Importanti Maioliche Rinascimentali

Pandolfini Casa d'Aste - Borgo degli Albizi (Palazzo Ramirez-Montalvo) 26, 50122 Firenze

Importanti Maioliche Rinascimentali

martedì 28 ottobre 2014 ore 17:00 (UTC +01:00)
Lotti dal 49 al 62 di 62
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  • PIATTOPesaro, “1553” Maiolica decorata a policromia in...
    Lotto 49

    PIATTO
    Pesaro, “1553”
     
    Maiolica decorata a policromia in turchino, verde, rosso ferro, arancio, ocra, bianco e bruno di manganese nei toni del nero e del marrone
    alt. cm 2,8; diam. cm 22,7; diam. piede cm 9,6
    Sul retro, sotto il piede, in caratteri corsivi, delineati in blu di cobalto compare la scritta “Mercurio quando / ucise argo 1553”;
    Sul retro, sotto il piede etichetta rotonda con manoscritta “FL40/11 (3)”; altra etichetta con manoscritta “6/£150
     
    Intatto; lievi sbeccature all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in turquoise, green, iron red, orange, ochre, white, and blackish and brownish manganese
    H. 2.8 cm; diam. 22.7 cm; foot diam. 9.6 cm
    On the back, beneath the base, inscription in cobalt blue ‘Mercurio quando / ucise argo 1553’; round hand-written label ‘FL40/11 (3)’; hand-written label ‘6/£150’
     
    In very good condition; minor chips to rim
     
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    Il piatto, poggiante su un piede appena accennato, presenta un cavetto poco profondo, una larga tesa orizzontale e un orlo arrotondato listato di giallo. La superficie è interamente smaltata con abbondanza di materia e la decorazione la occupa interamente.
    Sul retro tracce di colore verde sotto smalto e la scritta in caratteri corsivi delineati in blu di cobalto collocata al centro del piede: “Mercurio quando/ ucise argo 1553”.
    Al centro della narrazione, appoggiato a una roccia, è raffigurato il pastore Argo, riconoscibile per il corpo coperto di occhi, addormentato al suono del flauto di Mercurio, seduto di fronte a lui. La composizione principale è compresa tra una roccia coperta da radici e cespugli, e un albero dal tronco sinuoso, la cui corteccia è ricreata con pennellate scure appena lumeggiate da sottili tratti bianchi. Alle spalle della roccia pascola una mandria di armenti, e tra loro forse anche la fanciulla Io, trasformata da Giunone in una mucca. Tutt’intorno un paesaggio lacustre con un paesino su cui troneggiano torri e palazzi, circondato da alte montagne dal profilo arrotondato. Sulla superficie del lago si scorgono delle barchette dalla forma ricurva: le sponde sono sottolineate dalla presenza di ciuffi di fiori rossi; in primo piano una fonte d’acqua.
    Il fulcro della scena è dunque lo scontro dinamico tra i due personaggi. Il pastore Argo era preposto a sorvegliare Io, ma Giove, innamorato della fanciulla, mandò Mercurio per ucciderlo. Alla sua morte Giunone trasferì gli occhi di Argo sulla coda del pavone, suo animale simbolo.
    Il pittore utilizza la versione di Ovidio, sposando però l’iconografia che prevede la distribuzione degli occhi su tutto il corpo del pastore.
    Il piatto trova un preciso riscontro stilistico e morfologico in quello presentato al lotto 48 di questo stesso catalogo, al quale si rimanda per l’analisi stilistica e per la possibile attribuzione. E come il piatto appena ricordato anche questo all’inizio del Novecento faceva parte delle collezioni del Museo Nazionale Svizzero di Zurigo, come riferisce Mariaux in un suo articolo, dove propone l’attribuzione alla bottega durantina di Andrea da Negroponte.
    Il piatto è stato presentato nell’asta di Palazzo Capponi a Firenze nel 1970.

  • TONDINOCastel Durante, bottega di Ludovico e Angelo Picchi, 1550-1560 circa...
    Lotto 50

    TONDINO
    Castel Durante, bottega di Ludovico e Angelo Picchi, 1550-1560 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con arancio, verde, blu, bianco e bruno di manganese nei toni del nero
    alt. cm 4,4; diam. cm 22; diam. piede cm 6,6
    Sul retro, sotto il piede, iscrizione “apollo et panno
     
    Restauro mimetico sul nella parte bassa del piatto; la rottura doveva essere netta: il restauro non inficia la lettura della scena.
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in orange, green, blue, white, and blackish manganese
    H. 4.4 cm; diam. 22 cm; foot diam. 6.6 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘apollo et panno’
     
    On the back, mimetic restoration to lower part of the dish; the crack was probably sharp: restoration does not prevent reading the scene depicted on the plate
     
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    Il piatto ha forma di tondino, con profondo cavetto, tesa obliqua, orlo arrotondato e piede ad anello appena rilevato e segnato di giallo. Il ductus della scritta sul retro è poco accurato.
    La scena è centrata da una roccia impervia e da un albero dal tronco spoglio con una chioma a ombrello; sullo sfondo un paesaggio lacustre con alte montagne e una citta turrita; ai lati, sulla tesa, sono dipinti uno di fronte all’altro Apollo che suona una lira da braccio, e Pan che suona la siringa.
    Si tratta del duello tra Apollo e Pan secondo il racconto di Ovidio (Ov., Met. XI, 146-193). Il mito narra di come un giorno la divinità silvestre avesse voluto sfidare Apollo, pur consapevole di non poter competere con il suono della lira del dio della musica. Ciononostante vinse la competizione, ma solo grazie al giudizio di re Mida che, ignorante di musica, era stato scelto come arbitro.
    Dal punto di vista pittorico si notano i volti appuntiti, gli zigomi ombreggiati di ocra e lumeggiati di bianco, i profili e le figure orlati di manganese. Il cielo e lo specchio d’acqua sono realizzati con sottili linee parallele che si ripetono nel segmento di luce di sfondo color arancio e, in modo più diluito, nella porzione che circonda il paesaggio. Due montagne sullo sfondo sono realizzate in blu, hanno forma quadrangolare e sono sormontate da una torre, anch’essa quadrata. Il paesino in riva al mare mostra una serie di edifici movimentati da una cupola, torri e alberelli. Una caratteristica particolare è l’abbondante uso del verde ramina nella realizzazione del prato nell’esergo, interrotto da un sentiero ocra punteggiato da ciottoli arrotondati realizzati in ocra, lumeggiati di bianco e arricchiti da un sottile ciuffo d’erba.
    Come noto la favola ovidiana fu spesso raffigurata sulle maioliche, e questo soggetto in particolare fu utilizzato di frequente nelle opere attribuite alla bottega di Andrea da Negroponte datate tra il 1550 e il 1560 circa.
    Tutte queste caratteristiche tecniche pittoriche e stilistiche ci indirizzano verso l’attribuzione: a tal proposito si vedano come confronto i numerosi piatti conservati al Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna di Arezzo, tra i quali una crespina firmata che può essere considerata capostipite per le numerose attribuzioni ad Andrea da Negroponte di Castel Durante. Anche il bel piatto, conservato nel Walters Art Museum di Baltimora, che vede Apollo impegnato in un’affollata sfida con il sileno Marsia si aggiunge alla serie dei confronti raccolti da Johanna Lessmann, un lavoro ineludibile per la definizione del corpus di questa prolifica bottega durantina attiva dalla metà del ’500.
    Studi più recenti – vista l’assenza nei documenti dell’epoca di notizi

  • PIATTOCastel Durante, bottega di Ludovico e Angelo Picchi, 1550-1560 circa...
    Lotto 51

    PIATTO
    Castel Durante, bottega di Ludovico e Angelo Picchi, 1550-1560 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con arancio, verde, blu, bruno di manganese nei toni del nero e del marrone e bianco
    alt. cm 5,1; diam. cm 27,4; diam. piede cm 9,7
    Sul fronte iscrizione “pirramo e Tisbi”
    Sul retro etichetta stampata “[169 AN AMUSING URBINO DISH painted in the usual palette of blue,/ green, yellow and ochre, with the story of Pyramo and Thisbe, the hero/ lies with his spear through his body by the side of Ninus’ tomb. Thisbe/ and the lioness stand close by. A city in the background the tomb inscribed/ with the names of the lovers, 10 incs, circa 1540 / [See ILLUSTRATION]
     
    Felatura passante sulla tesa a sinistra
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in orange, green, blue, blackish and brownish manganese, and white
    H. 5.1 cm; diam. 27.4 cm; foot diam. 9.7 cm
    On the front, inscription ‘pirramo e Tisbi’
    On the back, printed label ‘[169 AN AMUSING URBINO DISH painted in the usual palette of blue/, green, yellow and ochre, with the story of Pyramo and Thisbe, the hero/ lies with his spear through his body by the side of Ninus’tomb. Thisbe/ and the lioness stand close by. A city in the background the tomb inscribed/ with the names of the lovers, 10 incs, circa 1540 / [See ILLUSTRATION]’
     
    Heavy hairline crack to broad rim at 9 o’clock
     
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    Il piatto ha un cavetto largo e profondo, una tesa larga e obliqua con orlo arrotondato listato di giallo e un piede ad anello rilevato. Il retro è profilato di giallo.
    La decorazione pittorica presenta una scena istoriata con un paesaggio marino con montagne sullo sfondo. Al centro del cavetto una città con palazzi e cupole, parzialmente coperta da un cumulo di rocce, si specchia in un fiume che scende verso la scena principale, nella parte inferiore del piatto: qui à raffigurata Tisbe con le braccia aperte e il manto gonfiato dal vento, mentre scopre il cadavere di Piramo, il quale si è ucciso credendola morta. Alle spalle della donna sono raffigurati due animali: un piccolo leone, origine dell’equivoco, e un cavallo bianco; poco distante a sinistra, si scorge Eros che alza l’arco nella mano sinistra. A destra una fonte scorre dal sepolcro di Nino, luogo del ferale appuntamento, e lì è frettolosamente scritta in corsivo l’epigrafe che descrive la scena: “pirramo e Tisbi”.
    La favola, tratta probabilmente dalle Metamorfosi di Ovidio (Ovid., Met IV, vv. 55-166), ha molte fonti illustri, classiche, medievali e rinascimentali e fu soggetto di grande successo. In maiolica ne conosciamo una versione di Xanto Avelli, ma la bottega durantina, cui l’esemplare è attribuito, segue generalmente le fonti classiche dell’istoriato urbinate.
    Il piatto è stato pubblicato come opera di bottega di Urbino, ma a nostro giudizio è stilisticamente riferibile alla produzione di Ludovico e Angelo Picchi a Castel Durante. L’attribuzione si basa sul confronto con un piatto del Walters Art Museum di Baltimora, attribuito alla bottega di Andrea da Negroponte, che raffigura la sfida tra Apollo e Marsia. Si veda ed esempio la somiglianza stilistica dei volti di Apollo e della divinità sulla sinistra con quella della figura di Tisbe in questo piatto e in particolare il naso dritto a “L”, la bocca semiaperta e gli occhi con le palpebre abbassate, ma anche il modo ancora molto tradizionale di circondare la figura con il manto gonfiato dal vento. Anche le ali di Eros, disposte ad angolo rett

  • TONDINOCastel Durante, bottega di Ludovico e Angelo Picchi, 1550-1560 circa...
    Lotto 52

    TONDINO
    Castel Durante, bottega di Ludovico e Angelo Picchi, 1550-1560 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con arancio, verde, blu, bruno di manganese nei toni del nero e del marrone, bianco
    alt. cm 3,5; diam. cm 16; diam. piede cm 4,5
    Sul retro, sotto il piede, iscrizione “Tobia
    Sul retro, sotto il piede, etichetta dattiloscritta “Venezia/ Coll. Adda/ 1545/50
     
    Felatura sottile in basso a destra; due profonde sbeccature sull’orlo superiore
     
    Earthenware, painted in orange, green, blue, blackish and brownish manganese, and white
    H. 3.5 cm; diam. 16 cm; foot diam. 4.5 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘Tobia’
    Label typewritten with ‘Venezia/ Coll. Adda/ 1545/50’
     
    Minor hairline crack at 5 o’clock; two deep chips to upper rim
     
    Il tondino di maiolica ha un cavetto profondo, un’ampia tesa appena inclinata e una base con piede ad anello appena accennato.
    Sul fronte, al centro della scena, l’Arcangelo Raffaele conduce per mano Tobia, detto anche Tobiolo, per fargli da guida nel viaggio che intraprende per andare del padre malato.
    La scritta sul retro del piatto richiama il nome del personaggio, spesso raffigurato nelle maioliche cinquecentesche.
    Due rocce cuspidate, realizzate con ombreggiature ocra, e due alberi dai tronchi sottili, sottolineati da tratti paralleli, fanno da quinta alla scena, mentre un prato verde scuro, con un sentiero cosparso di ciottoli arrotondati, lumeggiati di bianco e arricchiti da ciuffi di erba, è ai piedi dei protagonisti. Sullo sfondo, illuminato da un cielo al tramonto con nuvolette arrotondate, si stende un paesaggio lacustre con montagne quadrangolari in blu e in ocra e un villaggio costituito da palazzi quadrangolari che si specchia nel lago.
    Le caratteristiche stilistiche ripetitive e l’esecuzione frettolosa avvicinano questo tondino all’esemplare presentato al lotto 50 di questo catalogo: si vedano il cielo e lo specchio d’acqua, realizzati con sottili linee parallele, che si ripetono nel segmento di luce arancio e in modo più diluito, nella volta che circonda il paesaggio.
    Le montagne e l’abbondante uso del verde ramina nella realizzazione del prato e dei ciottoli disseminati sul sentiero ci portano ad assegnare l’opera alla bottega durantina di Ludovico e Angelo Picchi e al 1550-1560, secondo l’attribuzione più recente.
    La bottega prediligeva forme quali le crespine e le coppe baccellate e mosse, mentre i tondini sono più rari, ma comunque presenti nella produzione.
    Il piatto viene menzionato nel catalogo della raccolta Adda con attribuzione alla bottega di Mastro Domenico a Venezia e datato attorno al 1545-1550.

  • TAGLIERE DA IMPAGLIATAUrbino, bottega Fontana, 1540-1550 circa Maiolica...
    Lotto 53

    TAGLIERE DA IMPAGLIATA
    Urbino, bottega Fontana, 1540-1550 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo, arancio, verde, blu, bianco e bruno di manganese nel tono del nero
    alt. cm 3; cm 21,4 x 17,1; piede cm 16 x 12
     
    Intatto
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in yellow, orange, green, blue, white, and blackish manganese
    H. 3 cm; 21.4 x 17.1 cm; foot 16 x 12 cm
     
    In very good condition
     
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    Di quest’antico servizio da puerpera resta il tagliere, che mostra una forma ovale con incavo poco profondo, bordo appena rilevato ed estroflesso con orlo riccamente baccellato, e fondo piano e apodo. L’oggetto è interamente smaltato.
    Il decoro in piena policromia interessa l’intera superficie con una scena animata da nutrice e balie indaffarate presso la culla, intente a fasciare il neonato.
    L’orlo del tagliere è anch’esso dipinto con un’alternanza di colori, utilizzati per sottolineare la varietà delle forme delle baccellature.
    Sul verso dell’oggetto è raffigurato un angelo in piedi su una nuvola, sorridente e con il capo chino, che regge una sottile croce cui è appesa la corona di spine; le vesti sono leggermente scostate sulle gambe e le ali multicolori aperte. Lo sfondo giallo intenso esalta il contrasto cromatico, facendo risaltare la figura; tutt’intorno gira una cornice di nuvolette arrotondate.
    L’impalliata (o impagliata) era un servizio di maiolica che veniva offerto alla puerpera per il suo primo pasto a letto dopo il parto: più elementi sovrapposti formavano un unico insieme. Il Piccolpasso nel suo trattato sull’arte della maiolica ben ci descrive il manufatto e cita i cinque elementi che lo compongono: “schudella della donna di parto”, tagliere, ongaresca, saliera e coperchio. Sul primo oggetto, adatto a contenere il brodo o la zuppa, era posto il tagliere, sul quale era appunto collocata l’ongaresca, una sorta di contenitore che, una volta capovolto, serviva a coprire le pietanze; a quest’ultima si sovrapponeva una saliera munita di coperchio.
    Per modalità decorative e caratteristiche morfologiche l’esemplare s’inserisce appieno nella serie di opere dalla foggia complessa che caratterizza la produzione urbinate della seconda metà del secolo XVI.
    Tuttavia lo stile pittorico – i volti arrotondati, i tratti fisiognomici sottolineati in manganese e lumeggiati con tocchi di bianco, gli occhi abbassati, le bocche rese con un sottile tratto orizzontale, gli abiti panneggiati con un uso sapiente del colore, senza contorni – differisce fortemente da quello generalmente associato alla bottega dei Patanazzi, che domina la scena urbinate in quel periodo, caratterizzato da figure dalle forme più “bamboleggianti”, con teste grandi e leggermente sproporzionate.
    Un’ongaresca con tagliere del Museo del Louvre mostra figure femminili con caratteristiche fisiognomiche molto simili associate a grottesche.
    Ma è nel confronto con un’opera simile della bottega Fontana, già appartenuta alla collezione Adda, che riscontriamo le affinità maggiori: nella coppa da impagliata le figure femminili, intente ad accudire una puerpera coricata in un letto con baldacchino, mostrano la stessa pacatezza nei volti che vediamo nelle donne rappresentate sulla nostra opera, e anche la tenda ha il medesimo motivo decorativo. In particolare sono utili nel confronto le caratteristiche stilistiche del verso dell’oggetto: il piccolo putto mostra molte analogie stilistiche con il giovane angelo sul retro del nostro tagliere e anc

  • VASOUrbino, bottega di Orazio Fontana, 1565-1570 Maiolica decorata in...
    Lotto 54

    VASO
    Urbino, bottega di Orazio Fontana, 1565-1570
     
    Maiolica decorata in policromia in arancio, verde, blu e bruno di manganese nei toni del nero e del violaceo
    alt. cm cm 37 (cm 39,2 con base aggiunta); diam. bocca cm 11; ingombro massimo alle anse cm 32
    Sul plinto della base corre l’iscrizione “FATTO IN BOTEGA DE M° ORATO FONTANA”
     
    Vasta lacuna reintegrata in terracotta all’orlo; mascheroni alla base delle anse ricostruiti in terracotta smaltata a imitazione dell’originale; rottura del calice del vaso, che risulta non pertinente con l’opera originale; lacune e sbeccature ai riccioli dei sostegni, reintegrate in alabastro. Probabile pertanto la successione d’interventi di restauro in periodi diversi.
    Il vaso è corredato di documentazione a cura del laboratorio di restauro.
     
    Earthenware, painted in orange, green, blue, blackish manganese, and manganese purple
    H. 37 cm (39.2 cm with added base); diam. 11 cm; maximum width with handles 32 cm
    Inscription running around the plinth ‘FATTO IN BOTEGA DE M° ORATO FONTANA’
     
    Condition report from restoration department available
     
    Il vaso ha corpo ovoidale poggiante su un’alta base triangolare (in parte rifatta in cotto), bocca larga con orlo estroflesso, alto collo cilindrico. Dall’imboccatura si dipartono due coppie di lunghe anse a forma di serpe e terminanti in un mascherone di satiro, molto integrato in restauro. Il piede, con anello a rilievo collocato a interrompere lo stelo, presenta tre riccioli che lo collegano al calice, quasi ad aumentare la tenuta del sostegno. Sotto il piede è collocata una base a triangolo che porta sul plinto una scritta in caratteri capitali delineata in bruno di manganese su fondo blu: “FATTO IN BOTEGA DE M° ORATO FONTANA”. Questa base risulta coerente con la parte originale del vaso.
    La somiglianza tra il vaso del British Museum e il nostro esemplare, come vedremo, era già stata notata da Tait, che nel suo saggio sulla maiolica del Rinascimento montata in bronzo dorato cita il vaso in esame, affermando che non pareva essere montato in bronzo.
    Il corpo è decorato da due scene istoriate: da un lato è raffigurato un gruppo di quattro personaggi maschili barbati nelle vicinanze di una roccia, due dei quali mollemente adagiati su un‘anfora rovesciata, dalla quale scorre un fiume d’acqua; sull’altro lato due figure, una femminile, stante in posizione eretta con un piede appoggiato su un’anfora rovesciata, ed una maschile, anch’essa caratterizzata da un altro vaso simile rovesciato: si tratta certo della raffigurazione di divinità fluviali.
    Il vaso è ben noto agli studiosi e ritenuto di grande interesse proprio per la presenza della scritta che lo assegna alla bottega di Orazio Fontana: essa serve a determinare così l’attribuzione di un’intera serie di vasi alla bottega urbinate. Due grandi vasi biansati affini con scene istoriate, uno al Victoria and Albert Museum e l’altro già nella collezione Spitzer, recano inoltre la scritta “FATTO IN URBINO” testimoniando della presenza della bottega a Urbino.
    Il punto di riferimento per i corredi farmaceutici analoghi è costituito, insieme al nostro, da un esemplare appartenente a una coppia di vasi montati in bronzo conservata al British Museum, che reca la scritta “FATE IN BOTEGA. DE ORATIO. FONTANA”; l’altro vaso della coppia è del tutto simile al primo quanto a impostazione morfologica, ma non presenta alcuna scritta e ha un’impostazione stilistica differente, benché simile. L’affinità con il primo esemplare, invece, è notevole: anc

  • PIATTO Urbino, 1570-1580Maiolica decorata in policromia con giallo, arancio,...
    Lotto 55

    PIATTO


    Urbino, 1570-1580

    Maiolica decorata in policromia con giallo, arancio, verde e bruno di manganese
    alt. cm 3,5; diam. cm 23; diam. piede cm 8,5


    Sul retro scritta in bruno di manganese “Crasitone:
    Sul retro etichetta circolare con manoscritto numero “6176”; sul retro altra etichetta rettangolare dattiloscritta poco leggibile “6176/ VENEZIA/ 1565 CIRCA... PIATTO ISTORIATO/ DELLA/ BOTTEGA DI MAESTRO LUDOVICO


    Intatto


    Corredato da attestato di libera circolazione


    Earthenware, painted in yellow, orange, green, and manganese
    H. 3.5 cm; diam. 23 cm; foot diam. 8.5 cm
    Inscription in manganese ‘Crasitone’


    On the back, beneath the base, round hand-written label ‘6176’; rectangular label, typewritten with ‘6176 / VENEZIA / 1565 CIRCA... PIATTO ISTORIATO / DELLA / BOTTEGA DI MAESTRO LUDOVICO’ (hardly readable)


    In very good condition


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    Il piccolo piatto, poggiante su un basso piede ad anello, ha cavetto piccolo e poco profondo e larga tesa orizzontale.
    Sul fronte la decorazione mostra al centro Erisittone, accompagnato da due personaggi, mentre abbatte un albero: dal tronco dell’albero esce un fiotto di sangue. Sullo sfondo si staglia un paesaggio lacustre blu con montagne dal profilo arrotondato; il terreno si presenta con zolle erbose interrotte da ampie zone sabbiose cosparse di ciottoli rotondi.
    Sul retro, ove i profili del piatto sono sottolineati da linee gialle, al centro del cavetto si legge la parola “Crasitone, delineata in corsivo in bruno di manganese.
    La scena ci riporta alla mitologia ovidiana, tanto cara agli istoriatori del ‘500. In Ovidio troviamo numerosi esempi di trasformazioni di esseri umani in piante, ma soltanto in tre

  • PIATTOVenezia, Mastro Jacomo, “1540” Maiolica dipinta in...
    Lotto 56

    PIATTO
    Venezia, Mastro Jacomo, “1540
     
    Maiolica dipinta in turchino, blu di cobalto e bianco
    alt. cm 3; diam. cm 24,5; diam. piede cm 10
    Sul fronte due iscrizioni: in cartiglio “Propertio” e, all’interno di uno scudo pelta, “1540
     
    Intatto, sbeccatura sul retro e lievi sbeccature all’orlo.
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in turquoise, cobalt blue, and white
    H. 3 cm; diam. 24.5 cm; foot diam. 10 cm
    On the front, two inscriptions: ‘Propertio’, in a cartouche, and ‘1540’, in a shield
     
    In very good condition; chip on the back and minor chips to rim
     
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    Il piatto, quasi apodo, presenta un profondo cavetto e una larga tesa leggermente inclinata.
    Sul recto vi è una decorazione a grisaille nei toni del grigio-azzurro su fondo blu: l’ornato a trofei si estende su tutta la tesa, mentre il centro del cavetto racchiude un ritratto romano posto di profilo con cartiglio recante la scritta “Propertio”. Il busto classico laureato, raffigurato di profilo al centro del cavetto, ritrae in modo ideale il poeta latino Sesto Properzio, autore delle celebri “Elegie Romane” nel 28 a.C. dedicate anche a soggetti politici e civili. Sulla tesa cinque gruppi di oggetti militari con elmi, armature, scudi tondi, ovali e a mezzaluna (tipico delle amazzoni), faretre e spade, asce, accompagnati da flauti e lituo decorano la tesa. Tra questi uno scudo ovale, verso cui è rivolto lo sguardo del poeta, è decorato con un volto maschile urlante che pare possedere la vita, mentre nella pelta amazzonica spicca la data “1540”.
    Il retro presenta una decorazione “alla porcellana” a punta di pennello tracciata in blu attorno al basso anello di appoggio, su fondo di smalto appena azzurrato.
    L’ornato di questo piatto appartiene alla decorazione “all’antica” detta “a trofei”: fortunato motivo delle maioliche rinascimentali a Venezia e in tutt’Italia, molto diffuso attraverso le incisioni. Il decoro del nostro piatto vede forte affinità con stampe coeve (celebri quelle di Enea Vico).
    La formula pittorica vede lo smalto chiaro azzurrato, dal tono leggermente grigiastro, rimanere riservato nella stesura di un fondo a pennellate di un blu di cobalto forte, di tonalità brillante. Con una tecnica pittorica sapiente un sottile disegno blu imposta il decoro, il modellato dei volumi realizzato con leggere stesure più scure e arricchito con un tessuto di fini pennellate in blu cobalto e bianco stannifero.
    Un riscontro calzante col nostro si trova in un piatto con trofei con armi, spartiti musicali, Luna antropomorfa e con, al centro, un ritratto all’antica di profilo circondato da panoplie: la composizione e i caratteri disegnativi sono quasi sovrapponibili ai nostri. Il pezzo di confronto, allora appartenente alla collezione J.C., fu segnalato da Joseph Chompret con attribuzione a una manifattura di Padova e pubblicato nel suo repertorio di maioliche rinascimentali nel Répertoire de la majolique italienne del 1949; anche il retro di questo esemplare (purtroppo non visibile in fotografia) sembra corrispondere a quello del piatto in esame.
    Come ormai è noto è invece in Mastro Ludovico, attivo a Venezia proprio in quegli anni, che è comunemente riconosciuto, in base al carattere stilistico e materico con l’autore di questa formula ceramica con cui troviamo le affinità maggiori, tanto nella qualità del ritratto quanto nella formula pittorica.

  • PIATTOVenezia, Mastro Domenico, “1569” Maiolica decorata in...
    Lotto 57

    PIATTO
    Venezia, Mastro Domenico, “1569”
     
    Maiolica decorata in policromia con blu, verde, viola di manganese, giallo, grigio di bistro e bianco
    alt. cm 4,2; diam. cm 24,5; diam. piede cm 9,6
    Sul retro, sotto il piede, iscrizione in blu “- 1569 -/ - SVSANA -
    Sul retro, sotto il piede, una piccola etichetta imbrunita “1870/ Februsa (?)/ PL (?)” manoscritto
     
    Intatto; solo una piccola sbeccatura interessa l’anello d’appoggio
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in blue, green, manganese purple, yellow, grey and white
    H. 4.2 cm; diam. 24.5 cm; foot diam. 9.6 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘- 1569 -/ - SVSANA -’
    On the back, beneath the base, small and old hand-written label ‘1870/Februsa (?)/ PL (?)’
     
    In very good condition, with the exception of a minor chip to foot ring
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto fondo ha un’ampia tesa e base ad anello. Il fitto tessuto pittorico riveste completamente lo smalto stannifero sul fronte del pezzo.
    Il verso reca un sottile strato di smalto, che assume un tono beigiato, con poche grosse pulci e, sul retro della balza, leggeri aloni verdastri. L’anello d’appoggio è sottile e cilindrico. Sei filetti gialli profilano e decorano la tesa. Il fondo del piede smaltato presenta la data e l’iscrizione in blu.
    La decorazione istoriata vede la scena maggiore, dipinta nel cavetto, svolgersi all’aperto, in un giardino, sotto un’ampia tettoia verde posta in un campo pratoso con un villaggio sullo sfondo. Vi è raffigurata una giovane donna nuda, con un panneggio aranciato che le copre il pube, seduta al centro di un’ampia fontana semicircolare. Un uomo anziano sta dietro di lei, vicino, e le avvinghia il corpo, spingendole il mento per voltarle la testa verso un’altra figura maschile, che, in secondo piano, pare nascondersi dietro un esile tronco. L’orlo del cavetto è profilato con un sottile motivo a ovuli azzurri su fondo aranciato.
    La tesa è completamente ricoperta da un fregio in cui quattro riserve ovali, incorniciate con volute, sono istoriate con scene marine classiche con coppie di Tritoni e Nereidi. La pittura sottolinea il movimento delle figure con onde marine, ciuffi di capelli in volo, spirali dei corpi animali, mitre e trombe. A separare le riserve sono dipinte figure in monocromia giallo-bruna: in alto, due volti virili barbati con un’espressione triste, e in basso piccole erme con putti senza braccia, mentre piccole girali fogliate dipinte e filetti graffiati animano il fondo blu.
    La scena è dipinta in vivace policromia dominata dall’accostamento di forti colori, come i verdi luminosi del prato e delle fronde della tettoia in contrasto con le tonalità aranciate del giallo. Il blu di cobalto è cromaticamente dominante e fa da sfondo sia alle scene marine degli ovali, sia ai motivi decorativi minori. Sottili fili bianchi di smalto stannifero lumeggiano le figure della scena, mentre un fittissimo gioco puntinato a leggerissimo rilievo di stagno colorato di giallo muove le fronde del bersò, simulando l’effetto luministico della doratura.
    La scena riprodotta deriva dall’illustrazione del XIII capitolo di Daniele ne Les Figures de la Bible, illustrées de huitcains figurato da Pierre Vase ed edito a Lione nel 1564. La ripresa dell’immagine è integralmente fedele, con una sola eccezione: il secondo uomo anziano non è addossato alla ragazza, come vediamo nell’incisione, ma allontanato e nascosto dietro un tronco

  • VASO A BOCCIAVenezia, circa 1575  Maiolica decorata in policromia con...
    Lotto 58

    VASO A BOCCIA
    Venezia, circa 1575
     
    Maiolica decorata in policromia con verde rame, giallo antimonio e arancio, con tocchi di manganese e bianco a risparmio
    alt. cm 22,4; diam. cm 10,5; diam. piede cm 11
    Sotto il piede etichette “ufficio esportazioni 19.06.1962”; “Parigi 1964”; “Antichità Bellini Firenze
     
    Probabile lacuna all’orlo con rottura che scende lungo il corpo intersecandosi con fessurazioni passanti lungo la circonferenza, coperte da restauri mimetici talvolta eccessivi
     
    Earthenware, painted in copper green, antimony yellow, and orange with touches of manganese and white reserves
    H. 22.4 cm; diam. 10.5 cm; foot diam. 11 cm
    On the bottom, three labels: ‘ufficio esportazioni 19.06.1962’; ‘Parigi 1964’; ‘Antichità Bellini Firenze’
     
    Probable loss to rim with a crack running through body and crossing some heavy hairline cracks around circumference, covered by large mimetic restorations
     
    Il contenitore farmaceutico è forgiato secondo le caratteristiche tipiche della bottega veneziana di Mastro Domenico. Il corpo globulare sale e si restringe in un collo breve che termina nell’imboccatura larga, con bordo estroflesso e orlo piano dal profilo netto. Il piede è quasi tutt’uno con il corpo e ha base piana senza bordura.
    Il decoro mostra due ampi medaglioni opposti con orlo mistilineo, bordati da un doppio profilo blu; all’interno due ritratti (il maschile, collocato di profilo, ha un copricapo, quello femminile, di tre quarti, indossa una cuffia) spiccano sul fondo bianco a risparmio, lumeggiato da piccoli tocchi di bianco a creare un alone, delineato da una larga fascia gialla decorata con sottili trattini arancio a raggera. Il resto del vaso è decorato con fiori dalla larga corolla, foglie accartocciate, foglie lanceolate e piccoli fruttini, su un fondo riempito da uno spesso strato di blu cobalto, ingentilito e illuminato da lumeggiature sinuose realizzate con sottili linee incise a retro di pennello.
    Per le modalità pittoriche e stilistiche, nonostante alcune ridipinture, si può con sicurezza attribuire questo vaso alla bottega di Mastro Domenico, a Venezia, negli anni intorno al 1575.
    Numerosi gli esemplari di confronto, collocabili nella categoria più alta della produzione. Il ritratto maschile, più integro, ci permette un raffronto preciso con un albarello con ritratto nella modalità di resa degli occhi, grandi e con un taglio triangolare e pupilla molto marcata, nei tocchi di arancio e di bianco con cui viene lumeggiato il volto e nella camicia aperta con colletto arricciato visibile sul volume dedicato alla pittura veneziana dell’Alverà Bortolotto. Anche il notevole parallelo con l’albarello della raccolta Mereghi al Museo Internazionale della Ceramica di Faenza ci aiuta nel confronto, così come le due grandi bocce della collezione della Cassa di Risparmio di Perugia, sebbene queste di dimensioni maggiori, o con il piccolo albarello della collezione della Fondazione Banco di Sicilia.
    Questa tipologia di vasi costituisce una delle produzioni più ricercate della bottega veneziana dalla metà del XVI secolo, e comprende esemplari di qualità e decorazioni varie, con figure di Santi dipinte a figura intera, ritratti barbati di vecchi, ritratti di giovinetti, turchi con turbanti, guerrieri con elmo, fanciulle o donne variamente atteggiati e inseriti in cornici più o meno elaborate. La qualità della pittura e della materia e il confronto con altri esemplari ci fanno pensare comunque alla produzione più antica della bottega veneziana.

  • VASO A BOCCIA “BOMBOLA”Sciacca, bottega dei fratelli Lo Bue,...
    Lotto 59

    VASO A BOCCIA “BOMBOLA”
    Sciacca, bottega dei fratelli Lo Bue, “1629”
     
    Maiolica decorata in policromia con verde ramina, blu di cobalto molto sordo, rosso ferraccia, giallo antimonio, arancio cupo e bruno di manganese su smalto stannifero molto povero
    alt. cm 29; diam. cm 10,9; diam. piede cm 11,9
    Sul corpo in cartigli “S.P.Q.R.” e la data “1629
    Sotto il piede un appunto manoscritto: “ceramica di Sciacca”; etichetta del negozio “Daneu Palermo
     
    Fenditura incollata al collo
     
    Earthenware, covered with a very poor tin glaze and painted in copper green, dull cobalt blue, iron red, antimony yellow, dark orange, and manganese
    H. 29.7 cm; diam. 10.9 cm; foot diam. 11.9 cm
    Inscriptions in cartouches on body: ‘S.P.Q.R.’ and ‘1629’
    On the bottom, hand-written inscription ‘ceramica di Sciacca’; shop printed label ‘Daneu Palermo’
     
    Hairline crack to neck, consolidated
     
    Il vaso a bombola ha orlo piano, con labbro arrotondato ed estroflesso, e corto collo leggermente troncoconico che scende su una spalla arrotondata. La pancia del vaso ha forma ovoidale e si stringe in un calice, che termina in un piede con base a disco ed estroflesso, dal profilo leggermente angolato.
    Sul corpo, entro una cornice baccellata, costituita da due volute combacianti e su fondo interamente dipinto in giallo, è raffigurata Santa Rosalia dalla corona di rose, dipinta con formula molto corriva, nell’atto di adorare la Croce. Il resto del vaso è ornato da un motivo a trofei a risparmio su fondo blu, con scudi, else di spade, faretre e strumenti musicali disegnati in blu e colorati con ampie pennellate acquarellate, uno scudo tondeggiante è decorato da una faccia di luna sorridente, mentre in un secondo scudo si legge la data “1629” e in un cartiglio compare la sigla “S.P.Q.R.”. Un sottile tralcio continuo di foglie d’acanto su fondo arancio corre sulla spalla, mentre il collo e il calice del piede sono decorati con larghe foglie stilizzate, accompagnate da un motivo a corona anch’essa stilizzata. Il collo e la parte del calice del piede sono decorati con una fascia di cunei con larghe foglie stilizzate, ripetute anche sul piede e accompagnate ancora da un motivo a corona stilizzata.
    La tipologia decorativa di questo vaso ha le sue radici nella produzione faentina grazie a Geronimo Lazzaro, attivo a Palermo all’inizio del secolo XVII. Il modello si diffuse nelle botteghe palermitane, e di qui in tutta l’isola con formule di qualità tecnico-stilistica diversa: dai pezzi confondibili con i faentini fino a formule ben più corsive, come nel caso del nostro vaso.
    La qualità dell’oggetto, messa a confronto con quella dei manufatti posteriori al 1625, è certamente superiore alla media. La comparazione con esemplari saccensi conservati al Museo del Castello Sforzesco di Milano ci porta a soffermarci sul raffronto con una boccia con cartiglio “Facta a Axacca 1610” attribuita al pittore palermitano Andrea Pantaleo e a un’eventuale presenza dell’artista in un’officina saccense. La sua qualità pittorica nel decoro del collo e quello della spalla e la qualità stilistica nei dettagli dei trofei e nella loro disposizione, l’avvicinano al vaso in esame, il cui pittore è ancora influenzato dallo stile palermitano.
    Un vaso simile, con Cristo che regge la croce e decoro a trofei, è conservato al National Museum of Fine Arts de la Valletta a Malta: il vaso è morfologicamente affine, ma di fattura meno accurata, e ha una datazione più avanzata.

  • ALBARELLONapoli, Maestro della Cappella Brancaccio, 1470-1480 Maiolica...
    Lotto 60

    ALBARELLO
    Napoli, Maestro della Cappella Brancaccio, 1470-1480
     
    Maiolica decorata in policromia con verde ramina, arancio e bruno di manganese nei toni del marrone e del nero su smalto povero bianco leggermente azzurrato
    alt. cm 32,5; diam. bocca cm 10,7; diam. piede cm 12
    Sotto la base etichetta stampata di spedizione da Parigi con dattiloscritto: “HUMPHRIS C/ N. 7”; etichetta ovale con il numero “44459”; in rosso, numeri di inventario “L.1660.79” e “L.3730.79”
     
    Intatto; tracce di usura alla spalla e all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a poor white glaze with a light-bluish tinge, and painted in copper green, orange, and brownish and blackish manganese
    H. 32.5 cm; diam. 10.7 cm; foot diam. 12.2 cm
    On the bottom, shipping paper label (from Paris), typewritten with ‘HUMPHRIS C/ N. 7’; oval paper label with ‘44459’; inventory numbers in red ink: ‘L.1660.79’ and ‘L.3730.79’
     
    In very good condition; wear to shoulder and rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    L’albarello ha forma cilindrica appena rastremata al centro con spalla angolata verso il basso, collo breve con orlo estroflesso, piede piano leggermente aggettante all’esterno. La superficie del vaso è interamente decorata e presenta motivi puntinati, a palmette e a ventaglio sul collo e sulla spalla. Lo smalto, spesso e abbondante, ricopre l’intera superficie, compreso l’interno; parte del piede presenta craquelure ma nessuna caduta di colore.
    Il corpo è interessato, nella parte anteriore, dalla raffigurazione di un personaggio ritratto di profilo, di fronte al quale è tracciato un cartiglio svolazzante con iscrizione di difficile interpretazione “B.N.BIA.BIA.B.NB.”, forse la descrizione del principio farmaceutico. Il ritratto ha una cornice che ne segue i contorni. Tutt’intorno si estende un motivo a foglie accartocciate.
    L’albarello appartiene a un gruppo studiato da De Ricci e da Borenius: e mentre De Ricci lo attribuisce variamente alla Toscana, lasciando aperta l’attribuzione anche ad ambito faentino o romano, Borenius dal canto suo riferisce la provenienza, basata su testimonianze orali, da una farmacia di Caltagirone. Negli esemplari conservati al Louvre e acquistati nel 1903 è conservato un sigillo di cera pertinente a una farmacia palermitana.
    Guido Donatone, grazie al confronto con alcune mattonelle esagonali della cappella Brancaccio di Sant’Angelo a Nilo e con altri pavimenti poi attribuiti allo stesso pittore, ha proposto l’ipotesi di una produzione napoletana. Tra i confronti suggeriti dallo stesso autore con medaglie e bassorilievi raffiguranti personaggi aragonesi, spicca proprio l’albarello con personaggio di questa raccolta, che viene così identificato come Alfonso duca di Calabria.
    Gli albarelli con stemmi aragonesi del museo parigino recanti le armi di Alfonso II d’Aragona e della moglie Ippolita Sforza, in particolare, forniscono un’indicazione cronologica compresa tra il 1465 e il 1484. A quegli anni si fa risalire anche l’albarello con stemma aragonese del British Museum.
    Il nostro vaso è passato sul mercato in occasione della vendita della collezione Bak di New York nel 1965, e nella scheda d’asta, ancora con attribuzione a manifattura faentina del 1480, viene indicata la provenienza dalla collezione Arthur Sambon e dalla raccolta Mortimer Schiff. Abbiamo notizia di una successiva vendita all’asta del Palais Galliera nel 1970 e della pubblicazione dell’oggetto come presente nella collezione Jean-George Rueff nel 1973.
    L’opera è stata esposta al Metropolitan Museum of Art di New York negli anni 1917-1919 e 1937-1941.

  • PIATTONapoli, Francesco Antonio Saverio Grue,...
    Lotto 61

    PIATTO
    Napoli, Francesco Antonio Saverio Grue, “1727”
     
    Maiolica decorata in policromia a gran fuoco con verde ramina, bruno di manganese, blu di cobalto, giallo antimonio e dorature
    alt. cm 4; diam. cm 33,2
    Iscrizioni sulla tesa “NEAPOLI An.1727” “ Dr. Fra. Ant. Xav. Grue pinxit”
     
    In basso a destra una fenditura consolidata attraversa la tesa e la balza con due rami perpendicolari corti e sottili.
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware with high-fired polychrome decoration painted in copper green, manganese, cobalt blue, antimony yellow, and gold
    H. 4 cm; diam. 33.2 cm
    On the broad rim, two inscriptions: ‘NEAPOLI An.1727’ and ‘Dr. Fra. Ant. Xav. Grue pinxit’
     
    At 5–7 o’clock consolidated hairline crack running across broad rim and part of the well
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il corpo del grande piatto in terracotta è ricoperto da uno strato di smalto stannifero dal colore leggermente beigiato. Il retro presenta una finissima crettatura con molte pulci e punte di spillo.
    Tutto l’ornato è disegnato con una sottilissima linea bruno-arancio (ad esclusione delle fronde arboree e delle parti poi dipinte in blu). La tavolozza dei colori a gran fuoco mostra una scala cromatica dominata dal verde, che vede toni chiari dall’accento olivastro, e dal bruno con stesure beige molto chiare. Il bruno scuro del manganese disegna i dettagli e modella i volumi. Le vesti dei protagonisti portano un beige aranciato e blu chiaro. Lumeggiature auree profilano l’intero tessuto decorativo puntinando gli elementi della tesa, le ali e i tessuti dei putti, oltre ad arricchire tessuti e gioielli delle donne sedute al tavolo e, infine, le fronde fogliate.
    Il grande piatto tondo ha la tesa leggermente inclinata e orlo liscio. La balza scende addolcendo il passaggio al fondo liscio.
    La tesa è riccamente decorata. L’orlo esterno è profilato con una sottile bordura blu accompagnata da filetti manganese, blu e giallo. La fascia maggiore della tesa vede, sul fondo giallo, quattro importanti elementi barocchi, a cartouche, dominati da conchiglie con ciuffi fogliati, fiori e frutti accompagnati da putti in movimento. I due più in alto sono a mezza figura in scorcio e quello a destra si mostra espressivo mentre gioca con un insetto. Altre “zanzare” abitano i piccoli spazi liberi della tesa. Gli elementi ornamentali centrali portano un nastro bianco sottile su cui è leggibile un’iscrizione: “Neapoli” [con la “N” invertita] e “An. 1727”, e nel motivo inferiore: “DR. FRAC.s ANT.s XAV.s/ GRVE pinxit.”
    La scena vede protagoniste cinque persone sedute a tavola all’aria aperta davanti ad una locanda, mentre stanno mangiando, servite da due giovani osti: la ragazza con l’abito blu porge un piatto, mentre un giovane uomo versa il vino in un calice. Tre figure sedute ci voltano le spalle: un uomo, un ragazzino e una signora dalla veste arancio decorata con una puntinatura dorata. Davanti a lei vi è la donna più giovane: una ragazza elegante che sembra rivolgere serenamente il suo sguardo verso l’osservatore; le è accanto il giovane uomo sorridente che porge il proprio calice all’oste. Il calice pare prezioso: forse si festeggia un matrimonio. La scena è arricchita da tanti elementi secondari: la facciata della locanda è ricca di particolari, come l’ampia tettoia di frasche. Un ragazzino mangia con le mani, seduto a terra accanto a piccole gerle e a una piccola botte lignea dalla sezione trilobata. Un cappello, una sacca e una cesta s

  • DUE ALZATESavona, manifattura Salamone, Bartolomeo Guidobono (?), post...
    Lotto 62

    DUE ALZATE
    Savona, manifattura Salamone, Bartolomeo Guidobono (?), post 1695
     
    Maiolica decorata in blu di cobalto e bruno di manganese con l’aggiunta di giallo, verde e arancio nello stemma
    a) alt. cm 7,1; diam. cm 33; diam. piede cm 14
    b) alt. cm 6,4; diam. cm 33; diam. piede cm 15
    Sul retro, sotto il piede, stemma savonese in blu su ambedue
     
    Intatte salvo profonde sbeccature al piede.
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in cobalt blue and manganese with touches of yellow, green, and orange for the coat-of-arms
    a) H. 7.1 cm; diam. 33 cm; foot diam. 14 cm
    b) H. 6.4 cm; diam. 33 cm; foot diam. 15 cm
    Beneath the base of both items, is a Savonese coat-of-arms painted in blue
     
    In very good condition, with the exception of some heavy chips to foot
     
    An export licence is available for this lot
     
    Le due alzate in maiolica foggiata al tornio sono sorelle, parte della stessa serie. Hanno un piano piatto profilato da un orlo leggermente crescente e poggiano su un piede svasato ad anello. Il corpo sottile ha grana fine color camoscio rivestita da un sottile strato di smalto stannifero leggermente azzurrato, dalla stesura molto leggera sul retro.
    La scena figurata è impostata in monocromia blu: la rapida esecuzione in sciolte pennellate blu di cobalto è poi ripassata con una sottilissima linea nera di manganese che, con fluida rapidità, ridisegna contorni, particolari e certi tocchi chiaroscurali. Solo lo stemma vede l’aggiunta di giallo uovo, arancio e pochi colpi in verde ramina.
    Ambedue le scene pittoriche sono dominate da uno stemma matrimoniale bipartito: lo scudo a sinistra è trinciato da due bande diagonali blu in campo bianco, mentre lo scudo a destra porta una sottile croce rossa e ha i campi profilati con una fascia di piccole punte gialle e verdi. L’insegna araldica è dominata da una corona a sette punte d’imprecisa appartenenza marchionale. Una sottile cornice a volute chiude il motivo araldico.
    Le insegne araldiche appartengono a due famiglie fiorentine Alamanni e Popoleschi. Le nostre maioliche testimoniano così il matrimonio tra Vincenzio Maria Alemanni (1672–1756) e Maria Maddalena Popoleschi che avvenne a Firenze nel 1695.
    Le due scene si svolgono in un paesaggio realizzato con un gioco sintetico dal disegno fortemente stilizzato. Nel piatto a) la parte superiore è occupata da un paesaggio dipinto in estrema scioltezza e composto di un edificio a fortezza turrita e due monti dalla linea inclinata con la cima appuntita. Attorno allo stemma l’aria è mossa da virgole vibranti e, nella parte più alta, il cielo chiude l’orlo con nuvole scure. Al centro una giovane coppia “all’antica” è protagonista: i due sono seduti nel prato, lei tiene in mano un arco, un giovane uomo loricato regge uno scudo. Due putti gli sono accanto. E' raffigurato un istante: le figure si muovono con naturalezza e paiono parlare tra loro sorridendo. Il bordo inferiore è incorniciato da zolle erbose e arbusti fogliati. Il piatto b) vede una scena ancora più viva: il movimento è ccentuato. La giovane donna siede su un cocchio tirato da due pavoni. Il movimento delle braccia e il volo del suo mantello ci mostrano che è in velocità. Accanto, un ragazzino alato, correndo, porta una torcia ardente e due putti paiono partecipare allegramente alla scena. Il casale è dipinto nell’esergo e ciuffi erbosi e piante fogliate inquadrano la scena.
    In ambedue i pezzi il retro della tesa presenta una serie corrente di girali. La marca è disegnata a filo sottile a punta di pennello fine, con una forma stilizzata

Lotti dal 49 al 62 di 62
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Importanti Maioliche Rinascimentali

Sessioni

  • 28 ottobre 2014 ore 17:00 Sessione Unica - lotti 1 - 62 (1 - 62)