ASTA 98 - DIPINTI, DISEGNI E SCULTURE DAL XIV AL XIX SECOLO
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Lotto 253 GIOVANNI MARTINELLI (Montevarchi, 1600 – Firenze, 1659)
La Carità Romana (Cimone e Pero)
Olio su tela, cm. 129,5x146. Con cornice
Il dipinto è accompagnato dalle expertise della Prof.ssa Mina Gregori e del Prof. Sandro Bellesi che indipendentemente lo hanno riconosciuto come autografo di Giovanni Martinelli.
Quest’opera, inizialmente attribuita ad Artemisia Gentileschi (un'attribuzione che, seppur erronea, comunque ben la collocava all’interno della stessa temperie culturale fiorentina verso la metà del XVII secolo), va definitivamente collocata nel catalogo di Martinelli. L’episodio illustrato è tratto dalla classicità (Valerio Massimo, Factorum e dictorum memorabilium, vol. V). Nota come la Carità Romana, la storia di Cimone e Pero ha chiari intenti moralizzanti e conobbe una considerevole fortuna nella pittura italiana del Seicento. Dal punto di vista stilistico il nostro dipinto può essere messo a confronto due tele di Martinelli realizzate nel 1647: la Madonna del Rosario di Pozzolatico e lo stesso soggetto nella tela d'altare oggi ricoverata nel Castello di Poppi, situando l’opera alla fase matura del pittore.
BIBLIOGRAFIA: S. Bellesi, Studi sulla pittura e sulla scultura del ’600 - ’700 a Firenze, Firenze 2013, p. 49, fig. 30. -
Lotto 254 AMBITO FRANCISCO RIBALTA (Solsona, 1565 – Valencia, 1628)
Cristo flagellato
Olio su tela, cm. 181x138,5. Con cornice
Formatosi a Madrid sotto la guida dei pittori incaricati da Filippo II della decorazione del El Escorial, il Ribalta venne a contatto con Navarrete el Mudo e Bartolomé Carducho ma anche con i capolavori dei maestri veneziani Sebastiano Del Piombo e Tiziano. Successivamente, fu tra i primi seguaci in Spagna del nuovo stile caravaggesco, introducendo nella sua pittura uno spiccato naturalismo soprattutto nelle anatomie dei corpi. A Valencia guidò una bottega che includeva suo figlio, Juan Ribalta (1597-1628) e il figliastro, Vicente Castelló (c. 1586-c. 1636). Il nostro quadro può essere datato posteriormente al 1620, anche in riferimento ad un’altra versione dello stesso soggetto esitato nel 1997 da Christie’s Londra come autografo del pittore, di dimensioni molto simili e con minime varianti compositive. Nel nostro dipinto la drammaticità della scena è enfatizzata di un sapiente uso della luce e dalla tensione del corpo del Cristo in primo piano quasi a grandezza naturale. Un riferimento stilistico e compositivo per la nostra tela può essere certamente considerata La Flagellazione di Cristo del Caravaggio oggi conservata al Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli.
PROVENIENZA:
collezione privata, Roma -
Lotto 255 BENEDETTO GENNARI (Cento, 1563 – 1610)
Ritratto di Sir Thomas Isham
Olio su tela, cm. 140x120. Con cornice
Il dipinto reca in alto a destra iscrizione a pennello: "SIR THOMAS ISHAM".
Sir Thomas Isham, morì appena ventiquattrenne a Londra il 26 luglio 1681, tale data rappresenta evidentemente il termines ante quem per la datazione del dipinto. La sua probabile esecuzione verso la fine dell'ottavo decennio colloca questo ritratto di smagliante qualità esecutiva nei primi anni del soggiorno di Benedetto Gennari come pittore della corte reale inglese, dove si era trasferito nel 1675 e dove rimase fino al ritorno a Bologna nel 1692. Allievo e seguace di Guercino, Benedetto Gennari, combina qui l'esempio del suo maestro con l'influsso della coeva ritrattistica di corte inglese, dipendente da Anton Van Dyck, e in particolare della pittuta di Sir Peter Lely. -
Lotto 256 SEGUACE DI GUIDO RENI, XVII SECOLO
Crocifissione di Cristo con Maddalena abbracciata alla croce
Olio su tela, cm. 112x75. Con cornice
Al retro della tela di rifodero è stata lasciata una finestra in basso a destra per mantenere visibile l'iscrizione a pennello presente sulla tela originale: "F. CAUMETTE / 1699".
Questa intensa rappresentazione della crocifissione di Cristo, originalmente accompagnato dall'esclusiva presenza della Maddalena abbracciata al legno di croce, s'ispira al Crocifisso con la Vergine, Maddalena e l'Evangelista, capolavoro di Guido Reni, eseguito intorno al 1617 per la chiesa dei Cappuccini a Bologna e oggi conservato presso la locale pinacoteca Nazionale. La scelta di sottrarre le due figure laterali della Madonna e Giovanni, dovette trarre origine da una specifica motivazione di carattere devozionale legata, con ogni probabilità, a una richiesta della committenza. La soluzione iconografica adottata consentì al pittore di sviluppare il paesaggio sullo sfondo ampliando il brano della città che ne occupa la porzione destra. -
Lotto 257 PITTORE LOMBARDO (BERGAMASCO?) ATTIVO NELL'ULTIMO QUARTO DEL XVII SECOLO
Ritratto dell'abate "Benedetto Adolphus …"
Olio su tela, cm. 115x97,5. Con cornice
La tela reca in basso a destra iscrizione a pennello con nome dell'effigiato e data di esecuzione: "BENED. ALDOPHU[S] / (…) 1683". -
Lotto 258 PAOLO DE MATTEIS (Piano Vetrale, 1662 - Napoli, 1728)
Sacra Famiglia
Olio su tela, cm. 72,5x102,5. Con cornice
Questa tela smagliante, in eccellente stato di conservazione, documenta al più alto livello l'attenzione riservata da Paolo De Matteis alla pittura di Luca Giordano. Nella levigatezza degli incarnati, nella plasticità delle figure, nella luminosità delle gamme cromatiche e nella peculiare combinazione di classicismo e naturalismo la nostra tela si avvicina agli esiti più felici della produzione devozionale del pittore, quali l'Annunciazione dell'Art Museum di Saint Louis, l'Assunzione della Vergine del Museum of Fine Art di Boston o il Matrimonio Mistico di Santa Caterina del Kunsthistorische Museum di Vienna. -
Lotto 259 SALVATOR ROSA (Arenella, 1615 - Roma, 1673), ATTRIBUITO
Ritratto di matematico (Autoritratto in vesti di matematico?)
Olio su tela, cm. 117x92,5. Con cornice
Questa impressionante effige di matematico si colloca all'intersezione di varie tipologie centrali nella produzione di Salvator Rosa: le immagini, per così dire astratte, di antichi filosofi, studiosi e uomini di scienza, nella tradizione di Ribera; la pittura concettosa, filosofica, in voga alla metà del Seicento grazie anche alla diffusione dello stoicismo; e forse l'autoritratto (se questa suggestione potesse trovare piena conferma per la nostra tela), da lui assiduamente praticato nelle più varie modalità: qui, eventualmente, anche nella fattispecie dell'autoritratto nelle vesti di figure di particolare valenza esemplare. Il migliore supporto, seppure non definitivo, all'intrigante ipotesi che Rosa abbia qui voluto rappresentarsi (e trasfigurarsi) è l'Autoritratto oggi al Musée des Beaux-Arts di Strasburgo, dove lo dovremmo ritrovare sui quarant'anni, qualcuno meno di quanti ne suggerisce il nostro dipinto. In quest'opera sofisticata, immagine ideale e insieme vivido e concreto ritratto "in azione", trovano espressione in una miscela singolare il distaccato disinteresse delle cose mondane, l'assoluta concentrazione sull'oggetto delle proprie meditazioni, ma anche l'energia vitale del pensiero nel suo svilupparsi. In ciò, seppure in una veste ormai pienamente matura, si potrebbe ritrovare il Rosa inquieto degli autoritratti giovanili.
Interessanti termini di comparazione per il nostro dipinto - stilistici, iconografici, ma anche ideali - si possono considerare l'Eraclito e Democrito del Kunsthistorisches Museum di Vienna, il Filofoso che contempla un teschio del Christ Church College di Oxford e il Belisario della Renishaw Hall di Stafford (Derbyshire).
PROVENIENZA: collezione privata, Roma -
Lotto 260 JACOB DE HEUSCH (Utrecht, 1657 – Amsterdam, 1701)
Paesaggio costiero con arco di roccia, barche e figure
Olio su tela, cm. 102x178. Con Cornice -
Lotto 261 ATELIER DI MARIA VON OOSTERWYCK (Nootdorp, 1630 – Uitdam, 1693)
Bouquet di fiori in un vaso di cristallo
Olio su tela, cm. 61x51
PROVENIENZA:
collezione privata, Roma -
Lotto 262 ARTISTA LOMBARDO, SECONDA METÀ XVII SECOLO (ANGELO MARIA ROSSI?)
Coppia di nature morte di frutta con pappagalli
Olio su tela, cm. 64x60. Con cornice
Questa notevole coppia di nature morte di frutta, entrambe ingentilite dalla presenza di un pappagallo, è stata ricondotta, con buoni argomenti, sebbene forse non definitivi, alla mano di Angelo Maria Rossi da Nicosetta Roio. A questo eminente specialista di nature morte attivo in Lombardia nella seconda metà del Seicento, è stato infine possibile assegnare con una certa sicurezza un nucleo omogeneo di dipinti in precedenza riferito dapprima allo pseudo Fardella e poi al Pittore di Carlo Torre.
BIBLIOGRAFIA: N. Roio, in 712 A.D. - 2012: Berceto 1300 anni di storia, catalogo della mostra Berceto 2012, nn. 18-19. -
Lotto 263 JOHANNES NICOLAUS TREU (Bamberg, 1734 - Würzburg, 1786)
Autoritratto
Olio su tela, cm. 85x67. Con cornice
Il dipinto è accompagnato da un'expertise del Prof. Eduard Safarik.
Questa bella tela, raffigurante un pittore intento a terminare un ritratto femminile, ed è stato riferito da Eduard Safarik alla mano di Johannes Nicohlaus Treu. Figlio di una famiglia di pittori di Bamberg, si specializzò nella ritrattistica e sotto Adam Friedrich von Seinsheim si trasferì a Würzburg, dove fu nominato pittore di corte. Questo tipo di autoritratto, con la raffigurazione del dipinto nel dipinto rientra in una tipologia molto comune nella cerchia del pittore ceco Ján Kupecký di cui Treu faceva attivamente parte. Molte delle sue opere oggi si trovano al Historisches Museum e nella Neue Residenz a Bamberg e nel Mainfränkisches Museum di Würzburg. -
Lotto 264 GIOVAN FRANCESCO DE ROSA DETTO PACECCO (Napoli, 1607 – 1656)
Santo Stefano martire
Olio su tela, cm. 180x127. Con cornice
il dipinto è accompagnato da un'expertise del Prof. Nicola Spinosa.
Questa tela monumentale è stata, con certezza, assegnata dal professor Nicola Spinosa a Pacecco De Rosa, il quale segnala il suo stretto collegamento con un dipinto pressocchè identico, salvo la disposizione delle braccia del Santo, in collezione privata. Per la resa preziosa della tunica la nostra tela risulta prossima alle due versioni del San Nicola di Bari presso la chiesa della Certosa di San Martino a Napoli e nella chiesa di San Niccolò a Milano. Come questi ultimi la tela che qui si illustra può essere collocata alla metà del settimo decennio del Seicento, presentando un'alnaloga combinazione di forte naturalismo mutuato da Filippo Vitale, patrigno di Pacecco, e di soluzioni di più temperato classicismo affini a quelle che negli stessi anni venivano adottate da Massimo Stanzione, Artemisia Gentileschi, Simon Vouet e Francesco Guarini.