ASTA 98 - DIPINTI, DISEGNI E SCULTURE DAL XIV AL XIX SECOLO
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Lotto 265 MARCO BENEFIAL (Roma, 1684 - 1764)
Ritratto di Dama
Olio su tela, cm. 70x59. Con cornice
Il dipinto reca in basso a destra firma e data: "M. BENEFIAL FECIT ROMA 1763".
Questo notevole ritratto anche al di là della presenza della firma, evidenzia le migliori qualità del Benefial ritrattista. La tecnica esecutiva risulta qui particolarmente raffinata è in grado di restituire i particolari più minuti del suntuoso abbigliamento della protagonista la rosa, i gioielli, il ventaglio e tutti gli ornamenti del vestito sono restituiti con superbo virtuosismo. Stringenti termini di confronto sotto il profilo stilistico e qualitativo sono il ritratto di Angela Mignanelli della Galleria Spada di Roma e il ritratto di Giacinta Ruspoli Marescotti Orsini della fondazione Cini di Venezia.
PROVENIENZA:
collezione privata, Roma -
Lotto 266 GIROLAMO BRUSAFERRO (Venezia, 1684 - 1760)
San Sebastiano curato dagli angeli
Olio su tela, cm. 106x131. Con cornice
Il dipinto è accompagnato da un'expertise del Prof. Emilio Negro -
Lotto 267 FILIPPO FALCIATORE (Napoli, notizie fra il 1728 e il 1768)
Mulino con ortolana e due avventori
Olio su tela, cm. 128x101. Con cornice
Filippo Falciatore fu tra i protagonisti della scena artistica partenopea tra il quarto e il settimo decennio del Settecento. Dotato di raffinati mezzi tecnici ed espressivi, fu impegnato su tutti i fronti della pittura di storia. La sua fama principale è però legata alle scene galanti e agli intrattenimenti in giardino della nobiltà napoletana, e forse ancor più alle scene di genere di carattere più rustico, legate alla vita quotidiana delle classi umili, descritte con un tono costantemente sapido e leggero. Di teale produzione costituisce una notevole testimonianza la nostra grande tela inedita imperniata sui motivi, particolarmente cari al Falciatore pittore di genere, dell'ortolana e del mulino. Spiccano qui anche il bel paesaggio punteggiato di mulini, con il golfo di Napoli sullo sfondo, l'albero minutamente descritto e il bel brano di cielo, denso di nuvole scure. Confronti inequivocabili legano la presente tela a molte altre opere certe del pittore: si vedano, ad esempio, le opere pubblicate da Nicola Spinosa in Pittura napoletana del Settecento. Dal Barocco al Rococò, Napoli 1993, nn. 255-258, pp. 151, 153 e 317-318. -
Lotto 268 ARTISTA FRANCESE (?) ATTIVO A ROMA, SECONDO QUARTO XVII SECOLO
Ritratto di Gentiluomo della famiglia Rondinini (o Rondanini)
Olio su tela, cm. 70x53. Con cornice
Dipinto in prima tela. La tela reca al retro timbro con stemma della famiglia Rondinini (o Rondanini) di Roma. L'originale provenienza, di così alto rango e gusto collezionistico, potrebbe aprire qualche spiraglio per sciogliere il rebus attributivo intorno a questo notevolissimo ritratto. Sembra possibile un'origine non-italiana per il suo autore, forse francese, ma ancor più evidente è il suo diretto aggiornamento sui modi della ritrattistica romana post-caravaggesca. -
Lotto 269 ARTISTA VENETO, XVII SECOLO
San Giovanni Evangelista
Olio su tela, cm. 120x82. Con cornice -
Lotto 270 PITTORE VENETO, SECONDA METÀ DEL XVI SECOLO
Ritratto di gentiluomo in armatura
Olio su tela, cm. 147x112. Con cornice
Questa notevole effige di gentiluomo in vesti di condottiero militare si richiama chiaramente alla ritrattistica ufficiale di Tiziano Vecellio. Il portamento altero e fieramente distaccato, lo sguardo inquisitivo, col volto di trequarti, direttamente rivolto al riguardante, l'accurata descrizione dei paramenti militari, compreso lo scettro e l'elmo piumato posato sul tavolo retrostante, inscrivono questa bella tela all'interno di quel fondamentale segmento della ritrattistica europea tardo rinascimentale, che ha in Bronzino, Antonis Mor e naturalmente lo stesso Tiziano i suoi esponenti di più alto rango. -
Lotto 271 CARLO BONAVIA (attivo a Napoli dal 1751 al 1788)
Veduta di Baia con il castello aragonese e il tempio di Venere
Olio su tela, cm. 53x83. Con cornice
Allievo tra i più dotati del pittore francese Claude Joseph Vernet, Carlo Bonavia fu un pittore apprezzatissimo in vita, i suoi soggetti spaziano dalle campagne laziali e soprattutto partenopee, alle marine del Golfo di Napoli, fino ai capricci architettonici e alle vedute archeologiche dei Campi Flegrei, in linea con il gusto della sua epoca. Questa veduta, di ottima qualità, è animata da varie figure e rappresenta il golfo di Baia, nei Campi Flegrei, con in evidenza il cosiddetto Tempio di Venere, oggi riconosciuto come parte del complesso termale romano e la mole del castello aragonesco sullo sfondo. Questo soggetto è stato più volte ripreso dal pittore, con alcune varianti, ne troviamo, infatti, un’altra versione nelle raccolte dell’Ermitage di San Pietroburgo (inv. n. ГЭ-10119), il successo della composizione è testimoniato anche da una fedele riproduzione a stampa di Antoine Cardon nella sua Raccolta di vedute significative di Napoli e dintorni edita a Napoli tra il 1764 e il 1766 (vedi A. Negro Spina, Napoli nel Settecento. Le incisioni di Antoine Alexandre Cardon, Napoli 1989, pp. 70-73). -
Lotto 272 PIETRO RICCHI (Lucca, 1606 – Udine, 15 agosto 1675), ATTRIBUITO
Banchetto di Ester e Assuero
Olio su tela, cm. 188x131. Con cornice
Questa superba tela inedita costituisce una notevole aggiunta al catalogo del lucchese Pietro Ricchi. Essa rappresenta una testimonianza rilevante di quel segmento della produzione del pittore lucchese caratterizzato da marcati contrasti chiaroscurali e dalle ricerche sul lume artificiale. Documenti rilevanti di questa porzione del corpus di Ricchi, particolarmente orientato in senso naturalista e influenzato da pittori nordici caravaggeschi come Bigot, Honthorst e Seghers, sono alcuni dei suoi capolavori, affini in modo sostanziale all'opera qui in oggetto. Vale la pena di citare, tra gli altri, la Giuditta con la testa di Oloferne del museo di Castelvecchio di Verona, il Lot e le figlie, oggi irreperibile dopo una comparsa sul mercato antiquario berlinese nel 1927, la Giuditta con la testa di Oloferne nel Castello del Buonconsiglio a Trento e i due giovani a lume di candela già nella galleria Altomani di Pesaro. La presente opera recava un'attribuzione tradizionale all'ancora misterioso Trophime Bigot, che, sebbene oggi non più accettabile, rende comunque conto dell'attenzione con cui Ricchi guardò a pittori transalpini come Nicolas Renier e Jean Leclercq, originali interpreti di una lettura non ortodossa del caravaggismo.
BIBLIOGRAFIA DI CONFRONTO: P. Dal Poggetto, Pietro Ricchi. 1606-1675, Luisè ed., Rimini 1996. -
Lotto 273 MATTEO LOVES (Colonia?, ca. 1585 - Cento, ante 1647)
Giuditta e Oloferne
Olio su tela, cm. 91x114. Con cornice
Il dipinto è accompagnato da un'expertise del Prof. Paul Huys Janssen. Questa tela smagliante manifesta una duplice radice pittorica, che trova però un punto di fusione di ammirevole equilibrio. Il naturalismo della vecchia serva di Giuditta, il marcato chiaroscuro, gli incarnati perlacei parlano una lingua nordica post-caravaggesca; il bilanciamento classico della composizione, la tornita plasticità delle figure, lo sfarzo dei tessuti e dei panneggi indirizzano verso il barocco italiano e a Guercino in modo specifico. Nello studio che accompagna l'opera, Paul Janssen ha convincentemente ricondotto al nome di Matteo Loves questa varietà di elementi e di influssi. Tedesco di nascita, fiammingo di formazione, Loves si trasferì in Italia prima del 1625, anno in cui prende per moglie, a Cento, Violante Fabri. Pochi mesi più tardi Guercino fa da padrino al battesimo della figlia di Matteo e per tutta la sua carriera Loves sarebbe rimasto uno stretto collaboratore del grande pittore. Il più stringente termine di confronto della nostra tela è il dipinto dello stesso soggetto di proprietà dela Galleria Sarti di Parigi, firmato sul retro della tela, che mostra un impianto simile e un'analoga definizione dei tessuti e dei panneggi. Significative analogie di stile e di esecuzione si possono rilevare anche con la Maddalena in contemplazione del crocifisso della Fondazione Cavallini Sgarbi e con il San Giuseppe, San Filippo Neri ed angeli del Duomo di Carpi. -
Lotto 274 PIER FRANCESCO MAZZUCCHELLI, DETTO IL MORAZZONE (Morazzone, 1573 - Piacenza, 1626)
Decollazione del Battista
Olio su tela, cm. 241x165,8
La tela presenta al centro del margine inferiore l'arme gentilizio, non più decifrabile, della famiglia committente dell'opera. Ai lati dello stemma è presente una iscrizione a pennello in lettere capitali con tracce di firma: "FRANCI [SCU] S / (…) CAMER (…) A".
Il dipinto è presentato con alcuni saggi di pulitura. L'importante opera che qui si illustra, a quanto ci risulta inedita, costituisce probabilmente la pala d'altare della quale il modello finito è rappresentato dalla ben nota versione conservata presso il Museo di Palazzo Bianco a Genova, di più piccole dimensioni. Quest'ultimo dipinto, oggi considerato fra i capolavori del Morazzone, ha avuto in realtà una vicenda attributiva assai tortuosa, essendo stato riferito per la prima volta al grande pittore lombardo solo nel 1979. La nostra grandiosa tela concretizza appieno tutte le premesse di monumentalità implicite nel dipinto di Palazzo Bianco, esasperandone la tragicità e conferendo una solennità rituale alla scena, quasi da arcaica rappresentazione sacrificale. La magistrale calibratura delle posture congela il momento culminante del racconto, conferendo al gruppo composito delle figure, pur nell'adozione di un linguaggio pittorico naturalistico, una plasticità autenticamente classica.
PROVENIENZA:
collezione privata, Roma -
Lotto 275 ELISABETTA SIRANI (Bologna, 1638 - 1665) E GIOVANNI ANDREA SIRANI (Bologna, 1610 - 1670)
Berenice
Olio su tela, cm. 109x149,5. Con cornice
Il dipinto è accompagnato da un' del Prof. Massimo Pulini.
L'opera è presentata in temporanea Importazione.
Cornice bolognese originale in legno dorato.
Questa tela di superba qualità rappresenta Berenice, figlia di Magas re di Cirene, nell’atto di tagliare con un paio di piccole forbici la sua lunga chioma bionda, aiutandosi con uno specchio di cui lo spettatore vede esclusivamente una piccola porzione del retro. La sovrana porta così a compimento un voto fatto ad Arsinoe, regina d’Egitto divinizzata in Afrodite Zefiritide, affinché suo marito Tolomeo III Evergete, futuro re d’Egitto, tornasse in salvo dalla guerra in Siria contro Antioco II. Un giovane paggio assiste Berenice in questo gesto simbolico di rinuncia a quello che tradizionalmente è uno dei connotati più caratteristici della femminilità, porgendole per contrasto i più tipici attributi bellici, l’elmo e la spada. Come narra l’astronomo di corte Conone, al felice ritorno in patria di Tolomeo il voto fu sciolto e la chioma di Berenice si trasformò miracolosamente in una costellazione di stelle, nota ancora oggi come Chioma di Berenice.
Quando fu rinvenuto, il dipinto venne presentato e pubblicato come autografo di Elisabetta Sirani nel catalogo della mostra "Guercino. Poesia e sentimento nella pittura del 600" (Roma 2003-2004, pp. 234-235). Fu Adelina Modesti (Bologna 2004, pp. 252-253) a ipotizzare per la prima volta che la tela potesse essere il frutto della collaborazione fra Elisabetta Sirani e il padre Giovanni Andrea. Tale opinione fu in seguito rivista dalla stessa studiosa in favore del solo Giovanni Andrea (Modesti 2014, n. 22, pp. 151-152) a seguito dell’interpretazione da lei data a un’indicazione contenuta in un inventario del 1671 della collezione di Simone Tassi a Bologna. La studiosa propone così di riconoscere la nostra tela con quella sommariamente descritta nell’inventario come una Semiramide di mano di Giovanni Andrea Sirani che faceva coppia con la Porzia di Elisabetta oggi presso la Miles & Ross Foundation di Houston (le cui misure, peraltro, sono cm. 101 x 138 rispetto ai cm. 108 x 150 dell’opera qui in oggetto). Se tale identificazione appare chiaramente problematica, viste le incongruenze di dimensioni e soprattutto di iconografia, va sottolineato come il nostro mirabile dipinto mostri un linguaggio pittorico a metà strada tra lo stile del padre e quello della figlia. Tipici di Giovanni Andrea, infatti, sono il trattamento delle vesti e l'impostazione teatrale della scena, mentre appaiono ben riconducibili ai modi di Elisabetta l'espressione energica dell'eroina, la figura abbreviata del giovane servitore e l’intonazione cromatica giocata sui rossi squillanti.
Dopo il 1660, del resto, era del tutto naturale che Elisabetta collaborasse alle commissioni paterne, e tanto l'atmosfera appassionata, quanto il piglio energico che traspaiono nella nostra opera rivelano pienamente il suo apporto decisivo alla tela impostata da Giovanni Andrea. Al di là delle questioni filologiche resta l'elevatissima qualità del dipinto, in cui viene eloquentemente celebrata la moralità della bellezza e la nobiltà del comportamento dall’eroina che, seppur pagana, poteva costituire un efficace modello di virtù per la nobiltà cattolica del Seicento.
Massimo Pulini suggerisce persuasivamente che l'opera sia stata eseguita intorno al 1664, negli ultimi tempi di vita di Elisabetta, poco prima della sua morte dovuta al perforamento dell’appendicite. Un evento tragico, che troncò brutalmente la carriera già luminosa della giovane artista e avrebbe condizionato per sempre anche la produzione di Giovanni Andrea, che non sarebbe più riuscito in seguito a raggiungere la qualità pittorica e il grado di espressività attestate da questa opera.
BIBLIOGRAFIA:
Guercino. Poesia e sentimento nella pittura del '600, catalogo della mostra, a cura di D. Mahon, M. Pulini, V. Sgarbi, Roma, 2003-2004, Novara 2003, pp. 234-235;
A. Modesti, Elisabetta Sirani: una virtuosa del Seicento bolognese, Bologna 2004, pp. 252-253;
B. Bohn, The construction of artistic reputation in Seicento Bologna: Guido Reni and the Sirani, in Renaissance studies, 2011, n. 25, 4, pp. 511-537;
M. Pulini, Le terre della pittura tra Marche e Romagna: Cesena, Galleria Comunale d’Arte, 25 giugno - 28 agosto 2011, Santa Lucia (Cesena), 2011, p. 25;
A. Modesti, Elisabbetta Sirani 'Virtuos’. Woman's Cultural Production in Early Modern Bologna, in Late medieval and Early Modern Bologna, Brepols 2014, n. 22, pp. 151-152 e p. 390;
D. Dotti, Donne nell’arte da Tiziano a Boldini, Milano 2020, pp. 54-55. -
Lotto 276 CARLO SARACENI (Venezia, 1579 - 1620)
Venere e Cupido
Olio su tela, cm. 130x106,5
Questo mirabile e importante dipinto vanta una vicenda attributiva di grande interesse, prima di approdare a un più stabile riferimento alla paternità di Carlo Saraceni. La tela fu infatti pubblicata nel 1943 da Roberto Longhi, accompagnata da un ampio ed entusiastico commento. Il grande studioso inquadrò criticamente l'opera nell'ambito dei rapporti tra Saraceni, Elsheimer e Orazione Gentileschi nel primo decennio del Seicento: "Certe intenzioni di carattere e di 'humor' rattenuto (...) certe tortuosità nelle frange del tappeto orientale parlano soprattutto del Saraceni; lo splendore acconciato del panno bianco, del Gentileschi; ma il massello rosa-ambra del nudo appallato, raccolto, candidamente animalesco e lo sfuggir del paese (...) potrebbero anche suggerire il nome dello stesso Elsheimer". Successivamente l'opera rimbalzò fra i tre grandi pittori finchè Ben Nicholson e Ward Bissel, indipendente, la indirizzarono più convincentemente verso Saraceni, dove essa ci sembra che vada confermata. In occasione di una pulitura della tela, risalente agli anni Ottanta del Novecento, è riapparsa la figura di Cupido in basso a destra, integra e in buono stato di conservazione, che in epoca imprecisata era stata ricoperta da un'ampia zona scura.
BIBLIOGRAFIA: R. Longhi, Ultimi studi sul Caravaggio e la sua cerchia (1943), in Il Caravaggio e i caravaggeschi di Roberto Longhi, Firenze 2005, p. 21, fig. 32; E. Waterhouse, A Note on British Collecting of Italian Pictures in the later Seventeenth Century, in "Burlington Magazine", CII (1960), p. 57; B. Nicolson, The Art of Carlo Saraceni, in "Berlington Magazine", CXII (1970), p. 312; R. Ward Bissell, Orazio Gentileschi and the poetic tradition in Caravaggesque painting, University Park and London, 1981, pp.209-210, fig. 164.
PROVENIENZA:
collezione Aldo Briganti; collezione privata, Roma
Per il suo particolare interesse storico-artistico 01/03/2012 l'ufficio esportazioni di Roma avviò il diniego di attestato di libera circolazione per il presente dipinto.