Importanti Dipinti Antichi
-
Lotto 85 Collezione indivisibile di undici dipinti provenienti da Palazzo Sansedoni di Siena
(11)
Nucleo notificato con decreto della Direzione Regionale della Toscana n. 321/2014, Firenze, 24 luglio 2014
Il lotto qui proposto, proveniente dallo storico Palazzo Sansedoni di Siena, si compone di undici dipinti che per lo più si possono rintracciare citati nell'inventario dei beni del Cav. Ottavio Sansedoni redatto il 5 luglio 1773, a poco più di un mese dalla sua morte. Nella sua globalità la collezione Sansedoni (iniziatasi a formare fin dal XVI secolo) era composta da dipinti, sculture, bassorilievi, nonchè busti in marmo, tappezzerie, porcellane e disegni anche se a farla da padrona era la scuola pittorica senese cinque-seicentesca grazie a dipinti attribuiti a Baldassarre Peruzzi, Beccafumi, Francesco Rustici e Rutilio Manetti. (cfr: L. Bonelli, Palazzo Sansedoni, a cura di Fabio Gabbrielli, Siena 2004, pp. 479-480)
a) Giovanni Domenico Ferretti
(Firenze 1692-1768)
I COMMENTATORI DI CICERONE
olio su tela, cm 171x139
firmato e datato "Gio Ferretti Fe / 1748"
Bibliografia: L. Bonelli, op. cit., pp. 479-486
L'importante dipinto qui proposto risulta citato nell'inventario del 1773: "Due quadri un poco più grandi (di "circa braccia tre") con cornici dorate e gialle uno esprimente li Commentatori di Seneca, copia del Ferretti dall'originale di Rubens, l'altra li Commentatori di Cicerone originali del Ferretti".
La tela in questione, come indicato nella relazione storico-artistica a cura di Alessandro Bagnoli, che era a pendant con la copia dal Rubens, riveste un particolare interesse sia per l'aspetto artistico sia per il soggetto. Si tratta di un dipinto di alta qualità del pittore fiorentino, che vi ha lasciato la firma e la data sul piccolo calamaio nero posto sopra un libro poggiato sul tavolo. La commissione di quest'opera rivela la cultura classicista del committente, che chiese al pittore di copiare il famoso quadro di Rubens, oggi conservato nella Galleria Palatina a Firenze, per affiancargli un dipinto di analogo soggetto con quattro "commentatori di Cicerone". Questa preziosa indicazione antica porta un utile contributo per definire meglio il soggetto del quadro di Rubens, comunemente indicato come i Quattro filosofi, anche se oggi sappiamo che rappresenta lo stesso Rubens, suo fratello Philippe e gli umanisti Juste Lipse e Jan Woverius. I quattro "commentatori" riuniti attorno al tavolo, analogamente a quanto fanno gli "intellettuali" immaginati da Rubens sotto il busto di Seneca, potrebbero essere identificati come segue: il personaggio in manto rosso e corona di alloro dovrebbe essere Francesco Petrarca, che ottenne l'ambito riconoscimento della laurea poetica in Campidoglio nel 1340 e di cui é noto l'interesse per la prosa di Cicerone e per la riscoperta di gran parte del suo Epistolario. Il 'commentatore' con sopraveste rossa secondo la moda del primo Quattrocento, che é intento a leggere, dovrebbe identificarsi con l'umanista Poggio Bracciolini che recuperò importanti orazioni di Cicerone e lo ritenne uno dei suoi modelli ispiratori. Per il robone ornato di pelliccia e la gorgiera si direbbe che il serio personaggio a sinistra con lo sgardo attento sia uno studioso della fine del Cinquecento; mentre quello con la rigida lattuga bianca potrebbe essere del primo Seicento. E' noto che Ferretti fu uno dei pittori preferiti da alcuni membri di casa Sansedoni, che gli affidarono in vari tempi gli incarichi di affrescare molte stanze del palazzo di famiglia. Il rapporto col pittore iniziò nel 1743. Il dipinto in questione, essendo datato 1748, assieme al suo disperso pendant copiato dal Rubens e a una terza tela di cu -
Lotto 86 Scuola emiliana, sec. XVIII
CUPIDO
olio su tela, cm 65x55 entro cornice antica incisa, intagliata e dorata
-
Lotto 87 Mario Balassi
(Firenze 1604-1667)
SAN PIETRO LIBERATO DALL'ANGELO
olio su tela, cm 141x113 entro antica e bella cornice incisa nella fascia a motivo di volute e perlinature nel riquadro interno
sul retro timbro a ceralacca e numeri 13 e III.
Provenienza: collezione privata
Attribuzione confermata da Sandro Bellesi
Il dipinto qui presentato ripete in formato leggermente ridotto ma senza varianti significative la nota paletta del Balassi firmata e datata del 1653, un tempo nella collezione Rucellai e ora in una raccolta privata fiorentina.
Nonostante la data avanzata, Balassi vi si mostra tuttora legato al naturalismo e ai contrasti di lume di ascendenza caravaggesca sperimentati a Roma nel corso del terzo decennio del secolo, ma qui temperati da un comporre sobrio e monumentale aggiornato sugli esempi di Giovanni Martinelli e Vincenzo Dandini. Inciso da Lastri nell’Etruria Pittrice, il San Pietro fu senza dubbio uno dei dipinti di maggior successo dell’artista fiorentino.
Bibliografia di confronto: Luce e ombra. Caravaggismo e naturalismo nella pittura toscana del Seicento. Catalogo della mostra a cura di Pierluigi Carofano, Pisa 2005, pp. 84-85, n. 29. -
Lotto 88 Pier Dandini
(Firenze 1646-1712)
ERMINIA E I PASTORI
olio su tela, cm 122x173
Opera notificata con decreto del Ministro per i Beni Culturali e Ambientali, Firenze, 4 luglio 1991
Bibliografia: S. Bellesi, Ottaviano Dandini o l’epilogo di una dinastia di pittori fiorentini, in Paragone, 51, 33/34, 2001, pp. 87-118, cit. p. 88; F. Baldassari, La pittura del Seicento a Firenze. Indice degli artisti e delle loro opere, Torino 2009, p. 286 (non riprodotto)
Il dipinto qui presentato fu ricondotto alla mano di Pier Dandini da Bruno Santi che nella relazione storico-artistica del decreto ministeriale ne evidenziava il modo franco e veloce della tecnica pittorica e le fisionomie tondeggianti.
Il soggetto della tela, tratto da un episodio di Torquato Tasso della Gerusalemme Liberata (VII, 5-7), che ebbe ampia diffusione nella pittura italiana del Seicento, viene utilizzato dal pittore, che rappresenta la figura di Erminia con elmo, corazza e scudo da un lato e dall'altro il gruppo dei pastori, per effigiare alcuni membri della sua famiglia quasi come una sorta di "ritratto di famiglia".
Tale importanza del dipinto grazie alla presenza di questi ritratti é stata messa in luce da Sandro Bellesi in un contibuto sul pittore Ottaviano Dandini, figlio primogenito del pittore e di Maria Brigida Ciocchi nato nel 1681. L'unica effige dell'artista in età adolescenziale é da riconoscersi infatti nel nostro dipinto, eseguito all'inizio degli anni novanta, in cui il grazie al supporto di documenti d'archivio e fonti bibliografiche, é stato identificato con il giovane con mandolino. Al centro i ritratti di Piero e della moglie Brigida, nella bimba con tamburello é stata riconosciuta la sorella Anna Maria mentre più incerto appare il riconoscimento del bambino più piccolo con il con il piffero, raffigurante il figlio Valentino o Vincenzo nati rispettivamente nel 1684 e nel 1686.
-
Lotto 89 Bernardo Canal
(Venezia 1674-1744)
VEDUTA DI PIAZZA SAN MARCO VERSO LA CHIESA DI SAN GERMINIANO
VEDUTA DELLA PIAZZETTA DI SAN MARCO VERSO SUD, CON LE COLONNE DI S.MARCO E DI S. TEODORO
coppia di dipinti ad olio su tela, cm 55x80 ciascuno
(2)
La coppia di vedute qui presentate possono senz’altro ascriversi al catalogo di Bernardo Canal, padre e, curiosamente, seguace di Antonio, universalmente noto come “il Canaletto”.
Pittore di scenografie teatrali, e come tale ricordato dai documenti come dalle principali fonti settecentesche a partire da Anton Maria Zanetti, che nel 1777 lo nomina come “pittore di teatro”, Bernardo Canal si arrese anche lui al nuovo genere della veduta di soggetto veneziano, inaugurato alla fine del Seicento da Gaspar van Wittel e rinnovato in maniera geniale da suo figlio Antonio, che per amore della veduta dichiarò di avere “scomunicato” il teatro.
Si deve a Rodolfo Pallucchini una prima ricostruzione dell’esiguo catalogo di Bernardo Canal, tutto appoggiato alla firma e alla data “Bernardo Canal fecit 1735” presenti al verso di due vedute veneziane, il Molo e Piazza San Marco, esposte a Venezia nel 1947. Alla stessa serie di cinque vedute, un tempo in palazzo Salom a Venezia e poi presso un erede della medesima famiglia nei pressi di Lucca, appartenevano altri soggetti veneziani indipendenti nella loro composizione dalle vedute del Canaletto sebbene costruite sul suo rigoroso telaio prospettico.
Come i dipinti qui offerti, le tele documentate di Bernardo Canal sono caratterizzate da una gamma cromatica vivace ma fredda e da un’attenzione per le “macchiette” che animano la scena quasi ridondante, e in qualche modo reminiscente dell’esempio di Luca Carlevarijs. Come nelle tele firmate, nuvole sfrangiate solcano il cielo nelle nostre vedute, anch’esse caratterizzate dagli stessi colori vivaci e in qualche modo discordanti, comuni anche a quelle del Richter.
-
Lotto 90 Pittore veronese, sec. XVII
SAN SEBASTIANO CURATO DALLE PIE DONNE
olio su tela, cm 74,5x122
-
Lotto 91 Attribuito a Pietro Liberi
(Padova 1605-1687)
FIGURA FEMMINILE ALLEGORICA CON PUTTI
olio su tela, cm 67,5x163 entro cornice in legno intagliato a festoni di frutta e foglie
-
Lotto 92 Giovanni Ghisolfi
(Milano 1632-1683)
CAPRICCIO CON ROVINE
olio su tela, cm 75x61
Bibliografia: A. Busiri Vici, Giovanni Ghisolfi (1623-1683). Un pittore milanese di rovine romane, Roma 1992, p. 140, n. 96 ill
-
Lotto 93 Adriaen van der Cabel
(Rijswijk 1630/31-Lione 1705)
MARINE
coppia di dipinti ad olio su rame, cm 17,5x26,5 ciascuno
(2)
-
Lotto 94 Fabrizio Boschi
(Firenze 1572-1642)
CRISTO SPOGLIATO DELLE VESTI
olio su tela, cm 187x112
Esposizioni: Fabrizio Boschi, pittore di “belle idee” e di “nobiltà di maniera”. Firenze, Casa Buonarroti, 26 luglio – 13 novembre 2006, n.8.
Bibliografia: R. Spinelli, Fabrizio Boschi (1572-1642) pittore barocco di "belle idee" e di "nobilità di maniera", catalogo della mostra, Firenze 2006, pp. 78-79, n.8
Reso noto da Riccardo Spinelli in occasione dell’ esposizione monografica dedicata al pittore fiorentino, il dipinto qui offerto é stato datato dallo studioso intorno alla metà del primo decennio del Seicento, e posto in relazione, per quanto ipotetica, con un passo di Filippo Baldinucci che, nella “vita” di Fabrizio Boschi, citava una serie di tele da lui eseguite dedicate ai diversi episodi della Passione.
Come riferito oralmente da Carlo Del Bravo, cui si deve l’attribuzione, il presente dipinto era un tempo in serie con un Cristo alla colonna siglato, comparso sul mercato antiquario negli anni Settanta, che della tela qui offerta costituiva per l’appunto l’immediata prosecuzione sotto il profilo narrativo. Il nostro dipinto mostra infatti un episodio raramente, o forse mai proposto in queste dimensioni dalla pittura seicentesca, Gesù Cristo spogliato in vista appunto della sua flagellazione: e una scelta così inconsueta e specifica rafforza senz’altro l’ipotesi di appartenenza a un ciclo dedicato alla Passione, quasi si trattasse della versione ingrandita della serie dei Misteri Dolorosi.
Con una partecipazione emotiva in qualche modo eccezionale a Firenze, e un pathos che richiama piuttosto la devozione dei pittori lombardi di primo Seicento, Fabrizio Boschi sottolinea il contrasto tra il volto dolente del Cristo e le fisionomie caricate e quasi bestiali dei suoi tormentatori, il pallore della sua figura emaciata e il bagliore rosato della veste sfilata con prepotenza. La drammaticità della scena é dunque il principale motivo dell’abbandono, da parte del Boschi, dei colori squillanti e degli accordi raffinati che solitamente lo distinguono. Anche in questo senso, i confronti più convincenti devono stabilirsi con la nota pala nella Certosa di Galluzzo, che in modo altrettanto drammatico raffigura la separazione dei Santi Pietro e Paolo, avviati ai rispettivi martiri. La data del 1606 documentata per questo dipinto può quindi senza dubbio valere quale riferimento cronologico per il nostro.
-
Lotto 95 Giovanni o Nicolò Stanchi
(Roma 1608 - dopo il 1673; 1623 – 1690 circa)
FIORI IN UN VASO IN METALLO, CON MAZZO DI ANEMONI SU UN PIATTO
VASO DI ANEMONI, GIGLI E TULIPANI, CON ROSE SU PIANO DI PIETRA
coppia di dipinti ad olio su tela ottagonale, cm 53,5x89,5 ciascuno
(2)
Provenienza: asta Londra, Phillip’s, 5 luglio 1994, n. 50 a-b
Bibliografia: G. Sestieri (a cura di), Dipinti italiani ed europei del XVII e XVIII secolo. Galleria Cesare Lampronti, Roma 1996, pp. 40-41, nn. 23-24; L. Ravelli, Stanchi dei fiori, Bergamo 2005, p. 87, nn. 79-80; S. Proni, La famiglia Stanchi, in G. Bocchi - U. Bocchi, Pittori di natura morta a Roma. Artisti italiani 1630-1750, Viadana 2005, p. 257, figg. FS 16-17
Passati in asta a Londra come opera di Giacomo Recco e ricondotti più correttamente all’ambiente romano, sebbene sotto il nome di Abraham Brueghel, in occasione della mostra tenuta a Roma da Cesare Lampronti, i dipinti qui esaminati sono stati restituiti da Lanfranco Ravelli alla produzione dell’atelier della famiglia Stanchi, come successivamente confermato da Silvia Proni.
Il lungo saggio della Proni, corredato da un regesto di documenti e da citazioni inventariali, ricostruisce in maniera capillare e del tutto convincente la produzione di una delle principali botteghe romane del Seicento, specializzata in dipinti di fiori e frutta (occasionalmente, anche di animali e selvaggina) ricercati dalle più importanti famiglie dell’aristocrazia, dai Colonna, ai Chigi, ai Rospigliosi, e presenti fin dalla fine del secolo nelle raccolte medicee.
Punto di partenza per la ricostruzione del corpus riferito agli Stanchi, le magnifiche specchiere eseguite da Giovanni nel 1670 per la galleria di palazzo Colonna in collaborazione con Carlo Maratta (Ghirlanda di fiori con quattro putti; e Vaso di fiori con cinque putti), in competizione con Mario dei Fiori, autore delle altre a due; per quanto riguarda Nicolò, il fratello minore titolare della bottega dopo la morte di Giovanni, gli specchi in palazzo Borghese, eseguiti nel 1675 in collaborazione con Ciro Ferri. A questi si aggiungono la coppia di festoni di fiori nella Pinacoteca Capitolina, dalla collezione Sacchetti, pagati a Pietro da Cortona, e per lui a “Stanchi”, nel 1651 (replicate in due tele a palazzo Pitti), e una serie di sei piccole tele documentate di Nicolò per il cardinale Flavio Chigi, oggi presso la famiglia Incisa, oltre ad alcune nature morte documentate fin dall’inizio del Settecento nella collezione Pallavicini, ove ancora si trovano.
Estremamente varia per tipologia ma stilisticamente coerente, la produzione degli Stanchi é stata poi suddivisa dalla Proni a seconda dei soggetti proposti: innanzi tutto le ghirlande, legate al modello fiammingo reso celebre a Roma da Daniel Seghers (di cui si conservava un esemplare nella collezione Ludovisi, censito nell’inventario del 1618) e probabilmente in gran parte riferibili al solo Giovanni; i sontuosi bouquets entro vasi in metallo istoriato, sull’esempio di quelli, celebri, di Mario dei Fiori; composizioni di fiori e frutta su sfondo di paesaggio, talvolta con la presenza di figure femminili come nelle scene di vita all’aperto di Michelangelo Cerquozzi, a cui in passato sono state attribuite; ricostruzioni ideali di giardini che riproponevano, in tele di grande formato documentate anche negli inventari delle raccolte del cardinal Flavio Chigi e del cardinal Benedetto Panfili, la ricchezza e la varietà dei giardini delle ville romane di quegli stessi committenti, così come possiamo oggi ricostruirne l’aspetto a partire dai documenti e dalle rare illustrazioni.
Tipiche della “bottega Stanchi” nella precisione smaltata dei singoli fiori e nella costante presenza delle rose “antiche”, quasi una sigla dell’atelier, le tele in esame appaiono particolarmente vicine a qu -
Lotto 96 Scuola genovese, sec. XVII
FUGA IN EGITTO
olio su tela, cm 108,5x137