant vers la gauche, une coupe chargée de feuilles posée/sur la tête . Dessin au trait bleu sur fond blanc. Au marii,/Faenza XVI siècle”.L’esemplare ha la forma caratteristica dei piatti da pompa con un cavetto largo e profondo, una tesa ampia che termina in un orlo rifinito a stecca appena rilevato. Il piatto poggia su un piede ad anello, anch’esso appena rilevato, e forato prima della cottura per consentirne l’esposizione. La foggia è tipica delle produzioni derutesi, ma utilizzata anche da altre botteghe della zona umbro-laziale, ed è destinata ad accogliere i celeberrimi ritratti di belle donne, stemmi nobiliari o soggetti importanti. Anche in questo caso, come per gli altri esemplari presenti in questa selezione, il piatto è dipinto a policromia e mostra una scena istoriata. La giovane Dafne è raffigurata da sola mentre si sta tramutando in un albero di alloro: un cesto di foglie le ricopre il capo, quasi fosse un’erma decorativa, ma la trasformazione è più evidente nelle mani che si stanno mutando in rami fogliati, mentre l’espressione del volto è impassibile, quasi indifferente. Tutto intorno si estende un paesaggio roccioso dominato sullo sfondo, sulla cima di un colle, da una torre isolata e, più lontano, da una città fortificata che si specchia in un lago. La tesa mostra una ghirlanda d’infiorescenze, ognuna originata da gruppi di tre bacche gialle e terminante in un frutto verde puntinato di giallo, chiuso tra foglie blu arricciate. La policromia del decoro spicca sul fondo smaltato di bianco della tesa, in contrasto con la monocromia della scena centrale, vivacizzata appena dal colore di un serto di foglie che circonda la vita della protagonista. Il retro, coperto con una vetrina piombifera, mostra un rapido decoro costituito da tre larghe spirali dipinte con pennellate blu molto diluite. Il motivo decorativo della tesa è poco utilizzato: lo ritroviamo, con modalità stilistiche appena differenti, in un vasetto dalla foggia tipicamente derutese, conservato nella collezione Chigi Saracini di Siena (1), nel quale il decoro ha un andamento a girali fogliati con corolle e bacche realizzate in forma più aperta. Carmen Ravanelli Guidotti analizzando l’opera suggerisce una possibile diversificazione della scelta decorativa nei manufatti ceramici a seconda che si trattasse di esemplari da rifinire a lustro o semplicemente a policromia. Tuttavia, mentre le girali del piccolo vaso sono prossime a quelle comunemente visibili sulle tese dei piatti da pompa della città umbra di Deruta, nel nostro esemplare si sviluppano in una corona continua, molto serrata e con modalità stilistiche ben caratterizzate: di contro, l’insolita scelta cromatica è molto simile. Ancora più notevole è la comparazione con il piatto con Ercole e Anteo del Metropolitan Museum of Art, recentemente esposto in un’importante mostra fiorentina (2). Il confronto con il nostro mette in evidenza apprezzabili parentele: la modalità nel dipingere il cielo e le nuvole come piccoli monticelli in un campo riempito a linee parallele; l’uso di un tratto grafico sottile in monocromia blu; il contrasto coloristico così marcato tra tesa e cavetto; ed infine il paesaggio roccioso, di gusto gotico.
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Lotto 26 PIATTO
DERUTA, SECONDA METÀ SECOLO XVI
Maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto, rosso ferraccia, giallo, arancio, verde rame in due toni, giallo antimonio, bistro e tocchi di manganese.
Alt. cm 8; diam. cm 38,2; diam. piede cm 13,3.
Sul retro tracce di etichetta con numero stampato .. 61..
Dish
Deruta, second half of 16 th century
Earthenware, painted in cobalt blue, iron red, yellow, orange, antimony yellow, two tones of copper green, bistro and touches of manganese
H. 8 cm; diam. 38.2 cm; foot diam. 13.3 cm
On the back, remains of printed label ‘61’
L’esemplare mostra la caratteristica forma dei piatti da pompa con un cavetto profondo e largo: la tesa è ampia e termina in un orlo rifinito a stecca appena rilevato. Il piatto poggia su un piede ad anello, anch’esso appena rilevato e forato in origine, prima della cottura, per consentirne l’esposizione. La foggia è quella tipica delle produzioni derutesi, destinata ad accogliere i celeberrimi ritratti di belle donne, stemmi nobiliari o soggetti importanti, come le immagini di santi e di eroi, in questo caso dipinti a policromia con tecnica a risparmio su fondo maiolicato bianco. Il retro è ricoperto da uno spesso strato di bistro con un sottile velo di vetrina.
Il decoro mostra un soldato, con elmo e armatura, seduto su una roccia erbosa mentre indica con la mano destra un punto in lontananza, e sostiene, con la sinistra, un’alabarda appoggiata alla spalla; una lunga spada pende al suo fianco. La scena è compresa in un paesaggio con quinte di alberi e rocce chiuso all’orizzonte da una città turrita, che compare dopo una serie di avvallamenti dal profilo arrotondato. Intorno, su rocce sparse, spiccano fioretti colorati dallo stelo sinuoso.
La tesa è decorata da un motivo a ghirlanda stilizzata con palmette e infiorescenze, che spicca su un fondo di colore giallo arancio molto carico.
Il piatto trova numerosi riscontri in molte raccolte: quelli conservati nel Museo Regionale della Ceramica di Deruta, coerenti per decorazione della tesa e per stile pittorico(1), ci spingerebbero ad avvicinare l’opera in esame all’ambito della bottega Mancini, attiva a Deruta alla metà circa del secolo(2).
Tuttavia il confronto con opere particolarmente vicine per impostazione decorativa della tesa, una con un cavaliere con cappello piumato che mostra un paesaggio stilisticamente coerente con il nostro, conservata al Museo Duca di Martina a Napoli(3); e un’altra decorata da un guerriero in armatura, raffigurato a mezzo busto(4), dimostra analogie stilistiche molto marcate, al punto che, se accostati ad altri esempi, si è portati a pensare all’esistenza di una bottega produttiva coerente. La datazione proposta da Luciana Arbace per l’opera del museo napoletano, unitamente allo stile decorativo, ci incoraggia a pensare a una ripetizione, ormai tradizionale, di motivi più antichi, spostando la datazione di qualche decennio, fino alla seconda metà del secolo.
Il confronto infine con un piatto conservato al Museo di arti decorative di Lione(5) nel quale compare una figura di giovane con un violino ci porta a ritenere l’opera in esame più coerente con le produzioni più tarde della bottega che, pur mantenendosi ad alto livello, tendono a ripetere i decoro del maestro in modo più seriale. La datazione proposta da Carola Fiocco e Gabriella Gherardi per questo esemplare si basa sull’affinità del decoro della tesa con un piatto del Museo di Amburgo(6) nel quale compare lo stemma del papa Giulio III il cui pontificato si svolse dal 1550 al 1555. -
Lotto 27 TONDINO STEMMATO
FAENZA, 1525-30 CIRCA
Maiolica dipinta in policromia con giallo chiaro, turchino, verde, rosso e lumeggiature bianche su fondo azzurro-grigio “berettino”.
Alt. cm 5; diam. cm 24; diam. piede cm 7.
Sul retro, sotto il piede, è delineato un rombo intersecato da una croce.
Armorial Plate (tondino)
Faenza, c. 1525–30
Earthenware, covered with a ‘berettino’ glaze and painted in light yellow, turquoise, green, red, and white highlights
H. 5 cm; diam. 24 cm; foot diam. 7 cm
On the back, beneath the base, a mark with a diamond intersected by a cross.
Il piatto, o tondino, ha un profondo cavetto e una larga tesa appena obliqua, è integralmente ricoperto da smalto “berettino” spesso di colore azzurro intenso e poggia su un piede ad anello appena accennato. Il decoro mostra uno stemma, al centro del cavetto, racchiuso in un medaglione che è a sua volta incorniciato da una fascia decorata in bianco su fondo azzurrato. Lo stemma è dipinto in piena policromia con fondo giallo e branca d’orso che stringe una zampa di capriolo, attorniato da tre stelle rosse. Sopra lo stemma, racchiuso in cartiglio, un amorino e intorno tra sottili nastri sinuosi le lettere in caratteri capitali “ P.G. ”.
Sulla tesa si estende una decorazione “a groppi“, associata a un motivo “a rabesche” in bianco su azzurro. Sul verso , all’interno del piede, si registra la presenza di un rombo con croce sovrapposta; tutt’intorno sul retro della tesa si osserva un motivo “alla porcellana”.
Un decoro molto simile è riportato su una mattonella da pavimento della Collezione Cora al Museo Internazionale della Ceramica di Faenza databile attorno al 1530 circa (1).
Al momento non è stato possibile rintracciare la famiglia committente, ma la qualità dell’opera in esame ci fa supporre che si trattasse di un casato importante (2).
Il raffinatissimo decoro della tesa s’inserisce nella tipologia delle “vaghezze e gentilezze”, secondo una definizione registrata nei documenti faentini sulle esportazioni del 1528 (3): tale definizione comprende opere cronologicamente vicine alla produzione a grottesche.
L’ornato del nostro piatto mostra un evidente padronanza della tecnica e della sintassi decorativa, sviluppata su un fondo berettino chiaramente recepito. Il decoro, che comprende la ghirlanda fogliata, groppi, rabesche e molti dei motivi ornamentali più raffinati, può essere probabilmente comparato ad altri esemplari ben riusciti, fra tutti il grande piatto pubblicato come esempio da Carmen Ravanelli Guidotti (4). La scelta della decorazione della tesa e lo stile dello stemma ci portano poi al confronto con un piatto conservato nelle collezioni del Victoria and Albert Museum di Londra, di dimensioni e decorazione più importanti, databile probabilmente al 1530 (5): l’ornato principale che accomuna i piatti è quello a groppi, ma il nostro è realizzato con un ductus estremamente raffinato, tanto da far pensare ad una maggiore vicinanza ai piatti a grottesche e, soprattutto, che sia ancora legato alla decorazione bianco su bianco, qui declinata su un fondo berettino chiaro e associata a un blu cobalto distribuito con sapienza, a definire il decoro e a creare idonee ombreggiature con pennellate più o meno diluite. -
Lotto 28 COPPIA DI ALBARELLI
FAENZA, 1530-1550 CIRCA
Maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno. Smaltati all'interno.
a) Saladino : alt. cm 32; diam. cm 11,7; diam. piede cm 11;
b) Soldato romano : alt. cm 31,2; diam. cm 11,7; diam. piede cm 11,4.
Sul fronte iscrizioni in catrtiglio: a) Rcqfo :minor ; b) S. Cufcute; e sul retro - a2) R;qfo: minor , b2) S. Cufcute . Tutte con leggera variazione nelle grafia gotica.
A pair of Apothecary Jars (albarelli)
Faenza, c. 1530–50
Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white; glazed inside
a) Saladino : H. 32 cm; diam. 11.7 cm; foot diam. 11 cm
b) Roman Soldier : H. 31.2 cm; diam. 11.7 cm; foot diam. 11.4 cm
On the front, inscriptions in a cartouche with slight variations of Gothic script: a) Rcqfo :minor ; b) S. Cufcute – a2) R;qfo: minor ; b2) S. Cufcute
La forma ripropone la morfologia classica degli albarelli faentini con bocca larga appena estroflessa e collo breve con marcata rastrematura che si ripropone anche nella parte inferiore, il corpo ha forma leggermente troncoconica, con spalla e calice dal profilo angolato.
Lo smalto abbondante presenta microcavillature, ossidi ferrosi e tracce di bruciato sotto il piede, con applicazione d’ingobbiatura a crudo per coprire il difetto.
Il decoro, realizzato in due varianti di colore per dare la possibilità di mutare l’aspetto dell’intero scaffale apotecario, prevede l’estensione a tutta la superficie dei vasi con una vivace policromia nei toni del blu e dell’arancio.
La spalla e il piede sono decorati con un motivo a piccoli frutti tondeggianti su un ramo sinuoso, delineati in giallo e giallo arancio su fondo verde intenso. Il corpo dei vasi mostra invece un decoro “bifronte” “a grottesche” con teste di amorini, mascheroni, racemi accartocciati e delfini, presenti simmetricamente sui due lati del contenitore con uno sfondo blu su un lato, e giallo arancio sull’altro. Il decoro è centrato da un medaglione contenete un busto maschile con turbante e scritta in caratteri capitali SALADINO nel primo albarello, mentre sull’altro il medaglione, di analoga proporzione, è decorato da un cagnolino in corsa. Sotto il medaglione corre poi un cartiglio con la scritta apotecaria in caratteri gotici Rcqfo:minor(um). Nell’altro albarello si ripropone il medesimo decoro, con un busto di soldato romano a variare il protagonista del medaglione; il cartiglio presenta la scritta S. Cufcute sempre in caratteri gotici.
Per ductus e scelta pittorica i vasi potrebbero essere opera di due mani differenti come si desume dallo stile dissimile nella resa dei dettagli disegnativi e nella loro effettiva realizzazione: più calligrafici e sicuri nell'albarello con Saladino, più diluiti e meno incisivi in quello con ritratto di soldato romano. Ciononostante si pensa a un periodo di produzione coeva e alla destinazione per la medesima farmacia.
Per confronti si veda l’albarello con profili di Rodamote e Carlo della Wallace Collection di Londra (1): di dimensioni minori, si distingue per il decoro su fondo berettino, ma rimane affine per morfologia e per stile decorativo. I serafini e le foglie di quercia accartocciate sono delineati con cura e mostrano affinità con le opere in esame.
Altri esemplari di confronto sono conservati nei principali musei italiani e stranieri, tra cui quelli indicati nella scheda di pubblicazione dei nostri albarelli in uno studio sui vasi da farmacia rinascimentali di qualche anno fa (2). -
Lotto 29 COPPA
FAENZA, BALDASSARE MANARA, 1539
Maiolica, dipinta in policromia con arancio, giallo antimonio, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno.
Alt. cm 5,8, diam. bocca cm 25, diam. piede cm 10,5.
Sul retro la data “1539” entro cartiglio in color ocra .
SHALLOW BOWL
Faenza, Baldassarre Manara, 1539
Earthenware, painted in orange, antimony yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white
H. 5.8 cm; mouth diam. 25 cm; foot diam. 10.5 cm
On the back, the date (‘1539’) in an ochre cartouche
La coppa presenta un cavetto concavo e tesa alta terminante in un orlo sottile arrotondato; poggia su un piede basso e privo di anello.
La rappresentazione si adatta alla forma del manufatto, assecondandone le curve e le convessità e raffigura un soggetto mitologico ambientato in un paesaggio racchiuso da alberi e quinte di montagne sullo sfondo. Una città turrita si confonde nel paesaggio tra montagne, prati ondeggianti e fiumi. I due protagonisti della scena, Marte e Venere, si affrontano al centro del piatto: Marte appoggiato a un albero, ai cui piedi si scorge Cupido intento a guardare la madre, ritta sulla destra del piatto con la mano alzata ad indicare il cielo dove un amorino appare reggendo nelle mani un arco, probabilmente destinato a Cupido, già armato di faretra. Poco distante due personaggi, intenti a dialogare, sembrano avvicinarsi alla radura in cui si svolge la vicenda.
Lo smalto è steso con abbondanza, i pigmenti trattati con estrema perizia, anche se sul retro sono presenti qualche difetto di cottura e qualche colatura all’orlo.
Il verso è dipinto interamente in ocra con motivo a embricazioni, al centro un cartiglio a fondo bruno marrone con scritta giallo antimonio “1539”, intorno al quale risaltano due rami di ulivo.
Si tratta a nostro avviso di un episodio dell’amore tra Marte e Venere di cui ci narra Ovidio nelle Metamorfosi (1) . Carmen Ravanelli Guidotti, che ha pubblicato l’opera qualche anno fa, pensava invece a Vulcano e Venere, ma a conferma della nostra ipotesi ci sembra di ritrovare una concreta somiglianza del personaggio raffigurato nel nostro piatto con il Marte di una incisione di Giulio Bonasone, con la sola variante del braccio alzato con la spada che pare comunque un attributo più idoneo al dio della Guerra.
La coppa in esame, pur in assenza di firma, si avvicina molto all’opera del maestro faentino, al punto che è stata inserita da Carmen Ravanelli Guidotti nella monografia su Baldassarre Manara (2) . La studiosa conferma l’attribuzione dell’opera al pittore faentino con la prudenza dovuta alla mancanza di verifica autoptica sul pezzo, noto solo per le numerose pubblicazioni (3) . Di grande interesse, oltre alla ricostruzione della storia collezionistica del pezzo, è il paragone che la studiosa introduce con le opere del “Pittore di Argo”, attivo in questo arco cronologico in area marchigiana, non escludendo un’influenza di questo tipo di pittura sul grande artefice faentino ormai giunto alla maturità artistica.
La presenza della data colloca la coppa tra le opere mature di Baldassarre Manara, quando, ormai affermato, tende a firmare o a datare i propri lavori.
Le notizie biografiche su questo celebre pittore sono scarse, ma la sua attività si colloca nella prima metà del XVI secolo. Sappiamo che proveniva da una famiglia di vasari, nota nella città di Faenza. Le attestazioni archivistiche sono scarse e abbiamo notizie dal 1529 fino al 1546-1547, anno supposto della morte (4). -
Lotto 30 CRESPINA
FAENZA, TERZO QUARTO DEL SECOLO XVI
Maiolica dipinta in policromia con giallo, giallo arancio, blu di cobalto, verde rame, bruno di manganese.
Alt. cm 5,8; diam. cm 24,8; diam. piede cm 9,5.
MOULDED BOWL (CRESPINA)
Faenza, third quarter of 16th century
Earthenware, covered with a crackled white glaze with a light-bluish tinge and painted in yellow, orange-yellow, cobalt blue, copper green, and manganese
H. 5.8 cm; diam. 24.8 cm; foot diam. 9.5 cm
Coppa con umbone centrale rilevato, tesa baccellata a conchiglia e orlo sagomato. La coppa poggia su alto piede, tagliato all’altezza dell’orlo, che risulta pertanto dritto e non aggettante. La forma, altresì nota come “crespina” dall’andamento ondulato dell’orlo, è decorata a policromia sulla tesa con motivo “a quartieri” con settori di forma romboidale, alternati a piccoli petali, disposti simmetricamente attorno all’umbone centrale, che mostra entro una cornice poligonale un amorino in un paesaggio montuoso.
Entro le riserve sono dipinti tralci fogliati, foglie stilizzate e delfini su fondo arancio, verde e blu. Sul retro un motivo a corolla nei colori blu e giallo arancio si dispone simmetricamente a ornare le pareti della coppa.
Si tratta di una crespina “a quartieri”, tipica della produzione faentina, che ebbe grande successo intorno alla metà del Cinquecento. I caposaldi cronologici di questa produzione ci derivano da esemplari datati, e sono stati ampiamente studiati da Carmen Ravanelli Guidotti nel Thesaurus (1) della maiolica di Faenza: si tratta di esemplari che vanno dal 1538 (2) fino al 1547 (3). Questa tipologia decorativa perdura parallelamente all’insorgere della moda dei “ bianchi” ed è rappresentata insieme con le coppe compendiarie nelle principali botteghe e almeno fino al 1575 nella bottega Utili (4).
Numerosi sono gli esemplari di confronto: simile per impostazione la coppa della collezione del Banco di Sicilia (5), che sottolinea la tematica amatoria del decoro con la scritta “ non la lassa ”, che sottintende la frase “ Amor non la lascia ”, ma anche la coppa del Museo del Louvre con un amorino in corsa (6) o quella del Museo di Sévres con variante di forma e disposizione del decoro (7). Un’altra crespina con un putto inserito in un paesaggio “già di gusto compendiario” è conservata al Victoria and Albert Museum (8) e, se accostata alla nostra, mostra una disposizione della cromia invertita con predominanza di arancio rispetto alla maggiore concentrazione di blu di cobalto nei “ quartieri” del nostro esemplare.
Ci pare infine di ravvisare una particolare vicinanza stilistica nella crespina con putto nell’umbonatura centrale del Museo Civico di Pesaro, già pubblicata come esempio del genere “a quartieri” nel volume sulla maiolica in Italia di Giovanni Conti (9).
1-RAVANELLI GUIDOTTI 1998, p. 378 n. 94.
2-Crespine del Museo Correr di Venezia.
3- La crespina del Museo Civico di Pesaro (MANCINI 1979, n. 198).
4- RAVANELLI GUIDOTTI 1998, pp. 379-380 n. 95.
5-RAVANELLI GUIDOTTI in AUSENDA 2010, p. 126 n. 47.
6-GIACOMOTTI 1974, n. 952.
7-GIACOMOTTI 1974, n. 954.
8-RACKHAM 1977, inv. 1807-1855.
9-CONTI 1973, n. 190.
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Lotto 31 CRESPINA
FAENZA, TERZO QUARTO DEL SECOLO XVI
Maiolica dipinta in bicromia con azzurro e giallo su smalto bianco in un ricco e spesso strato.
Alt. cm 7,6; diam. cm 31; diam. piede cm 14
Sul retro iscrizione “ VR AF ” sormontata da omega, delineata in blu
MOULDED BOWL (CRESPINA)
Faenza, third quarter of 16th century
Earthenware, covered with a thick white tin glaze and painted in light blue and yellow
H. 7.6 cm; diam. 31 cm; foot diam. 14 cm.
On the back, inscription in blue ‘VR AF’ surmounted by omega.
La coppa ha un umbone centrale rilevato, tesa baccellata a mascheroni e orlo sagomato. Poggia su alto piede appena aggettante. La forma a “crespina” è simile a quella dell’esemplare che segue (lotto 32) dal quale si distingue per la sagomatura, modellata con mascheroni, poco leggibili per l’alto spessore dello smalto, al posto delle conchiglie.
Il decoro, realizzato secondo i dettami dello stile compendiario, utilizza pochi colori standardizzati: blu, giallo e giallo arancio su uno spesso smalto bianco e lucente, volutamente scelto come colore che maggiormente richiama l’argento. Questo deriva proprio dal progetto produttivo del periodo, che trae a stampo le forme mutuandole direttamente dai modelli metallici; idea che perdurerà per tutto il secolo.
L’opera mostra al centro dell’umbone uno stemma con leone rampante delineato in giallo arancio su fondo giallo antimonio più chiaro. Sulla tesa, a completamento dell’ornato, corre una ghirlanda di fioretti a campanula dalla foggia arrotondata e foglie, collegati fra loro da una girale sottile dipinta in blu. I pigmenti sono applicati in abbondanza fino a ottenere quasi un effetto di rilievo nelle parti in giallo ferraccia utilizzato per simulare il rosso.
Le cavillature sottilissime presenti nello smalto ne denunciano lo spessore volutamente abbondante, indice di un prodotto particolarmente ricercato, come confermato dall’apposizione sul retro, sotto il piede, della sigla “ VR AF” sormontata da omega. È questa la sigla attribuita alla bottega di Virgiliotto Calamelli che sappiamo attiva dal 1531 al 1579, per circa nove anni dopo la morte del maestro.
Interessante al fine della comprensione di questa tipologia di opere l’elenco della produzione della bottega, Descriptio , in data 1556, dal quale si evince come la tipologia compendiaria fosse molto rappresentata nella produzione della bottega e ci dia “la misura della solidità e dell’ampiezza della bottega Calamelli”. Il repertorio della bottega Calamelli è molto diversificato e comprende busti all’antica, amorini, figure di guerriero, ma anche raffigurazioni istoriate, più o meno complesse fino all’istoriato policromo vero e proprio.
La raffigurazione degli stemmi nobiliari s’inserisce appieno in questo repertorio e alcuni esemplari con questo tipo di decoro sono stati pubblicati nel volume monografico sui Bianchi di Faenza di Carmen Ravanelli Guidotti: ad esempio la crespina, di foggia più semplice, con stemma del vescovo Annibale Grassi, e quella con uno stemma non identificato, sormontato da cherubino.
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Lotto 32 COPPA O CRESPINA
FAENZA, TERZO QUARTO DEL SECOLO XVI
Maiolica con impasto giallo camoscio rosato, dipinta in bicromia con azzurro e giallo su smalto bianco.
Alt. cm 7,5, diam. cm 29, diam. piede cm 15.
Sotto il piede n. 299 dipinto in rosso.
MOULDED BOWL (CRESPINA)
Faenza, third quarter of 16th century
Earthenware, covered with a white tin glaze and painted in light blue and yellow
H. 7.5 cm; diam. 29 cm; foot diam. 15 cm
Beneath the base, number ‘299’ hand-written in red
Coppa con umbone centrale rilevato, tesa baccellata a conchiglie e orlo sagomato. La coppa poggia su alto piede appena aggettante. La forma a “crespina” ricorda quella dell’esemplare precedente (lotto 31) da cui si distingue per la maggior leggibilità dello stampo attraverso lo smalto bianco spesso, ricco e lucente, che vede affiancati alle conchiglie dei bei mascheroni a rilievo distribuiti lungo l’orlo.
In comune con il lotto precedente anche il decoro con i colori tipici del cosiddetto “periodo compendiario”, che ha determinato gran fama per le botteghe della città romagnola.
L’opera mostra al centro dell’umbone una figura femminile che avanza sostenendo una colonna e sullo sfondo un paesaggio montano di grande impatto. La figura è attorniata da una decorazione a mazzi di foglie sparsi disordinatamente sulla tesa salvo alcuni ciuffi fogliati, di colore azzurro collocati in quattro punti simmetrici.
Si tratta della rappresentazione della Forza, secondo la raffigurazione cristiana, che la vede come una virtù vincitrice sull’istinto brutale e sulle false divinità. La sua personificazione è una donna recante una colonna, di solito spezzata, per collegamento con la vicenda di Sansone (1), distruttore del tempio.
Un primo confronto ci viene fornito da una coppa della bottega Enea Utili (2), nella quale si scorge una figurina maschile che avanza con passo svelto. L’opera, diversa per stile pittorico, ci fornisce un’idea della sintassi decorativa in uso nella bottega faentina, con ciuffi di fiori sparsi sulla tesa. Assai simile invece il decoro secondario che leggiamo sui vasi da farmacia, raggruppati da Carmen Ravanelli Guidotti attorno ai due albarelli del Museo Internazionale della Ceramica di Faenza (3) ancora non ascritti a una bottega certa e databili alla fine del secolo. Non riscontriamo invece alcuna somiglianza stilistica nelle figure principali, che mostrano uno stile molto caratterizzato, in contrasto con la nostra figurina che è invece tradizionale e delicata, nonostante la forza decorativa del paesaggio di sfondo.
L’impostazione del decoro, le modalità stilistiche, la grande qualità tecnica sia dello stampo che dello smalto, e la ricercatezza nell’impostazione del decoro ci confermano, comunque, la provenienza di quest’opera da una bottega faentina della seconda metà del XVI.
1- GIUDICI, 16, 29
2- RAVANELLI GUIDOTTI 1996, p. 244 n. 56.
3-RAVANELLI GUIDOTTI 1996, pp. 368-371 n. 94, n. 56, ora conservata alla Pinacoteca di Varallo Sesia (ANVERSA 2004, p. 102 n. 42).
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Lotto 33 COPPA
CASTELDURANTE , 1535
Maiolica, dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno.
Alt. cm 5,5 , diam. cm 23, diam. piede cm 12 .
Sul fronte entro cartiglio in caratteri capitali “ Battista ”.
SHALLOW BOWL
CASTEL DURANTE, 1535
Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white
H. 5.5 cm; diam. 23 cm; foot diam. 12 cm
On the front, in a cartouche, inscription in capital letters ‘BATTISTA’.
La coppa ha cavetto concavo con tesa alta terminante in un orlo sottile arrotondato e larga tesa appena inclinata. Poggia su un piede alto dall’orlo appena estroflesso.
Il ritratto nel piatto è realizzato di fronte: la giovane donna indossa una camicetta plissettata chiusa al collo da un gallone ricamato, e s’intravede appena un bustino giallo ocra chiuso sul seno da un laccio. Lo sguardo è rivolto verso il basso e la piccola bocca è chiusa. I capelli, raccolti sulla nuca, sono trattenuti da un nastro arancio dal quale scendono alcuni sottili nastri che cadono a lato del volto.
Dietro il ritratto appare un cartiglio che si srotola sinuosamente e che reca la scritta BATISTA .
Anche questa coppa, come quella che segue (lotto 34), appartiene alla tipologia delle “belle” e condivide con essa anche il confronto tipologico stilistico con la coppa del Museo di Lione (1). La grande perizia tecnica nella stesura dei colori è ben esemplificata nel modo di realizzare i nastri che scendono dal capo: sono assai sottili e realizzati a risparmio rispetto al blu dello sfondo, che è steso con pennellate parallele molto fitte e continue. La perizia dell'autore ben si evince anche dalla stesura di sottili tocchi di bianco di stagno , a dare luce ai tratti del volto.
Il confronto più prossimo alla nostra coppa ci deriva da un esemplare morfologicamente affine, oggi conservato al Victoria and Albert Museum (2) , nel quale il ritratto femminile, raffigurato di fronte, è decorato a lustro metallico in un tono giallo oro: la coppa è attribuita a Casteldurante, inserita tra le opere lustrate a Gubbio (3) in un ambito cronologico compreso tra il 1535 e il 1540, e reca alle spalle della “bella” la scritta “ amaro chi me amara ”. Lo stile delle due figure è, a nostro avviso, sovrapponibile, salvo alcuni particolari nella scelta della raffigurazione, di fronte e con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, e l’applicazione del lustro che, oltre a lumeggiare il ritratto, si estende nella scritta e decora lo sfondo blu con stelle. Coincide anche la rappresentazione della veste e del sottile nastro, che scende dalla larga fascia che ferma l’acconciatura, e la forma dell’orecchio.
La coppa è stata esposta alla mostra culturale “Belle, bellissime su maiolica” tenutasi a Verona parallelamente alla V Biennale antiquaria Tesori dal tempo nella primavera del 2001 (4).
1-GHERARDI-FIOCCO 2001, p. 207 n. 141.
2-RACKAHAM 1977, p. 237 n. 716 (Inv. 8886-1863).
3-Una più recente ipotesi suggerisce che fossero i lustratori eugubini a spostarsi nel ducato per lustrare le opere e non il contrario (FIOCCO-GHERARDI 2007).
4- “Ceramica Antica” XI, n. 4, 2001, p. 6.
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Lotto 34 COPPA
CASTELDURANTE O URBINO E DUCATO, 1540 CIRCA
Maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno.
Alt. cm 6, diam. cm 22 , diam. piede cm 10,5 .
Sul fronte entro cartiglio in caratteri capitali LUCIA. BE[LLA] .
SHALLOW BOWL
CASTEL DURANTE OR URBINO OR URBINO DISTRICT, C.1540
Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, blackish and brownish manganese, and tin white
H. 6 cm; diam. 22 cm; foot diam. 10.5 cm
On the front, in a cartouche, inscription in capital letters ‘LUCIA. BE[LLA]’
La coppa presenta corpo concavo con tesa alta terminante in un orlo sottile arrotondato e poggia su un piede basso.
Sul fronte un bel ritratto femminile di faccia, alle spalle del quale si snoda un cartiglio che reca la scritta LUCIA. BE[LLA] , a indicare il nome della protagonista. La giovane donna è dipinta con il volto verso lo spettatore, il busto è compresso nel piatto e indossa un peplo all’antica, drappeggiato e fermato sulle spalle, appena visibili attraverso i panneggi, da due fermagli rotondi di color verde. Lo sguardo è rivolto a sinistra, la bocca chiusa e atteggiata a un sorriso un poco trattenuto; attraverso la folta capigliatura di colore fulvo, raccolta in una morbida acconciatura sul capo, si scorge un orecchio.
La coppa appartiene alla tipologia delle “belle” , utilizzate com’è noto per celebrare le future spose da parte del promesso , o come dono di fidanzamento.
Questa coppa trova numerosi confronti in collezioni private e pubbliche: fra queste indichiamo quella con figura femminile del Victoria and Albert Museum (1), il bel ritratto di “Girolama” in una coppa conservata al Museo del Louvre , anche se forse più leggero nel tratto , soprattutto nel modo di trattare la capigliatura, rispetto alla coppa in esame, e anche la coppa con ritratto di “Bartolomea” del Metropolitan Museum of Art di New York , databile attorno agli anni 1525-1530 , che condivide con il nostro esemplare la resa dello sguardo e alcune particolarità tecniche (2) .
Particolarmente vicino per il modo di trattare l’incarnato con tecnica di velature di bianco su bianco, bistro e tocchi di arancio, per la resa degli occhi con l’interno sottolineato da una zona rosata e le ombreggiature sottilissime in bianco, ma anche per i capelli raccolti sulla nuca e altro ancora , è il frammento di coppa conservato al Bargello a Firenze e datato 1546 (3) .
Non lontano dal nostro ritratto è quello di “Dianora bella” del Museo di Lione (4) , simile per la medesima impostazione del ritratto che interessa l’intera coppa , per la sapiente capacità tecnica nella resa dell’incarnato, per il modo di sottolineare il naso solo nella parte terminale lasciando al gioco cromatico il compito di delinearne la forma e infine per il medesimo modo di far cadere alcuni ciuffi arricciati delineati con un sol tocco di pennello .
Anche alla luce di questi confronti ci sembra pertanto corretto inserire quest’opera nella produzione durantina della metà circa del secolo XVI.
La coppa è stata esposta alla Mostra culturale “ Belle, bellissime su maiolica ” che si tenne a Verona parallelamente alla V Biennale antiquaria Tesori dal tempo nella primavera del 2001 (5)
1-RACKHAM 1977, p. 186 n. 554 (Inv. 8930-1863), per il quale viene indicata una produzione durantina e una datazione attorno al 1530 circa
2- Lehamann Collection, inv. 1975.1.1103.
3- CONTI 1971, n. 466.
4- GHERARDI-FIOCCO 2001, p. 207 n. 141.
5-“Ceramica Antica” XI, n. 4, 2001, p. 6.
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Lotto 35 MATTONELLA DA PAVIMENTO DELLO STUDIOLO DI ISABELLA D’ESTE, PESARO BOTTEGA DI ANTONIO FEDELI (1493-1494)
Terracotta smaltata sul fronte e decorata in manganese nei toni del nero e del bruno violaceo, giallo ocra e blu di cobalto.
Cm 23,5x23,5x4,5.
FLOOR TILE FROM THE STUDIOLO OF ISABELLA D’ESTE
Pesaro, workshop of Antonio Fedeli, 1493–94
Earthenware, glazed on the front and painted in blackish manganese, manganese purple, ochre yellow, and cobalt blue
23.5 x 23.5 x 4.5
La mattonella ha forma quadrata e buono spessore, il fronte è smaltato e decorato. Al verso è presente un profondo solco a forma di cerchio, espediente, questo, utilizzato per far asciugare prima la mattonella, per alleggerirla nel trasporto e per assicurarne un miglior ancoraggio al momento della posa.
La decorazione mostra un sole i cui raggi s’intrecciano a un cartiglio svolazzante che reca la scritta in blu di cobalto “ PER UND/IXIR ” in caratteri capitali: la profondità delle pieghe del cartiglio è ben realizzata grazie a sottili righe di ombreggiatura.
Il sole è dipinto in bruno di manganese, con un volto antropomorfo che s’intravede tra le larghe pennellate di manganese, che danno spessore alla sfericità dell’astro. Anche i raggi hanno uno spessore tridimensionale, sono a forma di cono e dipinti in giallo ocra e bruno di cobalto; intorno il calore irradiato è realizzato con elementi sinuosi. Lo smalto è povero e friabile, color crema, e mostra difetti di cottura, bolliture e puntinature.
La mattonella appartiene a una serie assai celebre, oggi custodita tra i principali musei del mondo (1), coerente per materia, dimensioni e decoro. Le mattonelle, di grande qualità artistica, appartenevano al pavimento che Giovanni Sforza fece realizzare per il cognato Francesco II Gonzaga e per la moglie Isabella d’Este per un camerino della Villa di Marmirolo (2). Dai documenti d’archivio sappiamo che Giovanni Sforza, Signore di Pesaro, aveva ordinato una grande quantità di mattonelle “quadrelle” secondo i desideri della cognata, che aveva precedentemente inviato il disegno del progetto decorativo (3). Le “quadrelle” arrivarono da Pesaro il 1° giugno e il 9 luglio del 1493 erano già in posa, come si evince da una lettera di Isabella d’Este, che ringrazia entusiasta il cognato.
Il pavimento reca le imprese dei Gonzaga e costituisce, anche grazie al corredo documentario che le accompagnano, un elemento cardine per gli studi sulla cultura del periodo.
La mattonella in oggetto riporta il motto “ PER UN DIXIR ”, motto di Ludovico II, e anche le altre mattonelle delle serie raccontano la storia dei Gonzaga attraverso le loro imprese: i leoncini di Boemia alludono al titolo conquistato dal Marchese Gianfrancesco nel 1433; la tortora sul nido e il motto “ VRAI AMOUR NE SE CHANGE ”, unitamente alla mattonella con il sole, si riferiscono al Marchese Ludovico; la cerva con il motto “ BEDERCRAFT ” si riferisce a Francesco I (1382-1407); lo scoglio con il diamante e il motto “ AMUMOK ” è stato interpretato come omaggio a Francesco I. E infine le imprese più antiche: il cane vigilante, la museruola con il motto “ CAUTIUS ”, la manopola con “ buena fè non es mudable ” in diverse versioni.
Lo studiolo di Isabella fu uno dei luoghi più preziosi del Rinascimento, ricco di opere artistiche realizzate dai più valenti autori del periodo. -
Lotto 36 Tondino
Ducato di Urbino, 1525-1530
Maiolica dipinta in policromia nei toni del giallo, blu, verde, bianco.
Alt. cm 2,6; diam. cm 21,6; diam. piede cm 5,8.
Sul retro una piccola etichetta con la scritta in corsivo “2.3.36 This is property of Mrs Jean Douglas ER” , un’etichetta scritta in inchiostro “ 5892 ” e un’altra etichetta con n. 48 a stampa.
Armorial Plate (tondino)
Faenza or Urbino district, 1525–30
Earthenware, covered with a thick and vitreous glaze and painted in yellow, blue, green, and white
H. 2.6 cm; diam. 21.6 cm; foot diam. 5.8 cm
On the back, small label hand-written ‘2.3.36 This is property of Mrs Jean Douglas ER’; label hand-written in ink ‘5892’; printed label ‘48’
Il piatto, poggiante su piede ad anello appena accennato, mostra un cavetto profondo e separato dalla tesa da una sottile linea blu che ne delimita lo stacco. Esso è occupato da uno stemma con cinque monti sormontati da tre fiori di papavero sfioriti in campo giallo, che galleggia in un paesaggio di sfondo con una base verdeggiante all’esergo e alcuni monti appuntiti all’orizzonte, il cielo reso da sottili linee in azzurro diluito, mentre intorno allo stemma svolazza un nastro piatto con andamento sinuoso. Lo stemma non è stato identificato.
La tesa è interamente occupata da un motivo “alla porcellana”, centrato nei punti cardinali da quattro cartigli intervallati da un motivo tondeggiante che ricorda un melograno: la decorazione è qui realizzata in monocromia blu di cobalto, che spicca sullo smalto bianco latte, spesso e vetroso. L’orlo è delimitato da due linee concentriche anch’esse blu. Il retro invece non presenta decorazioni.
Il piatto proviene dalla collezione Murray (1), dove era classificato e collocato tra le opere di Faenza e datato all’incirca al 1525 (fig 1). Nella stessa collezione si nota la presenza di altri piatti stemmati, attribuiti a differenti manifatture, ma alcune di queste opere, per quanto si possa desumere dalla visione fotografica in bianco e nero, sembrano mostrare caratteristiche morfologiche e scelte decorative simili; tra esse, un piatto con decoro della tesa a trofei (2) mostra nel cavetto uno stemma di forma simile al nostro, che poggia su una base collinare e ha sullo sfondo un cielo sfumato. Il piatto è stato a suo tempo attribuito a bottega durantina del 1530 circa.
Il paesaggio di sfondo e la rigida forma dello scudo, decorata da un motivo trilobato sulla cuspide, accompagnato da nastri svolazzanti, piatti e spesso terminanti in due capi, sono tutte caratteristiche che ci permettono di avvicinare la nostra opera ad altre simili, le quali, però, mostrano tutte scelte decorative della tesa molto differenziate. Tra queste un tondino con tesa decorata “in bianco sopra bianco” “alla porcellana” del British Museum (3)mostra una tecnica decorativa per riempire il fondale dietro lo scudo molto vicina al nostro esemplare: si differenzia per una ulteriore colorazione del cielo con del giallo per rendere una luce serotina. Il piatto è attribuito al Ducato di Urbino attorno al 1530.
Il confronto con un esemplare che mostra una scelta decorativa differente può spiegare l’attribuzione generica ad area urbinate: si tratta di un piatto del Victoria and Albert Museum (4) con una tesa decorata “alla porcellana”, ma su fondo blu e con decoro in lustro rosso, che porta al centro uno stemma di fattura semplice e con sfondo paesaggistico coerente con il nostro; tale piatto è attribuito a Gubbio e datato 1531.