Importanti Maioliche Rinascimentali
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Lotto 37 COPPA
Castel Durante o Urbino, 1520-1525
Maiolica decorata in policromia con blu, giallo, arancio, rosso, bianco e bruno di manganese nei toni del nero
alt. cm 4,7; diam. cm 21; diam. piede cm 9
Sul retro etichetta lacunosa con scritta in inchiostro “…-94… ART.30/ ...BIO...CENTUR/ BARON DE ROTHC.../ COLLECTION”; altra etichetta stampata, con numeri in inchiostro “S.B. Lot No. 947/ Art. No. 30”
Intatto; sbeccature da usura all'orlo con cadute di smalto che lasciano intravedere la terracotta color camoscio scura e i segni di lavorazione al tornio
Earthenware, painted in blue, yellow, orange, red, white, and blackish manganese
H. 4.7 cm; diam. 21 cm; foot diam. 9 cm
On the back, label hand-written in ink ‘…-94... ART.3/ ...BIO...CENTUR/ BARON DE ROTH.../ COLLECTION’; printed label with hand-written in ink ‘S.B. Lot No. 947/ Art. No. 30’
In very good condition; wear chips to rim with some glaze losses through which one can see the dark buff earthenware body and the wheel marks
La coppa, su basso piede, presenta sul recto una decorazione che interessa l’intera superficie: essa ritrae un condottiero con un elmo da parata ornato da volute fogliate e dotato di una visiera a forma di mascherone: il ritratto maschile è di un giovane, raffigurato di profilo, che indossa, sopra una camiciola pieghettata, una lorica sulla quale s’intravvede un decoro a rilievo. Tutt’intorno corre un nastro, ad andamento sinuoso, sul quale si legge il nome “ASTOLFO” in lettere capitali.
Il volto è reso in bianco sopra bianco per rendere l’incarnato chiaro, quasi traslucido; lo sguardo pacato e la bocca semiaperta danno l’impressione di una quiete che contrasta con la figura di guerriero. L’elmo, la lorica e la camiciola emergono grazie a sapienti pennellate e ad un’accorta sovrapposizione dei colori che rendono perfettamente il chiaroscuro. La figurina spicca su un fondo interamente dipinto di blu. Si ritiene che l’elmo indossato dal personaggio sia stato inventato da Verrocchio o da Leonardo: era un copricapo diffuso sulle monete o sulle medaglie con ritratti “all'antica”, ma anche in incisioni e nielli. Poiché ci piace pensare che il pittore, nel dipingere il personaggio qui raffigurato, si sia ispirato al paladino di Carlo Magno protagonista di imprese memorabili nelle grandi opere epiche del Rinascimento, la fonte d’ispirazione letteraria sarebbe da ricondurre agli anni tra il 1483 e il 1532, arco cronologico in cui sono compresi sia l’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo che l’Orlando il Furioso di Ludovico Ariosto: Astolfo personaggio dal carattere impulsivo, è protagonista di imprese memorabili in entrambe le opere.
Le coppe di questa tipologia sono numerose e si presentano con caratteri morfologici e stilistici differenti, a conferma della diffusione e del successo di questa foggia con ritratti maschili e femminili: oggetti analoghi sono presenti in molti musei italiani e stranieri.
Il lavoro di confronto ci porterebbe ad avvicinare l’opera alla coppia di coppe con “Ruggero” e “Filomena” conservata al Metropolitan Museum of Art di New York databili al primo quarto del XVI secolo e ricondotte alle botteghe artigiane attive in particolare a Castel Durante, l’attuale Urbania.
Jorg Rasmussen nel 1989 ha individuato e attribuito al Maestro Giovanni Maria Vasaro dodici piatti decorati con ritratti di profilo di tipo analogo, conservati in importanti collezioni private e museali, rigettando la tradizionale attribuzione a Nicola di Urbino, e retrodatando la serie agli anni 1510- -
Lotto 38 PIATTO
Urbino o altro centro del Ducato di Urbino, Francesco Xanto Avelli, 1528-1529
Maiolica decorata in policromia, con arancio, giallo, verde, blu, bianco di stagno e bruno di manganese nei toni del nero, del marrone e del viola
alt. cm 3,4; diam. cm 28; diam. piede cm 10
Sul retro, sotto il piede, iscrizione “morte di Egieo Y “
Sul retro tracce di un antico restauro con graffe metalliche a fermatura di una felatura profonda, risolta con restauro archeologico
Corredato da attestato di libera circolazione
Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, tin white, blackish and brownish manganese, and manganese purple
H. 3.4 cm; diam. 28 cm; foot diam. 10 cm
On the back, beneath the base, inscription in blue ‘morte di Egieo Y’
On the back, remains of old restoration of a heavy hairline crack fixed with metal clips, now consolidated using archaeological restoration
An export licence is available for this lot
Il piatto ha cavetto profondo e larga tesa appena inclinata. L’orlo sul retro presenta tre filetti incisi circolari. Poggia su un basso piede privo di anello.
Nel nostro piatto Francesco Xanto Avelli interpreta il mito con grande maestria narrativa: al centro campeggia Pizia, che tiene in mano la patera delle offerte; a sinistra appare la nave di Teseo, riconoscibile perchè vestito di verde; a destra lo stesso Teseo assiste alla caduta del padre, raffigurato nella parte alta del piatto mentre compie il tragico gesto.
Come spesso avviene nei lavori del pittore rodigino, anche in questo caso si riconosce l’uso di più incisioni. La nave è tratta da un particolare dell’incisione del Ratto di Elena di Marco Dente (1493-1527) da Raffaello Sanzio. Per la figura della Pizia si potrebbe pensare a una delle figure derivate dalla Cappella Sistina e divulgate per stampa; ci pare però di riscontrare una somiglianza nel corpo della Pizia con quello di Vulcano raffigurato in un piatto del Walters Museum of Art di Baltimora, assegnabile al periodo compreso tra il 1528 e il 1532. Carmen Ravanelli Guidotti nel suo saggio su alcune opere inedite o poco note di Xanto Avelli, presentando il piatto in esame aveva già ipotizzato che la figura potesse essere stata tratta dall’incisione del Maestro del Dado con Ercole che scaccia l’invidia dal Parnaso: la posizione della figura che assiste alla scena seduta in basso richiama molto da vicino quella della nostra. La studiosa suggerisce inoltre una certa vicinanza con il piatto con il suicidio di Porzia, presentato nello stesso saggio: entrambe le opere andrebbero datate cioè attorno agli anni 1528-1529. Per la figura di Teseo, Ravanelli Guidotti pensa che si possa accostare a quella di uno dei pastori che assistono al rapimento di Ganimede in una stampa di Gian Battista Palumba e alla figura di Dedalo della coppa del gruppo “F.R.” del Gardiner Museum.
Egeo divenne re di Atene alla morte del padre Pandione. In assenza di un erede maschio, pur essendosi sposato più volte, si recò a consultare la Pizia, oracolo di Delfi, che gli disse: “Tieni chiuso il tuo otre di vino finchè non avrai raggiunto il punto più alto della città di Atene, altrimenti un giorno ne morirai di dolore”. Recatosi a Trezene incontrò Eta, figlia del re Pitteo, che gli fu presentata dopo averlo fatto ubriacare. Dall’incontro che ne seguì nacque Teseo; dopo qualche tempo Egeo decise di far ritorno ad Atene. Un giorno, durante una gara con il figlio di Minosse in visita ad Atene, Egeo fu colto da rabbia e uccise l’ospite. Il figlio Teseo, che nel frattempo si era riavvicinato al padre, dovette allora r -
Lotto 39 PIATTO
Urbino, Francesco Xanto Avelli, firmato, 1532 circa
Maiolica decorata in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bianco di stagno e bruno di manganese nei toni del nero, del marrone e del viola
alt. cm 4,6; diam. cm 27,5; diam piede cm 7,3
Sul retro, al centro del piede, la scritta “fra: Xanto, Avelli/ da Rovigo pinse Urbini/ In Sathir’ Giove d’amor converso/ favola Y” delineata in blu.
Sul retro etichetta stampata “SCHUBERT ANTICHITA' - corso MATTEOTTI 22 MILANO”
Intatto; lievi sbeccature dovute all’applicazione di sostegni sull’orlo; sbeccature d’uso sul bordo
Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, tin white, blackish and brownish manganese, and manganese purple
H. 4.6 cm; diam. 27.5 cm; foot diam. 7.3 cm
On the back, beneath the base, inscription in blue ‘fra: Xanto, Avelli/ da Rovigo pinse Urbini/ In Sathir’ Giove d’amor converso/ favola Y’
On the back printed label ‘SCHUBERT ANTICHITA'- corso MATTEOTTI 22 MILANO’
In very good condition; minor chips to rim; wear chips to rim
Il piatto ha cavetto profondo e larga tesa appena inclinata. L’orlo sul retro presenta tre filettature concentriche incise. Poggia su un basso piede privo di anello.
La scena è racchiusa tra un vecchio albero spoglio e disadorno e una rupe alta, coperta da zolle erbose; sullo sfondo, un paesaggio fluviale con alte colline squadrate e un borgo con un ponte su un fiume. Lo scenario è abitato da tre gruppi di figure: al centro, Eros avanza portando sulle spalle una saetta: il personaggio è tratto da un’incisione di Marco Dente che riproduce il fregio della chiesa di San Vitale a Ravenna; a destra, seduto su una roccia, è raffigurato Apollo, divinità che s’incontra spesso nelle opere di questo pittore e la cui rappresentazione è tratta dall’incisione di Marcantonio Raimondi del Parnaso di Raffaello Sanzio; a sinistra, infine, è collocata una scena erotica tra un satiro e una ninfa: il corpo della donna deriva probabilmente da una delle figure delle Pieridi tratte dall’incisione di Jacopo (o Gian Giacomo) Caraglio (1500-1565 circa) ripresa da Rosso Fiorentino raffigurante Il convegno tra le Muse e le Pieridi, mentre per il satiro al momento non è stata individuata alcuna fonte. Anche per la figura maschile che compare alle spalle di Apollo non è stato possibile, fino ad ora, identificare la fonte incisoria: ipotizziamo che il corpo, parzialmente coperto, possa essere stato ricavato da una delle incisioni con scene di battaglia o da quella che raffigura la Strage degli innocenti di Marcantonio Raimondi da Raffaello, utilizzate in molte occasioni dal pittore rovigense, mentre il volto potrebbe essere stato ispirato da quello dell’Invidia nell’incisione Invidia cacciata dal tempio delle Muse del “Maestro del Dado” e successivamente assemblato dal pittore che, come già in altre sue opere, lo ha dotato della capigliatura a ciuffi scomposti dipinti in un colore fulvo.
Anche in questo caso, come nel piatto presentato al lotto 38 di questo catalogo, vediamo come Francesco Xanto Avelli, secondo la tecnica che gli è consueta, abbia saputo mescolare figure tratte da più incisioni utilizzandole a suo piacimento.
L’opera è complessa e solo la frase “In Sathir’ Giove d’amor converso” sul retro ci aiuta nella sua comprensione. Vi leggiamo anche la firma per esteso del pittore, delineata con grafia rapida in blu scuro: “fra: Xanto, Avelli / da Rovigo pinse Urbini / In Sathir’ Giove d’amor converso / favola Y”.
La scena narra l’episodio di Antiope sedotta da Zeus, il quale le si presentò con le sembianze di un satiro: la conseguente gravidanza comportò una serie di sciagure: la morte del padre Nitteo, la nascita e l’abbandono dei due gemelli Anfione e Zeto, la cattura e la vessazione di -
Lotto 40 PIATTO
Urbino o altro centro del Ducato di Urbino, Francesco Xanto Avelli, 1528-1530 circa
Maiolica decorata in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bianco di stagno e bruno di manganese nei toni del nero, del marrone e del viola
alt. cm 4,5; diam. cm 26,6; diam. piede cm 7,3
Sul retro, sotto il piede, la scritta “A dann’p’el reo tesc iio/ anmiratino/ fabula y”
Intatto; sobbollitura dello smalto in basso a sinistra
Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, tin white, blackish and brownish manganese, and manganese purple
H. 4.5 cm; diam. 26.6 cm; foot diam. 7.3 cm
On the back, beneath the base, inscription in blue ‘A dann’p’el reo tesc iio/ anmiratino/ fabula y’
In very good condition; on the front, firing defect at 7 o’clock
Il piatto ha cavetto profondo e larga tesa appena inclinata. L’orlo sul retro presenta tre filetti incisi concentrici. Poggia su un basso piede privo di anello.
La scena figurata si svolge in primo piano tra un edificio, a sinistra, e due alberelli dal tronco sinuoso, a destra; al centro è resente un’alta rupe coperta da zolle erbose. Sullo sfondo un paesaggio costiero con un borgo circondato da mura e un’alta collina squadrata; un fiume lo separa dalla scena in primo piano.
Con la consueta capacità pittorica, il pittore rodigino sintetizza la vicenda di Perseo (Ovidio, Met. IV, 769-803), uno dei miti più articolati della grecità, unendo, come spesso accade, in una stessa narrazione i personaggi mutuati da più incisioni. Il momento topico è nell’esergo in primo piano: la morte di Medusa, il mostro femminile, con il capo coperto di vipere il cui sguardo era in grado di pietrificare il nemico, che giace con il capo mozzato su un prato erboso in prossimità di uno specchio d’acqua; il modello del corpo è tratto da un’incisione di Jacopo (o Gian Giacomo) Caraglio (1500-1565 circa) ripresa da Rosso Fiorentino raffigurante Il convegno tra le Muse e le Pieridi. A destra, Perseo – il capo coperto dall’elmo che rende invisibili e ai piedi i calzari alati dono di Ermes – avanza brandendo la spada e portando con sè la testa di Medusa; la figura qui utilizzata per rappresentare l’eroe è stata spesso usata dal pittore ed è presente anche in altre opere, e si tratta di un adattamento dall’incisione raffigurante il Martirio di Santa Felicita di Marcantonio Raimondi tratta da Raffaello. Al centro, un giovane personaggio spunta da dietro una roccia portando un sacco sulle spalle; il personaggio, anch’esso utilizzato di frequente da Xanto Avelli, è derivato dall’incisione di Marcantonio Raimondi raffigurante Isacco che benedice Giacobbe, ugualmente tratta da Raffaello. Riteniamo che si tratti di un episodio successivo: Perseo trasporta la testa della Gorgone all’interno di un sacco di cui Atena gli ha fatto dono insieme allo scudo utilizzato per ingannare Medusa, allo scopo di evitare lo sguardo del mostro, il cui potere pietrificante non sarebbe venuto meno neanche dopo la morte della stessa.
A sinistra, vicino a un palazzo, un uomo si copre il volto con un mantello. L’episodio potrebbe essere quello in cui Perseo, di ritorno dalle sue avventure, reca la testa promessa a Polittete per le nozze con la madre e per vendicarsi dei torti subiti la estrae per l’ultima volta dalla sacca pietrificando il re e i suoi cortigiani: “a danno per il reo”.
Anche quest’opera, come già detto per il lotto 38, va accostata a quelle prodotte prima dell’arrivo dell’Avelli a Urbino e si aggiunge alla serie cosid -
Lotto 41 COPPA
Pesaro, 1540 circa
Maiolica decorata in policromia con giallo, giallo-arancio, blu, verde rame, bianco e bruno di manganese nei toni del violaceo e del nero; tracce di verde sul retro
alt. cm 6,6; diam. cm 27,5; diam. piede cm 12,5
Sul retro etichetta ovale stampata “ANTICHITA' Petreni VIA RONDINELLI 7R FIRENZE”
Intatta; sbeccature e usure al piede; piccole sbeccature all’orlo
Earthenware, painted in yellow, yellowy orange, blue, copper green, white, manganese purple, and blackish manganese; on the back, remains of green colour
H. 6.6 cm; diam. 27.5 cm; foot diam. 12.5 cm
On the back, oval printed label ‘ANTICHITA' Petreni VIA RONDINELLI 7R FIRENZE’
In very good condition; chips and wear to foot; minor chips to rim
La coppa, dal piede basso e leggermente svasato presenta un ampio cavetto piano con orlo appena rilevato. La decorazione, su smalto sottile bianco leggermente azzurrato, interessa l’intera superficie e rappresenta una battaglia; sullo sfondo, incorniciato tra un albero e una roccia, un paesaggio lacustre con colline è entrato da una città fortificata.
Le scene di battaglia sono spesso raffigurate sulle ceramiche istoriate, ma le modalità pittoriche rapide e corrive non ci hanno permesso fino ad ora di individuare una precisa iconografia di riferimento. Tuttavia proprio le modalità pittoriche e aiutano nel confronto con una coppa di manifattura pesarese che presenta caratteristiche stilistiche molto simili: si vedano, oltre alla resa pittorica, alcuni dettagli nel modo di raffigurare i corpi e le armi, come ad esempio lo scudo ellittico in primo piano, disegnato in modo molto ingenuo, presente in entrambi gli oggetti. La coppa di confronto, raffigurante la caccia al cinghiale calidonio e conservata nei Musei Civici di Pesaro, presenta architetture in lontananza dipinte in modo approssimativo, sproporzionate rispetto alle montagne poste a ridosso dei paesi. In primo piano le rocce color ocra hanno profili arrotondati e il terreno è reso pittoricamente con un’alternanza di ocra e di verde rame intenso, mentre i dettagli sono sottolineati con abbondanti pennellate di manganese.
Riteniamo corretto, dunque, assegnare il nostro esemplare alla stessa mano della coppa di Pesaro, in più occasioni citata dalla letteratura alla ricerca di un’attribuzione differente dalla bottega di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce. Ci piace proporre una sua immagine com’era stata pubblicata nel catalogo dell’originaria collezione di Charles Damiron.
Si ha traccia di un passaggio della coppa in esame alla casa d’aste Christie’s, con l’attribuzione a Urbino e una datazione agli anni attorno al 1545. -
Lotto 42 COPPA
Urbino o Ducato di Urbino, 1540 circa
Maiolica decorata in policromia con giallo, giallo-arancio, blu, turchino, verde, bruno di manganese e bianco
alt cm 4,5; diam. cm 26,5; diam. piede cm 12,5
Sotto il piede, iscrizione dipinta in blu “L”, e, più in basso, come a seguito di un ripensamento, “La Visione di Jacob”
Intatta; lievi sbeccature all’orlo
Corredato da attestato di libera circolazione
Earthenware, painted in yellow, yellowy orange, blue, turquoise, green, manganese, and white
H. 4.5 cm; diam. 26.5 cm; foot diam. 12.5 cm
On the back, beneath the base, inscription in blue ‘L’ and further down ‘La Visione di Jacob’
In very good condition; minor chips to rim
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Coppa con ampio cavetto, bordo rilevato e orlo appena svasato, arrotondato e listato in giallo. Il piede è basso e ad anello, con orlo arrotondato. Il decoro è realizzato con colori tenui, molto diluiti, e ritocchi sottili a punta di pennello estremamente curati a sottolineare i lineamenti, i capelli con riccioli, i piedi, le mani e i contorni degli occhi lumeggiati in bianco. Tratti sottili rimarcano anche alcuni dettagli del paesaggio.
La scena riproduce il passo della Bibbia (Genesi 28, 10-18) che narra come Giacobbe, in viaggio per Betsabea, stesse dirigendosi verso Carran. Fermatosi per trascorrere la notte, prese una pietra e la pose come guanciale. Fece quindi un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa e il Signore gli diceva che la terra su cui si era coricato sarebbe stata della sua discendenza. Allora Giacobbe, destatosi dal sonno, riconobbe quel luogo come la sua patria, si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità.
La coppa, decorata sull’intera superficie, era stata attribuita a una bottega faentina vicina a Baldassare Manara. Oggi non ci pare che quest’attribuzione possa essere ancora ritenuta valida. La disposizione del decoro e le modalità compositive e stilistiche fanno pensare piuttosto che si tratti di un’opera di bottega marchigiana.
Si tratta di una foggia variamente utilizzata in tutto il ducato, e molte sono le affinità con opere pesaresi. A questo proposito colpisce la somiglianza con la coppa con Vulcano e Venere attribuita alla bottega di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce conservata alla Galleria Estense di Modena, in cui si nota la presenza di rami delineati in bruno di manganese e di un volo di uccelli che ricordano quelli presenti sul nostro esemplare. Ci pare poi interessante anche il confronto con una coppa con Gesù nel Giardino degli Ulivi presente nel 1974 nella collezione del Museo di Cluny a Parigi, in cui ci sembra di poter ravvisare qualche affinità con l’oggetto in esame: la coppa non ha attribuzione, ma viene assegnata a un arco cronologico attorno alla metà del secolo XVI.
Altro confronto può essere fatto con un piatto raffigurante la morte di Narciso e conservato al Museo di Philadelfia ascritto ad area metaurense e datato tra gli anni 1530 e 1540. Sono molto simili il modo di rendere i volti rivolti verso l’alto, in cui il naso diventa un segno triangolare, le mani dalle dita allungate, alcune sproporzioni nel rappresentazione di spalle delle figure, la presenza di grossi blocchi di pietra nel paesaggio e di sottili steccati realizzati con un leggero tratto, il paesaggio con casette dal tetto rosso unite tra loro da ponti sottili, e la presenza di stradicciole dall’andamento sinuoso coperte da c -
Lotto 43 TONDINO
Urbino, bottega di Guido di Merlino, “1543”
Maiolica decorata in policromia con blu, verde, arancio, giallo-arancio, bianco di stagno e bruno di manganese
alt. cm 5,2; diam. cm 23,9; diam. piede cm 8
Sul retro iscrizione “del porcho Cali/ donio 1543“ (la data in cartiglio)
Felatura in basso a sinistra con incollatura di una piccola porzione; sbeccature all’orlo; segni di usura al piede
Corredato da attestato di libera circolazione
Earthenware, painted in blue, green, orange, yellowy orange, tin white, and manganese
H. 5.2 cm; diam. 23.9 cm; foot diam. 8 cm
On the back, beneath the base, inscription in blue ‘del porcho Cali//donio 1543’ (the date in a cartouche)
Hairline crack at 7 o’clock with a small part reglued; chips to rim; wear to foot
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Il piatto, che presenta un profondo cavetto e una larga tesa appena inclinata, poggia su un piede basso privo di anello: questa forma è generalmente definita “tondino”.
La decorazione istoriata raffigura Meleagro, re dell’Etolia, mentre, insieme ai più celebri cacciatori, uccide il cinghiale Calidonio inviato da Artemide per distruggere i raccolti: la dea aveva inflitto questo castigo per essere stata dimenticata dal re nei sacrifici agli dèi dell’Olimpo.
La scena è racchiusa tra un albero e una rupe, che fanno da quinte a un paesaggio lacustre con alte colline rocciose e piccoli borghi. A sinistra la dea cacciatrice assiste all’uccisione del feroce animale, posto al centro della scena mentre azzanna un cacciatore a terra. Tutt’intorno i cacciatori, tra i quali Atalanta, l’amata di Meleagro, colpiscono con animosità il cinghiale. Al centro della tesa, in alto, uno stemma gentilizio non ancora identificato è come appeso a un ramo.
Il mito è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (Met. VIII, 260-545): il soggetto ebbe molto successo nel corso del ’500 e venne spesso utilizzato dai pittori urbinati per le loro decorazioni, ma la stampa utilizzata dall’autore come riferimento iconografico del decoro non è stata ancora identificata.
Il piatto trova un confronto diretto nel lotto 44 di questo catalogo, sia per lo stile pittorico sia per la presenza di uno stemma gentilizio simile, ma non uguale. Anche lo stemma, per il momento, non è ancora stato individuato.
Le caratteristiche tecniche vedono uno smalto grasso uniformemente distribuito, mentre sul retro l’orlo, l’attacco del cavetto e la bordura del piede sono sottolineati di giallo. Sul fronte si osserva l’uso del verde in tutte le gradazioni, l’impiego dell’arancio soprattutto nelle vesti delle figure, e i tronchi scuri lumeggiati da tocchi di bianco, tecnica questa utilizzata con la stessa finalità anche nei volti, nelle armature e per marcare le onde del ruscello. Il modo di delineare le gambe delle figure – caratterizzate da polpacci grossi e muscolosi, da piedi piccoli e sottili, nonché da ginocchia rigonfie – e la capacità di porre prospetticamente i gruppi di personaggi, ci portano verso un pittore capace, in grado di dominare con finezza la materia.
L’accostamento con alcuni esemplari dalle caratteristiche stilistiche simili è molto utile: il raffronto fra l’espressione del volto di Diana e quella dei visi delle figure delineate in un piatto della raccolta del Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, nonché la somiglianza con altri esemplari firmati, ci avevano suggerito una possibile a Francesco Durantino, proprio agli inizi della sua collaborazione con -
Lotto 44 TONDINO
Urbino, bottega di Guido di Merlino, “1543”
Maiolica decorata in policromia in blu, verde, arancio, giallo-arancio, bianco di stagno e bruno di manganese
alt. cm 5,2; diam. cm 23,9; diam. piede cm 8
Sul retro iscrizione “di ioue mutato/ in Toro 1543” (la data in cartiglio)
Etichetta con numero “30” stampato; coppia di etichette dell’antiquario “Bossi et Fils, Genes-Nice”;
Intatto, salvo lievi sbeccature all’orlo e segni di usura al piede
Corredato da attestato di libera circolazione
Earthenware, painted in blue, green, orange, yellowy orange, tin white, and manganese
H. 5.2 cm; diam. 23.9 cm; foot diam. 8 cm
On the back, beneath the base, inscription in blue ‘di ioue mutato/ in Toro 1543’ (the date in a cartouche)
Printed label ‘30’; two antique dealer’s printed labels ‘Bossi et Fils, Genes-Nice’
In very good condition, with the exception of some minor chips to rim and some wear to foot
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Il piatto, che presenta un profondo cavetto e una larga tesa appena inclinata, poggia su un piede basso privo di anello: questa forma è generalmente definita “tondino”.
La scena è inserita in un paesaggio roccioso con un albero e una rupe a fare da quinte. In basso, al centro della tesa, Europa, colpita dalla bellezza e dalla mansuetudine di un toro bianco comparso nella mandria del padre, vi monta a cavalcioni, voltandosi a guardare verso una figura, probabilmente Mercurio in veste di pastore o il padre Agenore. Sul lato destro tre fanciulle, le amiche con le quale era solita accompagnarsi, assistono alla scena. Al centro è raffigurata la seconda parte della narrazione, con Europa che si allontana nel mare a cavallo del toro in un paesaggio ricco di porti e insenature. Al centro della tesa, in alto, uno stemma gentilizio non identificato e molto simile a quello presentato al lotto 43 di questo catalogo, sembra appeso ad un ramo. Sul retro, orlato di cerchi concentrici gialli, al centro del piede è delineata in blu la scritta “di ioue mutato/ in Toro 1543” con la data inserita in un cartiglio.
Il soggetto del Ratto di Europa, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (Ov., Met. II, 858-875), fu uno dei temi maggiormente utilizzati nella maiolica istoriata grazie alla diffusione delle incisioni con questo soggetto. Si vedano ad esempio i piatti conservati nei Musei Civici di Pesaro, e in modo particolare quello attribuito a Sforza di Marcantonio e datato 1549 come esempio dell’utilizzo delle fonti iconografiche nella maiolica urbinate.
Un oggetto che interpreta il mito capovolgendo la prospettiva, con modalità tecniche e decorative molto simili al piatto in esame, probabilmente dovute ad una scelta iconografica simile, è una coppa conservata ancora nei Musei Civici di Pesaro e attribuita al “Pittore del Pianeta Venere”, vicino a Lanfranco delle Gabicce, anch’essa con la protagonista seduta di spalle.
Il confronto diretto con il piatto presentato al lotto 43 di questo stesso catalogo ci fa pensare ad un'opera della medesima bottega, ma alla mano di due pittori, anche per la presenza di uno stemma gentilizio simile ma non uguale. Una prima ipotesi attributiva a Francesco Durantino nella bottega di Guido di Merlino è da respingere, anche se alcuni caratteri stilistici del pittore si intuiscono al centro del piatto.
Si veda per completezza il confronto stilistico con altri pezzi affini assegnati allo stesso artista: un piatto con alcune varianti nella scena, sormontato da uno stemma non identificato e d -
Lotto 45 PIATTO
Pesaro, bottega di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce (nei modi del “Pittore del Pianeta Venere”), “1545”
Maiolica decorata in policromia con blu, verde, arancio, giallo-arancio, bianco di stagno e bruno di manganese su fondo di smalto corposo; i colori sono stesi con abbondanza
alt. cm 2,8; diam. cm 23; diam. piede cm 8,9
Sul retro, sotto il piede, iscrizione in blu “orfeo 1545”
Intatto
Corredato da attestato di libera circolazione
Earthenware, covered by a rich glaze and painted in blue, green, orange, yellowy orange, tin white, and manganese, with lavishly applied colours
H. 2.8 cm; diam. 23 cm; foot diam. 8.9 cm
On the back, beneath the base, inscription in blue ‘orfeo 1545’
In very good condition
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Il piatto ha un cavetto largo e poco profondo, un’ampia tesa piana poco obliqua, orlo arrotondato e piede basso ad anello, al centro del quale è leggibile la scritta “Orfeo 1545”. Il retro è orlato da tre anelli gialli concentrici.
Al centro del cavetto il protagonista, Orfeo, suona la lira da gamba con un archetto; tutt’attorno sono raffigurate le creature dei boschi, reali e fantastiche, mentre si avvicinano a Orfeo, incantate dalla musica. La figura principale è incorniciata da una roccia voluminosa dall’insolita forma ramificata; alle sue spalle si apre sul fondo un paesaggio lacustre con alte montagne a cuspide e piccoli paesini.
Orfeo è figlio della musa Calliope e di Eagro, re della Tracia, regione nota fin dall’antichità per l’esistenza di sciamani capaci di provocare uno stato di trance per mezzo della musica e in grado di fare da tramite tra il regno dei vivi e quello dei morti. Il giovane è rappresentato nell’atto di incantare gli animali secondo un’iconografia che ha derivazioni antiche e ricorre in numerose versioni diverse. Le modalità pittoriche sono alquanto corrive e molto legate al tratto, mentre le caratteristiche fisiognomiche sono ben precise e riconoscibili: occhi con pupilla a punta di spillo, naso marcato solo alle narici, bocca leggermente aperta, mento piccolo; gli animali hanno musi allungati dallo sguardo antropomorfo.
La disposizione della scena prevede la consueta presenza di un paesaggio lacustre alle spalle della rappresentazione principale. Anche in questo caso il paesaggio ha connotazioni ben precise, sia nelle alte montagne dal profilo acuminato, a torre, sia nei paesini, caratterizzati da alte torri e tetti acuti e spioventi, colorati di un rosso intenso. Prevale il disegno: le campiture di colore sono stese a strati, con parti che debordano dall’orlo giallo, come si osserva per esempio nella zolla erbosa in basso a destra. Si scorge tuttavia un sapiente uso del bianco di stagno nelle lumeggiature utilizzate a sottolineare i contorni dei volti o in alcuni dettagli minuti, quali la sottile linea che orla il manto di Orfeo o i piccoli fiori che scendono dalla roccia.
I confronti stilistici più prossimi si riscontrano in ambito pesarese, come ad esempio nel piatto datato 1545 del British Museum di Londra con Orfeo che riceve la notizia della morte di Euridice, attribuito alla bottega pesarese di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce. Un confronto a nostro giudizio più pertinente è con un piatto su cui è rappresentata “la morte di Procri”, conservato nella collezione della Cassa di Risparmio di Perugia, anch’esso datato 1545 e attribuito alla mano del “Pittore del Pianeta Venere”, attivo probabilmente nella bottega pesarese di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce. Il piatto di Perugia mostra molte ca -
Lotto 46 COPPA
Ducato di Urbino o Urbino, “1549”
Maiolica decorata in policromia con giallo, ocra, arancio, turchino, blu, verde e bruno di manganese; sbavature di verde ramina sul retro
alt. cm 8,8; diam. cm 32,4; diam. piede cm 12,9
Sul retro, sotto il piede iscrizione “Ovidio narra/ del parto de Mirra. 1549”
Sul retro, sotto il piede parte di cartellino con manoscritto il numero “5386”
Rotture della tesa in alto, felature e incollature stabilizzate con restauro archeologico
Corredato da attestato di libera circolazione
Earthenware, painted in yellow, ochre, orange, turquoise, blue, green, and manganese; on the back, remains of green colour
H. 8.8 cm; diam. 32.4 cm; foot diam. 12.9 cm
On the back, beneath the base, inscription in blue ‘Ovidio narra/ del parto de Mirra. 1549’
On the back, beneath the base, remains of a hand-written paper tag ‘5386’
Cracks, hairline cracks, and reglued damages, consolidated using archaeological restoration
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La coppa poggia su un basso piede ad anello poco svasato, listato in giallo sulla parte esterna; il cavetto è ampio, concavo e ha un bordo obliquo appena rilevato, con labbro arrotondato. Sul retro, al centro del piede, è visibile in corsivo la scritta “Ovidio Narra/ del parto de Mirra. 1549”.
Sul fronte la decorazione si sviluppa su tutta la superficie della coppa: in basso a sinistra, davanti ad architetture rinascimentali, Cinira, un cipriota nativo di Pafo, insegue la figlia Mirra per ucciderla, dopo aver scoperto che la stessa, aiutata dalla nutrice Lucina, qui raffigurata mentre esce dal palazzo sorreggendo una fiaccola, l’ha sedotto con l’inganno. Al centro della scena, inserito in un paesaggio lacustre con montagne rocciose e paesini, è appresentato il soggetto principale della narrazione: la nascita di Adone o, come recita la scritta sul retro, “il parto di Mirra”: Mirra, infatti, trasformata in albero per sfuggire alla vendetta del padre, partorisce Adone tra le braccia di Lucina e delle Naiadi. Adone è quindi ritratto, in primo piano a sinistra, mentre riposa con Venere all’ombra di un albero, a raffigurare un’altra parte del mito.
Il cielo è reso con pennellate larghe e diluite, mentre il paesaggio è caratterizzato da diverse colline; le figure hanno corpi massicci e muscolosi, con polpacci arrotondati, piedi lunghi e sottili e tratti fisiognomici ben marcati; gli elementi architettonici sono realizzati con cura.
La decorazione istoriata presenta una narrazione simultanea di più episodi del mito narrato, quello di Mirra e Cinira (Ov., Met., X, 298-502) e quello di Venere e Adone (Ov., Met., X, 503-559; 681-739). Le fonti incisorie del piatto, non ancora identificate, sembrano essere diverse, ma comunque, almeno per l’episodio del parto, sono probabilmente derivate dalle versioni in volgare del testo di Ovidio.
Il soggetto ebbe un buon successo nel ’500 e lo troviamo riprodotto con diverse interpretazioni in numerose opere, come ad esempio nella coppa con Cinira e Mirra del Victoria and Albert Museum, attribuita al “Pittore del servizio della Rovere” e databile al 1540, che raffigura la stessa scena con modalità stilistiche scenografiche meno pacate.
In base al confronto stilistico con alcune opere coeve e concentrando la ricerca nell’ambito urbinate, ci pare di poter attribuire la coppa alla bottega dei Fontana e nella fase iniziale di attività, cioè al periodo in cui, sotto la guida di Guido Durantino, vi lavorarono numerosi pittori.
Il -
Lotto 47 COPPA O "SCUDELLA"
Pesaro, Sforza di Marcantonio, “1551”
Maiolica decorata in policromia con arancio, giallo, turchino, blu, verde ramina, bruno di manganese nei toni del nero e del marrone e bianco
alt. cm 4,2; diam. cm 22,6; diam. piede cm 10
Sul retro, sotto il piede, iscrizione “De Alcione la vision/ tremenda: e vera 1551”
Intatto, salvo lievi sbeccature all’orlo
Corredato da attestato di libera circolazione
Earthenware, painted in orange, yellow, turquoise, blue, copper green, blackish and brownish manganese, and white
H. 4.2 cm; diam. 22.1 cm; foot diam. 10 cm
On the back, beneath the base, inscription in blue ‘De Alcione la vision / tremenda: e vera 1551’
In very good condition, with the exception of some minor chips to rim
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La coppa ha ampio cavetto e tesa breve molto alta con orlo aggettante. Il piede è basso, ad anello e con profilo concavo. Il retro del piatto non presenta decorazioni, salvo la scritta corsiva in blu di cobalto all’interno del piede.
Sul fronte è raffigurato il momento in cui Alcione, distesa sul letto posto al margine destro del piatto, vede in sogno la morte del marito sotto gli occhi della dea Diana, sua acerrima nemica; sul lato sinistro si sviluppa la scena che mostra il naufragio di Ceice, in un paesaggio marino con un porto sullo sfondo. In alto, seduta su una corona di nuvole a chiocciola, la divinità ostile è raffigurata accompagnata da un pavone, suo simbolo distintivo.
Una mattina, durante una passeggiata nel bosco, la giovane Alcione si distese sull'erba soffice per asciugarsi al sole. La sua bellezza attirò i molti abitatori del bosco, che la scambiarono per Diana. Alcione, mossa da vanità, accettò gli elogi senza rivelare chi fosse veramente, e non lo fece neppure dopo la comparsa della vera dea, evitando di chiarire l’equivoco. La dea scatenò allora la sua ira implacabile, inviando sciagure al popolo di Trascina. Ceice, sposo di Alcione, per placare l’ira della dea andò quindi a interrogare l’oracolo di Apollo. Tre mesi dopo la partenza del marito apparve in sogno ad Alcione un messaggero alato, Morfeo, che le annunziò la morte dello sposo avvenuta tra le onde, durante la traversata. Alcione, svegliatasi di soprassalto, corse al mare e salì sullo scoglio più alto per scrutare lontano: ad un tratto le parve di veder galleggiare un corpo, e disperata si gettò in mare. In quello stesso momento Giove si mosse a pietà e, proprio mentre Alcione si lanciava nel vuoto, le donò due ali che le permisero di librarsi dolcemente nell’aria. Come per incanto, spuntarono due ali anche sul corpo galleggiante di Ceice, che fu visto sollevarsi dalle acque e andare incontro alla sua sposa. Fu così che nacquero nel mondo gli alcioni, uccelli che con il privilegio di fare il nido sulle stesse onde del mare.
Il soggetto, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (Ov., Met. XI, vv. 592-749), non è tra quelli più frequentemente riprodotti nelle opere in maiolica, ma si conosce tuttavia un bellissimo piatto con il medesimo soggetto e la stessa frase dipinto da Francesco Xanto Avelli.
La forma e le caratteristiche stilistiche del decoro, quali l’attenzione nella resa dei particolari architettonici – come i vetri delle finestre, i mattoni, il cornicione e la cupola sul letto a baldacchino – e la cromia, con il sapiente uso delle lumeggiature bianche, ci portano a pensare ad una buona mano e comunque ad una bottega importante in ambito urbinate o nei confini del Ducato.
La forma è attestata come -
Lotto 48 PIATTO
Pesaro, “1553”
Maiolica decorata a policromia in turchino, verde, rosso ferro, arancio, ocra, bianco e bruno di manganese nei toni del nero e del marrone
alt. cm 2,6; diam. cm 22,3; diam. piede cm 9,5
Sul retro, sotto il piede in caratteri corsivi in blu di cobalto, una scritta poco leggibile con alternanza di lettere e punti “N[.]rc[Â…]s[..](?)alf[..][..]n / f[..](?)[..]t [..]cch[..][..](?) [Â…]ns[.]s[..][..] / 1553”
Sul retro, sotto il piede etichetta rotonda manoscritta “FL40/11 (4)”; altra etichetta con scritta a mano “8/842/£100”
Intatto; lievi sbeccature all’orlo
Corredato da attestato di libera circolazione
Earthenware, painted in turquoise, green, iron red, orange, ochre, white, and blackish and brownish manganese
H. 2.6 cm; diam. 22.3 cm; foot diam. 9.5 cm
On the back, beneath the base, hardly-readable inscription in cobalt blue (with an alternation of letters and dots): ‘N[.]rc[Â…]s[..](?)alf[..][..]n / f[..](?)[..]t [..]cch[..][..](?) [Â…]ns[.]s[..][..] / 1553’
Round hand-written label ‘FL40/11 (4)’; hand-written label ‘8/842/£100’
In very good condition; minor chips to rim
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Il piatto, poggiante su un anello appena accennato, presenta un cavetto poco profondo, una larga tesa orizzontale e un orlo arrotondato listato di giallo. La superficie è interamente smaltata con abbondanza di materia interamente occupata dalla decorazione.
Sul retro, privo di decori, si legge una scritta in caratteri corsivi delineati in blu di cobalto, che vede alternare lettere e punti, utilizzati al posto delle vocali: “N[.]rc[Â…]s[..](?)alf[..][..]n / f[..](?)[..]t [..]cch[..][..](?) [Â…]ns[.]s[..][..] / 1553”. Ne proponiamo la lettura come segue: “Narcise al fon fecet Ecco in saso 1553”.
Al centro della composizione campeggia un’alta roccia da cui sembra emergere una fanciulla con gli arti che si trasformano in pietra; ai suoi piedi è raffigurato un giovane accucciato nell’atto di rimirarsi in uno specchio d’acqua. Sullo sfondo si scorge, parzialmente coperto da un albero, un paesaggio lacustre con paesini e montagne dal profilo arrotondato.
Protagonista del mito narrato da Ovidio è Narciso, figlio di Cefiso e della ninfa Liriope; alla nascita del bimbo ella aveva consultato il profeta Tiresia, il quale predisse che Narciso avrebbe raggiunto la vecchiaia “se non avesse mai conosciuto se stesso”. Il giovane era così bello che chiunque lo vedesse s’innamorava di lui, ma ne veniva respinto. Un giorno la ninfa Eco lo seguì furtivamente, desiderosa di rivolgergli la parola, ma non potendo attirarne l’attenzione in altro modo, corse ad abbracciare il bel giovane, il quale però l’allontanò immediatamente in malo modo. La ninfa, delusa, trascorse il resto della sua vita in valli solitarie, finché di lei rimase soltanto la voce. Nemesi, uditi i suoi lamenti, decise di punire Narciso: il ragazzo, imbattutosi in una pozza d’acqua profonda, si accucciò su di essa per bere, ma non appena, per la prima volta nella vita, vide la propria immagine riflessa se ne innamorò perdutamente. Solo dopo un po' si accorse che quell’immagine riflessa gli apparteneva e, rendendosi conto che si trattava di un amore impossibile, si lasciò morire struggendosi invano. Si compiva così la profezia di Tiresia.
In questo piatto, come pure in quello che segue in questo c