Lotto 1 | Pasquale Celommi (Montepagano 1851-Roseto degli Abruzzi 1928) - Ritorno dalla pesca

Finarte - Via Quattro Novembre 114, 00187 Roma
Arte Figurativa tra XIX e XX Secolo Sessione unica
martedì 19 dicembre 2023 ore 15:00 (UTC +01:00)

Pasquale Celommi (Montepagano 1851-Roseto degli Abruzzi 1928) - Ritorno dalla pesca

Pasquale Celommi (Montepagano 1851-Roseto degli Abruzzi 1928) - Ritorno dalla pesca

cm 63 x 112,8
olio su tela

firmato in basso a sinistra: PCelommi
Sul retro, sulla cornice, vecchio cartellino dattiloscritto con riferimenti all'artista.


PROVENIENZA
Collezione privata, Pescara.




Realismo e folclore. Note sull’arte abruzzese tra Ottocento e Novecento



A lungo l’arte italiana tra Ottocento e Novecento è stata bollata di attardato provincialismo, per via dell’insistenza sui temi del realismo rurale e sui soggetti popolareschi, spesso affrontati con piglio aneddotico. Una prospettiva, questa, che ha inevitabilmente relegato al cono d’ombra dell’oblio gran parte di quelle figure di pittori e scultori che, seppure non diedero apporti innovativi alla scena artistica nazionale, interpretarono un repertorio allora percepito come di notevole interesse. Si assiste oggi a una fase di studio e riscoperta di tali personalità, soprattutto in considerazione del valore documentario della loro ricerca e dell’attrattiva che essa ebbe sul mercato internazionale del tempo.
Tra le scuole regionali italiane, quella abruzzese fu tra le più vivaci e produttive. [1] Storicamente, essa è considerata, in un certo senso, una diramazione della scuola napoletana, con la quale condivise un’adesione al vero dalla vena sentimentale e una speciale attenzione alla resa della luce nel paesaggio. Fin dalla sua istituzione nel 1752, il Reale Istituto di Belle Arti di Napoli aveva formato artisti provenienti da un’area geografica molto vasta: quella, cioè, del Regno delle Due Sicilie, che al 1861 comprendeva anche l’area attualmente corrispondente alla regione dell’Abruzzo.
Si può affermare che la scuola abruzzese sia nata con i fratelli pittori Palizzi, tutti formatisi presso l’istituto napoletano: Giuseppe, Filippo, Nicola e Francesco Paolo. Fu Giuseppe, il più anziano, ad aprire la strada della pittura ai fratelli, che lo seguirono prima a Napoli per l’apprendistato, poi in Francia, dove si trasferì già nel 1844 per rimanerci tutta la vita. Lì l’artista espresse appieno la vocazione di paesaggista condividendo le ricerche dei protagonisti della Scuola di Barbizon, con cui fu sempre a stretto contatto. Filippo, invece, abbandonò l’istituto per frequentare la Scuola Libera di Giuseppe Bonolis, artista – anche lui abruzzese – che aveva aperto una scuola privata in opposizione agli insegnamenti dell’Accademia. Rimanendo costantemente in contatto con il fratello maggiore Giuseppe, ormai attivo in Francia, si avvicinò alla pittura francese e ai suoi protagonisti, in particolare alla scuola di Barbizon. Nel 1861 fondò con Morelli e Smargiassi la Società Promotrice di Belle Arti di Napoli, dove prese a esporre soprattutto dipinti a tema animale, filone iconografico di cui diventò uno dei più apprezzati interpreti, anche fuori dai confini nazionali. L’influenza dei Barbizonniers e di Courbet si rivela nella sua pittura attraverso la resa dei contorni delle forme, che tendono a farsi sempre più sfumati per lasciare al colore il compito di definire l’immagine. Tornò poi in ambito accademico nel 1868, quando gli fu affidata la docenza: sebbene la sua attività didattica durò appena una dozzina di anni – nel 1880 si dimette per assumere la direzione del Museo Artistico Industriale, che lui stesso aveva fondato due anni prima con Gaetano Filangeri e Domenico Morelli – furono numerosi gli allievi che assorbirono il suo realismo di ricordo francese. Tra questi anche Francesco Paolo Michetti, di stanza a Napoli dal 1867: il giovane, tuttavia, superò ben presto il verismo palizziano, assimilando la tecnica dei pittori moderni che ebbe modo di studiare dal vivo a Parigi, dove soggiornò in gioventù ottenendo un vivo successo di mercato. Il clamore suscitato nella critica – e più in generale nel mondo della cultura, se si pensa allo speciale rapporto con Gabriele d’Annunzio – con i capolavori presentati alle esposizioni nazionali e internazionali lo portò ad affermarsi, ancora giovanissimo, come uno dei pittori italiani più influenti. Tra i diversi artisti su cui esercitò il suo ascendente, vale qui la pena ricordare il pescarese Alfonso Muzii. Il pittore era poco più giovane di Michetti: eppure, fin dal momento in cui cominciò a destare l’attenzione del pubblico alle rassegne espositive nazionali, la critica mise ben in evidenza il debito della sua pittura nei riguardi di quella michettiana. «Alfonso Muzii è un giovane artista abruzzese» - si leggeva sull’“Illustrazione Popolare” del 15 aprile del 1888 a commento della riproduzione di un suo quadro - «il cui stile largo e la potenza d’improntare caratteri di stirpe nelle teste, manifestano subito un buon seguace di Francesco Paolo Michetti». [2]
Il fascino esercitato dalla cultura popolare abruzzese e dai suoi miti, si concretizzò, nel primo decennio del Novecento, in un interesse a tutto tondo che coinvolse tanto la letteratura quanto l’antropologia: da qui il successo del padiglione dedicato all’etnografia italiana all’Esposizione Internazionale del 1911 a Valle Giulia, evento che contribuì a infondere nuova linfa all’interesse per le arti applicate e in particolare per le ceramiche della tradizione rurale.
Anche per ciò che concerne la pittura, nonostante i linguaggi d’oltralpe fossero ormai penetrati nella scena artistica italiana e il gusto stesse inesorabilmente mutando, la figurazione michettiana continuò a suggestionare profondamente le nuove generazioni di artisti. Si pensi, ad esempio, al romano Camillo Innocenti: prima di approdare all’immaginario mondano che gli diede la fama internazionale, l’artista si cimentò a lungo con i soggetti abruzzesi, ottenendo, tra l’altro, importanti riconoscimenti. Nel 1905 vinse la medaglia d’oro alla Biennale di Venezia, su proposta del pittore irlandese naturalizzato inglese John Lavery, per il grande dipinto Sui monti (Budapest, Szépművészeti Múzeum); e ancora nel 1913, in occasione della retrospettiva alla prestigiosa galleria Bernheim-Jeune di Parigi, il museo d’Orsay gli acquistò il quadro Cortège nuptial dans les Abruzzes, eseguito nel 1906.
La pittura di Michetti costituì il punto di partenza per la ricerca di un’altra interessante figura della storia dell’arte romana del Novecento: Emilia De Divitiis, nota per essere stata l’unica allieva dell’abruzzese. L’artista ereditò dal maestro l’approccio realistico alla figurazione derivato dallo studio del mezzo fotografico, talvolta emulandolo, in certe soluzioni tecniche e compositive, in maniera tanto fedele da confondere il collezionismo contemporaneo. La sua è, in ordine di tempo, solo l’ultima personalità di una folta schiera di artisti da riscoprire, con uno studio di ampio respiro che faccia il punto sul ruolo giocato tra Otto e Novecento dall’arte abruzzese – per provenienza o ispirazione – senza pregiudizi di sorta.


Manuel Carrera
Dicembre 2023

[1] Per un approfondimento sul tema, si veda P. Del Cimmuto, P. Di Felice, I. Valente (a cura di), Il vero e il sentimento: Abruzzo e abruzzesi nella pittura dell’Ottocento, Ascoli Piceno 2016.

[2] In campagna ai primi d’aprile, in “L’Illustrazione Popolare”, 15 aprile 1888, p. 251.