Asta 277 Arte Antica e del XIX secolo
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Lotto 141 DA SERMONETA GIROLAMO SICIOLANTE (1521 - 1580) Battesimo di Cristo. Olio su tavola. Cm 53,00 x 70,00. Al retro timbro a ceralacca. Provenienza: Collezione Privata. Bibliografia di riferimento: J. Hunter, Girolamo Siciolante pittore da Sermoneta (1521-1575), "L'Erma" di Bretschneider, Fondazione Camillo Caetani, Roma 1996.L'opera è accompagnata dall'expertise a cura di Emilio Negro, 18 maggio 2006. Girolamo Siciolante nasce a Sermoneta (Latina) e viene mandato a Roma come allievo di Leonardo da Pistoia. Forse già a partire dal primo lavoro, eseguito in proprio nel 1541, secondo la testimonianza di Vasari, diventa allievo di Perin del Vaga, allora impegnato nella decorazione dell'appartamento papale a Castel S. Angelo. Il nuovo sodalizio si rivela una fortuna per Siciolante che si trova ad occupare una posizione di primo piano nella capitale. Perin si è infatti già distinto come il pittore più rinomato della corte di Paolo III e Vasari afferma che Siciolante è il suo miglior allievo. Nel 1543 diventa socio dell'Accademia di S. Luca, l'anno seguente entra a far parte dell'associazione chiamata la Congregazione dei Virtuosi al Pantheon: una lega di artisti che lavorano per Paolo III. Grazie al suo talento e all'appartenenza a queste due associazioni, cresce e conserva prestigio nell'ambiente romano. Gode inoltre dell'appoggio dei Caetani che gli affidano numerose commissioni in quanto famiglia di rilievo nel contesto romano e strettamente legata alla corte dei Farnese. Quando Siciolante comincia a lavorare a Roma, Camillo Caetani è infatti il signore di Sermoneta e suo cugino Alessandro Farnese è diventato papa con il nome di Paolo III. L'artista soggiorna anche nelle terre padane, prima a Piacenza, poi a Bologna, dove ha modo di studiare la pittura di Prospero Fontana. Muore d'improvviso nell'estate del 1575, lasciando la famiglia in uno stato di sicurezza e benessere grazie alla brillante carriera conquistata in vita.La tavola raffigura uno degli episodi più significativi della vita di Cristo: il Battesimo nel fiume Giordano. L'iconografia rispetta la tradizione rinascimentale con Cristo al centro della scena di paesaggio e Giovanni vestito con la pelle d'agnello che compie il gesto sacrale assistito da alcuni angeli.Lo stile manierista dell'opera, di alta qualità e in buono stato di conservazione, indica l'ispirazione tratta dai dipinti di Perin del Vaga e mostra una leggera vena classica unita ad influenze padane, derivate dalla pittura di Prospero Fontana, tutti stilemi che rimandano a Girolamo Siciolante. L'expertise del Prof. Emilio Negro assegna infatti il dipinto al corpus delle opere del maestro e propone il confronto con dipinti della sua piena maturità artistica, come le Storie della Creazione nella cappella della Natività in Santa Maria della Pace a Roma. La presenza, qui come nel Battesimo, della medesima sobrietà compositiva e degli stessi colori caldi e smaltati collocano la tavola accanto ai migliori dipinti realizzati da Siciolante. . Cornice presente
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Lotto 142 ZUCCARELLI FRANCESCO (1702 - 1788) Fiume ghiacciato con personaggi. . Olio su tela . Cm 54,50 x 40,00. Provenienza: Galleria d'Arte Permanente, Bergamo. Collezione Privata. Bibliografia di riferimento: H. Walpole, Anecdotes of Paintings, London, 1826-1828, 5 vols (ed.1969, vol. IV, pp. 122-123); F. Spadotto, Francesco Zuccarelli, catalogo ragionato dei dipinti, Milano, Bruo Alfieri editore, 2007.L'opera è accompagnata da expertise a cura di Federica Spadotto che si riporta di seguito.La biografia del più acclamato paesaggista del Settecento europeo si profilava come una carrellata di ben disegnate pastorellerie all'insegna delle bucoliche descritte da Virgilio e trasposte sulla tela con accenti più o meno idillici. Francesco, almeno così tutti credevano, era l'aedo della perduta età dell'oro, fatta di eterni meriggi assolati, pastorelle felici, contadini e pescatori dalla fisicità statuaria languidamente abbandonati all'ozio meridiano, ignari della fatica e del dolore.In realtà quello cui si fa riferimento rappresenta solo un segmento, pur cospicuo, del corpus zuccarelliano, che vanta un bagaglio di esperienze assai variegato e complesso, come si legge in modo esauriente nell'opera in esame. A partire dal soggetto, un fiume ghiacciato, immediatamente riferibile ai celeberrimi esemplari dei Brueghel ( cfr. Vienna, Kunsthistorisches Museum) e dell'area culturale fiamminga, cui Francesco attinge con la curiosità che lo caratterizza.Ben consapevole di confrontarsi con un genere "foresto", in quanto il paesaggio penetra a Venezia attraverso un nutrito gruppo di mastri stranieri soltanto alla fine del Seicento, il nostro pittore - come già un ventennio prima Marco Ricci -, si trova ad operare in un contesto digiuno di modelli e riferimenti autoctoni, che implicava l'imprescindibile necessità di rintracciare dei referenti. Alla stregua del Ricci, sebbene in misura più contenuta, lo Zuccarelli guarda alle stampe nordiche e, insieme al repertorio dei maestri romani, confeziona delle pieces modellate sui grandi protagonisti della pittura fiammingo-olandese del XVII secolo, come testimoniano il Paesaggio con osteria (Spadotto, 2007, cat. 53) delle Collezioni Reali Inglesi, la Sosta lungo il cammino ora al Fitzwilliam Museum di Cambridge ( Spadotto, op.cit., cat.292), il Paesaggio marino ( Spadotto, op.cit., cat. 392) e la Festa campestre ( Spadotto, op.cit., cat.394). Tutti gli esemplari citati condividono l'appartenenza ad un universo culturale di matrice nordica, rielaborato dal Pitiglianese attraverso un fraseggio pittorico intriso di quella leggerezza e fluidità che avevano saputo sedurre i collezionisti decretando per il suo artefice un apprezzamento pari soltanto a quello di Tiepolo.Il lungo soggiorno oltremanica ( 1752-1762; 1765-1771), intrapreso nel 1752 all'apice della fama, arricchisce di nuovi stimoli il microcosmo espressivo di Francesco, che offre la propria tavolozza a temi e suggestioni diversissime rispetto al repertorio frequentato in Laguna. Purtroppo molte opere di quel periodo sono andate perdute ed il loro ricordo è affidato ai registri contemporanei relativi ad esposizioni e vendite tenute a Londra, dove si leggono titoli decisamente illuminanti, come avviene da Prestage & Hobbes nel 1762 ( cfr. Walpole, 1826-28), quando il Pitiglianese mette all'incanto un Cavallo Arabo insieme ad un dipinto con Antonio e Cleopatra ed un Ritratto.Per alcune pieces, invece, il destino è stato più clemente ed ha tramandato esemplari di straordinario valore documentario, oltre che storico artistico, come varie scene di caccia ( cfr. Spadotto, op.cit., cat. 387-392), tra cui spicca quella della Gallerie dell'Accademia a Venezia (Spadotto, op.cit., cat.388), collocabile agli esordi dell'ottavo decennio. Vale quindi la pena di soffermarsi su questo straordinario capolavoro, in quanto presenta delle caratteristiche di forma e stile estremamente affini al dipinto in esame. In primo luogo la fisionomia dei personaggi, assottigliata e nervosa rispetto agli omologhi arcadici, con cui invece condivide l'ovale ed i tratti del volto - vero e proprio carattere guida della grafia zuccarelliana -, mentre di straordinaria pregnanza si rivela la donna avvolta in un mantello rosso a sinistra della nostra tela, identica alla fanciulla posta in modo simmetrico ai piedi del grande albero nella celebre Caccia veneziana.Non si tratta di un dettaglio trascurabile, in quanto non rappresenta un ingrediente tipico dello Zuccarelli e circoscrive quindi una specifica cronologia, molto vicina alla genesi della tela ora alle Gallerie dell'Accademia e con ogni probabilità confezionata a ridosso del ritorno definitivo in Laguna (1771). Tale conclusione viene peraltro ribadita dal sapore spiccatamente nordico del nostro dipinto, indice di una padronanza profonda rispetto al retroterra culturale fiammingo che rappresentava la piattaforma referenziale del paesismo oltremanica. Soltanto la stretta e diretta frequentazione di siffatti temi e referenti poteva produrre un risultato di così alto livello, dove la consapevolezza della propria identità sa vestirsi dell'altrui eccellenza in un perfetto connubio.Queste considerazioni acquistano forse maggiore significato se si confronta la tela riccesca di omologo soggetto, conosciuta attraverso una fotografia della Fondazione Zeri ( scheda n. 68413), con il dipinto in esame: nell'una il tema, desunto senza dubbio da un'incisione nordica, viene usato come sfondo su cui innestare il pathos cromatico veneziano; nell'altra diviene occasione d'incontro per due mondi all'apparenza incompatibili, tanto più se è chiamato in causa l'aedo Francesco Zuccarelli. Il dipinto in esame verrà inserito nella seconda edizione della monografia sul pittore, in corso di redazione.. Cornice presente
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Lotto 143 BONITO GIUSEPPE (1707 - 1789) Putto dormiente. Olio su tela . Cm 108,00 x 59,00. Pittore di Camera del Re dal 1751, Accademico di San Luca dal 1752, direttore dell'Accademia napoletana del disegno dalla sua fondazione (1755), consulente della Real fabbrica degli arazzi dal 1757, Giuseppe Bonito è tra le maggiori personalità dell'ambiente artistico napoletano della metà del XVIII secolo. Ancora fanciullo entra nella bottega di Francesco Solimena che domina la scena artistica napoletana dell'epoca. Le prime opere, realizzate nel 1730 per la chiesa di S. Maria Maggiore a Napoli, sono, infatti, nello spirito di Solimena, anche se più morbide e delicate nell'esecuzione. Dopo questo inizio, muovendo dalla svolta determinata dallo stile di Mattia Preti e dalle ultime tele di Luca Giordano a Napoli, Bonito si orienta verso soluzioni di gusto neobarocco. Secondo le indicazioni dello storico Bernardo De Dominici, il pittore realizza numerose scene di genere che gli vengono richieste da una committenza meno legata a tradizionali esigenze di gusto aulico e ufficiale. Suoi quadri di genere si trovano in numerose collezioni private e sono conservati in importanti pinacoteche italiane ed estere. Dal 1749 è impegnato in una lunga serie di ritratti ufficiali di personaggi della famiglia reale o dell'antica e nuova nobiltà napoletana. Nel 1752 firma il contratto per gli affreschi di S. Chiara a Napoli che la critica concorda nel considerare le sue opere più importanti ( sono andati distrutti nel 1943, ma ne resta un bozzetto al Museo di Capodimonte, Napoli). L'opera che corona gli ultimi anni di attività è l'enorme Immacolata Concezione per l'altare maggiore della cappella palatina nel Palazzo Reale di Caserta che dipinge, con rimandi allo stile di Anton Raphael Mengs, per sostituire una pala che al re non piaceva. L'opera qui presentata, in buono stato di conservazione e di alta qualità, è assegnabile su base stilistica alla mano di Giuseppe Bonito. I passaggi di colore saturo di luce, alterati a parti dense di ombre, le zone cromatiche più intense scurite e l'atmosferico rarefarsi dei contorni sono, infatti, caratteristici dello stile di Bonito e avvicinano l'opera al sapiente uso della luce di Caravaggio, in particolare al suo Amorino dormiente ( Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti), cui rimanda anche la posa della figura. L'impasto del pigmento è steso a volte in pennellate lunghe e sottili, evidenti anche ad occhio nudo, a volte in agglomerati di piccoli tocchi di colore, caratteristica che ricorre spesso nei dipinti di Bonito, in particolare negli incarnati. I tratti individuali del volto del putto sono molto accentuati, realistici, e particolarmente suggestiva è la resa del velo sottilissimo che si appoggia sul corpo. Anche gli elementi della natura sono descritti con minuzia di particolari e sono rappresentati con senso sicuro della terza dimensione. Nonostante il forte realismo della composizione, traspare un effetto di grazia dovuto al senso di languido abbandono della figura e ispirato alla pittura di Guido Reni, di cui si confronti il Putto dormiente della Galleria Nazionale di arte antica di Roma.
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Lotto 144 TRAVERSI GASPARE (1722 - 1769) Madonna con San Giuseppe e il Bambino. Olio su tela . Cm 30,00 x 40,00. Riporta in grafia antica nome e data al verso, in basso a destra, 1753. Provenienza: Collezione Privata. L'autografia dell'opera è stata verbalmente confermata da Nicola Spinosa dopo visione dal vivo del dipinto.Per cfr: San Giuseppe col Bambino, Toronto, Royal Ontario Museum, 1758 circa ( pubblicata in "Gaspare Traversi, napoletani del 700 tra miseria e nobiltà, Catalogo della mostra di Napoli, Castel Sant'Elmo, 13 dicembre 2003-14 marzo 2004, a cura di Nicola Spinosa, Napoli 2003, p. 247, R 134).Formatosi a Napoli presso la bottega del pittore Francesco Solimena (con Giuseppe Bonito), Gaspare Traversi è ormai un riconosciuto protagonista della pittura europea, grazie all'acutezza di indagine e alla sottile ironia con cui è riuscito a ritrarre il particolare ambiente napoletano e romano del Settecento. Solo in anni recenti (1980-1985) si è potuto procedere ad un corretto profilo biografico dell'artista a seguito di importanti ritrovamenti documentari.Nei primi anni della sua attività Traversi si dirige verso un recupero della cultura naturalistica del primo Seicento napoletano, sulla scorta di pittori quali Battistello Caracciolo, Carlo Lanfranchi, Jusepe de Ribera e Mattia Preti: tali principi pittorici sono individuabili già nella prima opera attribuitagli, la Crocifissione, firmata e datata 1748 ( ora facente parte della Collezione Escalar di Roma), e rimarranno suo riferimento figurativo costante. Nel 1752 si sposta a Roma (dove rimarrà per tutta la vita): su commissione dei Carmelitani di San Crisogono, realizza una serie di sei tele incentrate su temi biblici ed evangelici (oggi conservate presso la Basilica di San Paolo fuori le mura). L'anno successivo, per Padre Raffaele di Lugugnano, lavora alla decorazione della sagrestia della chiesa di Santa Maria di Monte Oliveto a Castellarquato, in provincia di Parma, portata a termine nel 1758. Roberto Longhi, a cui spetta la rivalutazione critica dell'artista (1927), distingue Traversi dagli artisti di "genere" e vi individua rapporti con la cultura illuminista e con il teatro coevo. Per il critico Traversi è un pittore notevole perchè si avventura su un terreno fino ad allora mai battuto. Durante il periodo romano l'artista entra infatti in contatto con un ambiente culturale estremamente vivace che lo indirizza verso un'ulteriore apertura in senso naturalistico e verso la riproduzione in pittura dei sentimenti. Realizza in questi anni svariate scene di vita quotidiana con soggetti studiati dal vero, e presi sia dalle classi agiate, sia da quelle popolari, che hanno oggi la preziosa funzione di documenti recanti un'accurata indagine sociale dell'epoca. Teatro, moda, musica e società esercitano dunque una forte attrattiva sulla produzione artistica di Traversi che si avvicina alla produzione coeva di pittori quali William Hogarth. I lavori di questi anni sono il risultato della comunione tra le prime esperienze napoletane dell'artista e le sollecitazioni della pittura nordica e dell'eredità caravaggesca: la resa psicologica della realtà emerge pienamente anche nei dipinti religiosi, nei quali l'espressiva gestualità e la forte caratterizzazione dei volti sono rivelatori del carattere dei personaggi rappresentati. L'artista realizza inoltre alcuni ritratti di personalità di spicco sia dell'ambiente romano sia di quello napoletano, a testimonianza della continuità di rapporti con la città partenopea. Di Traversi si conoscono circa 200 dipinti, di cui solo 18 recano la firma e solo 10 sono datati. Con un analitico descrittivismo, che ridà nuova vitalità al realismo seicentesco di Ribera, l'opera si caratterizza per l'impiego delle cosiddette "teste di carattere", modelli non idealizzati ma studiati direttamente dal vero (sorta di ritratti anonimi), reimpiegati più volte nelle composizioni di Traversi. Il volto di San Giuseppe è connotato da un incarnato scuro ed è segnato da rughe profonde in aperto contrasto con la pelle levigata e rosea della Madonna e del Bambino. L'artista mette così in contrasto, come sovente accade nella sua produzione, le tre età della vita. Vivissima è la resa dello sguardo di San Giuseppe che si rivolge, con fare di ammonizione, al Bambino; mentre la Madonna lo guarda dolcemente. L'opera è iconograficamente confrontabile con il San Giuseppe col Bambino, del Toronto Royal Ontario Museum, databile 1758 circa (pubblicata in: Gaspare Traversi, napoletani del 700 tra miseria e nobiltà, Catalogo della mostra di Napoli, Castel Sant'Elmo, 13 dicembre 2003-14 marzo 2004, a cura di Nicola Spinosa, Napoli 2003, p. 247, R 134) e rappresenta una notevolissima aggiunta al catalogo di Traversi: il fatto che rechi la firma e la data al verso ne accresce, infatti, il valore di documento storico in quanto rappresenta uno dei rarissimi esempi di dipinti dell'artista firmati e datati. Inoltre la data 1753 e il soggetto non esclude che il dipinto possa avere fatto parte del ciclo di opere eseguite per la chiesa di Santa Maria di Monte Oliveto a Castellarquato. . Cornice presente
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Lotto 145 LEVECQ JACOBUS (1634 - 1675) Ritratto d'uomo con cappello. Olio su tela . Cm 93,00 x 117,00. Provenienza: Collezione Privata olandese. Esposizione: Dal 1945 l'opera è stata esposta in molte mostre come autografa di Rembrandt. Nel 1967 è stata esposta presso il Natural History Museum di Ginevra come autografa di Rembrandt.Nel 1979 l'opera è stata battuta all'asta di Weichmann ( a Wiesbaden, in Germania) con l'attribuzione a Jacobus Levecq. Bibliografia: Irina Linnik, Zur identifizierung eines weiteren Schutzen in der Kompanie des Kapitans Frans Banning Cocq auf Rembrandts Bild, "Die Nachtwache" (per l'identificazione di un altro tiratore della Compagnia del Capitano Frans Banning Cocq nel dipinto di Rembrandt, "La ronda di notte"), in Essays northern European art presented to Egbert Ha Verkamp-Bergemann on his sixtieth birthday, Haverkamp Begemann-Festschrift 1983, pp. 183 e sgg, figura n. 2 (con l'attribuzione a Jacobus Levecq). Allievo di Rembrandt dal 1653 (su base documentaria) al 1655, Jacobus Levecq adotta lo stile del Maestro con una qualità tale che molte sue opere sono state nel passato attribuite al geniale pittore olandese. La sua prima opera datata risale al 1654, Il giovane Mann con cappello (Polesden Lacey, Surrey, National Trust), ma la sua produzione attualmente nota non è molto estesa. Membro della gilda di Dordrecht nel 1655, Levecq lavora a lungo a Parigi e a Sedan (nel sud della Francia, circa nel 1660) dove dipinge probabilmente una serie di ritratti di vescovi che hanno occupato la sede vescovile di questa città. Al suo ritorno a Dordrecht diventa infatti un pittore principalmente di ritratti. Oltre ai ritratti di lui si conosce un solo quadro storico e un solo soggetto di genere. A partire dagli anni 60 risente dell'influsso dei ritratti di Van Dyck e il suo modo di dipingere si accosta alla ritrattistica in voga all'epoca, dedita a rappresentare lo status sociale degli effigiati. Ha avuto come allievo Arnold Houbraken (1660-1719). Già dal 1945 l'opera in esame è stata esposta come autografa di Rembrandt in diverse mostre tra cui quella che si è svolta nel 1967 presso il Natural History Museum di Ginevra. Questo stesso soggetto è stato dipinto da Ferdinand Bol in un'opera (114,4 x 93 cm) - firmata e datata "Rijnbrandt f. 1641" - conservata all'Hermitage di San Pietroburgo (Cat. 1958, n. 762; pubblicata in: Albert Blankert, Ferdinand Bol: 1616-1680 Rembrandt's pupil, Davaco 1982, p. 176, n. R 127).Nel marzo del 1979 l'opera è stata battuta all'asta di Weichmann a Wiesbaden con l'attribuzione a Jacobus Levecq. La studiosa Irina Linnik (1983) ha confermato tale attribuzione e ha identificato l'effigiato in Wallich Schellingwouw, uno degli appartenenti alla Compagnia del Capitano Frans Banning Cocq che Rembrandt aveva ritratto in abiti ufficiali nel suo celeberrimo quadro La ronda di notte del 1642 ( Rijksmuseum di Amsterdam).L'opera è databile verso il 1654 - anno in cui Levecq è apprendista nella bottega di Rembrandt - per il confronto stilistico con il dipinto Il giovane Mann con cappello, datato 1654 , (Polesden Lacey, Surrey, National Trust). Data l'elevata qualità stilistica dell'opera, e la sua datazione nello stesso periodo dell'alunnato di Levecq presso Rembrandt, non si esclude la presenza della mano del grande maestro olandese che aveva già ritratto lo stesso personaggio nella Ronda di notte. Il possibile intervento di Rembrandt trova peraltro riscontri nelle precedenti attribuzioni dell'opera e nei confronti stilistici con i dipinti del Maestro. . Cornice presente
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Lotto 147 MAESTRO DELLA FLAGELLAZIONE LAMPRONTI (ATTIVO NEL SECONDO E TERZO DECENNIO DEL XVII SECOLO) Incoronazione di spine. Olio su tela . Cm 92,00 x 131,00. L'opera è accompagnata dalla scheda a cura di Gianni Papi, Firenze, 3 settembre 2019 che si riporta di seguito. L'opera è accompagnata dal certificato di libera esportazione. Il dipinto, che all'epoca conoscevo solo attraverso un'immagine fotografica e me ne era ignota l'ubicazione, è stato da me pubblicato nel 1989 con l'attribuzione a Tommaso Salini. Tale attribuzione si inseriva in un trittico di contributi sulla rivista "Paragone" (del sottoscritto, di Mina Gregori e di Viktoria Markova), che riferivano a Salini molti quadri di figura e che con entusiasmo credevano di aver individuato un notevole corpus della sua attività di figurista. Purtroppo il tempo avrebbe confutato quella fiducia e quell'entusiasmo, e ormai la maggior parte degli studiosi, me compreso, è convinta che al vero Salini spettino soltanto sette o otto dipinti e che nessuna di tutte le attribuzioni che nel 1989 si proponevano, debba resistere. Io stesso, a cominciare dal contributo che pubblicavo nel 2011, ho proposto la suddivisione del catalogo di Salini, gravato da tanti dipinti che non gli appartenevano, in altri gruppi riferibili ad artisti anonimi che battezzavano Maestro di Baranello (assegnando il ruolo di name-piece all'Ecce Homo conservato a Baranello) e Maestro degli Armenti, poichè in molti dei dipinti assegnabili a questa personalità vengono raffigurati ovini e animali. Continuando nella tormentata revisione dell'anomala e ultraventennale crescita del gruppo Salini, ho ulteriormente cercato di dare ordine ad altri dipinti confluiti erroneamente nel catalogo del pittore, distribuendoli a un'altra personalità anonima ( il Maestro dell'Elemosina di Santa Lucia) e creando infine una nuova, importante personalità (anch'essa anonima) che ho battezzato Maestro della Flagellazione Lampronti, poichè il gruppo si è costituito intorno al dipinto di omonimo soggetto recentemente acquisito dall'antiquario romano. Al Maestro della Flagellazione Lampronti, oltre al name-piece nel 2016 riferivo una serie di dipinti che stilisticamente risultano essere omogenei: "Una rissa" di collezione privata; "Derisione di Cristo" della Pinacoteca di Spoleto; "Incoronazione di spine" di ubicazione ignota; "Ragazzo che affetta il pane con un gatto" di ubicazione ignota; "Bacco" di collezione privata; "Ragazzo morso da un topo", già Londra, Christie's, e infine il famoso "Ragazzo con un fiasco di vino e cavolfiori" della Collezione Thyssen di Madrid, che per decenni aveva costituito uno dei numeri simbolo del catalogo di Salini. A questo gruppo appartiene ora il dipinto qui in oggetto, che raffigura un'Incoronazione di spine, tema che il maestro affronta anche nel dipinto di ubicazione ignota, che mostra molte analogie stilistiche: si guardi all'anatomia del torace e del braccio di Cristo in entrambi i dipinti. Certe caratteristiche, come la tipica bocca aperta del manigoldo, con le labbra linearmente tracciate, o le dita piegate disegnate con linee parallele e nette, accomunano questa Incoronazione con la Rissa o con il Bacco o con il Ragazzo che affetta il pane. Il manigoldo poi mostra molte affinità, sia nella fisionomia, che nell'abbigliamento, con il personaggio corrispondente nella Flagellazione Lampronti, oggi in collezione privata. Sono dunque convinto che anche questo dipinto, un tempo riferito a Salini, debba essere considerato un'importante aggiunta (per la notevole qualità) al gruppo di questa intrigante personalità, nel cui catalogo si riscontrano al momento, in uguale proporzione, scene della Passione di Cristo e dipinti di genere con soggetti ragazzi travestiti da Bacco o alle prese con morsi di topi, che sembrano discendere - evidentemente a distanza di anni - dalle prime composizioni del giovane Caravaggio a Roma.
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Lotto 149 CALZETTA SEVERO (1476 - 1543) Maniera di. Calamaio in bronzo fuso e cesellato con coperchio sormontato da un satirello, vaschetta adornata di maschere, fenici e festoni. Gambe leonine. . Cm 11,00 x 19,50.
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Lotto 150 MANIFATTURA ITALIANA DEL XVII SECOLO Pace sagomata con Ecce Homo in bronzo fuso, . . Cm 19,00 x 10,50.
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Lotto 153 MANIFATTURA VENETA DEL XVII SECOLO Calamaio con fenici in bronzo fuso e cesellato. . Cm 12,00 x 8,00.
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Lotto 154 MANIFATTURA DEL XIX SECOLO Cavallo in bronzo. . Cm 29,00 x 23,50.
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Lotto 155 MANIFATTURA FRANCESE DEL XVII SECOLO Ritratto di Carlo IX, Re di Francia. Avorio scolpito. Cm 11,50 x 18,50. Cornice in legno. Al retro inciso "Charles IX". Cornice presente
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Lotto 156 MANIFATTURA TEDESCA DEL XVII SECOLO Orologio "Telleruhr" in rame sbalzato e argentato a raffigurare trofei d'armi e decorazione fogliacee. . Cm 48,00 x 63,00. In cornice non coeva. Da revisionare.