IL CULTO DELL'ARREDO. FASE 4. BASI D'ASTA RIBASSATE
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Lotto 46 Persia occidentale (Ultimo quarto del XX secolo)
Tappeto Senneh
Vello in lana su armatura in cotone con nodo simmetrico
200 x 142 cm
Elementi distintivi: etichetta della Galeria Martinazzo, Montebelluna
Provenienza: Galeria Martinazzo, Montebelluna; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 80%
Stato di conservazione. Superficie: 80% (depositi)
Il campo presenta il caratteristico motivo herati molto fitto dei tappeti Senneh. Si noti l’inserimento di quattro piccole figurine antropomorfe. Tale impianto geometrico contrasta con la bordura decorata a rose di tipo occidentale, cosiddette gol farang, o rosa francese. -
Lotto 48 Leonard van der Vinne (1659 - 1713), ambito di
Scrittoio da centro, ultimo quarto del XVII secolo
Legno ebanizzato, lastronato in palissandro e intarsiato in legno chiaro pirografato; interni in legno di pino e intelaiatura in pioppo
93 x 156,6 x 78,2 cm
Provenienza: Pietro Cantore, Modena, 2010; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 80% (piano con fessurazioni rinforzato nella parte inferiore; fessurazioni lungo le linee di incollaggio delle gambe)
Stato di conservazione. Superficie: 80% (fessurazioni e sollevamenti, con piccole carenze, nelle parti intarsiate; piccoli danni da urto, in particolare ai piedi)
Intarsiatore ed ebanista, il maestro fiammingo Leonard van der Vinne si specializzò nelle tecniche di intarsio, contribuendo a diffondere il gusto per i motivi floreali intarsiati in legno esotico, avorio e madreperla in tutta Europa. Si trasferì in Italia per lavorare nella manifattura dei Medici dal 1659 fino alla sua morte nel 1713. Nell'ultima fase della sua carriera, Van der Vinne collaborò spesso con altri artisti per costruire oggetti intarsiati con pannelli di pietra dura noti come pietre dure.
Lo scrittorio da centro toscano proposto in asta è assai prossimo alla produzione di Van der Vinne.
La datazione all'ultimo quarto del XVII secolo è stata proposta in sede d'asta, confermando la precedente datazione proposta da Pietro Cantore nel 2010. -
Lotto 49 Guido Reni (1575 - 1642)
San Francesco
Olio su tela
183,2 x 136 cm
Elementi distintivi: sul verso, etichetta recente, con riferimento all'opera
Provenienza: Banca Popolare di Asolo e Montebelluna (dal 1993); Veneto Banca SpA in LCA
Certificati: certificato di Paolo Viancini, s.d.; scheda critica di Daniele Benati, del 26 luglio 2021; scheda critica di Massimo Pulini, del 7 agosto 2021
Stato di conservazione. Supporto: 80% (reintelo)
Stato di conservazione. Superficie: 75% (abrasioni, spuliture, integrazioni e ritocchi, anche sul viso del santo)
All’interno di una grotta, San Francesco s’intrattiene in meditazione davanti al Crocifisso legato con una corda al tronco di un arbusto disseccato, al di là di uno sperone roccioso che gli serve da altare e sul quale tiene aperto un libro sacro. A un altro arbusto è appesa la corona del rosario dai grossi grani con appesa una crocetta di legno, mentre a terra stanno abbandonate una rustica ciotola e alcune radici. Quale macabro memento mori, il santo stringe a sé un teschio; ma il suo sguardo non lo incrocia, così come appare disinteressato sia al libro sia al rosario: con la gota appoggiata alla mano destra, fissa gli occhi al Cristo crocifisso, unico oggetto della sua
attenzione. Fuori dalla grotta si apre un vasto paesaggio boscoso, in cui la figuretta di frate Elia, intento alla lettura, si confonde con la vegetazione che si staglia contro la luce del tramonto.
Il bellissimo dipinto appartiene senza dubbio a Guido Reni, trovando immediato riscontro con altre sue opere già note non soltanto per il tipo di composizione, ma soprattutto per la suprema raffinatezza della conduzione pittorica, ineguagliata da nessuno dei suoi allievi, per quanto dotati.
Dal punto di vista compositivo, esso richiama altri celebri quadri con San Francesco in preghiera licenziati da Reni nel corso della sua lunga carriera. L’argomento è del resto tra i più diffusi in ambito seicentesco, e dunque i motivi della grotta, del Crocifisso, del teschio e degli oggetti destinati al frugale pasto del santo sono destinati a ripetersi. Tuttavia, affrontando a più riprese questo soggetto, Guido consegue risultati sempre variati, dimostrando la propria capacità di lavorare “sul tema”, di volta in volta modificandolo e migliorandolo. Lo si nota ponendo a confronto tre versioni di analogo formato, conservate nella quadreria dei padri Girolamini di Napoli (cm 198 x 133), nel Musée du Louvre a Parigi (cm 193 x 128) e nella Galleria Colonna di Roma (cm 196 x 117), che nella propria monografia S.D. Pepper ha datato tutti al 1631, mentre si tratta di risultati da scalare nel tempo.
Sicuramente precoci, dato il forte accento naturalistico che rimanda ancora alle prerogative che connotano la pittura di Reni entro gli anni Venti, sono da considerare i dipinti dei Girolamini e del Louvre, mentre il solo quadro della Galleria Colonna propone la tipologia adottata per il santo di Assisi nel Pallione della peste del 1631 (Bologna, Pinacoteca Nazionale) ed è dunque da considerarsi ad esso posteriore. È infatti a partire da tale dipinto che, secondo quanto racconta Malvasia, Reni avrebbe tenuto a modello “per le faccie de’ Santi Franceschi” la
fisionomia “affettuosa, e divota” dell’amico e sostenitore Saulo Guidotti.
Con gli stessi tratti ascetici – ben riconoscibili nonostante la diversa inclinazione del capo – il santo torna anche nel San Francesco in preghiera qui esaminato, la cui appartenenza agli inoltrati anni Trenta del XVII secolo è peraltro confermata dall’addolcimento della stesura che Guido vi consegue, in ordine a quella progressiva “smaterializzazione” dell’immagine che anima tutta la sua feconda carriera. Rispetto alle versioni note, anche l’atteggiamento con cui il santo è raffigurato punta in direzione di una maggiore introspezione psicologica: il suo muto e addolorato colloquio con il Crocifisso è infatti cosa diversa dall’enfasi con cui, nei quadri dei Girolamini e del Louvre, egli rivolge impetuosamente lo sguardo al cielo portandosi la destra al petto. Da questo punto di vista, la soluzione proposta nel quadro in esame appare più convincente anche rispetto alla versione Colonna, addebitabile in parte agli aiuti, in cui il santo si torce le mani ripetendo alla lettera l’invenzione già utilizzata nel Pallione della peste, dove essa appariva però tanto più necessaria in relazione al tema proposto dal grande dipinto.
È singolare che un simile capolavoro degli anni tardi di Reni sia finora sfuggito all’attenzione della critica: ne erano altresì note svariate copie, di qualità perlopiù modesta ma tali da lasciar supporre che, alla loro origine, ci fosse un “pensiero” dello stesso Reni in stato di grazia. Preso atto dell’altissima qualità dell’invenzione, non si sarebbe però detto tutto, giacché, oltre a essere l’“inventore” di immagini che l’uso fattone in seguito avrebbe reso fin troppo stereotipate e persino banali – si pensi alla sua fortuna nelle immagini dei cosiddetti “santini” ad uso devozionale –, Guido Reni è poi il pittore più grande del suo secolo, un primato che mi pare potergli contendere il solo Diego Velázquez: in fatto di abilità pittorica non vedo infatti chi altri possa eguagliarlo, e sia pure in base a prerogative del tutto diverse dalle sue.
Con un’economia di mezzi davvero impressionante, Reni riesce di fatto a condensare una quantità strabiliante di osservazioni naturalistiche e nello stesso tempo a proiettarle in una dimensione di perfezione ultraterrena: dai lucori degli occhi ai peli della barba sfiorata dalla luce che spiove dall’alto, dalla tessitura dell’umile saio alla superficie polita del teschio, dagli oggetti abbandonati in primo piano alla mirabile apertura di paesaggio, che sembra davvero disfarsi nella luce. Nel dipinto non c’è del resto alcuna pennellata “inutile”; e gli stessi “pentimenti”
nel dorso della mano destra, ad esempio, o nel profilo del teschio – vengono intenzionalmente lasciati a vista, per conferire alla pittura un effetto di maggiore vibrazione. Laddove la luce batte con maggiore insistenza, Guido ricorre poi a una sottile tessitura di pennellate parallele e come ravviate, così da produrre quell’effetto cristallino che gli è proprio e che i copisti cercano invano di imitare.
Siamo cioè di fronte a un esito in cui Guido esplicita al grado più alto la propria propensione per un vero “ideale”, mirato ad estrarre dal dato di natura, indagato peraltro con indicibile sottigliezza, il suo valore eterno e metafisico. Se “vero” e “ideale” erano i termini entro i quali si giocava la poetica dei Carracci, dei quali Reni fu allievo, è nella sua pittura che la bilancia inclina più vertiginosamente verso il secondo termine, così da porlo tra i più alti
interpreti del sentire religioso di tutti i tempi.
Sono molteplici, come si vede, i motivi d’interesse che suscita il dipinto, che vorrei pertanto poter rendere quanto prima noto anche in sede scientifica.
Daniele Benati -
Lotto 50 Persia nord occidentale (III quarto del XX secolo)
Tappeto Goravan
Vello in lana su cotone, con nodo simmetrico
327 x 256 cm
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 80%
Stato di conservazione. Superficie: 80% (leggera sbiaditura)
Riproposizione a fine novecento dei tappeti di Heriz, al tempo molto popolari sul mercato internazionale e prodotti sempre nella stessa area, la Persia nord occidentale. -
Lotto 52 Guerrino Guardabassi (1841 - 1893)
Sul Pincio, 1876
Olio su tela
44,5 x 63 cm
Firma: firma al recto
Elementi distintivi: etichetta e segni di passaggio d'asta Phillips sul telaio e al verso
Provenienza: Phillips, Londra, 24.3.1998, lotto 169; collezione privata
Stato di conservazione. Supporto: 90%
Stato di conservazione. Superficie: 90% -
Lotto 54 Francia (XX secolo), (?)
Tappeto Savonnerie
Lana su armatura di lana, con nodo simmetrico
493 x 403 cm
Provenienza: Raffaele Verolino, Modena, 2011; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 90%
Stato di conservazione. Superficie: 70% (macchie)
Tappeto in stile francese, con richiamo alla produzione del tardo Ottocento, ma realizzato dopo il 1950. Motivo centrale a medaglioni concentrici, circondati da ghirlande di fiori su fondo color beige. Bordura a fondo rosso chiaro con nastri intrecciati. -
Lotto 55 Lucca (II quarto del XVIII secolo)
Coppia di tavoli da muro con specchiere a doppia cornice e cartiglio a tema di animali e sirene
Legno di pioppo intagliato e dorato; vetri; marmo incartellato
96 x 185 x 75 cm (Ogni consolle)
325 x 207 x 30 cm (Ogni specchiera)
Provenienza: Guido Bartolozzi Antichità, Firenze, 2008; Veneto Banca SpA in LCA
Certificati: Expertise di Enrico Colle, 2008 (in copia)
Stato di conservazione. Supporto: 80% (parti ricomposte con viti fissaggio di epoca moderna)
Stato di conservazione. Superficie: 80% (ridorature localizzate, vetro in parte sostituito)
Enrico Colle mette in relazione la coppia di specchiere con lo sviluppo della decorazione di interni a Lucca nella prima metà del XVIII secolo ed in particolare con le sale di Palazzo Balbani, che avevano impegnato Bartolomeo De Santi (1687-1764), specializzatosi a Bologna, soprattutto in rapporto con la bottega dei Bibbiena. «Commissionata in occasione delle nozze tra Cristofano Balbani e Maria Luisa Cittadella, avvenute nel 1738, l'ornamentazione e l'arredo di queste sale doveva essere ricco e in linea con le importanti cariche ottenute dal nobile lucchese tanto da far notare a Georg Christoph Martini, a Lucca tra il 1725 e il 1745, che, in occasione di una festa, il portico del palazzo era stato 'riccamente sistemato con grandi specchi veneziani, lampade a mano, figure dorate, dipinti di valore, lampadari, canapé e seggioloni'. Un riflesso di questi variegati decori dell'appartamento nuziale si può cogliere anche nelle specchiere qui esaminate, dove l'atteggiamento delle figurine muliebri poste ai lati delle specchiere e dei supporti anteriori dei tavoli fu in parte ricavato dai satiri reggivaso affrescati in una delle sale del palazzo da De Santi insieme a Lorenzo Castellotti. (...) I busti femminili posti ai lati delle citate specchiere risultano ripresi da quelli presenti sulle cornici due specchi già in Palazzo Bernardini». Lo studioso rileva anche il rapporto della specchiera con modelli piemontesi: «il frontone, includente al centro uno specchio contornato da volute, è una originale interpretazione di un modello piemontese diffuso a Lucca grazie alla attività di quel 'Turinese intagliatore' attivo per i Sardi intorno al 1732. La sinuosa forma delle gambe richiama infine quella delle consoles intagliate verso la metà del secolo, forse dal quel Clemente Fabbri, a lungo impegnato per le famiglie Parenzi e Mansi».
Le foto rappresentano la condizione degli oggetti a Villa Spineda Gasparini Loredan. Oggi alcuni decori si presentano smontati e hanno subito danni minori, restaurati, durante il trasporto presso la sede della casa d'asta. -
Lotto 56 Persia occidentale (Ultimo quarto del XX secolo)
Tappeto Sarouk
Vello in lana su armatura di cotone, con nodo asimmetrico
294 x 298 cm
Elementi distintivi: etichetta della Galleria Martinazzo, Montebelluna
Provenienza: Galleria Martinazzo, Montebelluna; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 90%
Stato di conservazione. Superficie: 90%
Tipico esemplare di Sarouk moderno con motivo a mazzetti di fiori su fondo rosato. -
Lotto 58 Germania (Evo moderno), (?)
San Giovanni Evangelista
Ferro
21 x 8 x 2,8 cm
Provenienza: Felix Semyonov, New York - Roma
Stato di conservazione. Supporto: 80% (frammento)
Stato di conservazione. Superficie: 60% (abrasioni, ruggine e trattamenti)
Figura in ferro di difficile collocazione, basata su un modello alto tedesco. -
Lotto 59 Kennedy Carpets (1980)
Tappeto in stile Agra
Vello in lana su armatura in cotone, con nodo asimmetrico
660 x 167 cm
Elementi distintivi: etichetta in pelle della ditta Pasha - produzione Moret
Provenienza: Kennedy Carpets, India; Pasha, Istanbul - Vicenza - Milano; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95%
Produzione contemporanea realizzata in India da Kennedy Carpets su incarico della ditta Pasha, Istanbul - Vicenza - Milano. Il tappeto riproduce una passatoia Agra antica presentata in questa stessa asta. -
Lotto 61 Persia orientale (Ultimo quarto del XIX secolo)
Tappeto Khorasan
Lana su armatura a cotone con nodo asimmetrico
840 x 419 cm
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 80%
Stato di conservazione. Superficie: 60% (usura diffusa, frange sostituite)
Il tappeto presenta una serie di medaglioni quadrilobati alternati, di colore avorio e rosso su fondo blu, disposti su file parallele e sfalsate, senza motivo centrale. La bordura principale, a fondo blu, è accompagnata da quattro cornici minori. -
Lotto 62 Veneto (II quarto del XVIII secolo)
Poltrona con schienale interamente imbottito
Legno di noce; tessuti
115 x 67 x 77 cm
Provenienza: Surprise di Paola Cuoghi, Modena, 2009; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 60% (tarlature; integrazioni e rinforzi, per esempio alle gambe; imbottitura e tessuti sostituiti)
Stato di conservazione. Superficie: 40% (superficie forse originariamente laccata e successivamente spatinata)
In sede d'asta la datazione è stata precisata nel II quarto del XVIII secolo, mentre nella scheda Cuoghi abbraccia l'intero XVIII secolo. Con autonoma perizia, Maricetta Parlatore Melega ha posticipato la datazione alla fine del XVIII secolo - prima metà del XIX secolo. -
Lotto 65 Inghilterra (I quarto del XX secolo), (?)
Stemma di Sir Alfred Hickman, barone di Wightwick
Smalto vetrificato su metallo
13 x 10,6 x ,8 cm
Elementi distintivi: motto «IGNE ET FERRO»
Provenienza: Felix Semyonov, New York - Roma
Stato di conservazione. Supporto: 90%
Stato di conservazione. Superficie: 85%
Il titolo britannico Hickman di Wightwick nella parrocchia di Tettenhall, contea di Stafford, è stata creata nel 1903 per l'industriale del ferro e dell'acciaio Sir Alfred Hickman (1830-1910), figlio di George Rushbury Hickman di Tipton, Staffordshire. Il motto rimarca la fortuna del celebre industriale. Alfred Hickman è stato anche rappresentante di Wolverhampton nella Camera dei Comuni per il partito conservatore, dal 1885 al 1906. Rispetto allo stemma Hickman tradizionale, il blasone in asta presenta l'addizione di una mano rossa. -
Lotto 69 Persia occidentale (Ultimo quarto del XX secolo)
Tappeto Senneh
Vello in lana su armatura in cotone, con noto simmetrico
259 x 162 cm
Elementi distintivi: etichetta della Galleria Martinazzo, Montebelluna
Provenienza: Galleria Martinazzo, Montebelluna; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 90%
Stato di conservazione. Superficie: 90%
Il tappeto afferisce alla produzione del Kurdistan persiano. -
Lotto 70 Carel Lodewijk Dake Junior (1886 - 1946)
Paesaggio indonesiano
Olio su tela
72,5 x 50,5 cm
Firma: firma al recto
Provenienza: Christie's Amsterdam, 21.4.1998, lotto 1; collezione privata
Stato di conservazione. Supporto: 90%
Stato di conservazione. Superficie: 90% -
Lotto 71 Azerbaijan (Ultimo quarto del XIX secolo)
Tappeto Perepedil
Vello in lana su armatura in lana, con noso simmetrico
166 x 126 cm
Elementi distintivi: etichetta anonima con riferimento alle caratteristiche del tappeto
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 70%
Stato di conservazione. Superficie: 50% (parziali ridipinture nelle aree consumate)
Classico esemplare con disegno a corna di montone su fondo blu e bordura pseudo cufica a fondo rosso, contraddistinta da un evidente abrash nella parte alta. -
Lotto 72 Lucca (III quarto del XVIII secolo)
Specchiera in stile transizione
Tiglio riccamente intagliato, dorato e inciso; abete; vetro
248 x 115 x 35,5 cm
Provenienza: Matheus, Vicenza, 2013; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 75% (danni da urti e mancanze; integrazioni e rinforzi, per esempio al cimiero; tarlature)
Stato di conservazione. Superficie: 70% (consunzione e cadute della doratura)
La datazione al III quarto del XVIII secolo è adottata a seguito delle verifiche svolte in preparazione dell'asta. In precedente scheda, Fabio Ferraccioli ha leggermente anticipato la datazione alla metà del XVIII secolo, sottolineando la contemporaneità di struttura lignea e specchio al mercurio. -
Lotto 73 Francesco Guardi (1712 - 1793)
Il Rio dei Mendicanti al Convento dei Domenicani, 1785 ca.
Olio su tela
43,8 x 44,9 x 2 cm (la tela)
72,5 x 67,3 x 5,7 cm (la cornice)
Altre iscrizioni: "N. agli Atti Claudia Barbanti" (?) a matita sul telaio; firma non leggibile sulla tela
Elementi distintivi: etichetta di partecipazione alla mostra de "Il Settecento Italiano", 1929 (Sala 13, n. 7); etichetta con riferimento di inventario "257" e a matita "229"; etichetta di partecipazione alla Esposizione d'Arte Italiana a Parigi, 1935 ("Exposition de l'Art Italien de Cimabue a Tiepolo", cat. 217); etichetta di partecipazione alla mostra "Canaletto. Venezia e i suoi splendori", 2009; due timbri, uno sulla tela ed uno sul telaio, non leggibili
Provenienza: Collezione Senatore Borletti (1880-1939), Milano, ed eredi; Collezione Malucelli, Roma; Galleria Oronti, Londra (1999); Collezione privata, Motta di Livenza; Veneto Banca SpA in LCA
Bibliografia: Aa. Vv., "Il Settecento Italiano", Venezia, 1929, p. 57, n. 7; U. Ojetti et alii; "Il Settecento italiano", I, 1932, tav. XXXVII, fig. 52; A. Morassi, in "Le Vie d'Italia", 1935, p. 6; U. Ojett, P. Jamot, prefazione di, "Exposition de l'art italien de Cimabue à Tiepolo", Parigi, 1935, cat. 217, pp. 97-98; V. Moschini, a cura di, "Guardi", Milano, 1952, fig. 167; D. Gioseffi, "La pittura veneziana del Settecento", Bergamo, 1956, p. 92, fig. 54; V. Moschini, "Guardi", 1956, fig. 172; R. Pallucchini, in "Arte Veneta", 1965, p. 235; A. Morassi, "Guardi. L'opera completa di Antonio e Francesco Guardi", Milano, 1973 (ristampa 1993), I-II, I, pp. 246-247 e 424, cat. 612, II, fig. 580; L. Rossi Bortolatto, a cura di, "L'opera completa di Francesco Guardi", Milano, 1974, cat. 308, tav. 59, p. 107; M. Guillaume, "Catalogue raisonné du Musée des Beaux-Arts: peintures italiennes", Digione, 1980, scheda dell'opera inv. 4097; D. Succi, scheda in, G. Pavanello e A. Craievich, a cura di, "Canaletto. Venezia e i suoi splendori", Venezia, 2009, pp. 235 e 292, ill. 87
Esposizioni: "Il Settecento Italiano", Palazzo delle Biennali e altre sedi, Venezia, 8 luglio - 10 ottobre 1929, cat. 7; "Exposition de l'art italien de Cimabue à Tiepolo", Petit Palais - Jeu de Pomme, Parigi, 10 maggio - luglio 1935; "Canaletto. Venezia e i suoi splendori", Treviso, Casa dei Carraresi, 23 ottobre 2008 - 5 aprile 2009; "La facciata occidentale dell'antico ospedale di San Lazzaro dei Mendicanti", Sala del Capitolo Generale della Scuola Grande di San Marco, Venezia, 2020 (mostra sospesa per Covid)
Stato di conservazione. Supporto: 70% (reintelatura, reintelaiatura)
Stato di conservazione. Superficie: 70% (cadute di colore e integrazioni diffuse ma puntuali o comunque di dimensione molto contenuta)
Come osserva Antonio Morassi, le "vedute" costituiscono la parte predominante, se non proprio esclusiva, dell'attività pittorica di Francesco Guardi dopo il 1760 e particolarmente nei suoi ultimi due decenni di vita (Morassi 1973, I, pp. 245-247). Il Rio dei Mendicanti al Convento dei Domenicani è affrontato da Guardi in almeno cinque versioni autografe (Morassi, 1973, II, catt. 609-613; cat. 614, tela conservata al Museo di Digione, è stata recentemente espunta), simili tra loro e tutte osservate dallo stesso punto di vista, cioè dalla riva sinistra del canale che divide Cannaregio e Castello, guardando la laguna in distanza. Di esse la tela già in collezione Peralta Ramos (cat. 609), costituisce forse il prototipo, databile intorno al 1760. Come sottolinea Dario Succi nella scheda per la mostra "Canaletto. Venezia e i suoi splendori", nella versione di Veneto Banca in LCA, il pittore rinuncia al ponte sullo sfondo, così accentuando il complesso architettonico dell'ospizio di San Lazzaro dei Mendicanti, uno dei principali ospedali di Venezia, con la chiesa collocata al centro di due lunghe ali i cui corpi, ultimati nel 1631, si articolano intorno a due chiostri ed alla facciata della chiesa, ultimata nel 1673 da Giuseppe Sardi completando un progetto di Vincenzo Scamozzi.
L'immagine nella tela di Veneto Banca, la più geometricamente compatta e originale fra gli esperimenti di Guardi sul tema del Rio dei Mendicanti, presenta così le volumetrie architettoniche, investite dalla calda luce del tramonto, con un affascinante effetto astratto. Infatti, mentre tutte le altre versioni mostrano l'edificio collocato nel contesto del canale, con la presenza del ponte dei mendicanti sullo sfondo e degli edifici della parrocchia dei santi Giovanni e Paolo sull'altro lato del rio, con l'effetto cartolinistico molto ricercato dal mercato del tempo, nella tela di Veneto Banca la coraggiosa costruzione prospettica isola il monumentale ospedale, rendendolo unico soggetto della veduta: una veduta che si fa studio di un oggetto nello spazio.
L'opera, collocata da Succi intorno al 1785, cioè nella tarda maturità del pittore, quando Guardi, ormai lontano dalla nettezza di Canaletto, accentua gli effetti preromantici e impressionistici, ben visibili anche nelle versioni della Accademia Carrara di Bergamo (cat. 613), della York Art Gallery (cat. 611) e nell'opera di collezione privata francese passata in asta presso Blanchet & Associes il 18 novembre 2009 (lotto 42; cat. 610).
Presentata in una importante cornice veneziana coeva, l'opera di Veneto Banca (43,8x44,9 cm) è inoltre la seconda maggiore per dimensioni dopo la tela della collezione Peralta Ramos (51x76 cm; le altre misurano: 33x46 cm, York Art Gallery; 19x15 cm, Accademia Carrara; 16x22, già Blanchet e Associés).
L'autografia dell'opera è stata confermata, su base fotografica, da Charles Beddington e da Giuseppe Pavanello (comunicazioni del 24 maggio 2021).
Ringraziamo Charles Beddington e Giuseppe Pavanello per il supporto nella schedatura dell'opera. -
Lotto 74 Bologna (XVII-XVIII secolo), (?)
Trinità
Gesso intagliato e patinato
20,4 x 9,2 x 6,4 cm
Elementi distintivi: sulla schiena, incise le lettere «I» «M»
Provenienza: Felix Semyonov, New York - Roma
Stato di conservazione. Supporto: 85% (danni da urto e abrasione)
Stato di conservazione. Superficie: 70% -
Lotto 75 Persia centrale (Ultimo quarto del XX secolo)
Tappeto Ghom
Vello in lana su armatura in cotone
294 x 200 cm
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 80%
Stato di conservazione. Superficie: 80%
Tappeto con motivo a piastrelle detto anche a giardino, tipico dei tappeti di Ghom. -
Lotto 76 Justus Sustermans (1597 - 1681), da
Ferdinando II de' Medici, Gran Duca di Toscana
Olio su tela
86,7 x 71,3 cm
Provenienza: Felix Semyonov, New York - Roma
Stato di conservazione. Supporto: 60% (rintelo e rintelaiatura; tela sfondata in più punti e risarcita)
Stato di conservazione. Superficie: 60% (consunzione della pittura; cadute di colore; ampie integrazioni pittoriche)
L'opera è in relazione, per la postura, con il ritratto ufficiale di Ferdinando II de' Medici (1610-1670) come Gran Duca di Toscana, una grande tela a figura quasi intera oggi nella cosiddetta "serie dei serenissimi principi" alla Galleria degli Uffizi (inv. 1890, n. 2249). Il Gran Duca venne più volte ritratto dal maestro, tra l'altro alla stessa età del nostro dipinto in affresco nella Villa Medicea in Poggio a Caiano, dove appare con la folta capigliatura che osserviamo anche nella tela in asta. Meno probabile per lievi differenze anatomiche, ma comunque possibile, l'identificazione con Mattias de' Medici (1613–1667), terzo figlio maschio di Cosimo II.
Ferdinando II fu tra i primi sovrani europei a intrattenere, piuttosto apertamente, relazioni omosessuali. Lunga quasi due decenni la vicenda amorosa con il suo paggio Bruto Annibaldi della Molara, come racconta lo staffiere Luigi Gualtieri nella sua "Storia della nobile e reale famiglia de' Medici" (edito come Luca Ombrosi, "Vita dei Medici sodomiti", Milano 1965).
Benché la pennellata sia rapida e sicura, a pasta abbastanza ricca e gran parte dell'abito sia appena abbozzato sulla preparazione pittorica, il tono generale dell'opera, distante dalla raffinatezza di tocco tipica di Sustermans, porta a qualificare l'opera come copia, o comunque opera imitativa, come ci confermano, previo indipendente esame dell'opera attraverso immagini in alta definizione, Sandro Bellesi (comunicazione del 23 aprile 2021) e Lisa Goldenberg Stoppato (comunicazione del 24 aprile 2021). Lisa Goldenberg Stoppato, in particolare, segnala che «che le fattezze del granduca derivano dall'immagine a figura intera di Ferdinando II de' Medici in veste di antico romano, dipinta da Suttermans per il cardinale Leopoldo de' Medici, usando un cartone di Ciro Ferri». La studiosa ritiene, inoltre, che nel ritratto siano intervenuti due mani, una più abile responsabile per il viso, e un'aiutante di bottega, autore dell'armatura che pare sproporzionata rispetto al viso».
Il rapporto iconografico trova ulteriore conferma attraverso il confronto con i ritratti dedicati dall'artista fiammingo a Ferdinando II conservati nelle collezioni degli Uffizi, intrapresa su cortese suggerimento del Direttore Eike Schmidt: in particolare, la postura compare già nel ritratto giovanile conservato a Palazzo Pitti (inv. 415 - Palatina (1912)) e quindi nella figura di "Ferdinando II con bastone del comando" esposto nel Palazzo degli Uffizi (inv. 2249 - 1890) e, speculare in un ulteriore ritratto a mezza figura (inv. 5243 - 1890). Le collezioni medicee offrono anche l'occasione per osservare lo stesso soggetto sviluppato in opere di attribuzione incerta (inv. 2334 - 1890), di bottega (inv. 2247 - 1890), di maniera (inv. (2922 - 1890, inv. 4217 - 1890) e copie (inv. 2462 - 1890).
In favore di una attribuzione alla bottega dell'artista si è espresso Marco Horak che all'opera ha dedicato una approfondita scheda di cui riportiamo uno stralcio: «Il ritratto cui si riferiscono le presenti brevi note critiche venne realizzato nell’operosa bottega di Justus Sustermans in numerose repliche per far fronte alle svariate esigenze della committenza medicea. Infatti alcuni esemplari erano destinati a corredare diverse residenze della famiglia, mentre altri, forse i più numerosi, avevano finalità prettamente diplomatiche, nel senso che potevano essere impiegati come omaggi alla corte e, soprattutto, alle famiglie dinastiche in occasione di visite ufficiali. Non dimentichiamo, a tal proposito, l’importante rete di prestigiose parentele che univa Ferdinando II ad alcune delle principali dinastie europee: egli infatti era figlio del granduca Cosimo II e di Maria Maddalena d'Austria; suo padre morì quando Ferdinando aveva solamente 11 anni e fino alla sua maggiore età la Toscana fu affidata alla reggenza della madre e della nonna paterna, Cristina di Lorena, coadiuvate da un consiglio di reggenza. Ferdinando II sposò Vittoria della Rovere e attraverso il suo albero genealogico possiamo constatare i legami di parentela che la sua famiglia ebbe con gli Asburgo e con le famiglie dinastiche di Danimarca, Francia, Lorena, Boemia, Baviera, Baden, Toledo e molte altre ancora, senza dimenticare infine che, anche attraverso la famiglia della moglie – i della Rovere – la rete delle alleanze dinastiche si allargò agli Este, ai Gonzaga (che erano già imparentati con i Medici) e ad altre famiglie storiche italiane. Ecco quindi come si spiega la realizzazione da parte dello studio di Justus Sustermans di numerose repliche del ritratto di Ferdinando II».
Ringraziamo il Prof. Sandro Bellesi, i dottori Lisa Goldenberg e Marco Horak per il supporto nella schedatura dell'opera e il dottor Eike Schmidt per i preziosi suggerimenti. -
Lotto 77 Persia centrale (I metà del XX secolo)
Tappeto Kashan
Vello in lana su armatura in cotone, con nodo asimmetrico
397 x 260 cm
Elementi distintivi: etichetta della Galleria Martinazzo, Montebelluna (con riferimento “antico Gazvin”); ulteriore etichetta, con riferimento forse a lavaggio
Provenienza: Galleria Martinazzo, Montebelluna; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 60% (lacerazioni)
Stato di conservazione. Superficie: 60% (usura uniforme)
Classico esemplare con piccolo medaglione allungato in rosso, contenente al centro una stella azzurra, con due pendenti, appoggiato sul campo di colore blu riccamente decorato con motivi floreali. Bordura a fondo rosso, con tipiche rose di Kashan, alternate a foglie biforcute. -
Lotto 78 Emilia (I quarto del XVIII secolo)
Libreria
Legno di noce, pioppo e abete
280 x 360,4 x 47 cm
Provenienza: Surprise di Paola Cuoghi, Modena, 2009; Veneto Banca SpA in LCA
Certificati: certificato emesso da Surprise di Paola Cuoghi, Modena, non datato
Stato di conservazione. Supporto: 30% (parti antiche, riadattate e completate, si vedano i ripiani e la tarlatura orizzontale)
Stato di conservazione. Superficie: 80%
Il mobile è stato collocato in area emiliana, nel I quarto del XVIII secolo, a seguito degli approfondimenti svolti in sede d'asta. Nella scheda Cuoghi, il mobile è ritenuto produzione veneta della prima metà del secolo. In autonoma perizia, Maricetta Parlatore Melega segnala che il "mobile ha un’eleganza singolare, ottenuta con la sinuosità degli elementi orizzontali, alternati alla linearità di quelli verticali (le lesene e le imposte delle quattro ante). Un recente restauro ha ridato smalto al legno, e ha rimesso in efficienza le preziose serrature originali. Il coronamento superiore è arricchito dallo stemma dorato (anche se appare incongruo) posto al centro della sommità, oltre che dai quattro pinnacoli e dalle volute laterali".
Nota bene: il mobile è conservato, e va ritirato, presso Villa Spineda Gasparini Loredan a Venegazzù (Volpago del Montello). -
Lotto 79 India (I quarto del XX secolo)
Tappeto Agra
Vello in lana su armatura in cotone, con nodo asimmetrico
575 x 325 cm
Provenienza: Raffaele Verolino, Modena; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 80%
Stato di conservazione. Superficie: 70% (restauri, soprattutto sui bordi, e sbavature di colore)
Classico tappeto a palmette e nastri su fondo rosso, di enormi dimensioni. Bordura a fondo verde. Particolarmente fine di tessitura.