Dipinti Antichi

Pandolfini Casa d'Aste - Borgo degli Albizi (Palazzo Ramirez-Montalvo) 26, 50122 Firenze

Dipinti Antichi

mercoledì 26 novembre 2014 ore 16:00 (UTC +01:00)
Lotti dal 13 al 24 di 85
Mostra
Cancella
  • Attribuito ad Antonio Susini(Firenze, attivo dal 1580-1624)CRISTO...
    Lotto 11

    Attribuito ad Antonio Susini
    (Firenze, attivo dal 1580-1624)
    CRISTO RISORTO
    scultura in bronzo, alt. cm 41 su base moderna in marmo nero venato, alt. cm 20
     
    Opera notificata con decreto della Regione autonoma della Valle d'Aosta, 9 ottobre 2000
     
    L'opera qui presentata veniva attribuita ad Antonio Susini nella relazione storico-artistica del decreto di notifica redatto dal dott. Mario Scalini che per la rappresentazione a tutto tondo ipotizzava la sua destinazione quale coronamento di ciborio. "Il modello, a monte, per la struttura fisica del Cristo, viene ricondotto al Portacroce della “Minerva” del Michelangelo mentre per il bilanciamento della figura è fortemente debitore del Mercurio di Giambologna”.

  • Bottega di Gian Lorenzo Bernini, sec. XVIICRISTO CROCIFISSOscultura in bronzo...
    Lotto 12

    Bottega di Gian Lorenzo Bernini, sec. XVII
    CRISTO CROCIFISSO
    scultura in bronzo dorato, alt. cm 50
     
    Questo Cristo crocifisso in bronzo dorato, che originariamente doveva essere dotato di una Croce della quale oggi è privo, è immediatamente accostabile alla serie dei Crocifissi commissionati a Gian Lorenzo Bernini per dotare gli altari della nuova basilica di San Pietro. Fu Romano Battaglia, nel 1942, a pubblicare i documenti che permettevano di riferire al grande artista l’invenzione dei modelli destinati poi ad essere fusi in bronzo: un pagamento allo specialista Paolo Carnieri, incaricato di fondere i Crocifissi, specificava che questi erano stati fatti per servizio della Reverenda Fabbrica conforme al modello del sig. Cavaliere Bernini architetto (R. Battaglia, Crocifissi del Bernini in S. Pietro in Vaticano, Roma 1942, pp. 7 e 24).
    I modelli stessi, peraltro, erano stati eseguiti da Ercole Ferrata, il quale, nel giugno del 1658 riceveva venti scudi per il modello del Crocifisso “che serve per l’altari”; nel maggio dell’anno successivo lo stesso Ferrata era pagato 15 scudi “per avere fatto un altro modello d’un Crocifisso vivo” (Battaglia, op. cit., pp. 5 e 23). Il modello eseguito nel 1658, quindi, doveva essere relativo ad un “Crocifisso morto”: attualmente, infatti, si conservano ancora in San Pietro ventitré Crocifissi, diciotto secondo il modello ‘vivo’ e cinque secondo quello ‘morto’ o ‘spirante’. In origine, dai documenti, apprendiamo che i Crocifissi erano venticinque: uno è erduto, un altro è nei depositi della basilica (C. Savettieri, scheda in, La Basilica di San Pietro in Vaticani (Mirabilia Italiae 10), a cura di A. Pinelli, 4 voll., Modena 2000, II, pp. 806-807). Quelli giunti fino a noi misurano tutti 43 cm., sette in meno rispetto all’esemplare qui in esame. 
    Bernini si era già  confrontato, in precedenza, con il medesimo tema, in una prova più impegnativa, il Crocifisso bronzeo destinato all’Escorial presso Madrid (ancora in situ), databile al 1655-1656, e vi sarebbe tornato, ancora una volta con un formato monumentale, con il Crocifisso sempre bronzeo oggi alla National Gallery of Ontario di Toronto, riferito al 1659 circa (T. Montanari, Bernini per Bernini: il secondo “Crocifisso” monumentale; con una digressione su Domenico Guidi, in “Prospettiva”, 136, 2009, pp. 2-25). Infine, questa volta di nuovo per un piccolo pezzo di un arredo sacro destinato sempre alla basilica di San Pietro, Bernini avrebbe nel 1678 affidato ad un altro specialista, Girolamo Lucenti, la fusione del Crocifisso bronzeo per il ciborio della Cappella del Santissimo Sacramento (V. Martinelli, L’ultimo Crocifisso del Bernini, in L’ultimo Bernini 1665-1680: nuovi argomenti, documenti, immagini, a cura di V. Martinelli, Roma 1996, pp. 163-179, in particolare p. 164).
     L’esemplare qui presentato si avvicina alla tipologia del ‘Cristo morto’, la medesima che accomuna i cinque piccoli per gli altari di San Pietro ai due grandi capolavori dell’Escorial e di Toronto. Sono molti gli elementi che permettono di accostare questo Crocifisso ai prototipi berniniani: il capo chinato, sulla spalla destra, con i capelli che scendono morbidamente lungo la guancia destra, le mani abbandonate (solo in quello all’Escorial sono ancora tese, spalancate, per il dolore), il perizoma tormentato secondo un modo di panneggiare tipico di Gian Lorenzo. Ci sono, peraltro, anche alcune significative differenze: in nessuna delle invenzioni berniniane il perizoma si allunga, a fianco della gamba destr

  • Domenico di Bartolomeo detto Domenico Puligo(Firenze 1492-1527)SACRA...
    Lotto 13

    Domenico di Bartolomeo detto Domenico Puligo
    (Firenze 1492-1527)
    SACRA FAMIGLIA
    olio su tavola, cm 75x60 con cornice argentata a mecca di epoca posteriore con decoro fogliato a pastiglia e intagliata a motivo di ovuli
     
    Provenienza:
    collezione privata, Firenze
     
    Corredato da parere scritto di Carlo Falciani, Firenze, 27 luglio 2014
    Questa Sacra Famiglia va inserita senza dubbio fra le opere autografe di Domenico Puligo, pittore fiorentino della prim’ora, contemporaneo del Pontormo e del Rosso, e lodato da Giorgio Vasari come il miglior allievo di Ridolfo del Ghirlandaio, sopra tutti gli altri “eccellente nel disegno e più vago e grazioso nel colorito”. Il discepolato presso Ridolfo è subito visibile in alcuni elementi dell’opera quali la composizione arcaica delle figure, ripresa ed elaborata su modelli fiorentini di inizio secolo raffaelleschi, della scuola di San Marco, e sarteschi. Un ricordo dello stile di Ridolfo è poi evidente nel disegno armonico del viso di Maria posto quasi a confronto con quello di Giuseppe, rugoso e segnato in ossequio ai Vangeli apocrifi che lo descrivono vecchio rispetto alla sposa fanciulla.
    Fra i pochi studi dedicati al Puligo, rimane strumento essenziale il catalogo della mostra tenutasi a Palazzo Pitti nel 2002 (Domenico Puligo, catalogo della mostra a cura di Elena Capretti e Serena Padovani, Livorno 2002), dove è stato riunito per la prima volta il corpus dei dipinti attribuiti all’artista. Fra le opere pubblicate non appare infatti nessuna composizione identica a quella del dipinto in esame, a dimostrazione di come, anche in questo caso, Domenico Puligo offra una variazione su un tema trattato più volte durante la sua breve carriera terminata con la peste del 1527.
    A confronto con questa tavola potranno essere ricordati dipinti come la Sacra Famiglia della Galleria Palatina (inv. 1912 n. 486, in Domenico Puligo, catalogo della mostra, cit., p. 46, n. 23), dove la figura del san Giuseppe sembra aggiunta in un secondo momento a completare una composizione già articolata secondo stilemi usati varie volte anche da Ridolfo. La fisionomia quieta di Maria espressa attraverso lineamenti armonici che sono, come già  detto un’eco del disegno composto del maestro, andrà  accostata invece a dipinti quali il Ritratto femminile, della Galleria Nazionale del Canada a Ottawa (inv. 567, in Domenico Puligo, catalogo della mostra, catalogo della mostra, cit., p. 48 n. 41); oppure alla Sacra Famiglia in collezione privata (in Domenico Puligo, catalogo della mostra, cit., p. 61, n. 70) dove il volto della Madonna è quasi sovrapponibile a quello dipinto dal Puligo in questa tavola. Rispetto a quell’opera appare invece variata la figura del Bambino, parimenti seduto, che qui tiene le mani in grembo, mentre nel dipinto a confronto indica con la mano destra il seno della madre e si volge verso il padre ad istituire un muto colloquio. In entrambe le composizioni il san Giuseppe sembra quasi inserito in un secondo momento a riempire uno spazio rimasto vuoto, è in basso a sinistra, qui dietro alla Madonna nell’angolo destro, ma sempre avvolto in un’ombra soffusa che rende morbida e avvolgente l’atmosfera dell’opera. Tale carattere è ancora tipico dell’opera di Domenico Puligo, che ha sempre prediletto una pittura fatta di velature capaci di sfumare i contorni in un’atmosfera ombrosa di radice leonardesca. La sua pittura è infatti riconoscibile dal modo in cui il colore viene steso con velature sovrapposte a costruire una superficie di grande fragilità e sovente abrase se il dipinto ha subito drastiche puliture. I toni ombrosi si ispessiscono soprattutto nei panneggi ma r

  • Scuola francese, sec. XVIIIRITRATTO DI GENTILUOMOolio su tela, cm 86x69sul...
    Lotto 14

    Scuola francese, sec. XVIII
    RITRATTO DI GENTILUOMO
    olio su tela, cm 86x69
    sul retro due bolli in ceralacca
     

  • Seguace di Paolo Veronese, sec. XVIIRITRATTO DI GENTILDONNA IN ABITO DI...
    Lotto 15

    Seguace di Paolo Veronese, sec. XVII
    RITRATTO DI GENTILDONNA IN ABITO DI VELLUTO VERDE
    olio su tela, cm 85x69,5
    sul retro della tela di rintelo iscrizione "PAUL VERONESE FROM THE MARQUIS GERINI 1841" e bollo in ceralacca
     

  • Scuola emiliana, fine sec. XVISACRA FAMIGLIA CON SAN GIOVANNINO E ANGELOolio...
    Lotto 16

    Scuola emiliana, fine sec. XVI
    SACRA FAMIGLIA CON SAN GIOVANNINO E ANGELO
    olio su tela, cm 111x95
    reca iscrizione " PT F. 1570"
     

  • Scuola romagnola, fine sec. XVIMATRIMONIO MISTICO DI SANTA CATERINA CON SAN...
    Lotto 17

    Scuola romagnola, fine sec. XVI
    MATRIMONIO MISTICO DI SANTA CATERINA CON SAN GIOVANNINO
    olio su tavola parchettata, cm 76,5x62
    reca iscrizione in basso a sinistra apposta successivamente: "INNOCENTIVUS FRANCALIVS IMOLENSIS"
     
    La tavola riprende il medesimo soggetto e composizione di opere riferite un tempo dalla critica a Innocenzo Francucci detto Innocenzo da Imola (Imola 1494 circa-Bologna 1550) e successivamente ricondotte indirettamente alla cultura di Francesco Francia e della sua scuola, conservate in importanti collezioni pubbliche e private tra le quali si ricorda quella della Pinacoteca di Siena, dubitativamente riferita ad Innocenzo da Imola e una versione di collezione privata più recentemente riferita nell'archivio della Fototeca Zeri di Bologna al Maestro della Madonna Parrish (riprodotte in E. Negro, N. Roio, Francesco Francia e la sua scuola, Modena 1998, cat.n. 252-253).
     

  • Maestro di Serumido(attivo a Firenze nella prima metà  del secolo...
    Lotto 18

    Maestro di Serumido
    (attivo a Firenze nella prima metà  del secolo XVI)
    MADONNA COL BAMBINO E SAN GIOVANNINO
    olio su tavola, cm 76,5x58 cornice antica, intagliata, incisa a bulino a motivo fogliato e dorata
     
    Provenienza:
    collezione privata, Firenze
     
    Corredato da parere scritto di Carlo Falciani
     
    Lo stile fortemente caratterizzato di questa Madonna col Bambino e san Giovannino subito conduce a cercarne la paternità  fra quei pittori riuniti da Federico Zeri all'interno della definizione critica di eccentrici fiorentini. In due memorabili articoli del 1962 (Bollettino d'Arte, 47,1962, pp. 216-236, 314-326), egli definiva infatti i caratteri di alcuni artisti che lavorarono a Firenze nei primi venti anni del Cinquecento, vicini, per l'evidente forzatura dell'armonia cara al Raffaello fiorentino ai maestri di prima grandezza - come il Rosso, il Franciabigio, il Pontormo e lo stesso Andrea del Sarto -, che furono protagonisti della vasariana "maniera moderna", al tempo di Zeri ancora declinata come Manierismo.
    L'opera di quegli artisti si svolgeva dalla prim'ora in parallelo anche all'astro di Alonso Berruguete precocemente eccentrico nella Firenze dove ancora lavoravano Francesco Granacci e Piero di Cosimo. Quegli artisti erano il cosiddetto Maestro dei Paesaggi Kress, poi identificato con Giovanni Larciani, Antonio di Donnino del Mazziere, il Maestro Allegro, e quello degli Angiolini, ed infine il Maestro di Serumido, ancora oggi ignoto artista capace di forzature dello stile in parallelo agli esiti di alcuni spagnoli come il già  ricordato Berruguete, ma non del tutto immemore delle invenzioni di Filippino e di Ridolfo del Ghirlandaio.
    Proprio a tale maestro fiorentino, il cui nome ancora oggi ci sfugge, sarà  da riferire questa tavola con la Madonna col Bambino e san Giovannino, le cui assonanze con le opere prime di quel pittore sono evidenti. Se Federico Zeri ricostruiva il corpus dell’artista partendo dalla pala d’altare con la Madonna in trono e santi della chiesa di Serumido (già  di San Pier Gattolini) si deve a Serena Padovani (I ritratti Doni: Raffaello e il suo 'eccentrico' amico, il Maestro di Serumido, "Paragone", 56, 2005, 61, pp. 3-26) una precisa e complessa ricostruzione dell’artista e un primo tentativo di datazione delle sue opere a partire dall’attribuzione a lui delle scene a monocromo dipinte sul verso dei ritratti di Agnolo e Maddalena Doni di Raffaello. Già  la fisionomia del Bambino appare quasi identica a quella usata nella pala della chiesa di Serumido. La fronte alta e bombata, il caratteristico taglio degli occhi a mandorla o le lumeggiature dei particolari anatomici caratterizzano in modo identico anche il Gesù della pala usata da Zeri per conferire un nome al pittore. Anche la posizione del Bambino in piedi sul grembo di Maria è la medesima e viene ripetuta nella pala d’altare di San Giusto ad Ema a bagno a Ripoli, dove il pittore sembra ancora più forzare i caratteri eccentrici del suo stile. Ulteriori confronti potranno essere svolti fra il curioso profilo sgusciato del san Giovannino con quello del san Sebastiano nell'Annunciazione della chiesa fiorentina di San Giuseppe, mentre il volto di Maria, seppur qui perfettamente ovale e armonico - quasi una reminescenza raffaellesca -, andrà  paragonato con quello degli angeli dalla fronte ampia e tornita nelle due pale già  citate della chiesa di Serumido e di San Giusto ad Ema, ma ormai deformate secondo stilemi caria anche a Berruguete.
    La composizione di questo dipinto sembra invece ancora appartenere ad un momento più saldo e armonico, forse precedente, dello stile del Maestro di Serumido. Come ha indicato Serena Padovani, nei primi

  • Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino(Arpino 1568 – Roma...
    Lotto 19

    Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino
    (Arpino 1568 – Roma 1640)
    SACRA FAMIGLIA ADORATA DA SAN FRANCESCO, CON UN ANGELO
    olio su rame, cm 45x36,5
     
    Provenienza:
    Sestieri, Roma;
    Carla Guglielmi Faldi, Roma;
    collezione privata, Roma
     
    Bibliografia:
    H. Roettgen, Il Cavalier Giuseppe Cesari d’Arpino. Un grande pittore nello splendore della fama e nell’incostanza della fortuna, Roma 2002, p. 379, cat. 137, ill.; M.S. Bolzoni, Il Cavalier Giuseppe Cesari d’Arpino. Maestro del disegno. Catalogo ragionato dell’opera grafica, Roma 2013, p. 343, n. 222; H. Roettgen, Cavalier Giuseppe Cesari d'Arpino. Die Zeichnungen. I disegni. III Reife und Alter. Maturita' e anzianita' 1605-1640, Stoccarda 2013, p 16/17 n. 427 (per il disegno agli Uffizi, 1606 circa, preparatorio per il dipinto già  in collezione Faldi, riprodotto a p. 17, o per altro simile.
     
    Raro dipinto “en grisaille” su rame, eccezionale anche per l’ottima conservazione, l’opera è stata pubblicata da Herwarth Roettgen con una datazione intorno al 1606 proposta in base a confronti stilistici. Lo stesso studioso ne sottolinea la relazione con un foglio a matita rossa conservato al Gabinetto dei Disegni e Stampe degli Uffizi, quasi identico nella composizione anche se non preparatorio in senso stretto. La medesima relazione è stata confermata da Bolzoni nel suo recente catalogo dell’opera grafica del Cavalier d’Arpino.

  • Pittore veneto, sec. XVIISCENA ALLEGORICA DAL CANTICO DEI CANTICIolio su...
    Lotto 20

    Pittore veneto, sec. XVII
    SCENA ALLEGORICA DAL CANTICO DEI CANTICI
    olio su tela, cm 85x101
    al recto in alto a sinistra iscritto: "VENI IN HORTVM MEVM SOROR MEA SPONSA" e in alto a destra iscritto: "VENIAT DILECTVS MEVS IN HORTVUM SVVM"
     
    Provenienza:
    collezione privata, Firenze
     
    L'interessante dipinto qui proposto illustra un soggetto piuttosto inusuale tratto dal testo sacro del Cantico dei Cantici, libro dell'Antico Testamento che contiene una serie di soliloqui e dialoghi poetici della Sposa e dello Sposo per cui sono state offerte varie interpretazioni allegoriche come l'esaltazione dell'amore tra Yahweh e Israele o tra Cristo e la Chiesa o tra Cristo e l'Anima.
    Sulle due arcate a destra e a sinistra del dipinto sono riportate le seguenti iscrizioni: "Veniat dilectus meus in hortum suum" e "Veni in hortum meum soror mea sponsa" tratte dal Capitolo V, 1-3 del Cantico. La nostra tela costituisce pertanto una sorta di trasposizione in pittura di questi passi, vediamo infatti sulla destra del dipinto che la Sposa conduce lo Sposo, ovvero Cristo, nel suo giardino per mostrargli i frutti. All'interno del giardino, che viene rappresentato dal pittore come una sorta di hortus conclusus, si ritrova il simbolo del peccato espresso attraverso la rappresentazione della Cacciata dei Progenitori; al centro, a indicare il piacere carnale, due satiri che bevono il vino; e infine il trionfo della morte rappresentata come uno scheletro incoronato che si erge sul corpo esangue di una giovane fanciulla distesa sul prato.
    A questo percorso negativo si contrappone il giardino dello Sposo, rigoglioso di fiori, in cui viene indicata alla Sposa la giusta via da seguire ovvero quella tracciata da Cristo che attraverso il suo sacrificio, simboleggiato dalla Croce, dal calice e dai chiodi, ha così liberato il suo popolo dalla morte e dal peccato.
     
    Il dipinto per le sue caratteristiche stilistiche può essere ricondotto all'area veneta ed in particolare, su indicazione di Enrico Lucchese, può essere avvicinato al pittore di origine lucchese Pietro Ricchi (1606-1675). L'opera presenta infatti talune affinità  con alcune opere di Ricchi, che a partire dal 1650 fu attivo a Venezia dove eseguì alcune composizioni ispirate alle opere del Veronese e risentà dell'influsso di altri artisti tra cui Tintoretto, Francesco Maffei, Pietro Liberi e Sebastiano Mazzoni. E' possibile effettuare confronti stilistici principalmente con le opere da cavalletto che presentano figure di piccole dimensioni come ad esempio col Mosè salvato dalle acque di collezione Sgarbi o con l'Adorazione dei Magi di collezione privata, Mantova, in cui si rintraccia un simile uso di bagliori cromatici che emergono da toni più scuri e una simile capacità  di costruire le sagome delle figure. Da sottolineare inoltre come nel nostro dipinto sia possibile ravvisare una particolare attenzione del pittore per i dettagli naturalistici, che si riconoscono nella cura nel dipingere il prato fiorito o i dettagli delle preziose vesti della Sposa.

  • Scuola fiamminga, sec. XVIIPAESAGGIO CON EPISODIO DI STORIA ANTICAolio su...
    Lotto 21

    Scuola fiamminga, sec. XVII
    PAESAGGIO CON EPISODIO DI STORIA ANTICA
    olio su tavola, cm 37x54
     

  • Scuola genovese, fine sec. XVIIELIA NUTRITO DALL'ANGELO IN UN PAESAGGIOolio...
    Lotto 22

    Scuola genovese, fine sec. XVII
    ELIA NUTRITO DALL'ANGELO IN UN PAESAGGIO
    olio su rame, cm 77x116,5
     

Lotti dal 13 al 24 di 85
Mostra
×

Dipinti Antichi

Sessioni

  • 26 novembre 2014 ore 16:00 Sessione Unica - dal lotto 1 al lotto 84 (1 - 84)