Lotto 16 | Scultore seneseCROCIFISSO (CRISTO DEPOSTO CON BRACCIA MOBILI) 1340/1350...

Pandolfini Casa d'Aste - Borgo degli Albizi (Palazzo Ramirez-Montalvo) 26, 50122 Firenze
90 ANNI DI ASTE: CAPOLAVORI DA COLLEZIONI ITALIANE Sessione Unica - lotti 1 - 35
martedì 28 ottobre 2014 ore 19:00 (UTC +01:00)

Scultore seneseCROCIFISSO (CRISTO DEPOSTO CON BRACCIA MOBILI) 1340/1350...

Scultore senese
CROCIFISSO (CRISTO DEPOSTO CON BRACCIA MOBILI)
1340/1350 circa
scultura in legno da frutto policromato (pero?), cm 158x105x21,5 (alt. cm 123 con le braccia ribassate)
 
polychrome fruit-tree wood sculpture (pear?), cm 158x105x21,5 (h. 123 cm with lowered arms)
 
€ 15.000/20.000 - $ 19.500/26.000 - £ 12.000/16.000
 
Provenienza:
collezione privata
 
La sagoma snella del Crocifisso è scolpita a tutto tondo in un unico massello di legno da frutto, forse pero, ma la consueta iconografia del soggetto si avvale di braccia reclinabili volte a garantirne la duplice funzione di Cristo deposto. Senz’altro riconducibile al contesto figurativo di ambito toscano di cui tratteremo oltre nel dettaglio, quest’opera costituisce un significativo ritrovamento critico per aggiornare il corpus superstite dei simulacri centroitaliani di età gotica impiegati nella liturgia collettiva del Venerdì Santo. Durante tale celebrazione non si sarebbe assistito a una semplice riproposizione scenica del Dramma, bensì a una ritualità di grande coinvolgimento emozionale garantita dalla recitazione delle cosiddette Lamentazioni mariane. L’esito, infatti, era quello di sacre rappresentazioni teatrali basate su dialoghi derivati dall’uso popolare della Lauda e dal Planctus di tradizione latina, assecondando peraltro la tendenza del rinnovamento spirituale che già pervase profondamente il XIII secolo, in particolare grazie alla crescente affermazione di ordini mendicanti come Francescani e Domenicani, nonché di pari passo col dilagare delle numerose confraternite. Una volta sfilati i chiavelli delle mani e dei piedi, l’immagine scolpita del Cristo doveva essere rimossa simbolicamente dalla croce - ormai dispersa ma si può presumere che corrispondesse al tronco dell’Arbor Vitae -, provvedendo dunque ad adagiare gli arti superiori lungo i fianchi per simularne la tumulazione nel sepolcro. Il meccanismo primitivo era garantito dagli alloggiamenti ricavati nelle spalle e dall’innesto-cardine delle braccia fissato da semplici perni lignei. Il ripetersi secolare di questa pratica compromise però il movimento stesso fino a danneggiare irrimediabilmente le zone più esposte, tra cui le mani e parte degli avambracci, sostituiti da un restauro ottocentesco con rifacimenti più grossolani. È invece probabile che l’eliminazione delle orecchie e della capigliatura - forse dapprima folta al pari della barba quasi rossiccia e intagliata con ciocche che dovevano sfiorare le spalle -, la riscalpellatura della calotta, così come la variazione della pendenza del capo, siano imputabili all’accomodamento per una parrucca di capelli veri, espediente realistico molto frequente dopo i nuovi precetti liturgici della Controriforma. Il recente restauro conservativo, condotto nel 2008 a Oriago di Mira presso il laboratorio di restauro di Giovanna Menegazzi e Roberto Bergamaschi, ha pertanto eliminato le incrostazioni delle varie ridipinture che occultavano la pregevole sensibilità plastica dell’anatomia, valorizzando la tonalità avorio dell’incarnato e confermando che la versatilità tipologico-funzionale di cui l’opera si fa interprete era stata prevista fino dal principio. Alla luce degli aspetti descritti è stato altresì ritenuto opportuno procedere al delicato ripristino filologico dell’antico meccanismo mobile. Ciò ha consentito il naturale svasamento a “V” delle braccia verso l’alto, mentre il perizoma - pervenuto privo della colorazione iniziale salvo minimi frammenti di blu presenti sulle terga - è stato uniformato da una sottile imprimitura di gesso reversibile.
Fondato sulla testimonianza evangelica dell’apostolo prediletto Giovanni (Gv. 19, 38-42), il soggetto della Depositio Christi divenne fin dalla sua comparsa nell’arte bizantina fra IX e X secolo uno dei temi più drammatici e riprodotti dell’iconografia cristiana. Eppure bisogna considerare che nei vangeli non emergono