Meraviglie Atto II. La Gioia a colori. II

Meraviglie Atto II. La Gioia a colori. II

Wednesday 15 May 2024 hours 15:30 (UTC +01:00)
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  • Agostino Ugolini (1755 - 1824) 
Madonna con Bambino e San Giovanni Battista
    Lot 322

    Agostino Ugolini (1755 - 1824)
    Madonna con Bambino e San Giovanni Battista
    Olio su rame
    30 x 24 cm
    Stato di conservazione. Supporto: 90%
    Stato di conservazione. Superficie: 90%

    Riscoperto da Edoardo Arslan nel 1960, Agostino Ugolini, assieme a Saverio dalla Rosa, «suo illustre compagno nell’arte, e sempre suo amico» (C.C. Bresciani, "In morte di A. U., pittore veronese recitata nel 1826", Verona, 1826, p. 13), fu senz’altro il pittore di maggior spicco della diocesi di Verona tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Come nel caso di Dalla Rosa, il suo raggio d’azione si estese alle province di Bolzano, Brescia, Mantova, Ferrara, Padova, Reggio Emilia, Rovigo e Trento (Guzzo, "Episodi di committenza artistica tra Settecento e primo Ottocento: la Cattedrale ed i canonici", in "Studi storici Luigi Simeoni", XLVII, 1997, p. 256).
    Influenzato da Giambattista Buratto e Antonio Balestra, nel solco della grande tradizione veronesiana cinquecentesca, fu stimato da Andrea Appiani, Giuseppe Bossi e Francesco Hayez (Mattia Vinco, in "Dizionario Biografico degli Italiani", Treccani, v. 97, 2020, s.v.).
    Pittore assai raro, conta un catalogo di 140 opere (Andrea Ferrarini, "Agostino Ugolini (Verona 1755-1824)", in "I pittori dell’Accademia di Verona (1764-1813)", 2011, p. 385, 391 nota 16). Tra le opere di piccolo formato meritano una particolare menzione i sedici bozzetti, di cui quattro conservati al Princeton Art Museum nel New Jersey, provenienti dalla collezione di Henry White Cannon, e quattro nell’Istituto delle Sorelle della Sacra Famiglia di Verona, nonché lo splendido rame conservato presso i Musei di Palazzo Maffei, assai vicino all'inedito dipinto qui proposto.

  • Federigo Andreotti (1847 - 1930) 
La lettura, 1900
    Lot 323

    Federigo Andreotti (1847 - 1930)
    La lettura, 1900
    Olio su tela
    190 x 113 cm
    Firma: Firma al recto
    Provenienza: Finarte, Milano, 1992; Christie's Roma, 2.12.1997, lotto 235
    Stato di conservazione. Supporto: 80%
    Stato di conservazione. Superficie: 80% (consunzione, un graffio e una piccola foratura)

  • Pierre-François-Joseph De Glimes ou Deglim (1744 - 1800) 
Bagnanti
    Lot 324

    Pierre-François-Joseph De Glimes ou Deglim (1744 - 1800)
    Bagnanti
    Olio su tela
    61 x 81,5 cm
    Firma: su una roccia marrone, a destra, firma «P. De Glimes»
    Elementi distintivi: al verso, sull’asse superiore della cornice, etichetta stampata «106137/3»; segni e numerazione a gesso, probabilmente relativa a passaggi in asta
    Provenienza: Hampel, München, 30.06.2016, l. 836 ("P. DE GLIMES (XVIII)")
    Vincoli: l'opera è dotata di libera circolazioneStato di conservazione. Supporto: 70% (rintelo, gore d'acqua)
    Stato di conservazione. Superficie: 80% (cadute di colore; ritocchi e riprese pittoriche, soprattutto nella parte sinistra)

    Pierre-François-Joseph De Glimes o Deglim nasce nel 1744 a Bruxelles, al tempo compresa nei Paesi Bassi austriaci e fortemente influenzata dalla pittura centro europea. Compie la sua formazione artistica a Parigi dove, nel 1768, intraprende gli studi accademici sotto la protezione del pittore Joseph-Marie Vien (1716-1809). Molto richiesto come ritrattista - come testimoniano le numerose trasposizioni in incisione -, si afferma anche nel paesaggio, come dimostra la popolarità di una delle prime opere, "La pastorella nella tempesta", oggi conservata presso il Brighton Museum & Art Gallery (inv. FA000208). Anche nel dipinto di Brighton compare un albero dal tronco spezzato molto simile a quello nella tela in esame; ugualmente, confrontando le due immagini, emerge la stretta affinità dei dettagli paesaggistici, siano essi relativi alla vegetazione nelle sue varie forme, o al dato atmosferico, con una particolare attenzione alla resa delle nubi, alternando tinte scure e chiare, e alla restituzione della luce. Una ulteriore conferma è offerta dalla analisi delle figure, le anatomie e le posizioni, o come, secondo la teoria artistica classicista, gli atti. Ancora più simile - anche per la corrispondenza del tema - è un dipinto con "Bagnanti in un bosco", conservato presso il Museum voor Schone Kunsten di Ghent (1902-E), di cui sono pressoché identiche anche le misure (67x89,6 cm): la tela in asta è certamente superiore per qualità, complice anche l'oscuramento della superficie del dipinto di Ghent.
    L'opera in asta - di cui l'autore non era mai stato prima esattamente identificato - si conferma così fondamentale addizione al corpus di Pierre de Glimes, figura rara ma preziosa nella pittura francese e centro europea del XVIII secolo, di cui sono conservate opere anche al Fitzwilliam Museum a Cambridge, al British Museum ed ai Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique, a Bruxelles.

  • Telemaco Signorini (1835 - 1901) 
Ritratto, Bambina di Riomaggiore (La Nené), 1887
    Lot 325

    Telemaco Signorini (1835 - 1901)
    Ritratto, Bambina di Riomaggiore (La Nené), 1887
    Olio su tela applicata su cartone
    15,7 x 9,1 cm
    Firma: monogramma "TS" al recto
    Elementi distintivi: al verso, etichetta "Bottega d'Arte Livorno" con indicazione dell'autore e del titolo e tre timbri della stessa galleria; una etichetta antica "Signorini 83" con dimensioni"; timbro "Julius Oppenheimer FINCHLEY"
    Provenienza: Julius Oppenheimer, Londra; Bottega d'Arte, Livorno
    Bibliografia: Tiziano Panconi, “Telemaco Signorini. Catalogo generale ragionato”, Pistoia, 2019, p. 752, n. 817
    Stato di conservazione. Supporto: 85%
    Stato di conservazione. Superficie: 90% (riprese a velatura molto leggere)

  • Domenico Maggiotto (1712 - 1794) 
Madonna orante
    Lot 326

    Domenico Maggiotto (1712 - 1794)
    Madonna orante
    Olio su tela
    54 x 51 cm
    Elementi distintivi: sul verso, etichetta di vendita della Casa d’Aste Semenzato, n. 461
    Provenienza: Raccolta Italico Brass, Venezia; Sotheby's, Firenze, 18 dicembre 1976, l. 96 (come Cappella); Casa d’Aste Semenzato, Venezia (26-27.03.2011, l. 461, stima € 23.000-26.000); Veneto Banca SpA in LCA
    Bibliografia: A. Ravà, G. B. Piazzetta, Firenze, 1921, p. 60 e fig. 50 (Piazzetta); R. Pallucchini, L'arte di G. B. Piazzetta, Bologna, 1934, p. 112 (Piazzetta, con attribuzione incerta); U. Ruggeri, Francesco Cappella, Bergamo, 1977, p. 174 (attribuzione incerta); A. Mariuz, Piazzetta, Milano, 1982, pp. 127-128, A124 (come opera di scuola)
    Stato di conservazione. Supporto: 70% (reintelo)
    Stato di conservazione. Superficie: 80% (graffi, cadute di colore, riprese pittoriche)

    Nella sua monografia su Piazzetta del 1921, Aldo Ravà ha registrato la tela nella raccolta del rinomato pittore Italico Brass (1870-1943), insieme ad altri 5 dipinti e 15 disegni (pp. 60 e 71, tav. 50). Rodolfo Pallucchini, nella monografia dedicata a Piazzetta nel 1934 considera l'opera di attribuzione incerta (p. 112), così come Ruggeri nella sua monografia su Francesco Cappella (1977, p. 174, riferendo di non aver visto il dipinto dal vero) e A. Mariuz nel catalogo ragionato del 1982 (pp. 127-128, cat. A124). Nonostante alcune similitudini con Piazzetta (cfr per esempio la Vergine col Bambino Gesù già in collezione Viezzoli a Genova, in R. Pallucchini, Piazzetta, 1956, Milano, tav. 93; altra versione testimoniata dalla redazione a stampa di Giuseppe Baroni, in G.B. Piazzetta. Disegni - Incisioni - Libri - Manoscritti, con introduzione di W. Knox, Vicenza, 1983, cat. 120), questa giovane Madonna va ricondotta alla sua complessa scuola, ed in particolare a Francesco Maggiotto.
    Il merito della attribuzione va a Roldofo Pallucchini, che la propone in una perizia oggi perduta ma ricordata nel catalogo d'asta Semenzato (2011). La proposta è ritenuta pertinente da Giuseppe Pavanello (comunicazione del 25 novembre 2021) e da Marco Horak, che all'opera ha dedicato una importante scheda critica. Come sottolinea Horak «la formazione del Maggiotto avvenne nell’ambito della bottega di Giovanni Battista Piazzetta dove entrò giovanissimo, all’età di soli 10 anni, e dove si distinse come uno degli allievi dotati di maggior talento. È possibile disegnare la parabola artistica del Maggiotto suddividendola in tre diversi periodi che hanno contraddistinto la sua produzione: una prima lunga fase, fino al 1755, in cui le sue opere si basavano quasi completamente sui dettami stilistici del suo maestro Giovanni Battista Piazzetta, una seconda fase in cui Maggiotto si indirizzò verso soluzioni cromatiche molto più varie, ampliando il proprio bagaglio artistico in virtù delle esperienze che gli derivavano dall’avvicinamento a Giambattista Tiepolo (nell’ambito dell’Accademia veneziana di pittura e scultura, presieduta dal Tiepolo), infine il periodo della vecchiaia di Maggiotto, dopo il 1765, in cui il pittore si riavvicina ai modelli giovanili e quindi alle opere del suo maestro Giovanni Battista Piazzetta. Queste considerazioni ci spiegano le ragioni per cui la figura artistica del Maggiotto è stata relegata in passato al mero ruolo di promettente scolaro del Piazzetta e le sue opere frequentemente confuse con quelle del suo mentore. Solo in tempi relativamente recenti e a partire dall'esame di poche sue opere firmate, o comunque basate su fonti documentarie, si è giunti alla formulazione di un catalogo formato da una cinquantina di dipinti di autografia certa, la cui corretta attribuzione è stata pure corroborata dal confronto con incisioni di derivazione. Ed è stato proprio attraverso questo lavoro di ricerca e approfondimento che si è giunti, per merito del già citato Rodolfo Pallucchini, ad assegnare correttamente la pregevole Madonna in preghiera in esame alla mano di Domenico Fedeli detto il Maggiotto. L’opera, pienamente fedele al chiaroscuro piazzettesco dalle tonalità bruno-rossastre, è a mio parere collocabile entro il 1750 e si caratterizza per il rigore di un meccanismo compositivo essenziale, che tende ad enfatizzare l’atteggiamento di sereno misticismo della Vergine, in cui spicca una grande e raffinata delicatezza nelle forme, accompagnate dal già citato forte contrasto in chiaroscuro che, in virtù dell’orientamento della luce spiovente dall’alto conferisce risalto agli incarnati, nei quali si apprezzano le ombre e le morbide e delicate sfumature.». La pregevole lettura di Marco Horak segnala nel dipinto anche il testimone di un cambiamento di gusto nella «grande committenza privata veneziana: infatti le grandi composizioni di genere storico e mitologico, fino ad allora testimonianza di fedeltà ai canoni etici stilistici degli illustri antenati, iniziarono a decadere in favore di un gusto più introspettivo, funzionale ad un ruolo dell’arte più orientato all’intimità».
    In subordine a Maggiotto, il dipinto può essere avvicinato a Giuseppe Angeli (1709-1798): si veda per esempio - nella postura e nella resa anatomica e dei panneggi - la figura della Madonna nella pala con l'Immacolata e Santi nella chiesa di San Francesco della Vigna a Venezia (1756) e nella pala con San Felice da Cantalice che riceve Gesù Bambino nella chiesa dello Spirito Santo a Cortona (fototeca Zeri, n. 69021). Meno vicino, Francesco Daggiù detto il Cappella, per esempio nella pala con Santa Margherita e il beato Guido Vagnottelli intercedenti per le anime del Purgatorio", presso l'Oratorio di Villa Tommasi a Metelliano (fototeca Zeri, n. 69064; Ruggeri, 1977, fig. 13; vedi anche figg. 11, 19, 36).


    Ringraziamo Marco Horak e Giuseppe Pavanello per il supporto nella catalogazione dell'opera.

  • Jean-Baptiste-François Génillion (1750 - 1829) , (?)
Veduta di una baia con veliero
    Lot 328

    Jean-Baptiste-François Génillion (1750 - 1829) , (?)
    Veduta di una baia con veliero
    Olio su tela
    74 x 97 cm
    Elementi distintivi: al verso, sull’asse superiore della cornice, etichetta stampata «106136/2»
    Provenienza: Hampel, München, 01.07.2016, l. 1487 (come Carlo Bonavia)
    Certificati: expertise di Emilio Negro (come Carlo Bonavia), in copia
    Stato di conservazione. Supporto: 80% (rintelo e rintelaiatura)
    Stato di conservazione. Superficie: 65% (consistenti restauri, soprattutto nella zona centrale secondo un asse verticale soprattutto nella parte di cielo e mare, forse a seguito di uno sfondamento; le figure e il paesaggio sono scarsamente coinvolti)

    La "Marina" è stata attribuita a Carlo Bonavia (1730-post 1788), nella sua reinterpretazione della lezione di Claude-Joseph Vernet (1714-1789), da Emilio Negro, in paragone con due vedute conservate presso la Pinacoteca Nazionale di Capodimonte, a Napoli, il "Paesaggio fluviale con cascata" (inv. Quintavalle 297) e la "Veduta con insenatura marina e barche", in cui coglie una analoga «singolare interpretazione preromantica del paesaggio e l'attenta indagine paesaggistica, espresse con tonalità fredde e brillanti e i lievi trapassi di lume chiaroscurale, caratteri tipici delle opere eseguite dal vedutista negli anni della sua piena maturità artistica».
    Francesco Leone concorda nell'identificare nella tela un'opera di buona qualità «sulla scorta di Claude-Joseph Vernet, artista molto imitato», ma esclude il riferimento a Bonavia, suggerendo, dubitativamente, l'alternativa attribuzione a Jean-Baptiste-François Génillion (comunicazione del 13 novembre 2023). Génillion, allievo di Vernet e affascinato in particolare dal lavoro di questi sui porti di Francia, partecipò al Salon de la correspondance del 1779, 1781, 1782 e 1783, poi a quello del Louvre dal 1791 al 1819. I suoi temi preferiti sono i paesaggi - marini, urbani, fluviali - e le scene d'incendi rese con piglio drammatico. Sue opere sono conservate al Palais des Beaux-Arts di Lille, al Musée Carnavalet di Parigi, al Bowes Museum a Barnard Castle e al Cabinet d'arts graphiques dei Musées d'Art et d'Histoire di Ginevra.
    Il dipinto è pensato secondo gli schemi del paesaggio ideale, quasi innestato in una quinta scenica entro cui si svolge l'azione. Esiti curiosi sono le bandiere della torretta e del veliero orientate in direzioni opposte e gli stessi scafi delle imbarcazioni resi con volumi molto esemplificati e poco credibili: stupisce soprattutto il gioco della luce, tanto da far pensare che ad essa sia riservato un vero e proprio ruolo narrativo. Tre sono i punti evidenziati: il crepuscolo all’orizzonte in cui si perde il veliero; il faro, illuminato solo alla base dove emerge la scalinata dell’ingresso insieme agli altri edifici; infine, la coppia di figure femminili accompagnate dal cane in primo piano, figure campite con molto colore bianco - usato per le maniche, le cuffie, una gonna e il pelo dell’animale – che ne fa un fulcro luminoso. La ragazza di spalle sembra indicare con il braccio proprio l’ingresso della torre.

    Ringraziamo il Professor Francesco Leone per il prezioso supporto nella schedatura dell'opera.

  • Charles-François Poerson (1653 - 1725) , attribuito a
Flora, 1677 circa
    Lot 330

    Charles-François Poerson (1653 - 1725) , attribuito a
    Flora, 1677 circa
    Olio su tela
    79 x 123 cm
    Elementi distintivi: al verso, sull’asse superiore della cornice, etichetta stampata «106136/9»
    Provenienza: Hampel, München, 26.06.2009 (Poerson), l. 280; Hampel, München, 30.06.2016, l. 837 (Poerson)
    Esposizioni: expertise di Emilio Negro, in copia (come Poerson)
    Stato di conservazione. Supporto: 75% (possibile sfondamento, risarcito, nella parte sinistra; rintelo)
    Stato di conservazione. Superficie: 80% (cadute di colore e ritocchi sparsi, specie nella parte sinistra; spulitura)

    L’opera raffigura Flora, divinità del mondo vegetale, attorniata da putti, alcuni alati, che la decorano porgendole dei fiori. Emilio Negro, con felice intuizione, collega il dipinto al pittore francese Charles-François Poerson, attivo per lungo tempo in Italia. Figlio d’arte, Charles François si forma accanto al padre Charles, per poi diventare allievo del cugino Noël Coypel, esponente della corrente classicista e direttore dell’Académie de France à Rome dal 1673 al 1675. Con Coypel, Charles François si reca a Roma nel 1672, grazie ad un premio vinto l'anno prima. Dal 1677 è nuovamente a Parigi, dove nel 1682 entra a far parte dell'Académie Royale. Il legame con l’Italia lo riporta nell’Urbe dove venne a sua volta nominato direttore dell’Académie dal 1704 fino alla morte, e tra il 1714 e il 1718 e ancora nel biennio 1721-22 direttore dell’Accademia di San Luca. Nel 1725 muore a Roma e la tomba, attribuita allo scultore Pierre de L’Estache, anch’egli direttore di Villa Medici (1737-1738), ne ricorda i meriti nella Chiesa di San Luigi dei Francesi.
    Come prova d’accesso all'Académie Royale, nel 1677, Poerson dipinse "L'unione della Accademia di Parigi e della Accademia di San Luca di Roma", tela oggi conservata nel Musée National des Châteaux de Versailles et de Trianon (inv. MV 7291). L’opera presenta forti assonanze con la tela in esame, sia nella fattura delle figure (in particolare quella femminile in veste rosa, che mostra un profilo pressoché identico alla tela in esame) sia nel modo di dipingere il cielo e il fogliame, a macchie tondeggianti piuttosto regolari: anche se le anatomie nel dipinto in asta appaiono più rigide e semplificate, forse anche a causa di una pulitura eccessiva (mentre resta magnifico il brano di natura morta costituito dai fiori in grembo a Flora). Queste similitudini - nell'ipotesi di conferma della attribuzione a Poerson - suggerirebbero una analoga datazione per l'opera in esame.

  • Henri de Toulouse-Lautrec (1864 - 1901) 
Quattro studi di cane (recto); due studi del muso di un cane e due studi di orso (verso), 1877-1884
    Lot 332

    Henri de Toulouse-Lautrec (1864 - 1901)
    Quattro studi di cane (recto); due studi del muso di un cane e due studi di orso (verso), 1877-1884
    Matita su carta preparata
    15,9 x 25,7 cm
    Altre iscrizioni: recenti, a matita, “70bis” (al recto) e “89bis” e “80b” (al verso)
    Provenienza: collezione privata, Francia; Alain Brun, Pessac, Francia (almeno fino al 16.12.2019); Christie’s, Parigi, 19.04.2021 (lotto 261)
    Certificati: dichiarazione del Comité Toulouse-Lautrec, 16.12.2019, relativa all’intero quaderno (in copia anastatica) e foto certificato con timbro a secco del Comité Toulouse-Lautrec, 16.12.2019, relativa al disegno (in originale)
    Stato di conservazione. Supporto: poche lievi pieghe, fioriture trattate, poche macchie (85%)
    Stato di conservazione. Superficie: carta notevolmente scurita a causa della esposizione alla luce (70%)

    Il foglio, disegnato su entrambi i lati e proveniente da un carnet che sarà pubblicato nel prossimo supplemento al Catalogo ragionato dell’artista, appartiene alla produzione giovanile di Henri de Toulouse-Lautrec. Il modo in cui è trattata la anatomia degli animali si lascia bene confrontare con molti disegni di analogo soggetto catalogati da Madeleine Grillaert Dortu, per esempio D630 (“Caccia all’orso”, 1877), D1547 e D1548 (“Cani”, 1880 ca.); D1750 (“Muso di cane”, 1880 ca.). Più nel dettaglio, le differenze di stile nel disegno dell’orso e nei disegni dei cani (a latere di quello guizzante, molto stilizzato) fanno pensare che il foglio contenga appunti grafici un po’ distanziati nel tempo, in parte disegnati dal vero (i cani) e in parte d’invenzione (l’orso, forse immaginandone il movimento a partire da una fotografia). Tra gli schizzi dedicati ai cani, si distinguono due profili coerenti con il cane pezzato che Toulouse-Lautrec aveva da ragazzo, riprodotto in una foto databile al 1877 (Dortu, Catalogue raisonné de l'oeuvre de Toulouse-Lautrec, New York, 1971, vol. I, p. 93, ill. 132). Anche il secondo cane – però solo nel muso – rassomiglia ad un cane amato dall’artista, rappresentato già avanti negli anni in una foto del 1884 (Dortu 1971, vol. I, p. 94, ill. 140) e in una foto più tarda, qui riprodotta in paragone al disegno.
    La capacità di comunicazione di Toulouse-Lautrec – il cui genio è culminato nei celebri manifesti – risalta anche in questo lavoro giovanile, al punto che l’azienda Fine Art America lo ha impiegato in una serie di progetti di design per borse, agende, copertine di cellulari, maglie etc (qui visibili tra le foto di paragone), soprattutto riprendendo l’immagine del cane a figura intera. Per la forza e la simpatia che sprigiona, il disegno, dalla sua comparsa nel 2021, è rapidamente diventato popolare anche nelle fototeche on line specializzate in arte (per esempio, https://artvee.com/dl/etudes-de-chiens/).

  • Guglielmo Ciardi (1842 - 1917) 
L'aratura (Il lavoro nei campi), 1872 circa
    Lot 333

    Guglielmo Ciardi (1842 - 1917)
    L'aratura (Il lavoro nei campi), 1872 circa
    Olio su tela
    44 x 95 cm
    Firma: in basso a sinistra, "Ciardi"
    Elementi distintivi: al verso della cornice, "CIARDI in pennarello
    Provenienza: collezione privata, Biella
    Bibliografia: Maria e Francesco Pospisil, “Guglielmo Ciardi”, Firenze, 1946, tav. 45; Giuseppe L. Marini, a cura di, “Il valore dei dipinti italiani dell'Ottocento e del primo Novecento”, Torino, 1999, p. 205; “Ottocento. Catalogo dell'arte italiana dell'Ottocento”, n. 28, Milano, 1999, p. 118; Giuseppe Pavanello, “Venezia: dall'età neoclassica alla ‘scuola del vero’”, in G. Pavanello, a cura di, “La pittura nel Veneto. L'Ottocento”, I, Milano, 2002, p. 77, fig. 118; Nico Stringa, “Guglielmo Ciardi. Catalogo generale dei dipinti”, Crocetta del Montello, 2007, p. 291, n. 368; Stefano Bosi, scheda in Enzo Savoia, Stefano Bosi, a cura di, “I Maestri del Colore. Arte a Venezia nell'800”, catalogo della mostra, Milano, 2017, pp. 36-39, 161
    Esposizioni: “I Maestri del Colore. Arte a Venezia nell'800”, Milano, Galleria Bottegantica, 2017
    Stato di conservazione. Supporto: 85% (rintelo e rintelaiatura)
    Stato di conservazione. Superficie: 80% (cadute di colore e ritocchi)

    La formazione di Guglielmo Ciardi è segnata dall’alunnato presso l’Accademia di belle arti di Venezia sotto la guida di Domenico Bresolin, rinnovatore del paesaggismo veneto, e dal viaggio di perfezionamento nel 1868 a Firenze, Roma e Napoli, che gli permette di conoscere la pittura di Fattori, Signorini, Costa, Palizzi e Morelli. Alla lezione del “vero” appaiono ispirate le opere della prima maturità dell’artista realizzate tra il 1868 e il 1869 tra il Canale della Giudecca e la campagna trevigiana. Come indicato da Nico Stringa, l’artista volta le spalle alla città edificata per «imboccare la strada di un completo e quasi disarmato colloquio con la “nuda” natura, abbassando al minimo gli elementi narrativi e descrittivi (e decorativi) e le conseguenti potenzialità cromatiche, aprendo la strada a un approccio sintetico» (Nico Stringa, “Guglielmo Ciardi: l’istinto del vero”, in Nico Stringa, “Guglielmo Ciardi. Catalogo generale”, cit., pp. 27-45, p. 37-38). Nei primi anni Settanta i paesaggi lagunari e campestri sono popolati da pescatori e contadini, raffigurati senza retorica all’interno dell’ambiente naturale, che diviene il protagonista assoluto. Appartiene alla serie delle vedute campestri realizzate in questo periodo “L’aratura”, una tela dal caratteristico formato allungato della tradizione macchiaiola. Si tratta di un dipinto di delicato equilibrio, perfettamente bipartito dalla linea dell’orizzonte e costruito sul contrasto tra i toni caldi e terrosi della parte inferiore e i toni freddi di quella superiore. Il bianco e l’azzurro descrivono le variazioni di luce del cielo corrusco di rade nubi e la neve sulla cima dei monti lontani. La scena si svolge alla fine dell’autunno: due uomini completano l’attività dell’aratura, mentre due donne sono pronte alla semina. Si tratta di figure impersonali, ritratte di spalle o di profilo, dai volti irriconoscibili. Ciò che conta è, infatti, il bilanciato e sereno rapporto tra la natura e le attività umane. La pacata gestualità delle figure assume una dimensione mitica, in analogia con la contemporanea pittura dei campi francese da Millet a Breton.

    Teresa Sacchi Lodispoto

  • Ludovico Carracci (1555 - 1619) , attribuito a
Erminia e i pastori, 1592-1593 ca.
    Lot 334

    Ludovico Carracci (1555 - 1619) , attribuito a
    Erminia e i pastori, 1592-1593 ca.
    Olio su tela
    93,5 x 132,5 cm
    Elementi distintivi: al verso, inventario d'asta "RV551" in stencil
    Provenienza: Osuna Gallery, Washington; Christie's, 24 aprile 1998, l. 141 (Ludovico Carracci); collezione privata
    Bibliografia: D. Steven Pepper, "Ludovico Carracci: A new sequence of his works and additions to his catalogue", in «Accademia Clementina. Atti e memorie», Nuova serie, XXXIII-XXXIV, 1994, pp. 63-64, appendice II, tavola IV (pubblicazione revisionata da Andrea Emiliani e Denis Mahon) ("Ludovico Carracci"); Denis Mahon, "Quando conobbi Guercino", "Quadri & Sculture", Roma, gennaio-febbraio 1999, n. 4, anno VII, pp. 32-35, ill. ("Ludovico Carracci"); Carlo Giantomassi e Donatella Zari, "Tasso a colori. I dati del restauro di un capolavoro giovanile di Ludovico Carracci che rappresenta un episodio della Gerusalemme liberata", in Quadri e Sculture, anno IX, n. 37, Roma, 2001, pp. 34-37, ill (Ludovico Carracci); Alessandro Brogi, "Ludovico Carracci", 2 voll, Ozzano Emilia, 2001, R18, p. 256.
    Stato di conservazione. Supporto: 80% (rintelo, forse a seguito di uno o due sfondamenti risarciti)
    Stato di conservazione. Superficie: 70% (numerose cadute, svelature e ridipinture distribuite in particolare nella selva, ma anche sui personaggi)

    Il dipinto, in prestito alla Pinacoteca Nazionale di Bologna dal 1999 al 2014, rappresenta "Erminia tra i pastori", un tema caro a Ludovico Carracci, mutuato dal libro VII, ottave 1-22, della "Gerusalemme liberata" di Torquato Tasso. Dopo aver assistito al duello fra Tancredi e Argante dalle mura di Gerusalemme, la principessa Erminia, segretamente e infelicemente innamorata del guerriero cristiano, esce dalla città con indosso l'armatura di Clorinda, nel tentativo di recarsi al campo crociato per curare il suo amato, ma viene avvistata dalle sentinelle e messa in fuga, mentre Tancredi la insegue credendo che si tratti della donna da lui amata. Dopo una fuga precipitosa che ricorda in parte quella di Angelica nel "Furioso", Erminia raggiunge un villaggio abitato da pastori, uno spazio idilliaco, dove viene ospitata per qualche tempo nella speranza di dimenticare il suo amore infelice. La scena rappresentata da Carracci nella nostra tela è, in particolare, descritta, nelle ottave 6-8:

    Risorge, e là s'indirizza a passi lenti
    e vede un un uomo canuto a l'ombre amene
    tesser fiscelle a la sua greggia a canto
    ed ascoltar di tre fanciulli il canto.

    Vedendo quivi comparir repente
    l’insolite arme, sbigottír costoro;
    ma li saluta Erminia e dolcemente
    gli affida, e gli occhi scopre e i bei crin d’oro:
    «Seguite,» dice «aventurosa gente
    al Ciel diletta, il bel vostro lavoro,
    ché non portano già guerra quest’armi
    a l’opre vostre, a i vostri dolci carmi.»

    Soggiunse poscia: «O padre, or che d’intorno
    d’alto incendio di guerra arde il paese,
    come qui state in placido soggiorno
    senza temer le militari offese?»
    «Figlio,» ei rispose «d’ogni oltraggio e scorno
    la mia famiglia e la mia greggia illese
    sempre qui fur, né strepito di Marte
    ancor turbò questa remota parte.

    La versione in asta, pubblicata per la prima volta da Steven Pepper nel 1994, venne confermata autografa separatamente da Denis Mahon, Andrea Finaldi, Andrea Emiliani e Yadranka Bentini, con visione dal vero, nonostante lo stato conservativo apparentemente precario, mentre incontrò, nel 1998, il parere negativo di Babette Bohn, espresso sulla base dell'immagine pubblicata in Pepper 1994 (comunicazioni orali). Nel 1998-1999 è stata sottoposta ad un accurato intervento di restauro da parte di Carlo Giantomassi e Donatella Zari che è riuscito a restituire la magistrale qualità dell'anziano pastore. Nel restauro è inoltre emerso che il dipinto non è finito: «La stesura pittorica è particolarmente interessante perché si tratta di un dipinto non finito: la tecnica esecutiva e la successione delle stesure sono per questo motivo percepibili più facilmente: in particolare, del dipinto sono compiutamente realizzati il cielo con le sue nuvole corpose, gran parte del paesaggio, gli alberi e erbe in primo piano. La figura di Erminia è completata in gran parte così come il pastore in primo piano; mancano alcune finiture nei pastori in secondo piano appoggiati a massi che sono ancora al primo stato di abbozzo. Il gregge è delineato da vivide pennellate bianche, le cascatelle e i riverberi dell'acqua nel fiume sono appena accennati con colori limpidissimi. Le figure sono costruite con lievi linee chiaroscurali, di colore bruno che disegnano le parti in ombra ed i panneggi; immediatamente successiva è la delineazione delle parti in luce degli incarnati, dipinti con pennellate corpose che creano rilievi materici nelle sovrammissioni, mentre le ombre affiorano appena dalla preparazione, che assume una precisa valenza pittorica. I colori usati sono bianco e giallo di piombo, nero avorio, terre ed ocre, cinabro, lapislazzuli, azzurrite e bruni trasparenti. [...] La preparazione ad olio, bruno rossiccia, contenente bolo, è quella tipicamente usata dai pittori emiliani alla fine del cinquecento e nei primi anni del seicento, stesa a pennello in strato abbastanza sottile, lascia leggermente in evidenza la trama della tela» (Giantomassi-Zari 2001, pp. 35-36). Ha trovato altresì conferma un danno alla superficie pittorica, da ascriversi principalmente alle due foderature subite dalla tela, di cui la prima «con colla di pasta senza aver prima adeguatamente impermeabilizzato la preparazione ha prodotto rigonfiamenti e cadute di colore localizzati soprattutto sul gruppi di alberi sulla destra e lungo i bordi» mentre a seguito della seconda, che «non consolidava adeguatamente lo strato pittorico, che di conseguenza, appariva corrugato e viziato da sollevamenti e piegature; la superficie era quasi totalmente sfigurata da vernici ossidate, recenti ridipinture e grossolane stuccature» (Giantomassi-Zari 2001, p. 37).
    Un'altra versione di questo soggetto, di minori dimensioni e più aulica, datata al 1603, ma riferita da parte della critica a Francesco Brizio per ragioni di stile e di iconografia(Clovis Whitflied, comunicazione del 4 ottobre 2004; Alessandro Brogi, "Francesco Brizio: il “paesare di penna” e altre cose", in «Studi di Storia dell’Arte», IV, 1993, pp. 85-127, pp. 90-91; Alessandro Brogi, "Ludovico Carracci (1555-1619), Bologna, 2 voll, 2001, vol. 1, pp. 255-256, R16 e pp. 285-286, P37; Alessandro Brogi, "Ludovico Carracci. Addenda", in "Nuovi Diari di lavoro", n. 2, 2016, Bologna, p. 52; ), è conservata presso il Real Palacio de la Granja de San Ildefonso, in Spagna. Questa versione è stata messa in relazione con la committenza da parte di Giovanni Battista Agucchi. «Monsignor Agucchi aveva letto con attenzione il Tasso, ed era rimasto particolarmente colpito da alcuni episodi, come quello di Erminia che arriva tra i pastori, ed il contrasto tra locus terribilis e locus amoenus che vi si verifica. Vi trovava una corrispondenza con la sua situazione, che il prelato descrive in numerose lettere, di permanenza travagliata e quasi forzata nella corte, mentre la sua inclinazione personale era verso la quiete e la contemplazione. Così Giovanni Battista Agucchi commissiona una sua impresa dipinta, con tema Erminia tra i pastori, a Ludovico Carracci, durante il breve soggiorno a Roma di questo alla fine della primavera del 1602. Agucchi invierà al pittore anche il programma iconografico preciso, intitolato Impresa per dipingere la storia di Erminia, capace di esprimere anche il «sentimento» del suo anelito di cambiamento a una vita maggiormente contemplativa. Ludovico non esiterà a interpretare in modo maturo le richieste del committente, aggiungendo un carattere di «conversione filosofica» alla scena». (Daniela Silvana Astro, "Anticipazioni della Poetica degli Affetti di Pomponio Torelli nel pensiero di Torquato Tasso", in Bollettino Telematico dell'Arte, 19 Novembre 2018, n. 858).
    Alessandro Brogi - che non ha visto il dipinto dopo il restauro - non concorda con l'attribuzione a Carracci neppure della tela in esame, «senza mezzi termini» [...] «prodotto di tutt'altra area culturale. Dalle tipologie figurali alla luminosità della tavolozza, tutto rimanda inequivocabilmente ad un artista attivo a Roma nel pieno Seicento, toccato dagli esiti della cosiddetta corrente neoveneta cui fanno capo, per fare alcuni nomi - il giovane Poussin, Pier Francesco Mola, Pietro Testa e altri» (Brogi, 2001, I, p. 256).
    In realtà, la costruzione dell'orizzonte richiama, per esempio, l'affresco con Simone imprigionato dipinto da Ludovico a Palazzo Fava, o, pur nella più chiara cromia, il suo "Martirio di Sant'Orsola e san Leonardo" conservato alla Pinacoteca Nazionale di Bologna; la figura del pastore ricorda le figure di anziani della Adorazione dei Magi già nella chiesa di San Bartolomeo di Reno, a Bologna, databile alla metà degli anni ottanta degli Cinquecento; le figure di secondo piano, pur svelate, richiamano, per il forte contrasto chiaroscurale dei volti, quelle del "Martirio di Sant'Orsola e delle compagne" (Imola, Chiesa dei Santi Nicola e Domenico).
    Suggestivi sono anche i richiami ad un altro bolognese, Lorenzo Garbieri (1580–1654), detto il "nipote dei Caracci", allievo di Ludovico, che la tela in esame ricorda per la resa del bosco, l'orizzonte e, in modo limitato a causa delle svelature, le fisionomie (per esempio, "San Paolo Eremita e sant'Antonio Abate", già Amburgo, collezione Scholz-Forni, in Brogi, 2001, I, R52, e II, cat. 289), che pure sembra complessivamente più legnoso e rigido.

  • Edgardo Mannucci (1904 - 1986) 
Idea n. 4, 1972
    Lot 336

    Edgardo Mannucci (1904 - 1986)
    Idea n. 4, 1972
    Lastra di rame ricoperto con saldatura di ottone e filo di ottone, saldati, e vetro di murano
    274 x 113 x 130 cm (scultura)
    68 x 73 x 68 cm (basamento)
    Elementi distintivi: targa, distaccata, con dati dell'opera

    Provenienza: lo studio dell'artista; Veneto Banca SpA in LCA
    Bibliografia: Biennale di Venezia, 1972, cat. 47, ill. 11
    Bruxelles, 1973, cat. 47, ill. 47, p. 65
    Fano, 1974 (ill. con titolo e data erronei: "idea n. 18" e "1973)
    Jesi, 1974 (ill.)
    "Arte Nuova Oggi", 1974, ill., p. 14
    E. Crispolti, a cura di, "Materia e spazio: la «poetica» di Mannucci", pp. 7, 8, 22, 1979
    E. Crispolti, "Materia, Energia, Spazio: Edgardo Mannucci, un scultore postatomico", Macerata, 1981, p. 11, p. 99 (ill.)
    L. Venturi, scheda dell'opera, in Crispolti 1981, pp. 160, 163-164
    V. Volpini, "Mannucci", Fabriano, 1982, tavola f.t.
    "L'oro delle Marche, con un omaggio a Mannucci", Fano, 1984 (ill.)
    Gubbio 1984, p. 35 (ill.)
    "Edgardo Mannucci. Ori e sculture", Palazzo Collicola, Spoleto, 1986, ill
    "Edgardo Mannucci", Atelier Arco Amoroso, Ancona, 1990
    E. Crispolti, a cura di, "Edgardo Mannucci. Anni Trenta-Ottanta", Roma, 1991, cat. IV A 6, p. 45 (ill.)
    E. Crispolti, a cura di, "Mannucci e il novecento", Cinisello Balsamo, 2005, cat. 21
    Esposizioni: Biennale di Venezia, 1972 (su invito di Giuseppe Marchiori)
    Bruxelles, 1973
    Fano, 1974 ill.
    Jesi, 1974
    Valeri Volpini, a cura di, "Mannucci", Chiostro del Buon Gesù, Fabriano, 1982
    "L'oro delle Marche, con un omaggio a Mannucci", Chiesa di San Domenico, Fano, 1984
    Gubbio, 1984
    "Edgardo Mannucci. Ori e sculture", Palazzo Collicola, Spoleto, 1986
    "Edgardo Mannucci", Atelier Arco Amoroso, Ancona, 1990
    Enrico Crispolti, a cura di, "Edgardo Mannucci. Anni Trenta-Ottanta", Palazzo Braschi, Roma, 7 maggio - 2 giugno 1991

    Stato di conservazione. Supporto: 90%
    Stato di conservazione. Superficie: 90% (ossidazioni)

    «L'elica/ala è un estensione del movimento spiraliforme, ad un livello che già coinvolge del tutto l'elemento materico, cioè non v'è più dibattito fra segno dell'energia e segno dell'inerzia, ma l'energia ha coinvolto questa, e tutta la materia si distende nella grande ala ruotante in vortice, molto spettacolare, come in opere capitali quali "Opera n. 8", 1954, e "Idea n. 4", 1972» (Enrico Crispolti, in Crispolti 1981, p. 11).
    «"Idea n. 4", 1972, ripropone il tema mannucciano dell'ala, ora ravvolta in uno spazio spiralico, segnata da asole, alcune della quali con grandi gemme vitree colorate, e con un principio di avvolgimento e traiettoria spiralica ampia, a filo, che sale dalla base, un altro nucleo vitreo, rosso, generatore. "Idea n. 4", è particolarmente preziosa nel rapporto dei metalli, rame e ottone, sapientemente trattati brano a brano, e nelle presenze cromatiche vitree, assai sensibili, come del resto in "Idea n. 2". La preziosità è ora un tratto predominante nelle nuove sculture di Mannucci, si esibisce quasi prepotentemente, a volta quasi eccessiva per chi amava certi suoi più sottili silenzi. Ma non è che uno sviluppo coerente del suo pensiero plastico. Non è infatti una preziosità esteriore, decorativa, è un aspetto della crescita energetica della materia, un clamoroso affermarsi, in termini quasi di splendore, arcaici, antichi anch'essi come le testimonianze micenee o italiche; esaltante ora al di là del relittuale, in una crescita fascinosa, a suo modo barbarica, come è sempre la esibizione aurea clamorosa e l'incastonatura un po' sfacciata della pietra preziosa» (Lionello Venturi, in Crispolti 1981, p. 160).
    La scultura è tuttora posizionata presso la sede di Intesa San Paolo in Via Don G. Riganelli 36 a Fabriano, già sede di Veneto Banca e prima della Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana. La rimozione della scultura - sia sul piano amministrativo sia sul piano operativo - è a carico dell'acquirente.

  • Guglielmo Ciardi (1842 - 1917) 
Lungo il viale, 1875 ca.
    Lot 337

    Guglielmo Ciardi (1842 - 1917)
    Lungo il viale, 1875 ca.
    Olio su cartone
    29,5 x 40,5 cm
    Firma: "Ciardi" al recto
    Bibliografia: Tiziano Panconi, “Telemaco Signorini. Catalogo generale ragionato”, Pistoia 2019, p. 87, n. 94
    Stato di conservazione. Supporto: 90%
    Stato di conservazione. Superficie: 85% (ritocchi e vernice opacizzate, anche nell'area della figura)

  • Mattia Moreni (1920 - 1999) 
La Signora Santunione rompe e rirompe per avere un riordino, 1981
    Lot 338

    Mattia Moreni (1920 - 1999)
    La Signora Santunione rompe e rirompe per avere un riordino, 1981
    Olio su tela
    134,8 x 104,6 cm
    Firma: al recto, "Mattia Moreni, Montecarlo"
    Data: al recto, "21 Nov 1981"
    Provenienza: Adria Gialdini Santunione, Pianoro, Bologna (fino al 2014)
    Stato di conservazione. Supporto: 90%
    Stato di conservazione. Superficie: 90%

    Il dipinto proviene dalla raccolta di Adria Gialdini Santunione, celebre restauratrice bolognese, attiva anche in favore di Mattia Moreni. Moreni allude al mestiere della Santunione, di cui era amico, nella dedica che fa anche da titolo all'opera.

  • Luigi Nono (1850 - 1918) 
Il bimbo malato, 1885
    Lot 339

    Luigi Nono (1850 - 1918)
    Il bimbo malato, 1885
    Olio su tela
    100 x 144 cm
    Firma: in basso a sinistra, "L. Nono"
    Data: in basso a sinistra, "1885"

    Elementi distintivi: etichetta d'asta, "BO WILDENSTAM Ateljé ALFRED NILSON"; seconda etichetta recente, con indicazioni dell'opera
    Provenienza: Wildenstam, Stoccolma, 10 giugno1964, lotto 23875; Bukowskis, Stoccolma, 14.06.2011, lotto 232
    Bibliografia: Paolo Serafini, “Il pittore Luigi Nono (1850-1918). Catalogo ragionato dei dipinti e dei disegni”, II, Torino, 2006, p. 110-111, n. 356; Paolo Serafini, a cura di, “Luigi Nono 1850-1918: Capolavori ritrovati e importanti opere inedite”, catalogo della mostra, Enrico Gallerie d’Arte, Milano, 2012, p. 24, n. 2; Alessio Geretti, Serenella Castri, a cura di, “I bambini e il cielo”, catalogo della mostra, Torino, 2012, p. 265, n. 77; Sergej O. Androsov, Paolo Serafini, a cura di, “Dialogo sulla Misericordia. Dal Seicento all’Ottocento”, catalogo della mostra, Roma 2016, p. 96; Angelo Enrico, Elisabetta Staudacher, a cura di, “La Venezia di Ciardi e Favretto. Il silenzio della laguna e le ciacole della città”, Milano, 2017, p. 117, tav. 11
    Esposizioni: “Luigi Nono 1850-1918: Capolavori ritrovati e importanti opere inedite”, Milano, Enrico Gallerie d’Arte, 2012; “I bambini e il cielo”, Illegio, Casa delle Esposizioni, 2012; “Dialogo sulla Misericordia. Dal Seicento all’Ottocento”, Roma, Musei di San Salvatore in Lauro, 2016; “La Venezia di Ciardi e Favretto. Il silenzio della laguna e le ciacole della città”, Modena, Modenafiere, 2017

    Vincoli: Il dipinto è dotato di libera circolazioneStato di conservazione. Supporto: 90%
    Stato di conservazione. Superficie: 80% (numerose piccole cadute di colore e integrazioni sull'intera superficie del dipinto)

    Ultima di una serie di opere ambientate nello stesso casolare, quasi a costituire fasi distinte di un’unica narrazione, è “Il bimbo malato,” realizzata da Luigi Nono nel 1885 dopo il successo di “Refugium peccatorum”, che presentato nel 1883 all’Esposizione internazionale di Roma l’aveva consacrato insieme a Giacomo Favretto come rinnovatore della scuola pittorica veneziana. Gli interni domestici con bambini e scene familiari del biedermeier lombardo dei fratelli Induno costituiscono una fonte di ispirazione per analoghi soggetti trattati da Nono già negli anni Settanta, come ad esempio “La convalescenza” del 1874. Del 1881 sono “La povera madre” e “Morte del pulcino”, ambientata nella cesta sotto il letto che domina la composizione maggiore, e il dipinto “Vice mamma” del 1882. È, tuttavia, con “Il bimbo malato”, che l’artista affronta con piena maturità il soggetto in un’opera di impegno e di grandi dimensioni, per lungo tempo nota solo attraverso un disegno preparatorio. Ricomparso sul mercato solo nel 2012, il dipinto costituisce una fondamentale aggiunta al catalogo dell’artista. Come ricostruito da Paolo Serafini il concepimento progettuale di queste opere fu lungo e meditato attraverso studi grafici e fotografici, a partire da una piccola versione su tavola del 1876, preceduta da quattro studi preparatori e caratterizzata dalla figura della sorellina ai piedi del letto. Rispetto a “Vice mamma”, Nono utilizza una tavolozza dai toni ribassati per concentrare l’attenzione sul giaciglio e sull’abbraccio tra la giovane madre e il figlio. L’incarnato rosato del bambino si fa livido, mentre l’allegra nidiata di pulcini è ridotta a due soli piccoli che becchettano mestamente. Alla metà degli anni Ottanta l’artista perviene, dunque, «a una perfetta identificazione tra verismo e viva e commossa partecipazione umana», dimostrando «una sensibile partecipazione […] a quella poetica degli affetti famigliari centrale nelle correnti del verismo letterario e artistico del trentennio post-unitario» (Stella Seitun, “Luigi Nono. Interprete dell’intimità familiare,” in “La Venezia di Ciardi e Favretto”, cit., p. 47). “Il bambino malato” venne replicato con piccole varianti nel 1896 in un dipinto noto da una riproduzione sul catalogo dell’Esposizione di Monaco dello stesso anno.

    Teresa Sacchi Lodispoto

  • Rubens Santoro (1859 - 1941) 
Venezia  - Squero di San Trovaso
    Lot 340

    Rubens Santoro (1859 - 1941)
    Venezia - Squero di San Trovaso
    Olio su tela
    23,7 x 37,2 cm
    Firma: in basso a sinistra, “Rubens Santoro”
    Elementi distintivi: sulla cornice, a matita, numero di inventario "7074A", forse apposto negli Stati Uniti; sul retro della cornice, segni di passaggi d'asta a gesso bianco
    Stato di conservazione. Supporto: 80% (reintelo)
    Stato di conservazione. Superficie: 90% (ridotte cadute e ritocchi; tracce di vernice protettiva)

    Calabrese di nascita, Rubens Santoro si forma all’Istituto di belle arti di Napoli sotto la guida di Domenico Morelli, assimilando la lezione di Filippo Palizzi, ma anche di Mariano Fortuny presente nel 1874 nella città partenopea. Dopo aver venduto alcuni dipinti nel 1873 all’influente mercante parigino Frédéric Reitlinger, dal 1875 è legato ad Adolphe Goupil, che a Napoli faceva incetta di vedute e temi di genere particolarmente apprezzati dal mercato internazionale, come attestano le sue opere conservate in pubbliche istituzioni italiane ed estere (Baltimora, Art Museum; Manchester, Art Gallery; Torino, Museo Civico, Reggio Calabria, Museo Nazionale). Torre Annunziata, Castellammare di Stabia, Procida, Amalfi, Capri e Resina sono i soggetti di questi anni realizzati con una pennellata veloce e un tocco virtuoso di matrice fortuniana. Risalgono agli anni Ottanta dell’Ottocento i primi soggetti veneziani, replicati con grande successo per oltre un ventennio e inviati a importanti esposizioni e alle gallerie parigine Goupil e Chaine & Simonson. Come notato da Isabella Valente, l’artista si concentra sulla Venezia minore dei Ciardi, di Favretto e di Nono. La laguna gli permette, così come il Golfo di Napoli, «incantevoli giochi di luce, di forti chiaroscuri, di atmosfere brillanti» (Isabella Valente, “’Dove il sole è così intenso da far male agli occhi’, Rubens Santoro e le scelte della luce”, in Tonino Sicoli, Isabella Valente, a cura di, “Rubens Santoro e i pittori della Provincia di Cosenza tra Otto e Novecento”, catalogo della mostra, Catanzaro, 2003, pp. 23-38, p. 28). Tra i luoghi più caratteristici ritratti in questi anni figura lo Squero di San Trovaso, uno dei più antichi e famosi “squeri”, i cantieri navali, che prendono il nome dalla squara utilizzata per costruire le imbarcazioni. Posto sull’omonimo rio de San Trovaso questo squero, risalente al Seicento, è uno dei pochi ancora oggi in funzione e viene utilizzato esclusivamente per le gondole. Le facciate delle case in legno, secondo uno stile più alpino che lagunare, sono dovute all’estro degli squerarioli molti originari del Cadore. In questo dipinto Santoro sostituisce con un cielo azzurro la chiesa dei Santi Gervasio e Protasio, che con il suo campanile nella realtà si erge alle spalle degli edifici in legno delle officine.

    Teresa Sacchi Lodispoto

  • Emma Ciardi (1879 - 1933) 
Paesaggio con sfilata di carrozze, 1903
    Lot 341

    Emma Ciardi (1879 - 1933)
    Paesaggio con sfilata di carrozze, 1903
    Olio su tela
    51,6 x 98,6 cm
    Firma: Firma, parzialmente leggibile al recto
    Data: Data, parzialmente leggibile, al recto
    Provenienza: Sotheby's, New York, 5.5.1999, lotto 347
    Stato di conservazione. Supporto: 80% (tela e telaio sostituiti)
    Stato di conservazione. Superficie: 90%

  • Ernesto Fontana (1837 - 1918) 
Civetteria, 1869
    Lot 343

    Ernesto Fontana (1837 - 1918)
    Civetteria, 1869
    Olio su tela
    101,1 x 75 cm
    Firma: "E. Fontana" al recto
    Data: "1869" al recto
    Bibliografia: Paola Dell'Armi, "Ernesto Fontana", in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 48, Roma, 1997, s.v.
    Stato di conservazione. Supporto: 70% (importante sfondamento a 7 risarcito, nel registro superiore)
    Stato di conservazione. Superficie: 80% (ridipinture, vernice protettiva)

    Allievo di Hayez e Bertini all'Accademia di Brera, Fontana si avviò inizialmente alla pittura di storia, secondo il gusto romantico allora prevalente. Nel 1860 partecipò al concorso Canonica per la pittura di storia risultando vincitore con il quadro "Gerolamo Morone, gran cancelliere del duca Francesco Sforza, nel momento che viene arrestato in Novara da Antonio Leywa capitano di Carlo V" (Milano, Pinacoteca di Brera). Nel 1862 ottenne il premio nella classe di pittura dell'Accademia di Brera e prese studio con Mosé Bianchi nell'antico convento di San Primo. In questi anni, Fontana si avvicina alla Scapigliatura, cogliendone l'elemento leggero e accattivante: ecco allora le figure femminili, spesso in atti di seduzione, a cui si deve gran parte della sua fama nello scorcio del secolo.
    Proprio il tema della ragazza civettuola è oggetto di una serie di opere dal titolo "Civetteria", tra cui quella in asta, datata 1869, che potrebbe identificarsi con la tela dallo stesso titolo esposta alla II Esposizione nazionale di belle arti dell'Accademia di Brera nel 1872, anziché con la tela di enumerata anch'essa come "Civetteria" nel catalogo della esposizione del 1870 alla Società promotrice di belle arti di Torino, che corrisponde al dipinto oggi alla Galleria comunale d'arte moderna di Udine.
    Il tema romantico si alterna - garantendo il successo del pittore su registri apparentemente diversi, ma accomunati dall'interesse per gli effetti sentimentali - alla pittura di storia. Nel 1872, infatti, Fontana propone una "Maria Stuarda ai piedi di Elisabetta d'Inghilterra nel parco di Forteringa", che fu premiata con la medaglia d'oro alla Mostra nazionale di pittura di Milano e venne acquistata successivamente dal British Museum, mentre nel 1873 "Una lezione d'amore" (Milano, Galleria d'arte moderna) fu assegnata dalla Società promotrice di belle arti al Comune di Milano. Il tema romantico e sentimentale torna anche nel 1880, anno in cui Fontana espone alla IV Esposizione di belle arti di Torino un cospicuo nucleo di opere, tra cui "Piacerò?". Nel 1887 partecipa all'Esposizione nazionale artistica di Venezia, tra l'altro, con "Occhiata furtiva" e "Un pensiero a lui".
    Illustratore di successo per le pubblicazioni “L’Illustrazione Italiana” e “L’Illustrazione Universale”, Fontana fu anche incaricato di dipingere affreschi e disegni di soffitti per ville e chiese. Alcuni sopravvivono oggi, tra cui quelli di Villa Erba e Villa Olmo, entrambe sul Lago di Como.

  • Noè Bordignon (1841 - 1920) 
Il mese di Maria a Venezia, 1884
    Lot 346

    Noè Bordignon (1841 - 1920)
    Il mese di Maria a Venezia, 1884
    Olio su tela
    73 x 104,5 cm
    Firma: in basso a sinistra "N. Bordignon"
    Elementi distintivi: al verso, una etichetta con data 23/06/1986 e riferimenti di inventario
    Provenienza: Collezione privata, Milano
    Bibliografia: “R. Accademia di Belle Arti. Esposizione 1884. Catalogo ufficiale”, Milano, 1884, n. 264; “Esposizione Accademia di Venezia”, Venezia, 1885, n. 98; Fernando Mazzocca, Elena Catra, Vittorio Pajusci, a cura di, “Noè Bordignon 1841-1920. Dal realismo al simbolismo”, catalogo della mostra, Genova, 2021, p. 99
    Esposizioni: Milano, Accademia di belle arti, 1884; Venezia, Accademia di belle arti, 1885; Castelfranco Veneto, Museo Casa Giorgione, San Zenone degli Ezzelini, Villa Marini Rubelli, “Noè Bordignon 1841-1920. Dal realismo al simbolismo”, 2021-2022
    Stato di conservazione. Supporto: 90% (rintelo)
    Stato di conservazione. Superficie: 90% (ridotte cadute e riprese pittoriche)

    Allievo dell’Accademia di belle arti di Venezia sotto la guida di Michelangelo Grigoletti e Carl Blass, Noè Bordignon si perfeziona a Roma, dove sperimenta il paesaggio in aperta campagna e si accosta ai temi di genere attraverso l’opera di Michele Cammarano e Filippo Palizzi. Nel corso degli anni Settanta dell’Ottocento lavora per numerose chiese della provincia veneta, tra cui quelle di San Zenone degli Ezzelini, Monfumo e Pagnano d’Asolo e nel contempo realizza scene di vita contemporanea in cui descrive una Venezia popolare e un mondo rurale dalle tradizioni cristiane. Tale profonda religiosità lo rese distante dagli ambienti artistici ufficiali veneziani e in sintonia con la dottrina sociale di papa Leone XIII, ma non gli impedì di ottenere riconoscimenti alle esposizioni internazionali. In questi anni fissa il suo studio in Corte San Marco, un piccolo campo chiuso con un caratteristico pozzo esagonale accessibile da Fondamenta dei Cereri.
    Tra le opere qui ambientate figura “Il mese di Maria a Venezia”, presentato all’Esposizione dell’Accademia di belle arti di Milano del 1884 e poi l’anno successivo esposto all’Accademia di Venezia. Nel 1883 era stato presentato all’Esposizione di Milano “Le pettegole”, la cui struttura compositiva anticipa quella del dipinto in esame. In questa seconda opera Bordignon accentua l’aspetto intimistico della sua pittura, raggiungendo una qualità nettamente superiore attraverso la rappresentazione assai più raffinata dei sentimenti. Al gruppo di quattro donne intente in chiacchiere intorno al pozzo della Corte San Marco si sostituiscono le più sobrie figure di due donne con un bambino. L’immagine si anima di dettagli. All’interno delle porte compaiono scene di intimità domestica e sulla destra si radunano le devote con i loro bambini intorno all’edicola della Vergine, che nella prima opera appariva trascurata e abbandonata, mentre ora è decorata con fiori e candele. Una bambina, che si è staccata dal gruppo, prega con le mani giunte seduta sulla base del pozzo.

    Teresa Sacchi Lodispoto

  • Peter Pearson (1955 circa) 
Dublin from the air, 2015
    Lot 348

    Peter Pearson (1955 circa)
    Dublin from the air, 2015
    Olio su tavola
    62 x 72 cm
    Firma: “Pearson” al recto e sul verso
    Data: “15” al recto; “18th February 2015” sul verso
    Altre iscrizioni: “Dublin from the air” e dedica dell’artista sul verso
    Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
    Stato di conservazione. Supporto: 95%
    Stato di conservazione. Superficie: 95%

    La pittura di Peter Pearson è segnata da un legame particolare con l'architettura e l'acqua, soggetto anche del dipinto in esame, che affonda in parte le sue radici in Italia. Nel 1977, infatti, dopo la laurea in storia dell'arte al Trinity College, l'artista ottenne una borsa di studio dal governo italiano, a Venezia, dove ebbe due esposizioni delle sue opere, nel 1978 e nel 1979 (Galleria d'Arte Venexia). Rientrato nel 1980 in Irlanda, Pearson si misura nuovamente con il paesaggio di Dublino, ma con uno scatto completamente diverso dagli esercizi precedenti al soggiorno italiano, che ricorda l'effetto della luce veneziana sull'opera di John Ruskin: l'immagine è ora costruita come sovrapposizione di luci e trasparenze, a volte consumata nella tenuità dei colori, altre volte con un effetto di movimento ("Peter Pearson. Of Sea and Stone. Paintings 1974-2014", Dublino, 2014, pp. 48 e ss).

  • Guglielmo Ciardi (1842 - 1917) 
Coppia di paesaggi costieri,  1884-1885
    Lot 349

    Guglielmo Ciardi (1842 - 1917)
    Coppia di paesaggi costieri, 1884-1885
    Olio su tavola
    10,3 x 29 cm (il primo paesaggio)
    10,1 x 31,4 cm (il secondo)
    Firma: "Ciardi" su entrambe le opere al recto
    Bibliografia: "Bell’Italia, La pittura di paesaggio dai Macchiaioli ai neovedutisti veneti", a cura di S. Cecchetto e L. Turchi, catalogo della mostra, Venezia, 2015, p. 66, nn. 6-7
    Esposizioni: “Bell’Italia la pittura di paesaggio dai macchiaioli ai neovedutisti veneti 1850-1950”, Caorle, Centro Culturale Bafile Rio Terrà, 2015
    Stato di conservazione. Supporto: 80% (reintelo)
    Stato di conservazione. Superficie: 85% (cadute di colore, ridipinture, vernice protettiva)

  • Giuseppe Cesetti (1902 - 1990) 
Paesaggio
    Lot 350

    Giuseppe Cesetti (1902 - 1990)
    Paesaggio
    Olio su tela applicata su tavola
    31 x 45,5 cm
    Firma: “Cesetti” al recto
    Altre iscrizioni: sul verso, “2232/CG”
    Elementi distintivi: sul verso della cornice, etichetta della Galleria del Secolo, Roma, con indicazioni relative alla cornice
    Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
    Stato di conservazione. Supporto: 95%
    Stato di conservazione. Superficie: 95%

  • Luigi Nono (1850 - 1918) 
Vice mamma, 1882
    Lot 351

    Luigi Nono (1850 - 1918)
    Vice mamma, 1882
    Olio su tela
    57,7 x 74,8 cm
    Firma: in basso a sinistra, "L. IX"
    Data: in basso a sinistra, "1882"
    Elementi distintivi: sul telaio, a gesso, "E2"; etichetta "MOSTRA LUIGI NONO (1850-1918)", Sacile, 1964; etichetta della mostra "LUIGI NONO", Sacile, 1990
    Provenienza: Cavalier Giulio Rocca Lucca (acquisto alla Promotrice Veneta, 1882)
    Bibliografia: “Catalogo degli oggetti d’arte ammessi alla XLI esposizione aperta il 29 aprile 1882 nell’edificio della Società, Società Promotrice di Belle Arti in Torino”, Torino, 1882, p. 14, n. 202; “Mostra del pittore Luigi Nono”, catalogo della mostra, Venezia, 1901, p. 145, n. 34; Giovanni Cena, “L’Esposizione veneziana”, in “Nuova Antologia”, XCIII, serie IV, 1901, 715, p. 535; Gilberto Secretant, “Luigi Nono all’Esposizione di Venezia”, in “L’Illustrazione italiana”, XXVIII, 1901, 37, pp. 194-196; G. Pagliano, Medaglioni d’artisti veneziani. Luigi Nono, in “L’Adriatico”, 3 luglio 1911; Pompeo Marino Molmenti, Luigi Nono, in “Il Secolo XIX”, XVIII, 1919, 3, p. 168; Guido Perocco, “Mostra di Luigi Nono (1850-1918)”, catalogo della mostra, Venezia, 1964, p. 32, n. 43; Lia Chinosi, a cura di, “Nascere a Venezia. Dalla Serenissima alla prima guerra mondiale”, catalogo della mostra, Torino, 1985, pp. 12, 230; Mario Nono, “Luigi Nono nell’arte e nella vita 1850-1918”, Firenze, 1990, pp. 112-113, n. 53; Nico Stringa, “Luigi Nono”, in “Ottocento veneto”, Venezia, 2004, p. 410; Paolo Serafini, “Il pittore Luigi Nono (1850-1918). Catalogo ragionato dei dipinti e dei disegni”, Torino, 2006, vol. I, tav. 37, vol. II, p. 77, n. 216; Paolo Serafini, a cura di, “Luigi Nono 1850-1918: Capolavori ritrovati e importanti opere inedite”, catalogo della mostra, Milano, 2012, p. 28; Angelo Enrico, Elisabetta Staudacher, a cura di, “La Venezia di Ciardi e Favretto. Il silenzio della laguna e le ciacole della città”, Milano, 2017, p. 116, n. 11
    Esposizioni: “XLI Esposizione della Società Promotrice di Belle Arti in Torino”, Torino, 1882; Venezia, Circolo Artistico Veneziano, Palazzo Mocenigo a San Benedetto, 1882; “IV Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia – Mostra del pittore Luigi Nono”, Venezia, Palazzo dell’Esposizione, 1901; “Mostra di Luigi Nono (1850-1918)”, Sacile, Palazzo Flangini-Biglia, 1964; “Nascere a Venezia. Dalla Serenissima alla prima guerra mondiale”, Venezia, Palazzo Vendramin Calergi, 1985; “Luigi Nono”, Sacile, Chiesa di San Gregorio e Palazzo Regazzoni Flangini, 1990
    Stato di conservazione. Supporto: 85%
    Stato di conservazione. Superficie: 85% (ritocchi e integrazioni, in generale molto estesi; diffusa vernice di protezione, in particolare sulle parti scure)

    Salutato da Camillo Boito come rinnovatore insieme a Giacomo Favretto della scuola pittorica veneziana, Luigi Nono si perfeziona nel 1876 a Firenze, Roma e Napoli e nel 1878 è a Parigi e Vienna. Il realismo macchiaiolo e il patetismo degli Induno, costituiscono il cardine della sua prima produzione, coronata dalla consacrazione con “Refugium peccatorum” (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna) presentato all’Esposizione internazionale di Roma del 1883. Sin dalla metà degli anni Settanta è evidente nella sua produzione un precoce interesse per gli interni domestici, in cui viene sperimentata la luce radente di ascendenza fiamminga. Un umile casolare con un giaciglio e pochi poveri arredi e suppellettili è scenario di tre dipinti realizzati tra il 1881 e il 1885, in cui per la prima volta l’ambientazione cittadina, che compariva in “Il bambino malato” (collezione privata) del 1876 di analoga composizione, cede il passo a una dimensione rustica. È del 1881 “La povera madre”, una figura femminile di spalle che veglia un bambino addormentato. Lo stesso interno è ripreso in “Vice mamma,” presentata nel 1882 alla Promotrice di Torino e al Circolo Artistico Veneziano, dove ottiene il premio offerto dal barone Raimondo Franchetti e viene acquistata dal collezionista Giulio Rocca Lucca. A differenza della povera madre, di cui non si vedeva il volto, ma si poteva intuire dalla posa riversa sul letto la stanchezza e la mestizia, la vice mamma è una fanciulla dalle guance rubiconde, che tiene stretto al petto un bambino paffuto e rosato, conferendo alla composizione un tono gioioso. L’ambiente rustico e umile è ravvivato dal candore delle lenzuola, da una pianta fiorita e da una nidiata di pulcini, che razzolano sul pavimento. Dalla finestra, quasi un pertugio, si intravede una campagna verde e feconda. È interessante come Nono sia riuscito attraverso alcuni dettagli a creare in un ambiente identico due scene di registro opposto. L’opera, apprezzatissima e replicata l’anno successivo in dimensioni leggermente inferiori, è ancora esposta nel 1901 nella mostra personale dedicata all’artista dalla Biennale di Venezia, dove cattura l’attenzione di Giovanni Cena - “nei piccoli quadri è riuscito a concentrare in una fattura squisita un sentimento gentile” (Giovanni Cena, “L’Esposizione veneziana”, in “Nuova Antologia”, XCIII, serie IV, 1901, 715, p. 535) - e di Gilberto Secretant - “coi piccoli quadretti di genere come […] ‘Vice-mamma’ l’artefice raggiunge una solidità degna di un antico fiammingo, ma col più moderno senso della vita” (Gilberto Secretant, “Luigi Nono all’Esposizione di Venezia”, in “L’Illustrazione italiana”, XXVIII, 1901, 37, p. 194).

    Teresa Sacchi Lodispoto

  • Giacomo Favretto (1849 - 1887) 
Fantasticando, 1884-1887
    Lot 352

    Giacomo Favretto (1849 - 1887)
    Fantasticando, 1884-1887
    Olio su tavola
    106,5 x 57,5 cm
    Firma: in alto a sinistra, “G. Favretto”
    Data: in alto a sinistra, “1887”
    Altre iscrizioni: in alto a sinistra, dedica “A quel simpatico / di F. Tabacchi / l’amico / G. Favretto 1887”

    Elementi distintivi: al retro della tavola, timbri raccolta Filippo Schettini, articolo di giornale di “Il Mattino. Corriere di Napoli” n. 306 dedicato al generale Francesco Tabacchi, inventario "N° 7" vergato a matita
    Provenienza: Generale Francesco Tabacchi, Modena; Cavalier Giuseppe Badini, Bologna; Fillippo Schettini, Napoli; Alfredo Schettini, Napoli; collezione privata, Napoli
    Bibliografia: “Catalogo della Collezione Giuseppe Badini. Arte moderna”, catalogo di vendita, Milano, 1928, n. 549, tav. XVIII; Guido Perocco, Renzo Trevisan, “Giacomo Favretto”, Torino, 1986, p. 192, n. 196; Renzo Trevisan, a cura di, “Giacomo Favretto 1849-1887. L’opera completa”, Scorzè-Venezia, 1999, p. 207; Enzo Savoia, Stefano Bosi, a cura di, “La donna nella pittura italiana dell’800. Dalla Scapigliatura alla Belle Époque”, catalogo della mostra, Milano, 2012, p. 20; Stefano Bosi, scheda in Enzo Savoia, Stefano Bosi, a cura di, “I Maestri del Colore. Arte a Venezia nell'800”, catalogo della mostra, Milano, 2017, pp. 68-69, 164
    Esposizioni: “Collezione Giuseppe Badini. Arte Moderna”, Milano, Palazzo Nuova Permanente, 1928; “La donna nella pittura italiana dell’800. Dalla Scapigliatura alla Belle Époque”, Milano, Galleria Bottegantica, 2012; “I Maestri del Colore. Arte a Venezia nell'800”, Milano, Galleria Bottegantica, 2017
    Stato di conservazione. Supporto: 90%
    Stato di conservazione. Superficie: 85% (moderate ridipinture in particolare lungo la fessurazione della tavola)

    «Non era soltanto un felice pittore, era altresì un artista – l’artista del colore e della luce, che sapeva gaiamente accordare insieme i colori più disparati e stridenti così da destare, insieme coll’ammirazione per le superate difficoltà di tavolozza, un vero godimento estetico. Ma non si può negar d’altra parte che l’arte non fosse per lui sopra tutto colore […] e la composizione stessa non subordinasse alla macchia, che diveniva la vita del quadro», così Pompeo Molmenti (“Venezia. Nuovi studi di storia e d’arte”, Firenze, 1897, pp. 398-399) ricorda Giacomo Favretto a dieci anni dalla prematura scomparsa. Compagno di corso all’Accademia di Venezia di Guglielmo Ciardi, Fausto Zonaro, Luigi Nono e Alessandro Milesi e assistente di Pompeo Molmenti, nella prima produzione risente dell’influenza della pittura macchiaiola e della lezione napoletana. Costituisce, tuttavia, un giro di boa l’Esposizione Universale di Parigi del 1878, che gli permette di accostarsi alla pittura di Ernest Meissonier e Mariano Fortuny. La tavolozza luminosa e la pennellata sciolta e vibrante, in un primo momento utilizzate in soggetti neosettecenteschi, virano ben presto verso le scene di vita contemporanea tra calle e campielli rese con vivace umorismo. Nel 1887, anno della definitiva consacrazione alla Esposizione nazionale artistica di Venezia, ma anche della precoce scomparsa, Favretto dedica al generale garibaldino Francesco Tabacchi l’opera “Fantasticando”. Soggetto del dipinto è Angelina, la sorella dell’artista più comunemente nota con il diminutivo di Zanze, già ritratta in un interno sullo sfondo di una pianta posta su una mensola nel dipinto “Zanze”, presentato all’Esposizione nazionale di Torino del 1884. Maestro del colore, Favretto realizza con una pittura veloce e sommaria la parte bassa del dipinto e si dedica con perizia e maestria al volto al fazzoletto giallo e alla pianta di geranio nel vaso in terracotta resi in punta di pennello. Al di sotto del fazzoletto sfuggono alcune ciocche ribelli, che incorniciano il volto assorto in una romantica fantasticheria. Coprotagonista del dipinto è il bel pezzo di natura morta che spicca sulle imperfezioni del muro imbiancato. Il rosso del fiore di geranio costituisce un contrappunto cromatico con lo scialle rossa, che racchiude e dà volume al volto.

    Teresa Sacchi Lodispoto

  • William Henry Haines (1812 - 1884) 
Ca’ d’Oro a Venezia
    Lot 353

    William Henry Haines (1812 - 1884)
    Ca’ d’Oro a Venezia
    Olio su tela
    61 x 101 cm
    Firma: "W Henry" al recto, scarsamente lggibile, e al verso a gesso bianco
    Data: non leggibile ("1857"?), al recto
    Altre iscrizioni: titolo al verso ("Il Palazzo Ca' d'Oro [from ?] the Grand Canal / Venice"); altri segni a gesso bianco al verso (tra cui, "3")
    Elementi distintivi: sul telaio, etichetta di collezione "W. Henry" con numero di inventario ("25"), etichetta "FRONT HALL", con riguardo alla collocazione originaria; ulteriore etichetta "W. Henry ....... 51 The Palazzo Ca d'Oro, Venice"; ulteriore etichetta di corniceria
    Stato di conservazione. Supporto: 90%
    Stato di conservazione. Superficie: 90% (ridotte cadute e ritocchi)

    William Henry Haines espose a Londra, tra il 1843 e il 1884, almeno 108 opere alla Society of British Artists, 40 alla British Institution e 30 alla Royal Academy (oltre ad almeno 45 in altre sedi), segno di un forte apprezzamento pubblico. Alle scene domestiche, si affianca una importante produzione come vedutista, sia a Londra, sia all'estero, sulla scorta del grande interesse che riscuoteva in Inghilterra il paesaggio, anche urbano. Venezia, nell'immaginario inglese, è già un must nel Settecento, con lo straordinario successo delle perfette descrizioni di spazi e architetture di Canaletto, che, tra il 1746 e il 1755, sbarcato in Inghilterra, trasforma l'immagine pittorica (anche) di Londra.
    Su questo spinta anche commerciale, Haynes dipinge Venezia, nei suoi monumenti e scorci più celebri, con una vena di lirica malinconia, che mostra un legame particolare con le atmosfere rarefatte e distorte, spesso anche cupe e inquietanti, di Francesco Guardi, aggiornate sulla lezione degli autori più in voga nell'800 veneziano, da Giuseppe Borsato a Francesco Moja, Giovanni Migliara e Giuseppe Canella, fino a Luigi Querena ed al vicentino Francesco Zanin.
    Ne deriva la visione di una Venezia carica di tensione e di sentimenti, che portano la veduta oltre la ricostruzione fedele, ai limiti della visione fotografica, delle architetture dipinte, e rendono Haines uno dei poeti del paesaggio, attivi oltremanica, più apprezzati del XIX secolo.
    Di ciò è esempio questa veduta della Ca’ d’Oro vista dal Canal Grande, dipinta dopo che l'edificio era stato restaurato dell'ingegner Giovan Battista Meduna per volere del proprietario di allora, il principe russo Alessandro Troubetzkoy. La facciata si caratterizza per la marcata asimmetria tra la parte sinistra, in cui si sovrappongono tre fasce traforate (portico per l'attracco delle barche al piano terra e loggiati ai piani superiori), e l'ala destra, in cui prevale la muratura rivestita di marmi pregiati con singole aperture quadrate isolate: Haynes sottolinea, tuttavia, con un ductus denso, l'unico elemento che dà continuità alla facciata, condizionandola e dominandola, il grande cornicione con la soprastante merlatura e le triple colonnine tortili ai lati, con effetto che anticipa la pittura del secondo Ottocento, l'impasto ricco e luminoso di Luigi Nono, di Favretto, dei Ciardi.

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Meraviglie Atto II. La Gioia a colori. II

Una vendita con 85 opere d'arte di maestri antichi, moderni e contemporanei, tra cui: Guido Reni, Vanvitelli, Antiveduto Gramatica, Carlo Saraceni, Luigi Nono, Favretto, Ettore Tito. Raffaello Sorbi, i Ciardi, William Henry Haines, Rubens Santoro, Toulouse-Lautrec, Federico Zandomeneghi, Rocco Marconi, i Vivarini, Domenico Morone, Palma il Giovane, Maineri, Carracci, Cantarini, Agostino Ugolini, Milesi, Bordignon, Lucio Fontana, Federigo Andreotti, Damien Hirst, Shōzō Shimamoto, Mattia Moreni, Edgardo Mannucci, Anton Zoran Music, Baj.


Alcune di queste opere sono disponibili solo sul sito della casa d'aste (www.goforarts.com) o nel catalogo pdf disponibile qui https://goforarts.com/doc/VB_IT_2_2/Meraviglie_Atto_II_HR.pdf.

Sessions

  • 15 May 2024 hours 15:30 Sessione unica (279 - 378)

Exhibition

Le opere sono in esposizione presso la sede di Bonino a Vicenza (Via Vecchia Ferriera 7) e presso la sede di Bonino a Roma (Via Filippo Civinini 21-37). L’accesso è su appuntamento da prendere alla email matteo.smolizza@bonino.us.

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I lotti vanno ritirati presso la sede di esposizione (Roma o Vicenza). L’accesso è su appuntamento da prendere alla email matteo.smolizza@bonino.us.

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Per dare impulso alla gara, nelle prossime sedute d’asta alcuni lotti sono offerti con base d’asta inferiore alla riserva contrattualmente stabilita con il Venditore, importo al di sotto del quale la vendita non può perfezionarsi. Conseguentemente, in sede di aggiudicazione provvisoria ed a parità di importo totale a carico dell’Acquirente, l’importo ordinariamente relativo alle commissioni previste dalle Regole della Vendita a carico dell’Acquirente sarà, in tutto o in parte, traslato, quale integrazione del prezzo di aggiudicazione, in favore del Venditore, fino al raggiungimento della riserva ad esso dovuta e quindi al perfezionamento della vendita. La distribuzione del costo complessivo a carico dell’Acquirente tra costo di acquisizione del lotto, destinato al Venditore, e commissioni maturate a seguito del perfezionamento della vendita in favore della Casa di Vendite sarà esposta in fattura.

Per esempio:

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- riserva € 130.000

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I lotti interessati sono i seguenti: 26, 61, 85, 104, 280, 282, 283, 284, 285, 286, 288, 290, 291, 293, 294, 295, 296, 297, 298, 299, 303, 306, 308, 309, 313, 314, 315, 316, 317, 319, 321, 322, 324, 327, 328, 330, 333, 337, 338, 339, 340, 343, 344, 346, 349, 351, 352, 354, 357, 359, 361, 362, 363, 367, 369, 377. Il presente aggiornamento ha effetto anche per il calcolo dell’eventuale prezzo di aggiudicazione, e dunque di prelazione, con riguardo al lotto 280 – sottoposto a procedura di dichiarazione dell’interesse culturale – che sarà pari alla riserva o al maggiore importo raggiunto in sede d’asta.

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